Santa Lucia nella cultura agreste: la festa della luce che ritorna

 

La ricorrenza di Santa Lucia, celebrata il 13 dicembre, è una delle più antiche e suggestive del calendario invernale. Nella civiltà contadina, profondamente legata ai ritmi della natura e alla luce del giorno, questa festa assumeva un significato particolare: rappresentava il momento in cui, nel cuore dell’inverno, si intravedeva il primo segno del ritorno del sole.

Il giorno più corto dell’anno: una soglia simbolica

Per secoli, prima della riforma del calendario, il 13 dicembre cadeva in prossimità del Solstizio d’Inverno. Non sorprende, quindi, che la tradizione popolare abbia conservato il proverbio: “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia.” Nelle campagne, dove la luce naturale regolava ogni attività, questo giorno segnava il culmine del buio. Ma proprio per questo era vissuto come una soglia di speranza: da quel momento, si diceva, le giornate avrebbero ricominciato ad allungarsi, anche se impercettibilmente. Santa Lucia diventava così la messaggera del ritorno della luce, come ricordano molte tradizioni europee legate ai riti luminosi.

 

 

Riti domestici e simboli di luce

Nelle case rurali, la notte tra il 12 e il 13 dicembre era illuminata da piccoli fuochi, candele e lumini posti alle finestre. Non erano semplici decorazioni: erano gesti rituali, modi per proteggere la casa dal buio e per accogliere simbolicamente la luce che tornava. La luce di Santa Lucia era considerata una benedizione: proteggeva gli animali nelle stalle, custodiva i raccolti conservati per l’inverno, portava serenità nelle famiglie, e ricordava che nessuna notte è eterna.

 

 

Una festa profondamente contadina

Nella cultura agreste, Santa Lucia era legata anche alla protezione del lavoro dei campi. In molte regioni del Sud la festa assumeva un carattere devozionale e comunitario, con riti gastronomici come la cuccìa, un piatto a base di grano bollito e crema dolce che ancora oggi viene preparato in Sicilia in segno di gratitudine e memoria. Nel Nord Italia, invece, la tradizione si intrecciava con il mondo infantile: Santa Lucia portava piccoli doni ai bambini, spesso accompagnata dal suo asinello, in una notte che univa sacro e popolare. Anche questo rito, in un certo senso, conservava un nucleo estremamente genuino: il dono della luce, della bontà, della speranza nel cuore dell’inverno.

 

 

La santa che “vede” oltre il buio

Santa Lucia è anche la protettrice della vista. Nella civiltà contadina, questo significato era interpretato in modo simbolico: la santa aiutava a “vedere” oltre il buio dell’inverno, la paura della scarsità, le difficoltà della stagione fredda. Era la santa che portava visione, non solo luce.

 

 

Il significato profondo per le comunità rurali

Per le comunità agricole, la festa di Santa Lucia era molto più di una ricorrenza religiosa: era un rito cosmico, un momento in cui la natura e la spiritualità si incontravano. Rappresentava: la resistenza al buio, la fiducia nel ritorno del sole; la certezza che la vita, anche quando sembra immobile, sta già ricominciando. Era la festa della speranza minima ma certa, quella che nasce quando tutto sembra fermo e invece, silenziosamente, qualcosa riprende a crescere. Non posso che concludere citando alcuni proverbi che la saggezza popolare ha dedicato alla Santa della Luce: li trovate qui di seguito.

 

 

Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia.

 

 

Da Santa Lucia a Natale, il dì allunga un passo di cane.

 

 

Per Santa Lucia il giorno corre via.

 

 

Da Santa Lucia il freddo si mette in via.

 

 

 

Santa Lucia con il fango, Natale all’asciutto.

 

 

Per Santa Lucia e per Natale, il contadino ammazza il maiale.

 

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Il caffè alla cannella, la bevanda più speziata e irresistibile del periodo natalizio

 

Un modo perfetto per iniziare la giornata con un sapore del tutto speciale? Il caffè alla cannella, una bevanda da riscoprire proprio durante il periodo delle feste natalizie. Provate a immaginare: il gusto intenso del caffè e l’aroma speziato e dolciastro della cannella, uniti in un connubio potentemente raffinato. Le spezie, regine dell’inverno, si fondono con il caffè dando vita a combinazioni incredibili, irresistibili al punto tale da conquistare all’istante. Evocano atmosfere avvolgenti, sensazioni di benessere puro; rimandano alla magia del Natale. La cannella, protagonista suprema di dolci tradizionali del periodo (basti pensare ai biscotti al pan di zenzero, alle cinnamon rolls o ai tipici pepparkakor svedesi), è una vera e propria coccola per il palato. Gustarla insieme al caffè significa regalarsi una pausa che sa di ricordi e suggestioni intrisi di fascino natalizio: un mix di gioia, calore familiare, senso di attesa, tempo sospeso in una dimensione magica e fiabesca.

 

 

In più, il caffè alla cannella si presta ad essere ulteriormente aromatizzato: potete aggiungere altre spezie, come l’anice stellato, il cardamomo o la noce moscata, oppure ancora puntare su aromi dolci quali quello della vaniglia. Per donare un tocco indimenticabile alla bevanda, non dimenticate di concludere il tutto con una buona dose di panna montata, insieme a una stecca di cannella  che esalterà il sapore del vostro caffè. Questa delizia natalizia non è soltanto golosa, ma anche benefica: azzera la sensazione del freddo essendo calda e confortevole; è ricca di virtù antiossidanti che accomunano sia la cannella che il caffè; permette di fare a meno dello zucchero bianco (fonte di picchi glicemici e insulinici se consumato in eccesso), che la dolcezza della cannella sostituisce egregiamente; favorisce la digestione, il che non guasta.

 

 

Risulta oltremodo squisito, dulcis in fundo (è proprio il caso di dirlo), se accompagnato ai biscotti e ai dolci tipicamente natalizi. Provare per credere.

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“Quel che mi duole non è”, una poesia di Fernando Pessoa

 

Quel che mi duole non è
Quello che c’è nel cuore
Ma quelle cose belle
Che mai esisteranno.

Sono le forme senza forma
Che passano senza che il dolore
Le possa conoscere,
O sognarle l’amore.

Come se la tristezza
Fosse albero e, una ad una,
Le sue foglie cadessero
Tra il sentiero e la bruma.

(da “Il libro dell’inquietudine e Poesie”, Newton Compton Editori, 2016)

 

Cartoline dall’Europa

Berlino, Germania

Cartoline dall’Europa, rigorosamente a tema natalizio: quelle cartoline che ormai non si usano più, soppiantate da foto e selfie vari postati sui social. Sono cartoline che catturano e ritraggono il mood, gli scorci e l’atmosfera del periodo più magico dell’anno. A fare da sfondo, una serie di città europee; non sempre le più note, le più turistiche. Perchè per respirare aria di Natale basta un dettaglio: il contrasto tra buio e luce, una nevicata improvvisa, uno scintillio che ammanta di fiaba il grigiore invernale. E voi, quale cartolina preferite?

 

Malaga, Spagna

Monschau, Germania

Tallinn, Estonia

Breslavia, Polonia

San Pietroburgo, Russia

Lisbona, Portogallo

Arad, Romania

Jičín, Repubblica Ceca

Lovanio, Belgio

Brema, Germania

Quedlinburg, Germania

Varsavia, Polonia

Seghedino, Ungheria

Oberwiesenthal, Germania

Helsinki, Finlandia

Rochefort-en-Terre, Francia

Amsterdam, Paesi Bassi

Roma, Italia

Valle Gran Rey, La Gomera, Isole Canarie

 

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Rosso, oro, bianco e verde: i colori del Natale sono i colori di Dicembre

 

L’agrifoglio è spinoso e punge come l’inverno, ma le sue bacche rosso carminio ci regalano la magia del Natale.
(Fabrizio Caramagna)

 

Dicembre: non uno, ma ben quattro potrebbero essere i colori del mese. I colori del Natale, ovvero il bianco, l’oro, il rosso e il verde (in ordine rigorosamente alfabetico). Ma perchè questi colori, e soprattutto, che cosa simboleggiano? I loro significati risalgono a concetti e tradizioni di origine sia pagana, che cristiana. Per approfondirli, stavolta esamineremo i quattro colori in base alla loro “importanza” e popolarità.

Il rosso

Cominciamo subito con il rosso: considerato il colore del Natale per eccellenza, si ricollega alla vita e alla vitalità, ma anche al sangue di Cristo. Da sempre associato a tutto ciò che è regale e sacro, era un colore che accomunava le vesti dei re e dei più alti rappresentanti del sacerdozio cattolico; San Nicola, vescovo di Myra, indossava un ampio mantello e una mitra di colore rosso. Il rosso, tuttavia, predominava anche negli antichi rituali pagani. Tornando a tempi più recenti, questo colore cominciò a identificare il Natale grazie a una campagna di marketing della Coca Cola, che nel 1931 pubblicizzò la sua bevanda affiancandola a un Babbo Natale paffuto, gaudente e vestito di rosso: praticamente, Babbo Natale così come lo conosciamo oggi.

 

L’oro

Rappresenta la maestosità, la preziosità, la magnificenza del Natale. Ma è innanzitutto luce divina, la luce che risplende sulle tenebre e le sconfigge con il suo fulgore: pensiamo alla stella di Betlemme, ma anche a Gesù stesso. I re Magi, quando fanno visita al Bambinello, gli portano in dono l’oro insieme all’incenso e alla mirra. Simbolicamente, l’oro è legato alla conoscenza e alla consapevolezza di sé, ed è un emblema di rinascita.

 

Il bianco

Simboleggia la neve del Natale, il candore, la purezza e l’innocenza. E’ il colore della pace e denota l’animo puro di Gesù, appena venuto al mondo. Il bianco rientra tra i colori neutri, ma in questo caso può essere considerato, metaforicamente, un colore caldo: che esprime cioè il calore e l’intensità dei sentimenti sinceri e duraturi.

 

Il verde

E’ il colore dell’albero di Natale, ma non solo. Il vischio, l’agrifoglio e il pungitopo sono verdi, come tutti i sempreverdi appunto: piante che sono in grado di resistere all’inverno, simboli di tenacia e resilienza. Non è un caso che il verde sia associato alla vita eterna, alla speranza e alla rinascita, una simbologia che si adatta perfettamente alla figura di Gesù.

 

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Christmas Fashion Tale

 

Suggestioni modaiole natalizie a metà tra glamour e ironia. I colori del Natale si tramutano nei cardini di un divertissement in chiave fashion che si appropria di addobbi e decorazioni rivisitandoli con giocosità in un tripudio di scintillanti bagliori.

 

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Vino cotto e vincotto, due eccellenze natalizie e invernali della nostra penisola

 

Esiste il vin brulé, esiste il glögg scandinavo e…esiste il vino cotto. Ma che cos’è il vino cotto, di che si tratta esattamente?  I marchigiani come me lo conoscono bene: sto parlando di un vino liquoroso, dolce e ad alta gradazione alcolica. E’ una bevanda tipica delle province di Macerata e Ascoli Piceno, realizzata con il mosto di uve eterogenee che viene bollito e poi lasciato invecchiare. Il colore che lo caratterizza è assai suggestivo, tra il rosso granata, il bordeaux e l’amaranto. Il vino cotto è un vino versatile, da accompagnare sia al dolce che al salato: possiamo abbinarlo alla pasticceria secca, gustarlo insieme a dolci “caserecci” come il ciambellone e le frittelle di mele, oppure consumarlo con i formaggi stagionati e le caldarroste delle tradizione autunnale.

 

 

Le sue radici

Le origini del vino cotto sono da attribuire ai Piceni, un antico popolo stanziatosi nelle Marche dal IX secolo a.C. in poi. Nel 191 a.C., il commediografo romano Plauto lo citò in una sua opera decantandone le qualità: il vino cotto veniva degustato soprattutto durante i banchetti che accompagnavano le celebrazioni, e pare che fosse molto gradito da tutti i commensali. Nel 77 d.C. anche Plinio Il Vecchio parlò del vino cotto nell’ enciclopedia che porta la sua firma, la conosciutissima “Historia Naturalis”. Lo scrittore, filosofo e naturalista romano si concentrò prevalentemente sul metodo di preparazione della bevanda, sottolineando come ogni sua fase seguisse rigorosamente il calendario lunare. Durante il Medioevo si sperimentò una variante di questo vino: se bevuto caldo, oltre a favorire una piacevole ebbrezza aveva un’azione lenitiva sui malanni tipicamente invernali. Tra il XV e il XVI secolo, all’epoca del Rinascimento, persino i religiosi si convertirono al vino cotto, e pare che lo usassero nel corso della Santa Messa. Nelle Marche, principalmente nelle zone del maceratese e dell’ascolano, il vino cotto divenne una vera e propria tradizione, e così anche in Abruzzo. La sua ricetta veniva tramandata di padre in figlio, a riprova del fatto che fosse una delle bevande più note e apprezzate. La sagra di Loro Piceno, un paesino arroccato su una collina a pochi chilometri da Macerata, è tuttora dedicata, non a caso, proprio al vino cotto. Il regista e scrittore Mario Soldati, grande estimatore di vini, esaltò le virtù del vino cotto nel suo libro “Vino al vino”, descrivendone i riflessi color oro e l’anima genuinamente rustica.

 

 

Vino cotto o vincotto?

Attenzione: vino cotto e vincotto (detto anche mosto cotto) non sono la stessa cosa. Il vincotto, dolce più del miele, è un liquido denso come uno sciroppo ottenuto dal mosto d’uva lasciato cuocere per diverse ore, almeno dodici. Può essere aromatizzato con cannella, chiodi di garofano e bucce d’arancia e usato come condimento, o accompagnamento, delle pietanze dolci o salate: dai dolci alle carni e ai formaggi. Il vincotto, tipico di regioni quali la Calabria, la Puglia e la Basilicata, non è fermentatoinvecchiato ed è del tutto privo di alcol. Il vino cotto, al contrario, è mosto cotto che passa attraverso le procedure di fermentazione e invecchiamento; un processo spesso pluriennale che viene effettuato in botti di legno. In sostanza, il vino cotto è un autentico vino, il vincotto una sorta di sciroppo. Entrambi, comunque, sono altamente utilizzati durante il periodo natalizio.

 

 

Il vincotto e le sue proprietà terapeutiche

Nella rubrica dei proverbi del mese, parliamo sempre di cultura agreste. Bene: il vincotto, estremamente ricco di potenti antiossidanti come i polifenoli, era un rimedio contro la tosse molto usato, un tempo, nelle case di campagna. Al crepuscolo, il profumo delle spezie che galleggiavano in una pentola piena di bucce d’uva era caratteristico, una sorta di “marchio di fabbrica” dell’inverno. Il vincotto, considerato non tanto una medicina, quanto una carezza serale, si spalmava sul pane, si versava nel latte, si consumava insieme alle pietanze. E quel sapore dolcissimo, se non faceva bene alla tosse, faceva senz’altro bene all’anima.

 

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Dicembre e i suoi proverbi

 

Dicembre è un mese in cui, in agricoltura, la produzione si ferma. Le attività si concentrano più che altro sulla preparazione dei campi per i mesi futuri: se non c’è gelo il terreno si lavora, si concima; per preservare dal freddo intenso le colture invernali, si ricorre a espedienti come le coperture e la pacciamatura, ossia il rivestimento del terreno con materiale inorganico e organico (tipo la paglia, i trucioli di legno e la corteccia di pino). Il raccolto si riduce a pochi prodotti, generalmente frutta e ortaggi come i cavoli e le melagrane. In questo periodo di riposo, che anticamente, per ovvi motivi, era vissuto con maggior apprensione rispetto ad oggi, le priorità erano assicurarsi la quantità di cibo necessario per superare l’Inverno e riscaldare degnamente la propria casa. Poi c’erano, naturalmente, le tradizioni, le leggende e le credenze tipiche di Dicembre, le sue ricorrenze, e una folata di magia avvolgeva anche le campagne. Su cosa si incentrano, dunque, i proverbi di questo mese? Il meteo come sempre predomina, seguito dai (pochi) lavori agricoli e dal freddo che contraddistingue il periodo. Molti gli accenni alle solennità dei santi, Natale e Capodanno. La superstizione prevale, forse a livelli maggiori rispetto agli altri mesi dell’anno: a Dicembre, quando la natura è assopita e il gelo impera, c’è bisogno di  certezze e di rassicurazioni.

 

 

Dicembre nevoso, anno fruttuoso.

 

 

Dicembre piglia e non rende.

 

 

Dicembre davanti ti agghiaccia e dietro ti offende.

 

 

Dicembre gelato non va disprezzato.

 

 

Per Santa Bibiana scarponi e calza di lana.

 

 

A Santa Barbara sta’ intorno al fuoco e guardalo.

 

 

Da Santa Lucia il freddo si mette in via.

 

 

Seminare decembrino vale meno d’un quattrino.

 

 

Da Santa Lucia a Natale il dì s’allunga quanto un passo di cane.

 

 

Dicembre mese di bruma: davanti mi scalda e dietro mi consuma.

 

 

Per Santa Lucia e per Natale, il contadino ammazza il maiale.

 

 

A Natale freddo cordiale.

 

 

Avanti Natale, nè freddo nè fame.

 

 

A San Silvestro la neve alla finestra.

 

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