(Photo by Luca Zizioli)
Questo weekend inizia con un bell’ incontro. Ricordate Jack Paps, già ospite di VALIUM nel 2017? Bene, è tornato a trovarci. E siccome detesto perdere di vista gli amici, lo accolgo molto volentieri. Negli ultimi tre anni, per lui, si sono succeduti eventi che l’hanno coinvolto sia sul piano privato che professionale, ma ha sempre mantenuto il proprio imprinting: quello di artista eclettico e felicemente underground. Prima del lockdown, Jack si suddivideva tra sporadiche puntate in Veneto e Milano, dove si è trasferito in pianta stabile. La musica ha continuato ad appassionarlo sotto forma di sperimentazioni e collaborazioni con amici di lunga data, sebbene i suoi interessi siano innumerevoli. Ne parliamo in una chiacchierata dove – carriera nelle sette note a parte – toccheremo temi come le discipline orientali, i ricordi associati all’ arte di strada, le aspirazioni, Venezia ai tempi della pandemia, l’ ispirazione e molto, molto altro ancora. Una chicca in anteprima? Per ammazzare il tempo durante la quarantena, Jack ha aperto un profilo Instagram dove posta le sue “canzoni della domenica” ogni settimana: un appuntamento imperdibile in cui rivisita, nel giocoso e onirico stile Paps, brani noti e meno noti del passato. Se volete saperne di più su questo immaginifico cantastorie contemporaneo, godetevi il botta e risposta qui di seguito. Ah, vi avverto: parecchi dettagli sono rimasti invariati, rispetto al nostro primo incontro. L’ alone di mistero che circonda l’artista è sempre lo stesso, così come il look bohémien e pittorescamente “fin de siècle”. Ma soprattutto permane il carisma di una personalità ipnotica, del tutto sui generis, che cattura all’ istante. Sarà solo una mia impressione, però non riesco a immaginare Jack Paps mentre lotta con le unghie e con i denti per catapultarsi nel mainstream musicale…
Una domanda semiseria. Jack, riannodiamo il filo: nel 2017, quando ti ho chiesto che progetti avevi dopo la tua esperienza al Summer Jamboree di Senigallia, mi hai risposto che pensavi di mollare tutto per insegnare yoga. Com’è andata, invece?
E’ stato così in parte, con l’eccezione che non ho abbandonato il lavoro di artista, ma non dubito che in futuro potrei farlo. In parallelo alla mia vita di musicista c’è un’ossessione e uno studio continuo per le pratiche e le discipline che arrivano dall’ Oriente, soprattutto per ciò che riguarda l’ascetismo.
Il tuo percorso professionale è intriso di un mistero che lo carica di fascino: potremmo tornare sull’argomento per ricapitolare? Come ti racconteresti a chi non ha letto la tua prima intervista per VALIUM?
Questa professione è capitata per caso in verità, in un susseguirsi di situazioni concatenate. Sono un solitario con una pervasiva malinconia e durante la mia infanzia e la mia adolescenza ho saziato questa mia emozione predominante con le note di una piccola pianola trovata tra le cianfrusaglie. Passavo molto tempo, in uno stato di raccoglimento, a cullarmi col volto disteso sulla tastiera mentre suonavo. Fatto sta che gli anni passavano e ho imparato a suonare. La musica è rimasta di fatto una voce intima nella mia vita, finché a 24 anni circa, disilluso dalle aspettative di una vita ordinaria e con l’incoscienza e l’audacia che contraddistinguono quella età, mi sono gettato tra le calli e i campielli Veneziani con una piccola fisarmonica blu, suonando e cantando a squarciagola. Da cantastorie squattrinato per le strade a performer professionista per eventi di prestigio, nel giro di pochi anni mi sono perfezionato e ho fatto della musica il mio mestiere. Agli inizi ero persuaso che la musica e le mie espressioni artistiche fossero il fine e che la mia passione, le mie aspirazioni fossero il carburante per raggiungere questo traguardo. Oggi invece, a distanza di qualche anno, penso che la musica sia stato il mezzo, e che il fine fossero le relazioni e le connessioni che potevo creare attraverso di essa.
In questi anni hai alternato le esibizioni nelle location più esclusive alle performance in strada. Qual è il trucco per trovarsi a proprio agio in entrambi gli ambienti?
Cerco disperatamente il trucco. Ho chiesto anche al mio amico mago che lavora ogni tanto con me, molto abile nei trucchi, ma anche lui non ha saputo dare una risposta. Vivo una perenne dicotomia, anche quella interiore tra me e Jack Paps.
(Photo by Elisa Cuneo)
A proposito di arte di strada, quali ricordi hai dei tuoi esordi nelle calli di Venezia? E cosa pensi della Laguna in quarantena, della sua trasformazione sbalorditiva?
Venezia è stata il teatro della mia crescita. L’ho vista vestirsi a festa durante il Carnevale, l’ho accompagnata con la mia musica e l’ho vista ballare, l’ho vista piangere lacrime amare durante le inondazioni che l’hanno ferita, l’ho vista assediata di turisti che l’animavano e la tormentavano e l’ho vista oscillare davanti ai miei occhi alla fine dei Bacaro tour con gli amici (il Bacaro tour è una forma tutta veneziana che prevede il giro delle locande bevendo almeno un bicchiere in ognuna di esse). Poi è arrivato il COVID-19 e pochi giorni prima che cominciasse la quarantena l’ho vista per la prima volta deserta, affascinante e silenziosa, riprendere il respiro. L’ho salutata commosso e sono ritornato a Milano.
(Photo by Serena Rose Zerri)
Dopo il trasferimento a Milano, hai deciso di tornare in Veneto di tanto in tanto per riannodare le collaborazioni che avevi già avviato con svariati musicisti: penso a Damien McFly o a Gabriele Fassina, in arte FACS. In che modo si intersecano i vostri talenti?
Dopo sei anni di vita a Milano, ho voluto ritrovare gli amici che avevo perso di vista, specialmente nel Veneto. Mi sono messo in testa che fosse una cosa importante e alla quale dare priorità. Questa scelta è stata importante sia a livello umano che lavorativo. E così per prima cosa sono andato a trovare un vecchio amico e la sua band della quale facevo parte prima di diventare solista, Damien McFly. Un cantautore a cui voglio bene e che stimo profondamente come professionista, un ragazzo che da una città di provincia è riuscito con la sua musica e i suoi testi a farsi sentire internazionalmente, e in un certo senso il primo con cui ho potuto imparare il mestiere. Trovare una formazione musicale con cui si è in sintonia non è una cosa scontata, e dopo anni ho avuto l’occasione di poter suonare di nuovo con loro. Tra le altre buone occasioni ho potuto risuonare e confrontarmi con un altra persona speciale nel mio cuore, un musicista che personalmente reputo il più talentuoso tra tutti quelli incontrati fino a oggi, Gabriele Fassina in arte FACS. Con lui ho condiviso tante avventure e musicalmente c’è un intesa molto forte. Quando suoniamo insieme non c’è bisogno di parole o gesti, a volte penso che non ci sia neanche bisogno di comunicare, tanto siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Pensi che qualcuno di questi connubi possa sfociare in una collaborazione duratura?
Penso che le collaborazioni non verranno a mancare con entrambi, ma l’aspetto dell’amicizia per me è molto più importante. Le collaborazioni verranno da sé.
Jack e Damien McFly (photo by Massimiliano Berto)
FACS e Jack
Ultimamente hai aperto un profilo Instagram che, ogni settimana, propone una splendida chicca: la “canzone della domenica”, ovvero brani del passato che rivisiti con il tuo magico estro. Come nascono questi piccoli gioielli?
Sono appassionato di musica “tamarra” anni ’90, e trovo che i tormentoni dance di quegli anni abbiano un grande potenziale: si possono trasformare in versioni anche distanti e diverse tra loro, per esempio in versioni orchestrali o motivetti, come nel mio caso, da cantastorie. E’ uno spensierato passatempo in questi giorni di reclusione.
La Damien McFly Band (photo by Massimiliano Berto)
Parlando invece in generale, cosa fa scoccare la scintilla tra te e l’ispirazione?
La musica in sè è per me fonte di ispirazione. Spesso ho la necessità di comporre o di trasformare partendo da una musica che ho sentito e che mi ha colpito.
L’ era del Coronavirus sta rivoluzionando gli stili di vita. Che ci racconti della tua quarantena?
Come già si è capito dalle mie risposte, io non soffro nell’isolamento perché spesso la solitudine placa le mie paure. Sono quindi forse uno dei pochi ad aver ritrovato un armonico equilibrio con me stesso. Il fatto che la città si sia fermata ci ha regalato un insolito silenzio nel quale le nostre riflessioni hanno fatto eco.
(Photo by Elisa Cuneo)
Per un artista che, come te, privilegia la dimensione live, il Covid-19 rappresenta un fattore penalizzante. In quale direzione potrebbe evolvere l’esibizione musicale?
Penso semplicemente che si debba aspettare. Esistono dei mestieri che vivono del contatto diretto col pubblico, si possono utilizzare delle piattaforme Internet ma personalmente lo trovo un rattoppo in attesa di tempi migliori.
(Photo by Elisa Cuneo)