Ero seduta accanto a una ragazza con un abito di gomma; sembrava che l’avessero pitturata di lattice. Il segnaposto diceva: Samantha Binghamton e ogni due secondi le scattavano una foto. Aveva una selvaggia chioma nera (forse una parrucca) e un collo lungo e magro, (…) molto elegante (…). Aveva conosciuto il marito – seduto accanto a lei – in seconda elementare. Lui veniva da una famiglia favolosamente ricca e ora aveva una delle gallerie più famose del mondo. Lei era stata una celebre agente cinematografica, amicissima di Dustin Hoffman e John Houston, e uno dei suoi clienti era in un film che aveva fatto piazza pulita degli Oscar l’anno precedente. Eppure, nonostante avesse solo 28 anni e fosse quasi all’apice della carriera, aveva deciso che non era felice. Dato che suo marito la poteva mantenere e lei non aveva bisogno di lavorare, aveva mollato il lavoro due settimane prima per diventare una rock star. Quello era il suo sogno. Al momento non aveva ancora trovato un manager, ma sembrava dovesse succedere da un momento all’altro. (…) Nella toilette ci applicammo vari strati di make up cavati dalla trousse di Samantha. “Il tipo seduto vicino a te”, disse incipriandosi il naso, “stai con lui, vero?” “Viviamo insieme”, risposi. “E’ Stash”. “Proprio questo volevo chiederti “, ricominciò lei. “E’ Stash Stosz, vero? Quello a cui hanno appena fatto una recensione terribile?” “Già”. Tirò fuori uno spinello dalla borsetta. “E’ ricco?” chiese accendendo lo spinello e passandomelo. “No”. “E tu?” “Neanche”. “E allora, perché stai con lui?” “Beh, io….” Balbettai. Ero sbalordita.
Tama Janowitz, da “Schiavi di New York”
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