Una passeggiata d’inverno

 

” Eppure, mentre la terra giù in basso sonnecchiava, da tutte le regioni dell’aria superna si riversava vivace un polverio di fiocchi piumosi, come se una nordica Cerere dominasse il cielo facendo piovere su ogni campo la sua argentea semenza. Dormiamo. E finalmente ci ridestiamo alla tacita realtà di una mattina d’inverno. La neve ricopre ogni cosa, calda come cotone, o frana giù dal davanzale. Fioca, dall’ ampia impannata, dalle lastre di vetro rabescate dal gelo trapela una luce arcana, in grado di esaltare l’accogliente tepore della nostra stanza. Profondo è il silenzio del mattino. Il piancito scricchiola sotto i nostri piedi mentre ci accostiamo alla finestra per guardare all’ esterno, volgendo per un lungo tratto fosforescente gli occhi sulla campagna. Vediamo i tetti ristare intirrizziti sotto il loro fardello di neve. Stalattiti di ghiaccio frangiano gronde e staccionate, mentre nel cortile irte stalagmiti rivestono qualche oggetto sepolto. Alberi e arbusti levano da ogni parte candide braccia al cielo; e dov’erano muri e recinti, vediamo fantastiche forme spiccare in archi bizzarri sullo sfondo di quel panorama cupo, quasi che nella notte la natura avesse sparso per i campi alla rinfusa i suoi freschi abbozzi per farli servire da modelli all’ arte dei mortali. Silenziosamente, mettiamo mano al chiavistello e apriamo la porta, lasciando che si richiuda alle nostre spalle facendo ricadere il paletto, e allunghiamo un passo all’ esterno affrontando l’aria tagliente. Le stelle hanno già perduto un po’ del loro scintillio; l’orizzonte è cinto da un orlo di bruma opaco, plumbeo. A oriente, uno sfrontato bagliore vivida proclama il prossimo avvento del giorno, mentre lo scenario a occidente ci appare ancora indistinto e spettrale, e come velato da una fosca luminescenza tartarea, che lo fa assomigliare al regno delle ombre. (…) Nel cortile, le orme fresche della volpe o della lontra ci fanno rammentare che ogni ora della notte è gremita di eventi, e la natura primitiva continua a operare e a lasciare tracce sulla neve. (…) In lontananza, frattanto, oltre i cumuli bianchi e attraverso le finestre impolverate di neve, scorgiamo il lume precoce del contadino emettere, pari a una smorta stellina, un brillio smarrito, come se proprio allora si stessero salutando laggiù i primi albori di qualche austera virtù. E, ad uno ad uno, ecco che tra alberi e nevi da ogni comignolo comincia a levarsi un fil di fumo. “

 

Henry David Thoreau, da “Una passeggiata d’inverno” (ed. Lindau, 2019. Primo racconto del libro omonimo)

Le Frasi

 

L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. “

(Cesare Pavese)

La calza della Befana

 

” Ecco l’origine dell’uso di esporre le scarpe sulle finestre, la sera dell’Epifania, uso tradizionale nei bimbi. E’ certo che i signori Re magi, per venire da noi, hanno fatto un lunghissimo viaggio – e i viaggi sciupano le scarpe – quindi, è pur certo, che la migliore offerta che noi possiamo far loro, allorché passano da casa nostra, sia quella,… delle scarpe. Essi poi gentilmente contraccambiano l’offerta con qualche loro mercanzietta, dolci, giochi ecc…. e di ciò i bimbi li ringraziano cordialmente. “

Carlo Dossi, da “Note Azzurre”

 

Buona Epifania. Il termine, derivante dal greco antico, è composto da un incrocio tra il verbo “epifàino” e il sostantivo “epifàneia” (che significano rispettivamente “mi rendo manifesto” e “apparizione divina”), ed indica il momento in cui la divinità di Gesù Cristo si è palesata all’ umanità. La Cometa, con la sua luce suprema, l’ha annunciata al mondo: il suo splendore era tale che un trio di sapienti astrologi e sovrani, i Re Magi, decise di recarsi a Betlemme seguendo quella scia luminosa. I Magi provenivano da tre diversi continenti, l’Asia, l’Europa e l’Africa, e desideravano rendere omaggio a Gesù Bambino. Si chiamavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Avevano tratti somatici e colore della pelle tipici delle loro terre, tre età differenti: dettagli che simbolizzavano la gioia per la nascita del bambinello da parte di tutti i popoli e di ogni generazione. I Re Magi portavano con sè dei doni destinati a Gesù Cristo. Gaspare gli offrì l’incenso per celebrare la sua divinità, Baldassarre la mirra (utilizzata per i riti di imbalsamazione) poichè era un essere mortale, Melchiorre l’ oro, che inneggiava alla regalità e alla luce del Re dei Re.

 

 

Fu durante il viaggio dei Magi a Betlemme che, secondo una leggenda, entrò in scena la Befana. I tre Re chiesero informazioni sul tragitto a una vecchietta che incontrarono strada facendo, dopodichè la invitarono a unirsi a loro per far visita a Gesù Bambino. La donna rifiutò, ma se ne pentì subito dopo. Prese dunque un gran cesto e lo riempì di dolci, poi si avviò verso Betlemme in cerca dei Magi. Non riuscì a raggiungerli, così vagò di casa in casa regalando i suoi dolciumi ai bimbi con la segreta speranza di imbattersi nel piccolo Gesù. Ecco come nacque la figura della Befana, una vecchina che ogni 6 Gennaio dispensa doni ai bambini buoni. La classica calza che quella notte si appende al cammino, possiede un significato simbolico ben preciso. Alcuni la riconducono a una leggenda che vede protagonisti Numa Pompilio, secondo re di Roma, e la ninfa Egeria: quando arrivava il Solstizio d’Inverno, Numa Pompilio era solito far penzolare una calza dal tetto della grotta abitata da Egeria. Il giorno dopo gioiva nel trovarla ricolma di cibi e dolci, insieme alle profezie che la ninfa gli annunciava. Tra le usanze del 6 Gennaio, la calza è senz’altro la più celebre. Di solito veniva realizzata a maglia dalle mamme o dalle nonne per unire l’ utile al dilettevole, una buona protezione contro il freddo e un contenitore duttile che potesse riempirsi del maggior numero di regali possibile. I bambini appendevano le calze della Befana sotto la cappa del camino, poichè si pensava che la bonaria vecchina si calasse nelle case attraverso il comignoli (per saperne di più sulle origini della Befana, rileggi qui l’ articolo che ho pubblicato su Frau Holle, Berchta e Frigg). All’ alba del 6 Gennaio, la calza era piena di primizie tipicamente stagionali: arance, mele, frutta secca e mandarini inneggiavano al nuovo ciclo naturale ed avevano una valenza propiziatoria. Persino il carbone era un importante componente della calza, dato che richiamava i tradizionali falò del Solstizio d’Inverno. Con il tempo, tuttavia, il carbone si tramutò nel regalo che ricevevano i bambini cattivi, una sorta di castigo per il loro comportamento. Qualche decina di anni orsono, era comune trovare nelle calze – oltre alla frutta – torroncini, dolciumi, cioccolato a forma di moneta rivestito di carta stagnola. Il carbone, diventando carbon dolce, ammoniva scherzosamente i fanciulli più “scavezzacollo”.

 

 

Non tutti i bambini, però, avevano l’abitudine di appendere la calza al camino. La Befana viene rappresentata da sempre come un’ anziana signora non esattamente attenta al proprio look: calza scarpe logore, indossa abiti stracciati e i suoi capelli bianchi vedono il pettine molto di rado. Da qui l’ usanza di mettere un paio di scarpe nuove nel caminetto; la Befana le avrebbe prese con sè prima di lasciare i suoi doni, oppure le avrebbe riempite di regali e dolci. Calze o scarpe che fossero, l’atmosfera che aleggiava nelle notti d’Epifania della nostra infanzia è indimenticabile. Si restava svegli fino all’ alba cercando di “cogliere in flagrante” la Befana, e alle prime ore del mattino ci si precipitava a controllare i pacchi e i pacchetti ammucchiati nel camino. Ricordo che ero solita far trovare alla Befana un bicchiere di vino e un sacchetto di biscotti, cosicchè potesse rifocillarsi durante il suo peregrinare sui tetti. Cerchiamo di vivere appieno questa giornata e di ripristinarne la magia, perchè, come dice un proverbio, “L’ Epifania tutte le feste porta via”: è una triste realtà.

 

Immagini via Rawpixel

 

La colazione di oggi: il torrone, tra storia e leggenda

 

 

Il torrone è un altro cult natalizio che va tassativamente approfondito. Anche perchè pare che il suo consumo, durante le feste, raggiunga la ragguardevole proporzione del 74% rispetto agli altri dolci del periodo. Parlando di torrone, tuttavia, in molti tendono a soffermarsi solo sul suo alto contenuto calorico; ma questo alimento è anche estremamente ricco di proprietà e benefici. Innanzitutto, il torrone è una vera e propria miniera di proteine: basti pensare alle mandorle e alle uova che include tra i suoi ingredienti. Le mandorle sono dei potenti energizzanti e abbondano di minerali quali il potassio, il ferro e il magnesio. Ma non solo. Contribuiscono a diminuire i livelli del colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”) incrementando quelli degli antiossidanti, fondamentali nei contrastare i danni dei radicali liberi. La presenza dei carboidrati, degli acidi grassi essenziali e di sette amminoacidi essenziali costituisce un ulteriore punto di forza del torrone. Un gran numero di benefici si associa a tutte le versioni del dolce. Il torrone alle noci o alle nocciole, ad esempio, protegge dalle patologie cardiovascolari; il torrone al cioccolato, grazie alla massiccia presenza di polifenoli antiossidanti, svolge la stessa funzione limitando l’ ossidazione del colesterolo “cattivo”.

 

 

Va ricordato che il torrone viene preparato con uno squisito impasto di mandorle tostate, zucchero, miele e albume d’uovo; le differenti tipologie del dolce includono l’aggiunta di frutta secca come le noci, i pistacchi, le nocciole…Due, invece, sono le sue versioni classiche: il torrone bianco alle mandorle, friabile o duro, e quello alle nocciole, a base di cioccolato o cioccolato gianduia, solitamente dalla consistenza morbida. Esiste poi anche un mix dei due, il torrone bianco completamente ricoperto di cioccolato fondente. Il tasso di golosità, insomma, rimane inviariato. Non variano neppure i due strati di ostia applicati sopra e sotto il prodotto, un’ altra caratteristica di questo amatissimo dolce. Per godere appieno delle sue proprietà, l’ ideale sarebbe gustare un buon torrone artigianale: gli ingredienti naturali e l’assenza di prodotti chimici sono le sue principali virtù, un binomio che esalta le doti nutrienti dell’ alimento senza alterarne il gusto e mantenendolo salutare. Consumare il torrone a colazione è un ottimo modo per affrontare la giornata con una sferzata di energia, ma non esagerare nelle porzioni (una regola applicabile a tutti i dolci) rimane un must fondamentale. 

 

 

Ma qual è la storia del torrone? A quali leggende rimandano le sue origini? Tanto per cominciare, il nome “torrone” proviene dal latino “torrēre”, ovvero “abbrustolire”; questo verbo, com’è facilmente intuibile, si riferisce alla tostatura della frutta secca che troviamo tra i suoi ingredienti. Alcuni ipotizzano anche una derivazione dallo spagnolo “turròn”, da “turrar” che significa “arrostire”. Quel che è certo è che il torrone ha radici antichissime e che molte regioni italiane se lo contendono in qualità di “dolce tipico”. Il fatto che fosse diffuso in tutta la penisola ha dato adito alla tesi secondo cui gli antichi romani ne avessero divulgato la ricetta: in effetti, Marco Terenzio Varrone detto “Il Reatino” citò il “cuppedo” in uno dei suoi scritti  (e “cupeto” è il nome dato al torrone nella zona tra Benevento e Avellino) già nel 116 a.C.. Il letterato sosteneva che i creatori del dolce fossero i Sanniti, e che i Romani avessero appreso proprio durante le guerre sannitiche della sua esistenza; quella leccornia a base di miele, albume e semi oleosi li conquistò immediatamente. Il gastronomo Apicio, non a caso, descrisse un dolce romano chiamato “nucatum” poco tempo dopo. I suoi ingredienti? Miele, albume d’uovo e noci, una delle tipiche ricette del torrone odierno. Ma c’è chi sostiene che il torrone, in realtà, abbia radici arabe. A Baghdad e nella Spagna Islamica medievale, illustri studiosi solevano menzionare un dolce di frutta secca molto simile al torrone. Il celebre torrone siciliano potrebbe derivare da quel tipo di dolce, che senza dubbio approdò sull’ isola ai tempi del dominio arabo. Nei primi anni del 1100, Gherardo da Cremona tradusse il libro “De medicinis et cibis semplicibus” di Abenguefith Abdul Mutarrif, medico e farmacista ismaelita residente a Cordova. Nel libro si parlava del “turun”, un prelibato dessert arabo, e venivano lodate le proprietà del miele da cui era composto. In molti attribuiscono a Gherardo da Cremona il merito di aver reso celebre il torrone nell’ Italia del Nord, mentre secondo altri fu Giambonino da Cremona a scrivere per primo del dolce: quest’ ultimo era infatti descritto in due testi bagadesi che stava traducendo. Verosimilmente, però, colui che divulgò la ricetta del torrone nel settentrione fu Federico II di Svevia. L’ Imperatore aveva assimilato la cultura araba nella sua corte palermitana, e durante le lotte contro i Comuni dell’ Italia del Nord aveva stabilito il suo quartier generale a Cremona. La leggenda, invece, narra che il torrone giunse a Cremona in occasione delle nozze tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Era il 25 Ottobre del 1441, e i cuochi pensarono di omaggiare gli sposi con un delizioso dolce a base di mandorle, albume e miele che raffigurava il Torrazzo cremonese. Il dessert riscosse un successo tale da diventare una tipicità di Cremona; veniva impastato durante le feste e offerto in dono alle autorità che arrivavano in città. Testimonianze varie, tuttavia, fissano la nascita del torrone a una data anteriore al XV secolo: è quasi certo, quindi, che fu Federico II di Svevia a diffondere la ricetta. Tra i torroni più famosi d’Italia rientrano, oltre a quello di Cremona, la “cubbaita” di Caltanisetta, il torrone sardo di Tonara, il torrone prodotto tra Avellino e Benevento, il torrone tenero aquilano, il torrone di Bagnara Calabra IGP e il mandorlato di Cologna Veneta.

 

 

Felice Anno Nuovo

 

 

” Anche la neve contribuisce all’idea

che ci si debba decidere.

Ma appena entrati nell’aria di gennaio,

che è come sempre forzare una porta

o sospingere un vetro con delicatezza,

non è più imbarazzante enumerare i sintomi

di quelle forme bianche rigorosamente

irregolari, contingenti, malgrado

la straordinaria chiarezza della luce, sul fondo,

che ci vediamo costretti a interpretare.

In questo senso la neve ci identifica: segno

del movimento, incessante, compiuto

cominciamento. “

 

“Aria”, poesia di Roberto Sanesi