” Adoro i gelati: crema gelida satura di latte, grasso, aromi artificiali, pezzi di frutta, chicchi di caffè, rum; gelati italiani di consistenza vellutata che formano monumentali scale di vaniglia, fragola o cioccolato; coppe gelato che crollano sotto il peso della panna, della pesca, delle mandorle e di ogni sorta di sciroppo; semplici stecchi dal rivestimento croccante, delicati e tenaci insieme, che si gustano per strada tra un appuntamento e l’altro, o le sere d’estate, davanti alla televisione, quando siamo sicuri che solo così avremo un po’ meno caldo, un po’ meno sete; e infine i sorbetti, sintesi riuscita di ghiaccio e frutta, che rinfrescano con vigore e si sciolgono in bocca come una colata gelida. E infatti, nel piatto che mi era stato poggiato di fronte ce n’erano alcuni preparati da Marquet: uno al pomodoro, l’altro, molto classico, ai frutti e bacche di bosco, e l’ ultimo all’ arancia. Nella semplice parola “sorbetto” si incarna un mondo intero. Provate a pronunciare ad alta voce: “Vuoi un gelato?” e poi in rapida successione: “Vuoi un sorbetto?” e apprezzate la differenza. E’ un po’ come quando, aprendo la porta, si butta là un distratto: “Vado a prendere un dolce”, mentre senza ostentazione ci saremmo potuti offrire un piccolo e nient’affatto banale: “Vado a comperare dei pasticcini” (scandire bene le sillabe: non “pstccini” ma “pas-tic-ci-ni”) e , con la magia di un’ espressione appena un po’ antiquata e preziosa, creare con poco un mondo di armonie desuete. (…) il sorbetto è aereo, quasi immateriale, fa appena un po’ di schiuma a contatto con il nostro calore, poi, vinto, schiacciato, liquefatto, evapora in gola, lasciando alla lingua solo l’affascinante reminiscenza del frutto e dell’ acqua che sono scivolati via. “
Muriel Barbery, da “Estasi culinarie”