Il luogo: Chefchaouen, viaggio nella “perla blu” del Marocco

 

Da Tarifa al Marocco il passo è breve, come vi dicevo nell’ ultima puntata di questa rubrica: circa mezz’ora di traghetto. Il porto di riferimento è Tangeri, ma oggi non ci fermeremo lì. Ho intenzione di accompagnarvi alla scoperta di una delle città più affascinanti del Regno Maghrebino: Chefchaouen. Il suo soprannome, “perla blu”, è significativo. Basta guardarla per capire il perchè: le case, i vicoli, le scalinate che si arrampicano lungo stradine tortuose, le piazzette, i portoni, le maioliche, sono tinti di tutte le sfumature del blu. E’ un vero incanto per gli occhi e per lo spirito. In città si respira un’atmosfera magica, quasi mistica, dove le coordinate di tempo e spazio sembrano eternamente sospese. Chefchaouen si trova nella regione di Tangeri-Tetouan-Al Hoceima, adagiata in una valle della catena montuosa del Rif. La abitano per la maggior parte berberi provenienti dalle montagne e un esiguo numero di arabi. Fondata dagli esiliati andalusi nel 1471, la “città blu” ha sempre convissuto con due religioni, quella musulmana e quella ebraica. Il centro storico, composto da un reticolo irregolare di vicoli nel tipico stile della Spagna del Sud, si sviluppa verso la cima di una montagna e culmina con la sorgente di Ras el-Ma; la cascata che la caratterizza è spettacolare. In quest’area, e più precisamente sulle sponde del fiume Ras Maa, sorse il primo insediamento di Chefchaouen.

 

 

La parte nuova della città si estende praticamente ai piedi di quella vecchia. Nel 2010, questo piccolo gioiello dai colori del cielo e del mare è stato dichiarato Patrimonio Unesco: un riconoscimento più che meritato, anche perchè Chefchaouen è sempre riuscita a preservare in modo esemplare sia il patrimonio architettonico che lo spirito cittadino. Considerata una città sacra, la “perla blu” si presentava come un’ oasi turchina in cui agli stranieri era proibito accedere; durante gli anni del Protettorato Spagnolo del Marocco, iniziato nel 1912 e terminato nel 1956, Chefchaouen fu letteralmente invasa da immigrati provenienti dall’ Andalusia: si trattava perlopiù di artigiani e commercianti in cerca di nuove opportunità. Quando il re Mohammed V annunciò l’ indipendenza del Marocco nel 1956, la comunità spagnola abbandonò progressivamente la città.  Il castigliano, tuttavia, è ancora una delle lingue più parlate nella “perla blu”.

 

 

Perdendo lo sguardo tra le viuzze turchesi di Chefchaouen, la prima domanda che viene da porsi è il perchè di quel colore imperante. A tal proposito esistono numerose leggende e due note teorie: una di esse riconduce alla comunità ebraica, l’altra a motivi di carattere funzionale. Nel 1471, quando la città fu fondata, erano molti gli andalusi di religione ebraica che contribuirono a edificarla. Si presuppone che stabilirono di tingerla di blu perchè l’ ebraismo identifica questa tonalità con il Paradiso, per cui la decisione fu motivata dall’ intento di innalzarsi a Dio. La seconda teoria associa la scelta del blu a un rimedio per allontanare le zanzare che pare infestassero Chefchaouen. Una terza teoria, seppure non ufficiale, attribuisce quell’ opzione a un’ altra ragione di ordine pratico: a differenza del bianco, il blu delle case impediva che il cocente sole del Marocco accendesse dei riflessi eccessivamente abbaglianti sulle case. A tutt’oggi, comunque, non esiste una risposta univoca alla domanda che Chefchaouen suscita di primo acchito. 

 

 

Cosa vedere a Chefchaouen? Ad esempio la Grande Moschea Al Aadam, contraddistinta da un minareto ottagonale, risalente al XV secolo e incorporata in un novero di otto moschee costruite sul pendio di una collina. La medina di Chefchaouen, ovvero la città vecchia, è vivacissima: un tripudio di bar, ristoranti, botteghe e negozietti artigianali dove acquistare le tradizionali djellaba in lana o le stoffe a righe rosse, bianche, nere e blu caratteristiche del Rif. Per ammirarne la lavorazione, non mancate la visita a un atelier di tessitura. Con queste stoffe si produce il mendil, realizzato con la lana filata e tinta manualmente: le donne sono solite sfoggiarlo sul capo o attorno alla vita. Le djellaba sono invece la “divisa” per eccellenza degli abitanti della “città blu”. Si tratta, come saprete, di lunghe tuniche munite di un cappuccio a punta. Piazza Houta el-Hammam, la piazza principale di Chefchaouen, è un’altra location imperdibile; pavimentata con pietre che riproducono il motivo della stella araba a sei punte, è incorniciata da una serie di gelsi e popolata da caffè e boutique. Al centro della piazza risalta una delle tipiche fontane di stampo moresco-andaluso. La Kasbah, affacciata direttamente su Houta el-Hammam, è una fortezza merlata del XV secolo. Al suo interno potrete visitare il Museo Etnografico, una vera e propria wunderkammer, mentre dalla torre è possibile godere di una suggestiva visuale della città. Nel Fondouk, un ex caravanserraglio, il cortile di ampie dimensioni è circondato da ben 50 sale occupate da mercanti e da svariati atelier artigianali. La sorgente di Ras-el Ma, di cui ho parlato a inizio articolo, è un must-see imprescindibile. E poi, last but not least, vi consiglio di lasciarvi ammaliare dalla lussureggiante natura dei monti del Rif: boschi di cedri, querce e abeti punteggiati dai colori vibranti dei fiori selvatici, cime svettanti che si alternano a vertiginose gole, i Parchi Nazionali di Talassemtane e Bouhachen ricchi di fauna protetta. Il Rif è celebre anche per la coltivazione di marijuana, legale solo in quest’area del Marocco. Esplorando le montagne, non è difficile imbattersi in fattorie dove gli agricoltori berberi sono soliti mostrare ai turisti il processo di lavorazione della cannabis. Naturalmente, vi invito ad evitare di buttarvi in imprese azzardose: perchè se la coltivazione della pianta è legale per i locali, tutto il resto NON lo è. Meglio godersi le innumerevoli sfumature di blu della magica Chefchaouen, “Chaouen” per gli autoctoni.

 

I sogni e il Buon Combattimento

 

” L’ uomo non può mai smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell’anima, come il cibo è quello del corpo. Molte volte, nel corso dell’esistenza, vediamo che i nostri sogni svaniscono e che i nostri desideri vengono frustrati, tuttavia è necessario continuare a sognare, altrimenti la nostra anima muore e Agape non può penetrarvi. Molto sangue è stato versato nel campo davanti ai tuoi occhi; lì sono state combattute alcune delle battaglie più crudeli della Riconquista. Non ha alcuna importanza chi avesse la ragione o chi possedesse la verità: l’importante è sapere che entrambe le parti stavano combattendo un Buon Combattimento. Il Buon Combattimento è quello che viene intrapreso perché il nostro cuore lo chiede. Nelle epoche eroiche, al tempo dei cavalieri erranti, era qualcosa di facile: c’erano molte terre da conquistare e molte cose da fare. Oggi, però, il mondo è profondamente cambiato, e il Buon Combattimento ha abbandonato i campi di battaglia per trasferirsi all’ interno di noi stessi. Il Buon Combattimento è quello che viene intrapreso in nome dei nostri sogni. Quando essi esplodono in noi con tutto il loro vigore – vale a dire, in gioventù – abbiamo molto coraggio, ma non sappiamo ancora batterci. Dopo tanti sforzi, finalmente impariamo a lottare, e a quel punto non abbiamo più lo stesso coraggio per combattere. A causa di ciò, ci rivoltiamo e combattiamo contro noi stessi, diventando il nostro peggior nemico. Diciamo che i nostri sogni erano infantili, difficili da realizzare, o frutto di una nostra ignoranza riguardo alle realtà della vita. Uccidiamo i nostri sogni perché abbiamo paura di combattere il Buon Combattimento. “

Paulo Coelho, da “Il cammino di Santiago”

L’aquilone

 

L’azzurro di certe giornate in cui il cielo ti fa venire voglia di diventare un aquilone.
(Ferzan Ozpetek)

Due sorelle (gemelle) immerse nella natura del grande Nord. Capelli biondo cenere, abiti bianchi per riflettere la luminosità del sole estivo, il verde rigoglioso tutto intorno. La voglia di giocare con la loro specularità fisica, di sperimentare sensazioni quasi mistiche nella quiete del bosco. E poi, all’ improvviso, un guizzo di giocosità: un aquilone azzurro come il cielo che le spinge a correre nei prati, a calpestare l’ erba a piedi nudi, per farlo librare in volo e vederlo danzare con il vento…supremo emblema di libertà senza limiti nè confini.

Vi auguro buon weekend con la nuova photostory di VALIUM.

 

Foto di Cottonbro via Pexels

Notte d’agosto lungo la via Emilia

 

” Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto all’altra, però non s’affatica nulla. Correre allora, la macchina va dove vuole, svolta su e giù dalla via Emilia incontro alle colline e alle montagne oppure verso i fiumi e le bonifiche e i canneti. Poi tra Reggio e Parma lasciare andare il tiramento di testa e provare a indovinare il numero dei bar, compresi quelli all’interno delle discoteche e dei dancing all’aperto ora che è agosto e hanno alzato persino le verande per godersi meglio le zanzare e il puzzo della campagna grassa e concimata. Lungo la via Emilia ne incontro le indicazioni luminose e intermittenti, i parcheggi ampi e infine le strutture di cemento e neon violacei e spot arancioni e grandifari allo iodio che si alzano dritti e oscillano avanti e indietro così che i coni di luce si intrecciano alti nel cielo e pare allora di stare a Broadway o nel Sunset Boulevard in una notte di quelle buone con dive magnati produttori e grandi miti. Ne immagino ventuno ma prima di entrare in Parma sono già trentatré, la scommessa va a puttane, pazienza, in fondo non importa granché. “

 

Pier Vittorio Tondelli, da “Camere separate”