Le Fave dei Morti, il tradizionale dolce marchigiano per i defunti: origini, storia, simbologia e ricette

 

In occasione delle ricorrenze di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti, celebrate rispettivamente l’1 e il 2 Novembre, in Italia si usa preparare i cosiddetti “dolci dei morti”. Si tratta di dolcetti tradizionali preparati con ingredienti semplici e frugali, spesso a base di mandorle, diffusi in tutte le regioni della penisola: possono essere dei biscotti, la cui forma rimanda di frequente alle ossa umane (le “Ossa dei Morti” sono popolarissime in Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia, nel senese e nelle Marche),  delle specifiche tipologie di pane e di panini (rintracciabili in Trentino, Maremma, Sicilia e Lombardia), dei prodotti di pasticceria a base di marzapane (per esempio le “Dita di Apostolo” e la “Frutta di Martorana” della tradizione calabrese e siciliana), oppure varianti del torrone come il tipico “Torrone dei Morti” napoletano. Voglio soffermarmi, però, su un dolce caratteristico della mia regione, le Marche, oltre che di regioni del centro Italia quali il Lazio, l’Umbria e l’ Emilia Romagna: le “Fave dei Morti”.

 

 

Sono dei biscotti dalla forma generalmente ovale o tondeggiante, simili agli amaretti ma solo nell’ aspetto. Il denominatore comune di tutte le versioni, che differiscono a seconda della zona di provenienza, sono le mandorle tra gli ingredienti principali. Ma perchè il nome “Fave dei Morti”, e come è nata questa tradizione? Pare che l’usanza abbia avuto origine dall’antichissima credenza secondo cui i defunti, tra l’1 e il 2 Novembre, tornassero nel mondo dei vivi. In quell’occasione, veniva organizzata per loro un’accoglienza all’insegna della dolcezza. Ogni famiglia, all’epoca, manteneva ben saldo il legame con i propri antenati e ne onorava il ricordo costantemente. I dolci preparati durante le festività dei Morti, dunque, venivano offerti a questi ultimi (oltre che a tutti i familiari) per celebrare il loro ritorno dall’ aldilà. Bisogna innanzitutto precisare che la ricetta delle “Fave dei Morti” non ha niente a che vedere con le fave: in tempi remotissimi, questo legume era considerato un tramite tra l’Ade, il regno dei morti, e il mondo tangibile.  La fava veniva associata all’ oltretomba in tutta l’area del Mediterraneo. Gli antichi Romani, ad esempio, erano soliti omaggiare con delle fave il dio dei Morti e le consideravano un emblema delle anime dei defunti. Secondo alcuni studiosi, la fava assunse questa valenza simbolica in virtù del suo fiore: i petali candidi esibiscono una macchia nera che fu paragonata alla T di “Thanatos”, dal greco θάνατος ovvero “Morte”; lo stelo, inoltre, è lineare e ha radici che si sviluppano in profondità nel terreno. Entrambi i dettagli vennero interpretati come l’indizio di un collegamento tra la fava e l’aldilà, poichè si pensava che l’Ade fosse collocato nelle viscere del suolo.

 

 

Per certi popoli, l’anima dei defunti si celava proprio all’ interno della fava, e calpestarne qualcuna in un campo rappresentava un autentico sacrilegio; mangiare fave, al contrario, significava stabilire una connessione con una persona passata a miglior vita. Erano molti i rituali che rinsaldavano il nesso tra le fave e il regno dei Morti. Si usava, ad esempio, offrirle in dono a un defunto depositandole sulla sua tomba. Queste pratiche, non di rado, erano impregnate di superstizione. Per far sì che i trapassati riposassero in pace, si cospargevano di fave i loro sepolcri. Lanciare fave dietro le proprie spalle recitando litanie propiziatorie aveva, invece, una funzione redentrice. Durante i banchetti funebri, le fave costituivano la pietanza principale: quelle cotte erano riservate ai benestanti, mentre i poveri dovevano accontentarsi delle fave crude. Con l’avvento del Cristianesimo, il legame che associava la fava all’Ade non venne mai meno. Tra il 900 e l’anno 1000, l’abate benedettino Odilone di Cluny promulgò una riforma atta a far coincidere la Commemorazione dei Defunti con il lasso di tempo compreso tra i vespri del 1 Novembre e l’eucarestia del giorno seguente. Per permettere ai monaci di pregare tutta la notte, l’abate lasciava loro un gran numero di fave con cui sfamarsi. In occasione delle solennità dei Morti, inoltre, i poveri potevano usufruire di ciotole di fave poste ad ogni angolo di strada. Con Odilone di Cluny questo legume divenne cibo di precetto, ma diversi secoli dopo fu sostituito dai golosi dolcetti battezzati “Fave dei Morti”. I biscotti a base di mandorle, con la loro forma tondeggiante, simboleggiavano alla perfezione il viaggio di sola andata che l’anima compie verso il sonno eterno. In Umbria, non a caso, le Fave dei Morti venivano vendute nelle bancarelle che il 2 Novembre si posizionavano proprio accanto ai cimiteri.

 

 

La preparazione delle Fave dei Morti è piuttosto semplice: gli ingredienti principali sono le mandorle (pelate) e lo zucchero bianco, a cui si aggiungono la farina, il burro, la scorza di limone, i tuorli d’uovo e la cannella in polvere. Per l’impasto esistono diverse versioni; una di queste prevede che le mandorle e lo zucchero vengano pestati a parte, insieme, per poi essere uniti agli altri ingredienti. Un’altra ricetta suggerisce di mescolare la farina, le mandorle tritate, lo zucchero e il burro tagliato a pezzetti aggiungendo subito dopo la scorza di limone grattugiata, la cannella e le uova sbattute. A questo punto si ottiene un impasto morbido che va suddiviso in palline da cuocere in forno, a 180 gradi, per un quarto d’ora. Se le versioni delle Fave dei Morti sono molteplici, comunque, il risultato è unico: una delizia garantita.

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Novembre

 

L’anno è prossimo alla fine. Ottobre è il suo cielo al tramonto, novembre il tardo crepuscolo.
(Henry David Thoreau)

 

Novembre è arrivato all’ improvviso, come una sferzata. Le temperature sono scese a picco, il cielo è diventato scuro, le gradazioni del grigio e del nero hanno sostituito i toni rosso-arancio del foliage ottobrino. Quando la notte di Halloween si stempera nell’alba, questione di pochi giorni e lo scenario cambia completamente. Gli alberi perdono a poco a poco tutte le loro foglie, i rami delineano arabeschi color pece sul plumbeo fondale del cielo. Il freddo avanza, il sole splende sempre più di rado, calano le prime nebbie. Il 2 Novembre, data dedicata alla solennità della Commemorazione dei Defunti, sembra permeare l’intero mese di quiete e di velata malinconia. Ma a ravvivare l’atmosfera arriva l’ “estate di San Martino” (per gli anglossassoni “Indian Summer”), che ci restituisce i paesaggi assolati e le temperature miti nelle giornate che precedono la festa del Santo: si degusta il vino novello, si arrostiscono castagne, si gode appieno della natura prima che si assopisca definitivamente. Questa pausa (con la speranza che non venga annullata dai cambiamenti climatici) è una sorta di residuo d’estate lungo il percorso che conduce all’ inverno. La convivialità poi tornerà a rivivere davanti a un caminetto acceso, nel tintinno dei calici di vino, nei profumi e nei sapori della frutta e della verdura novembrine (un esempio su tutti? Le arance e i mandarini, perfetti per questo periodo perchè ricchi di vitamina C). L’undicesimo mese dell’anno, che conta solamente 30 giorni, ha un nome derivante dal latino “November”, da “nove”, poichè il Calendario Romano iniziava a Marzo. Tra le ricorrenze principali annovera le solennità di Ognissanti (il 1 Novembre), la Commemorazione dei Defunti (il 2) e la Festa della Madonna della Medaglia Miracolosa (il 27). Per quanto riguarda le festività internazionali, le più note sono probabilmente il Thanksgiving Day, che negli Stati Uniti si celebra il quarto giovedì di Novembre, e il Black Friday, il venerdì che segue quella data. I segni zodiacali compresi nel mese di Novembre sono lo Scorpione e il Sagittario, il colore che lo contraddistingue è il viola, le pietre portafortuna il topazio e il citrino: la prima si declina in una vastissima gamma di cromie, la seconda esplora sfumature che spaziano dal giallo chiaro al ruggine.

 

 

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Have a Spooky Halloween

 

Ma ricordati sempre
che i mostri non muoiono.
Quello che muore
è la paura che t’incutono.
(Cesare Pavese)

 

Delle origini e della valenza di Halloween, o meglio di Samhain, abbiamo parlato molte volte. Chi volesse ripercorrere l’argomento, può cliccare qui. Quello che mi interessa approfondire, oggi che il conto alla rovescia è terminato, è l’aspetto orrorifico e macabro associato a questa ricorrenza. Perchè non lo si può negare: la “spooky season” ci affascina proprio in quanto tale. Halloween riscuote così tanto successo perchè è un appuntamento con il brivido, ed incitando alla paura provoca una scarica continua di adrenalina. Stanotte, celebreremo la vigilia di Ognissanti circondati da streghe, zombie, scheletri, serial killer di note saghe horror, fantasmi e mostri spaventosi. Guarderemo pellicole terrificanti, leggeremo libri che evocano atmosfere gotiche e storie angoscianti. Eppure tutto questo ci attrae, è come una calamita che ci irretisce in un potentissimo campo magnetico. A Halloween, come d’altronde avveniva a Samhain, si affronta il tema della morte, e lo si fa esaltando le sfumature più lugubri che ad essa si associano. Ci interfacciamo, quindi, con una delle nostre più grandi paure, con l’insondabile mistero dell’ignoto, con un vero e proprio tabù dell’epoca contemporanea. Ma in queste tenebre ci buttiamo a capofitto, perchè ci donano emozioni: la tensione che sperimentiamo ci stimola, ci elettrizza e, al tempo stesso, esorcizza le nostre fobie inconsce.

 

 

L’ironia e la giocosità che accompagnano la notte di Halloween e i suoi travestimenti spaventosi sono un buon antidoto alla paura. Camminiamo come funamboli sul filo del terrore, e anche se abbiamo i brividi a fior di pelle sappiamo di poter contare su una rete di sicurezza pronta ad accoglierci in qualsiasi momento. Da una parte, quindi, c’è la ricerca di emozioni forti, la stessa che ci spinge, ad esempio, ad affrontare interminabii maratone di film horror, dall’altra il riso che – come diceva Jorge da Burgos ne “Il nome della rosa” – “uccide la paura”. Stavolta, però, non c’entra il timor di Dio: il “dolcetto o scherzetto”, i costumi funerei ma talmente iperbolici da risultare buffi, il trucco spettrale ma sfoggiato in discoteca a suon di techno, diventano un divertimento e perdono la loro valenza macabra. La morte, insomma, entra nel nostro quotidiano spogliandosi di tutta la sua drammaticità; possiamo esorcizzarla dando corpo ai fantasmi e ai demoni che vivono dentro di noi, consapevoli che si tratta solo di un gioco.

 

 

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Halloween e le sue origini: le tradizioni irlandesi della notte di Samhain

 

Samhain (così si chiamava Halloween originariamente), per gli antichi Celti, coincideva con il Capodanno e l’inizio dell’ Inverno. Presso le popolazioni celtiche, infatti, l’anno si divideva in due parti: l’ Inverno, che cominciava con le celebrazioni dell’ultimo raccolto e la commemorazione dei defunti organizzate a Samhain, e l’Estate, che iniziava a Beltane (Calendimaggio), data in cui si inneggiava alla rinascita della natura e venivano praticati atavici rituali per propiziare la fertilità. I Celti d’Irlanda ritenevano che la notte di Samhain il presente e il futuro si sovrapponessero, diventassero una cosa sola. Quale occasione migliore, dunque, per dedicarsi alla divinazione? Le pratiche tradizionali, in tal senso, abbondavano: gli ambiti prediletti erano l’amore e la prosperità economica. In questo articolo vi presento alcune usanze rigorosamente irlandesi; va aggiunto che Samhain, nell’ Isola di Smeraldo, veniva celebrato con una Grande Festa del Fuoco che si teneva ad Athboy, non troppo lontano da Dublino.

 

Il rito del cavolo

Le giovani donne in età da marito potevano avvalersi di un rito che avrebbe dato loro informazioni sul futuro sposo. La notte di Samhain dovevano recarsi, bendate, in un campo di cavoli ed estrarne uno dal terreno: se le radici rimanevano intatte e trattenevano molta terra, l’uomo che avrebbero sposato sarebbe stato più che benestante. Come fare, però, per sapere se era anche di buon cuore? Semplice: bastava cucinare il cavolo all’irlandese. Se risultava aspro, l’uomo avrebbe potuto essere sgradevole caratterialmente, anziano, o comunque avere dei difetti rilevanti. Se invece il cavolo aveva un buon sapore, il futuro marito sarebbe stato una brava persona.

 

Il rito dell’ edera

Questa pratica riguardava la salute. Si usava mettere una foglia d’edera in una tazza d’acqua e la si lasciava lì tutta la notte. Se l’indomani la foglia non presentava alcuna variazione, la persona che aveva praticato il rito avrebbe goduto di una salute di ferro almeno fino all’anno successivo.

 

Il rito del falò

Sul falò, simbolo supremo della festa di Samhain, era anche incentrato uno dei più noti rituali amorosi. Come sarebbe stato il futuro sposo, o la futura sposa, della persona che praticava il rito? Il fuoco avrebbe dato una risposta. Bastava tagliarsi una ciocca di capelli e lanciarla tra le fiamme: l’anima gemella si sarebbe ben presto palesata in sogno.

 

Il rito della mela

Le mele e le nocciole erano molto importanti a Samhain, poichè venivano considerati frutti magici dalle proprietà divinatorie. Fino a qualche decennio fa, non a caso, erano utilizzate al posto delle caramelle durante la questua “Dolcetto o scherzetto” dei bambini. Tramite la mela, inoltre, si potevano ottenere informazioni riguardo (ancora una volta!) il futuro sposo: era necessario prenderne una e sbucciarne una parte in un sol colpo. Se la striscia di buccia rimaneva lunga e intatta, un incontro romantico era imminente. Poi, bisognava lanciarsi la buccia dietro alle spalle. Una volta caduta a terra, la sua forma avrebbe rivelato le iniziali dell’anima gemella.

 

Il rito della nocciola

Un altro modo per avere notizie sul carattere del futuro partner era quello che prevedeva l’ utilizzo delle nocciole. Bisognava sceglierne una, toglierle il guscio e testarne il gusto: se era amara, così sarebbe stato lo sposo (o la sposa) interiormente, se era dolce idem. Ulteriori riti riguardavano la felicità del matrimonio e la fedeltà amorosa. Una coppia di fidanzati doveva scegliere due nocciole, una per ciascuno. Le nocciole venivano posate sul focolare di pietra e tra loro si accendeva un fiammifero; a quel punto, la reazione dei due frutti era determinante: se si infiammavano e bruciavano immediadamente, il matrimonio sarebbe stato solo una “fiammata”. Se oscillavano e si distanziavano, bisognava andare con i piedi di piombo. Se le nocciole, invece, si avvicinavano l’una all’altra, il futuro riservava un matrimonio sereno. Per mettere alla prova le intenzioni dei loro pretendenti, le giovani donne eseguivano un altro rito: selezionavano un tot di nocciole e chiamavano ognuna con il nome di un corteggiatore, poi le posavano sulla graticola. La nocciola che con le fiamme del fuoco si sarebbe spaccata, o sarebbe saltata via, indicava uno spasimante truffaldino. Se invece bruciava in una fiammata, la passione nei confronti della giovane era assicurata.

 

Il rito per proteggersi dalle fate

Le fate sono creature che appartengono al patrimonio folkloristico tipicamente irlandese. Insieme ai folletti, a Samhain, le fate si davano un gran daffare per impossessarsi di un alto numero di anime.  Per proteggersi, gli umani dovevano lanciar loro della polvere da sotto i piedi: quando avveniva ciò, i due esponenti del piccolo popolo dovevano tassativamente lasciar libere tutte le anime che avevano rapito.

 

Altre usanze e tradizioni

Oltre a quelle citate, nel corso dei secoli in Irlanda sono entrate in vigore molte altre usanze, magari non specificamente di carattere divinatorio o difensivo nei confronti del “piccolo popolo”. Della tradizionale cena a base di Barmbrack e di Colcannon abbiamo già parlato (rileggi qui l’articolo); la zucca intagliata e illuminata da un lumino, detta “Jack O’Lantern”, era diffusissima; la questua dei bambini, anche: indossando costumi orrorifici che richiamavano quelli sfoggiati dai Druidi la notte di Samhain, i fanciulli bussavano di porta in porta e alternavano al classico “Trick or Treat” la frase “Help the Halloween Party”. Un’abitudine consolidata era quella di sedersi tutti insieme davanti al caminetto acceso e trascorrere la notte narrando racconti e leggende mentre le noci venivano arrostite sul fuoco. Molto comune, poi, era il gioco della “Snap Apple”: si appendeva una mela ad una corda, e il primo bambino che riusciva ad addentarla riceveva una ricompensa. Oppure, si mettevano delle mele in una bacinella piena d’acqua e i bambini dovevano morderne una, naturalmente senza aiutarsi con le mani. Veniva premiato chi per primo riusciva nell’impresa.

 

La voga delle “scary apples”

A proposito di mele: sapevate che, recentemente, in Irlanda la mela intagliata ha sostituito la tipica zucca? La voga delle “scary apples” sta impazzando anche sotto forma di dolci; non è difficile trovare torte di mele ammantate di glassa candida che riproduce figure fantasmatiche, o biscotti alle mele dall’aspetto orrido o “sanguinolento”.

 

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Un Halloween delizioso: 10 dolci e piatti tradizionali tra l’Irlanda e gli Stati Uniti

 

Abbiamo già parlato delle “torte dell’anima”, le torte tradizionali che in Irlanda e nel Regno Unito venivano donate ai questuanti in cambio di preghiere per i defunti (rileggi qui l’articolo). Ma quali altri dolci o cibi tipici sono soliti preparare gli anglosassoni per festeggiare la vigilia di Ognissanti? Ne prenderemo in esame alcuni spaziando dall’ Irlanda agli Stati Uniti: le lande celtiche dove è nato Samhain che nel XIX secolo, in America, è diventato Halloween grazie alla comunità irlandese emigrata nel paese a stelle e strisce.

 

La Pumpkin Pie

E’ la torta più famosa dell’ Autunno, protagonista principale (insieme al tacchino) sulla tavola del Thanksgiving Day americano. Ha un aspetto inconfondibile: è composta di pasta frolla e contiene un ripieno di crema di zucca aromatizzata con spezie quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata. La si farcisce con “riccioli” di panna montata che accentuano la sua golosità.

 

La Whoopie Pie

Ideata con molta probilità dalla comunità Amish, questa torta consta di un delizioso ripieno di crema di marshmallows, o crema al latte aromatizzata alla vaniglia, racchiuso tra due strati tondeggianti a base di cacao. Per il 31 Ottobre è gettonatissima in versione biscotto, ognuno preferibilmente riempito di crema all’arancia.

 

Le mele caramellate

VALIUM ne ha parlato già (rileggi qui l’articolo). Sono ghiotte sia per la vista che per il palato: rossissime e rivestite di un lucente strato di zucchero caramellato, possono essere decorate con un tripudio di confettini o zuccherini multicolor.

 

Le Candy Corn

Ricordano i semi del mais, un frutto tipicamente autunnale; in realtà sono chicchi di riso soffiato caramellati a cui viene data una forma conica. I colori di cui si tingono le Candy Corn sono caratteristici: bianco, arancione e giallo all’insegna di una solare giocosità.

 

La Bundt Cake

E’ un’altra specialità americana, nonostante il suo nome vanti un’origine germanica. Ha una forma a ciambella che la rende molto simile al ciambellone italiano; ne esistono varie versioni, ma per celebrare Halloween si predilige la variante al cacao ricoperta di squisita glassa al cioccolato.

 

La Divinity Candy

Sono dolcetti molto popolari nel Sud degli Stati Uniti. Somigliano a delle meringhe, oppure a dei torroncini, e tra i loro ingredienti risaltano lo zucchero bianco, l’estratto di vaniglia, gli albumi d’uovo sbattuti e lo sciroppo di mais. Per renderli ancora più deliziosi vengono guarniti con frutta secca e noci pecan, una varietà dal sapore particolarmente intenso diffusa in paesi come il Texas e la Louisiana. Oltre che ad Halloween, negli USA si gustano durante le feste natalizie.

Passiamo ora a quattro cibi tradizionali irlandesi.

Il Barmbrack

E’ il dolce di Halloween per eccellenza. Si tratta di un pane dolce (o di pagnotte) contenente uva passa e uva sultanina, ed è legato ad usanze antichissime: si dice che il bàirìn breac (questo il suo nome in irlandese) sia “chiaroveggente”. Al suo interno, infatti, si soleva inserire alcuni oggetti che avevano un significato ben preciso. Il pisello indicava che si sarebbe rimasti single fino alla fine dell’anno, il panno era foriero di povertà, la moneta di ricchezza e di un matrimonio imminente, e così via. Il medaglione con l’immagine della Madonna presagiva addirittura una vita consacrata a Dio. Oggi tutti quegli oggetti sono stati eliminati, ma ne rimane uno: l’anello, simbolo di un radioso futuro.

 

Il colcannon

Dal dolce passiamo al salato, ma sempre all’insegna della bontà. Il Colcannon è un piatto composto da latte, burro, patate e cavolo (in irlandese “càl”, da qui probabilmente il nome “colcannon”) riccio o cappuccio. A volte si aggiungono delle cipolle, erbe varie ed erba cipollina, per poi consumare il pasto con un “ensemble” di carne di maiale. Quando arriva Halloween, anche il Colcannon diventa “chiaroveggente”: al suo interno vengono inseriti un bastoncino, alcune monete, il lembo di uno straccio e un ditale. Come avveniva per il Barmbrack, lo straccio è l’emblema di un futuro di povertà; il bastoncino, invece, annuncia dei problemi nella vita di coppia.

 

I Boxty

Un’altra ricetta tipicamente irlandese: i Boxty sono frittelle di patate la cui origine risale alla grande carestia che flagellò l’isola di smeraldo durante la metà dell’800: anche le patate eccessivamente ricche di acqua dovevano essere utilizzate. I Boxty, non a caso, contengono un mix di patate bollite e crude a cui vengono aggiunti il lievito, la farina, il burro e il latte. Dopo averli uniti in un composto omogeneo, con esso si preparano delle frittelle lievemente dorate e insaporite con una cipolla tritata, erbe aromatiche o spezie e una buona dose di panna acida.

 

Il Champ

Simile al Colcannon, il Champ proviene dall’ Irlanda del Nord; più precisamente dall’ Ulster, dove è nato nelle case che costellano le verdi lande di campagna. I suoi ingredienti principali sono il purè di patate, lo scalogno tritato, il latte caldo, il burro, il sale e il pepe. Per donargli un pizzico di sapore in più, non è raro che si aggiunga una manciata di cipollotti. Nel Sud dell’ Irlanda viene spesso chiamato “Poundies”. La notte di Halloween, il Champ è associato a una magica tradizione: si usa offrirlo alle fate lasciandolo in un piatto (munito di cucchiaio) sotto a un biancospino.

 

Foto del Colcannon di TheCulinaryGeek from Chicago, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto del Champ di Glane23, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Il nero, il lato oscuro di Halloween

Lanvin

Un nero intenso, sinistro, che non lascia scampo: è l’altro colore del doppio volto di Halloween, il lato oscuro e più spettrale della festa. Si ispira al tema orrorifico evoluto dal culto dei defunti di Samhain, la notte in cui cadeva ogni barriera tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Halloween ha enfatizzato questo aspetto al punto tale da tramutarlo in un’ ode al macabro, la cui iconografia conosciamo bene. Teschi, scheletri, vampiri, mostri, pipistrelli e tutto ciò che è spaventoso, o rimanda all’ oltretomba, sono proliferati fino a diventare degli emblemi del 31 Ottobre al pari della zucca. Dopo l’arancio, dunque, tocca al nero: ecco a voi una serie di look intrisi di suggestioni gotiche e di oscura meraviglia.

 

Yohji Yamamoto

Shiatzy Chen

Chen Peng

Ann Demeulemeester

Moschino

Avellano

Valentim Quaresma

Enaut

Louise Lyngh Bjerregaard

Dawei

Annakiki

Anteprima

Carlos Gil

Luis Carvalho

Marco Rambaldi

Onitsuka Tiger

Off-White

Budapest Select

Del Core

Foto di ispirazione Halloween via Pexels e Unsplash

 

Il noce di Benevento: l’albero delle streghe tra leggenda, realtà e superstizione

 

Attorno al noce, l’albero che i Romani consacrarono a Giove (il nome botanico della pianta, Juglans regia, deriva da “Jovis glans”, in latino “la ghianda di Giove”), sono sorte innumerevoli leggende. Cominciamo col dire che, anticamente, alle noci si attribuivano delle portentose virtù curative: venivano considerate afrodisiache per la loro somiglianza con le gonadi dell’uomo, e benefiche per le emicranie in quanto la parte interna del frutto ricorda la forma di un cervello. L’albero della noce, tuttavia, nel corso dei secoli non si guadagnò lo stesso tipo di reputazione. Le sue radici contengono juglandina, una sostanza potentemente tossica che provoca il deperimento di tutte le specie vegetali sorte nelle vicinanze: ecco perchè il noce è una pianta così solitaria, raramente immersa nel fitto verde. Il Juglans regia, inoltre, veniva definito “maledetto” poichè con il suo legno era stata costruita la croce su cui venne crocifisso Gesù Cristo. La nomea negativa del noce era alla base di molte credenze, in particolare nell’ ambito della cultura agreste. Si pensava che addormentarsi sotto un noce avrebbe portato a soffrire delle forti emicranie, o che se le radici del noce si fossero sviluppate sotto una stalla avrebbero fatto soccombere il bestiame. Ma questa reputazione “maledetta” deriva soprattutto dal noce di Benevento e dalla sua associazione con le streghe, dal momento che si diceva che proprio ai piedi di quell’albero celebrassero il loro sabba.

 

Illustrazione tratta da “Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894” di Enrico Isernia, Benevento, Stabilimento Tipografico A. D’Alessandro e Figlio, 1895.

Le leggende riguardo al noce di Benevento presero vita in epoche remotissime, ma si consolidarono nel 1200. Prima di recarsi al sabba, le streghe si sfregavano il petto con un unguento e pronunciavano una formula magica; dopodichè, si libravano in volo a cavallo di una scopa. Grazie all’ unguento diventavano invisibili, puro spirito che fluttuava nel vento, tant’è che adoravano volare nella tempesta. L’ appuntamento era fissato per tutte sotto il noce di Benevento, dove si riuniva una moltitudine di streghe provenienti dalle località più disparate. Lì, durante il sabba, praticavano riti magici e blasfemi, danzavano, si lanciavano in orge sfrenate con i demoni e gli spiriti infernali…il tutto alla presenza del Demonio che sfoggiava le sembianze di un caprone. A Benevento le streghe venivano chiamate “janare”: prima della Seconda Guerra Mondiale, quando fu bombardato, esisteva un ponte dal quale si diceva che spiccassero il volo.

 

“Il grande caprone”, Francisco Goya (1795)

Una volta terminato il sabba, le streghe si dedicavano ai malefici e ad azioni terribili nei confronti degli abitanti del luogo. Si introducevano nelle case attraverso la fessura del portone, il che non era difficile data la loro consistenza incorporea, e infastidivano le famiglie addormentate: le sferzavano con una raffica di vento, oppure le opprimevano provocando un senso di soffocamento scaturito da una forte pressione sul petto. Ma non si limitavano certo a questo: le streghe erano in grado di far abortire le partorienti con un semplice incantesimo, storpiavano i neonati infliggendo loro un insopportabile dolore e a volte li rapivano per lanciarseli l’un l’altra sopra le fiamme del fuoco. Si diceva anche che, quando si intrufolavano nelle stalle, riempivano di trecce la criniera dei cavalli e che li riconsegnassero provatissimi dopo averli cavalcati per l’intera notte. Secondo antiche superstizioni, per tenere le streghe a distanza bisognava mettere una scopa e una ciotola di sale dietro la porta principale della propria casa: la strega non sarebbe potuta entrare senza aver contato, prima, tutte le setole della scopa e tutti i granelli di sale, ma a quel punto la luce del giorno l’avrebbe obbligata a fuggire.

 

“Départ pour le Sabbat”, cartolina di Albert Joseph Pénot (1910)

Ma dove si trovava, esattamente, il noce di Benevento? A dire di alcuni, nei paraggi del fiume Sabato (Sabatus in latino), da lì l’associazione con il sabba. Questa ubicazione fu detta Ripa delle Janare, però esistono molte altre ipotesi sulla collocazione dell’albero. Considero più importante sapere da dove ha preso vita la leggenda del noce delle streghe: nel VII secolo, Benevento era la città principale di un ducato longobardo, e il popolo germanico usava praticare dei raccapriccianti rituali pagani. All’epoca, sotto la reggenza del duca Romualdo I, i longobardi erano soliti onorare Odino con un rito piuttosto inquietante: il luogo in cui si svolgeva, guarda caso, si trovava proprio accanto al fiume Sabato. Dopo aver appeso la pelle di un caprone al ramo di un noce, i longobardi galoppavano sfrenatamente intorno all’albero tentando di strappare lembi della pelle con le loro lance. Poi, si cibavano dei brandelli come prevedeva il rituale. I cristiani di Benevento, sconvolti da quella pratica ai loro occhi barbara, cominciarono ad accostarla al sabba. Le urla dei guerrieri, la pelle di caprone, il trambusto provocato dal rito vennero associati, dai beneventani, a una riunione orgiastica organizzata dal Demonio e dalle streghe.

 

“Il noce di Benevento”, Giuseppe Pietro Bagetti (1816)

Barbato, un sacerdote di Benevento, espresse più volte la sua avversione per quella pratica pagana. Così, quando nel 663 la città fu assediata dai Bizantini, promise al duca Romualdo che gli invasori sarebbero arretrati grazie all’ intervento divino ma ad una condizione: il suo popolo avrebbe dovuto abbandonare il Paganesimo. Il duca acconsentì e, miracolosamente, i Bizantini batterono in ritirata. Secondo la leggenda, il duca Romualdo nominò Barbato vescovo di Benevento e quest’ ultimo corse subito a sradicare il famigerato noce. Nella località in cui sorgeva l’albero fece poi costruire una chiesa che chiamò Santa Maria in Voto. Nel Medioevo, tuttavia, a Benevento si ricominciò a parlare dei convegni delle janare. Due secoli dopo, queste voci vennero avvalorate da una donna accusata di stregoneria: secondo la sua testimonianza, le streghe erano solite riunirsi attorno a un noce. Lo scalpore suscitato dalla notizia fu immenso. Il Demonio aveva fatto sicuramente ricrescere l’albero che Barbato aveva abbattuto! Nel 1500, il ritrovamento di un mucchio di ossa sotto un noce riaccese i riflettori sulla vicenda. Tra le ipotesi sull’ origine della leggenda del noce di Benevento, quella relativa a Barbato (poi diventato Santo e Santo Patrono di Benevento) e ai riti dei Longobardi rimane, senza dubbio, la più accreditata. A tutt’oggi il mito del noce di Benevento continua ad affascinare, e le adunanze delle streghe hanno contribuito a creare un’aura magica su tutta la città campana e i suoi dintorni.

 

“El Alquelarre”, Leonardo Alenza y Nieto (1830-1845)

“La sorcière allant au Sabbat”, Luis Ricardo Falero (1880)

“Il Sabbath delle streghe”, Francisco Goya (1819-1823)

“La leçon avant le sabbat”, Louis-Maurice Boutet de Monvel (1880)

“Le Sabbat des sorcières”, Hans Baldung Grien (1508-1510)

 

Immagini

Foto di copertina di Моходу Хеу, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, da Wikimedia Commons

Dipinti, cartoline e incisioni Public Domain via Wikimedia Commons

 

L’arancio, il lato giocoso di Halloween

Philipp Plein

Il colore di Halloween? L’arancio. Oltre al nero gotico, naturalmente. Questo duo cromatico compone un connubio significativo: il primo è la zucca, il cielo al tramonto, il fumo dei comignoli che si confonde con i riflessi delle luci decorative. Il secondo è la cupezza, l’oscurità, il funereo. Eppure, insieme descrivono alla perfezione il doppio volto del 31 Ottobre: da un lato la giocosità, i costumi e il “Trick or Treat”, dall’ altro le tenebre, la paura e il rimando all’ oltretomba. Oggi omaggeremo l’aspetto gioioso della festa. Protagonista sarà la moda, nello specifico le collezioni Autunno Inverno 2023/24, dove l’arancio fa frequentemente la sua apparizione. E’ una tonalità vibrante, avvolgente, energetica, declinata in innumerevoli gradazioni. Avete già scelto la vostra?

 

Onitsuka Tiger

Domminico

Akris

Prabal Gurung

Luisa Spagnoli

Stine Goya

Off-White

Buzina

Rokh

Budapest Select

Nina Ricci

Lovely Apple

 

Foto di ispirazione Halloween via Pexels e Unsplash

 

Imperdibile: la Contessa Pinina Garavaglia e Dj Panda al Monsterland Halloween Festival di Ferrara

 

L’evento è quasi sold out, e non stupisce: dopotutto, Monsterland è l’Halloween Festival più grande d’Europa. Ma non solo. Questo straordinario mega party, organizzato ogni 31 Ottobre presso la Fiera di Ferrara, rappresenta una vera e propria full immersion nell’ atmosfera halloweeniana. Cominciamo con alcuni dati, essenziali per comprenderne la portata: spazi che ammontano a un totale di 25.000 metri quadri, ben sette stage indoor, un horror Luna Park ricco di giostre e attrazioni “spettrali”, food and beverage per tutti i gusti, un’area adibita alla creazione di make up a tema horror, altre dedicate allo zombie walk, alla magia e alla stregoneria…e non è finita qui. Il Monsterland Halloween Festival ospita artisti assolutamente di primo piano, sia nazionali che internazionali. Qualche nome? Nina Kraviz, Marracash, Gué, Sfera Ebbasta, Ben Klock, Marco Carola, Adiel, Padre Guilherme (sì, proprio lui, il prete che ha svegliato a suon di techno i giovani presenti alla 37esima Giornata Mondiale della Gioventù)…per citarne solo alcuni. Lo spettacolo – organizzato da Unconventional Events & Madam Butterfly con il patrocinio del Comune di Ferrara e Radio 105 come media partner ufficiale – andrà avanti dalla sera fino all’ alba, con inizio alle 18 e termine alle 6 del mattino: si preannuncia una Halloween night da brividi, costellata di inebrianti emozioni. Anche perchè sotto il “cielo” notturno del Festival, squarciato da un tripudio multicolor di raggi laser, si scatenerà un parterre che sfoggia i look più incredibili, costumi e make up  declinati in tutte le gradazioni del lugubre, del mostruoso e del funereo…La maschera, come avrete già intuito, è tassativa! Ma il Monsterland Halloween Festival, quest’ anno, si arricchirà di una nuova, strabiliante presenza. I lettori di VALIUM la conoscono bene: sto parlando della Contessa Pinina Garavaglia, che insieme a Dj Panda si esibirà in una location del tutto speciale. Nello stage Air Baloon, situato all’ ingresso del Festival, la Contessa e Dj Panda daranno vita a una performance che, con la sua magia, accoglierà divinamente gli avventori. Con Panda alla consolle su un vascello e Pinina Garavaglia accomodata su un trono, l’effetto scenico è garantito di per sè. I versi declamati dalla Contessa e il sound travolgente di Dj Panda costituiranno gli incantesimi perfetti per addentrarsi nella Monsterland Halloween Night: non è difficile immaginare la suggestività, il pathos, l’incanto di cui l’esibizione del duo sarà impregnata. Partecipare alla festa, dunque, significa anche contare su un’accoglienza a dir poco mozzafiato. “Fatata”, come direbbe la Contessa, o meglio, “stregata”, riadattando il termine per l’occasione; sicuramente unica, in linea con l’unicità del ruolo di poetessa e performer che riveste Pinina Garavaglia.

 

 

La tentazione di approfondire questa fantastica news era troppo grande, così ho deciso di saperne di più. Ho contattato la Contessa Pinina Garavaglia e Dj Panda per avere una panoramica ad ampio spettro sia sull’evento al Monsterland che sul loro rapporto con Halloween. Ed è con la Contessa che ha inizio la mia conversazione.

Come sarà strutturata la vostra performance al Monsterland Halloween Festival?

Noi saremo proprio all’ ingresso, open air, quindi avremo una funzione molto importante: per tutti i partecipanti, la festa inizierà con noi che li accoglieremo! La nostra performance sarà fluida, di ispirazione teatrale. Musicalmente trionferà la trance elettronica con i miei versi in simbiosi. Esibirci in quegli spazi è fondamentale, qualsiasi altra location sarebbe stata forse inadatta data la mia particolarità: non canto, non faccio la vocalist; io sono una poetessa che declama i suoi versi in simbiosi con la musica.

Che cosa rappresenta Halloween per te?

Per me la festa di Halloween è una grande Vanitas. Più che al Capodanno Celtico la associo alle famose Vanitas seicentesche, a quel genere, a quello stile. O comunque alle danze macabre, alla Totentanz di Franz Liszt…C’è tutta una tradizione in merito a cui io guardo non in modo lugubre, bensì come a una rappresentazione barocca del tempo, del tempo che passa ma che alla fine riserva sempre uno spazio futuro ed eterno di danza. Detesto lo splatter, preferisco le atmosfere gotiche delle storie di fantasmi e le fiabe che spaventano, e tuttavia hanno una funzione pedagogica perchè finiscono sempre bene. Lo spavento, ad Halloween, ha una propria ragion d’essere: l’idea della paura è positiva, dal momento che parliamo di una celebrazione dai significati profondi. Atteniamoci però alla bellezza di una festa, di un raduno di amici anche un po’ grottesco, teatrale…che non deve assolutamente scadere nel trash!

Potresti darci qualche anticipazione sul look che intendi sfoggiare? Soltanto un accenno, per non spoilerare!

Certo: il mio sarà un look di Vanitas gotica.

Non rovinare la sorpresa è d’obbligo, in effetti! Ho posto le stesse domande a Dj Panda, ed ecco cosa mi ha raccontato.

Che cosa rappresenta Halloween per te?

Per come la vivo io, Halloween è una bellissima scusa per far festa! Tutto quello che serve per far festa, in Italia è sempre ben accetto. Per i ragazzi di 20 anni probabilmente è diverso, il 31 Ottobre lo celebrano fin da bambini perchè sono nati nel periodo in cui iniziavamo ad importare questa festa. Quando io avevo la loro età, in Italia Halloween non esisteva ancora…Perlomeno, non ho ricordi in tal senso.

Potresti darci qualche anticipazione sul look che intendi sfoggiare?

Sicuramente vestirò in total black, con un accessorio che al momento non ho ancora definito. Potrebbe essere un cappello, o forse un mantello. Io sono fatto così: quando mi alzo, mi guardo allo specchio; capisco chi sono, ricordo come mi chiamo e in quel momento decido cosa mi metto. Molto probabilmente approfitterò dei truccatori nel backstage per farmi fare un make up ad hoc!

 

Foto di copertina courtesy of Unconventional

 

Countdown to Halloween: inizia la maratona di VALIUM

 

“Il vento si appollaiava tra gli alberi, poi spazzava i marciapiedi con gli artigli sottili di un gatto. Tom Skelton rabbrividì. Tutti sapevano che il vento, quella sera, era un vento insolito; anche l’oscurità era insolita perchè era Halloween, la vigilia di Ognissanti. Tutto pareva tagliato in un morbido velluto nero, dorato, arancione. Il fumo si arricciolava fuori da mille camini, come i pennacchi di un corteo funebre. Dalle cucine esalava il profumo delle zucche; quelle svuotate della polpa e quelle che cuocevano dentro il forno. Il chiasso dietro le porte chiuse delle case crebbe in maniera impossibile, mentre ombre di ragazzi si stagliavano dalle finestre. Ragazzi semisvestiti, con la faccia truccata; qua un gobbo, là un piccolo gigante. Si frugava nelle soffitte, si forzavano chiavistelli, si buttavano all’aria vecchi bauli alla ricerca dei costumi. Tom Skelton si mascherò da scheletro. Sghignazzò soddisfatto ammirando la colonna vertebrale, le costole, le rotule che spiccavano candide sulla stoffa nera. Che fortuna il mio nome! pensava. Tom Skelton. Fantastico per Halloween! Tutti ti chamano Scheletro per canzonarti! Quindi come mi travesto? Da scheletro. “

Ray Bradbury, da “L’albero di Halloween”

 

Questo brano, tratto dal romanzo “L’albero di Halloween” di Ray Bradbury, inaugura la maratona che VALIUM dedica ogni anno alla vigilia di Ognissanti. Ci aspetta una settimana (o poco più) all’ insegna di un countdown perfettamente in linea con il 31 Ottobre e i suoi temi: eventi, moda, food, tradizioni, lifestyle, leggende e molto, molto altro ancora. Il tutto, va da sé, in salsa rigorosamente halloweeniana. Omaggeremo Samhain, l’antico Capodanno Celtico, che i mutamenti socio-epocali hanno tramutato in Halloween, la festa più attesa dell’ Autunno – una stagione, peraltro, ribattezzata “spooky season” dagli americani proprio in virtù dell’influenza che Halloween esercita su questo periodo dell’anno. Nelle città a stelle e strisce, zucche intagliate e decorazioni in stile horror stazionano davanti alle case già da inizio Ottobre. Noi dedicheremo a Samhain solo otto giorni, ma sono più che sufficienti per immergerci appieno nella sua atmosfera. Stay tuned e…segui il sentiero di mattoni arancioni!