” L’ unico motivo per cui faccio moda è fare a pezzi la parola ‘conformismo’.”
(Vivienne Westwood, 1941 – 2022)
Foto: Mattia Passeri, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
Il blog di Silvia Ragni
” Non ti auguro un dono qualsiasi, | ti auguro soltanto quello che i più non hanno. | Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; | se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa. | Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, | non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. | Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre, | ma tempo per essere contento. | Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, | ti auguro tempo perché te ne resti: | tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio. | Ti auguro tempo per guardare le stelle | e tempo per crescere, per maturare. | Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare. | Non ha più senso rimandare. | Ti auguro tempo per trovare te stesso, | per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. | Ti auguro tempo anche per perdonare. | Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.”
Elli Michler, “Ti auguro tempo”
“Festeggiate i finali dell’ anno, perchè precedono i nuovi inizi.”
(Jonathan Lockwood Huie)
Buon 31 Dicembre! Oggi il 2022 finisce e il 2023 arriverà proprio stanotte, a mezzanotte in punto, tra fuochi d’artificio, brindisi, balli sfrenati e champagne a fiumi. Ci piace pensare che ogni 1 Gennaio sia foriero di novità, di cambiamenti, di una gioia e una serenità che si sostituiscano alle magagne dell’ anno vecchio. Ma anche se le situazioni difficilmente mutano solo perchè ci attendono 365 giorni nuovi di zecca, la speranza è una buona cosa: predispone al pensiero positivo, alla positività degli atteggiamenti. E pensare positivo, si sa, attira la fortuna. A proposito di fortuna: non è un caso che a Capodanno i riti propiziatori si moltiplichino, che le usanze beneaugurali spadroneggino in tutti i paesi del mondo. Ho scelto di approfondirne cinque, rigorosamente made in Italy, per capire meglio come nascono e in che modo si propongono di calamitare la buona sorte.
1. I botti
La notte di Capodanno è costellata dall’esplosione di una miriade di petardi, i cosiddetti “botti”, e di fuochi d’artificio. Questa tradizione si affermò a partire dal XVII secolo, quando venne introdotta a scopo celebrativo in occasione di particolari eventi o ricorrenze. Il rumore assordante e improvviso, il “botto” appunto, è alla base dell’ usanza: da un lato, favorisce l’espulsione dell’ anno vecchio e delle sue brutture, dall’ altro spaventa i demoni e gli spiriti maligni costringendoli a fuggire a gambe levate. Oggi, a prevalere è senz’altro l’aspetto scenografico; i fuochi d’artificio sono degli autentici capolavori pirotecnici, uno spettacolare tripudio di colori e luminosità.
2. Baciarsi sotto il vischio
Pianta sacra dei Druidi, il vischio aveva il potere di curare ogni malattia ed era un simbolo di fertilità e rigenerazione. I Celti lo utilizzavano come parafulmine e lo consideravano un elemento di interconnessione con il Cielo. Secondo la mitologia norrena, le bacche di vischio furono originate dalle lacrime che la dea Freya versò per la morte del figlio Balder, e proprio le stesse bacche lo riportarono in vita. La leggenda vuole che Freya protegga gli innamorati che si baciano sotto il vischio, pianta emblema di amore e di fecondità. La tradizione, per chi si ama, è di buon auspicio: rafforza il sentimento e lo preserva dalle insidie esterne.
3. Far ardere una candela
Questa bella tradizione mi ricorda vagamente quella del “Ceppo di Yule” (rileggi qui l’articolo): la candela viene accesa un po’ prima che scocchi la mezzanotte e, mentre si consuma, ci accompagna nel passaggio dall’ anno vecchio all’ anno nuovo. Il fuoco simbolizza la purificazione, la trasformazione, la rinascita, ma anche il colore della candela assume una valenza particolare. Sceglietela bianca oppure rossa se volete che sia di buon auspicio per l’ amore e per gli affetti in generale, verde se privilegiate il benessere economico.
4. Le lenticchie
Pensare a una cena di Capodanno senza lenticchie o melagrana è pressochè impossibile. Entrambe propiziano la prosperità: sono il cibo del 31 Dicembre per antonomasia, gustosissimo oltre che beneaugurale. Le lenticchie, così come i chicchi della melagrana, hanno una forma tondeggiante che rievoca quella delle monete, mentre la carne di maiale che accompagna i legumi di Capodanno, dalla consistenza piuttosto grassa, simboleggia l’ abbondanza. I semi rossi della melagrana, dal canto loro, attirano sì la ricchezza, ma anche la fertilità. E, last but not least, sono un emblema di lunga vita.
5. Disfarsi dei vecchi oggetti
Buttare via il vecchio per fare spazio al nuovo: è il significato, in sintesi, di questa tradizione. Soprattutto nell’ Italia meridionale, si usa lanciare i piatti dalla finestra a mezzanotte; i loro cocci in frantumi allontanerebbero la mala sorte. In genere, comunque, dalla finestra o dal balcone si getta qualsiasi tipo di oggetto datato, rotto o inutilizzato, che sia di grandi o di piccole dimensioni. L’usanza permane prevalentemente nei piccoli centri, per cui occhio: il lancio di certe suppellettili potrebbe rivelarsi persino più pericoloso dello scoppio dei petardi!
Nel periodo natalizio, i canditi sono gettonatissimi: arricchiscono innumerevoli dolci, su tutti il panettone (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), di un tocco di golosità irresistibile. Ma che cos’è esattamente la frutta candita, e quali benefici apporta? Lo scopriremo in questa nuova puntata de “La colazione di oggi”. La frutta candita è, innanzitutto, frutta che viene disidratata e conservata grazie allo zucchero. Per prepararla si utilizzano gli agrumi (cedro e arancia); lo zucchero favorisce l’ espulsione dell’acqua e si fa strada all’ interno del frutto, solidificandolo e rendendolo estremamente dolce. I procedimenti per ottenere la frutta candita, tuttavia, sono molteplici e differiscono l’ uno dall’ altro. Le variazioni riguardano soprattutto la canditura industriale e quella artigianale, due lavorazioni agli antipodi: la prima si avvale di un buon numero di additivi, aromi e conservanti chimici, per cui ci focalizzeremo solo sulla seconda, ovvero i canditi preparati artigianalmente. Il processo della canditura si perde nella notte dei tempi. L’obiettivo prioritario era quello di preservare la freschezza degli alimenti. Gli antichi Romani ed altri popoli solevano conservare i cibi sotto miele o servendosi dello sciroppo di palma. Oggi, la lavorazione ha luogo nelle pasticcerie artigianali: il mastro pasticcere esamina accuratamente la frutta a sua disposizione, la taglia a cubetti e la riveste di uno speciale sciroppo ricco di zucchero che ha preparato personalmente.
Va detto, comunque, che i procedimenti utilizzati per la canditura sono perlopiù mantenuti top secret. Ogni mastro pasticcere ha elaborato il proprio. Per far sì che la frutta cristallizzi velocemente, ad esempio, alcuni si servono del miele d’acacia, altri aggiungono qualche goccia di limone. Di base, gli ingredienti della frutta candita sono la frutta stessa, una buona dose di zucchero, del miele di acacia o, in alternativa, un po’ di succo di limone. Tutti componenti genuini, insomma, e ricchi di proprietà nutrizionali. Ma quali sono, virtù salutari a parte, i punti di forza dei canditi artigianali? Innanzitutto, il sapore caratteristico: intenso, profumatissimo. Degustarli è una vera e propria esperienza sensoriale, evocativa ed emozionale a un tempo.
Approfondiamo ora i benefici dei canditi a livello nutrizionale. Cominciamo col dire che abbondano di Vitamina A e Vitamina C, ma anche di fibre, acqua, minerali come il potassio e polifenoli, dei potenti antiossidanti. Il fruttosio non è presente in quantità troppo elevate, ma le alte dosi di zuccheri solubili rendono i canditi off-limits per chi ha dei problemi di linea, chi soffre di diabete o ha un eccesso di trigliceridi nel sangue.
A colazione, i canditi risultano perfetti perchè donano energia e tramutano in delizia qualsiasi alimento. Se li amate, le feste natalizie sono il periodo ideale per assaporarli appieno. I dolci che li contengono sono innumerevoli: iniziare con il panettone (che li affianca alle uvette) è d’obbligo, per poi procedere con l’ Angelica di Natale, il Christmas Cake, il Christmas Fruitcake (un caratteristico plumcake inglese), la Treccia di Natale, il tedesco Christstollen e, passando alle tipicità regionali italiane, il Pandolce ligure, il Panforte toscano, lo Zelten del Trentino, i Cannoli e i Buccellati siciliani…mi fermo qui per motivi di spazio, ma la lista è pressochè infinita.
Il Christstollen
Concludo con qualche cenno storico sulla canditura, un termine che deriva dall’ arabo “qandat” probabilmente evoluto dal sanscrito “khandakah”. La conservazione degli alimenti sotto miele o nello sciroppo di palma era diffusa nell’ antica Roma, in Mesopotamia e nel territorio cinese; furono gli Arabi a portarla a livelli di eccellenza, propagando il suo utilizzo in Europa grazie ai rapporti mercantili con Venezia e poi con Genova. Nell’ Italia del Sud la canditura fu divulgata, invece, all’ epoca del dominio islamico sulla Sicilia, che durò per circa 250 anni: dall’ 827 al 1091.
” E così il pastore vide che l’uomo non aveva nemmeno una capanna: la donna e il bambino erano in una grotta, dove non c’era nient’altro che le nude e freddi pareti di roccia. Pensò che quel povero bambino innocente poteva morire congelato in quella grotta e, per quanto fosse un uomo duro, si commosse e gli venne voglia di aiutarlo. Si sciolse il sacco dalla spalla, tirò fuori una morbida e candida pelle di pecora e la diede al forestiero perchè ci facesse dormire dentro il bambino. Ma proprio nel momento in cui mostrò che anche lui poteva provare compassione, vide ciò che non aveva potuto vedere e sentì quel che non aveva potuto sentire prima. Vide che intorno a lui c’era un fitto cerchio di piccoli angeli dalle ali d’argento. Ognuno teneva in mano uno strumento a corda e tutti cantavano a voce spiegata che quella notte era nato il salvatore, che avrebbe redento il mondo dalle sue colpe. Allora capì che tutte le cose erano così felici quella notte che non volevano fare alcun male. E non era solo intorno a lui che c’erano angeli, li vide ovunque: seduti sulla grotta e sulla montagna e in volo sotto il cielo. Arrivavano a frotte e, passando, si fermavano a gettare un’ occhiata al bambino. C’era un tale giubilo, e gioia e canti e giochi, e tutto questo il pastore lo vide nella notte buia, dove prima non poteva distinguere nulla. Ed era così felice che i suoi occhi si fossero aperti che cadde in ginocchio e ringraziò Dio. “
Selma Lagerlof, da “La notte di Natale”
Quand’ero bambino, erano la luce dell’albero di Natale, la musica della messa di mezzanotte, la dolcezza dei sorrisi a far risplendere il regalo di Natale che ricevevo.
(Antoine de Saint-Exupéry)
Sera di Vigilia: la magia natalizia raggiunge il suo culmine. I centri storici delle città si svuotano, i negozi chiudono prima. Nelle piazze e nelle vie solo pochi irriducibili, una manciata di turisti, non conformi che detestano il cenone di Natale. I bagliori delle luminarie risplendono su strade che si fanno più silenziose di ora in ora. Ci si ritrova nelle case, in famiglia, tra parenti, per festeggiare l’ anniversario della nascita di Gesù Bambino, “luce che squarcia il buio” come lo ha definito Papa Francesco. Sono istanti suggestivi, impregnati d’incanto, persino nello scenario urbano quasi completamente inanimato: perchè la “luce che squarcia il buio” illumina ogni cosa, e brilla anche per chi è solo.
Buona Vigilia di Natale con la nuova photostory di VALIUM.
Il Principe a un party natalizio di Enzo Miccio (a sinistra) insieme alla Contessa Pinina Garavaglia
Anche quest’ anno, la rubrica “Sulle tracce del Principe Maurice” lascia spazio a uno Speciale Natale dedicato al Principe. Maurice racconta come trascorrerà la festa della Natività e rivolge un messaggio di Auguri ai lettori di VALIUM: è uno dei post più attesi dell’ anno, un regalo che l’ Icona della Notte ci fa in occasione delle Feste. Quando lo contatto, è impegnatissimo nei preparativi per una serata super esclusiva: un party natalizio a casa di Enzo Miccio, il celebre wedding designer, conduttore TV e paladino del buon gusto. Quattro chiacchiere al telefono, però, le facciamo ugualmente, perchè è assolutamente intenzionato a rispettare la “tradizione” degli auguri natalizi che porta avanti su questo blog. Siete curiosi di sapere cosa ci dirà stavolta, a conclusione di un anno segnato sì dalla ripresa, ma anche difficile sotto molteplici punti di vista? Lascio subito la parola al Principe, così potrete scoprirlo!
L’ albero di Natale di Piazza San Marco, a Venezia
” Trascorrerò il mio Natale in famiglia, però quest’ anno mi sono lasciato convincere con piacere ad esibirmi in un Christmas Event dell’ Insomnia, a Pontedera, la sera del 25 Dicembre. Quando Antonio Velasquez mi ha chiamato ci ho pensato un po’ su, ma poi gli ho detto di sì: in fondo, anche il pubblico è una mia famiglia! L’ augurio che vorrei fare ai lettori è quello di passare il Natale in serenità, in pace, in allegria, sperando che con l’anno nuovo tutti i problemi che ancora assillano l’umanità ci diano tregua permettendoci di vivere come più desideriamo. Sogno un 2023 senza inquietudini, sciagure o intoppi di sorta. Sarà molto difficile, ma spero tanto che si possa trovare una soluzione definitiva al Covid, ai problemi di salute in generale e soprattutto alla guerra, che è ormai diventata qualcosa di insostenibile. Anche se potrebbe sembrare un po’ retorico, il mio è un augurio di serenità e di prosperità per quanto possibile: la voglia di fare, di lavorare c’è, la voglia di divertirsi idem, quindi penso che l’Italia se lo meriti sia a livello economico che umano. L’ importante, comunque, è sentirsi in pace con se stessi e non dei frustrati; questo è un concetto che ribadirò anche attraverso il microfono dell’ Insomnia. Cosa penso della ripresa post-Covid? Vorrei che diventasse sempre più concreta e condivisibile da tutte le categorie. Vorrei che tutti potessero effettivamente star meglio, che si sentissero più tranquilli. Sono tanti i problemi da risolvere, però confido che ci riusciremo. E poi vorrei che la gente si approcciasse al Natale, che è una festa così tenera e bella, con un senso di speranza e, ripeto, con molta pace interiore. Almeno nel giorno che tradizionalmente si condivide con la famiglia e con gli amici più cari. Vi consiglio di trascorrere il Natale circondati dagli affetti familiari, ma di trovare anche del tempo per lo svago. Io passerò la vigilia e il Natale in Brianza con mia nipote, la sera di Natale all’ Insomnia e Santo Stefano con tutta la mia famiglia, che si riunisce a pranzo ogni 26 Dicembre. Lo spazio che dedico ai miei cari è fondamentale, per questo inizialmente ero restio ad accettare l’ invito di Antonio Velasquez.
Poi, invece, mi sono detto che sarebbe stato bello condividere il Natale con tutti coloro che vogliono trascorrerlo con un’ altra famiglia, quella della tribù della notte. L’ anno scorso, come vi ricorderete, non c’è stata questa possibilità: il Memorabilia natalizio del Cocoricò è saltato all’ ultimo minuto a causa del boom dei contagi. In tutta sincerità posso dirvi che, per me, il termine “famiglia” abbraccia un significato molto ampio. Io considero i miei fan, le persone che mi dimostrano affetto e stima anche quando le incontro dopo tanti anni, una sorta di famiglia allargata. Per cui, in sostanza, il mio sarà un Natale trascorso interamente in famiglia! “
La sera di Natale, tutti a Pontedera per l’Insomnia Christmas Event!
L’altro volto del Natale del Principe: quello del calore familiare, dei momenti intimi trascorsi davanti al caminetto
Il presepe tradizionale a casa di Lorella, la sorella di Maurice
Un suggestivo buffet di dolci natalizi al party di Enzo Miccio
Roma: lo sfolgorante albero di Natale di fronte al Monumento Nazionale a Vittorio Emanuele II immortalato dal Principe
L’ “Angelo della Pace” che ha concluso l’inaugurazione della Fashion Week di Baku, capitale dell’ Azerbaigian (per saperne di più, non perdetevi la prossima puntata di “Sulle tracce del Principe Maurice”): un bellissimo messaggio di speranza
Altri due alberi di Natale, altre due sfaccettature del Natale di Maurice: l’abete addobbato a casa della nipote Gloria, ovvero il 25 Dicembre degli affetti familiari, e (sotto) l’ albero iper luxury di Cartier nella hall del Four Seasons di Baku, ovvero il Natale dell’ entertainment e della mondanità
Photo courtesy of Maurizio Agosti
” Solstizio d’inverno.
Sembra che il mondo voglia dare le spalle alla luce.
I colori nascondono il loro volto.
La terra coltiva l’ombra
come se fosse l’unica cosa che cresce.”
(Fabrizio Caramagna)
21 Dicembre, Solstizio d’Inverno: è il giorno più corto dell’ anno. Le ore di buio trionfano, fagocitando quelle di luce. Il Sole, giunto al punto di declinazione minima nel suo moto apparente lungo l’eclittica, sembra arrestarsi (non è un caso che il termine “Solstizio”, in latino “Solstitium”, derivi da “sol”, sole, e “sistere”, ovvero fermarsi). L’atmosfera è sospesa, la natura e il cosmo partecipano silenziosamente a questo importante momento di transizione. Perchè quando l’oscurità raggiungerà il suo apice, la luce ricomincerà ad avanzare a poco a poco. E il Sole rinascerà, si rinnoverà, tornerà a regnare sulla notte. Nell’ era pre-cristiana, i popoli germanici battezzarono “Yule” il giorno del Solstizio: “Hjòl” designava, in norreno, la ruota dell’ anno, che si trova nel suo punto più basso quando l’ Inverno entra ufficialmente. “Hjòl” si tramutò poi nel norreno Jòl e nel tedesco Jul. Tuttora è possibile rinvenire questi termini nelle lingue scandinave, dove indicano sia il Solstizio d’Inverno che il Natale: “Jul” in svedese e danese, “Jol” in norvegese, “Joulu” in finlandese (con il significato, però, esclusivamente di “Natale”).
In un’ epoca in cui la sopravvivenza era legata a doppio filo ai cicli della natura, è facile intuire l’importanza che rivestiva Yule. La resurrezione della luce era un evento ricco di magia, di rituali associati a una simbologia antichissima. Per approfondire questi aspetti, vi rimando all’ articolo “Yule” che ho pubblicato su VALIUM l’anno scorso (rileggilo qui). Oggi ci concentreremo invece su un particolarissimo cerimoniale associato al Solstizio, il Ceppo di Yule o Yule Log.
I popoli nordici dell’ età pre-cristiana solevano celebrare il Solstizio d’Inverno con un grosso tronco beneaugurale. La notte più lunga dell’ anno il ceppo si adornava di nastri, bacche e ramoscelli d’edera, poi veniva benedetto e fatto ardere per i dodici giorni dei festeggiamenti solstiziali. Secondo la tradizione, il fuoco precedente doveva essere spento dal capofamiglia e per riaccenderlo si doveva utilizzare un tizzone del tronco bruciato durante il Solstizio dell’ anno prima. Questo rituale aveva una potente valenza emblematica: il fuoco e il suo calore simboleggiavano la nuova luce, l’ardore del Sole che quella notte rinasceva e sarebbe tornato a splendere progressivamente. Ma il fuoco era anche una metafora della vita stessa. Nelle gelide lande del Nord Europa, i focolari erano sempre accesi; il caminetto riscaldava e risultava essenziale per il nutrimento, dal momento che il fuoco si utilizzava per cucinare. Il Ceppo di Yule, dunque, era un emblema di buon auspicio associato alla luce, alla rinascita della natura, alla prosperità: i fondamenti della sopravvivenza.
Quando il Cristianesimo sostituì le celebrazioni natalizie a quelle solstiziali, lo Yule Log divenne una costante della vigilia di Natale. Le prime testimonianze relative a questa tradizione risalgono alla Germania del XII secolo: un documento del 1184 cita un ceppo di Natale che, acceso la notte di vigilia, veniva fatto bruciare fino all’ Epifania. Alla ricerca del legno adatto si dedicavano giornate intere. I tronchi dovevano essere di albero secco, idonei alla combustione, e non essere stati eletti a tana da qualche animale. In Scozia, gli antichi Celti erano soliti scolpire una figura femminile nel ceppo: raffigurava la Cailleach Nollag, una dea dell’ Inverno, il cui aspetto sinistro veniva stemperato dalle fiamme. Era un emblema della ciclicità della natura; dopo la notte del Solstizio, ogni ora di luce in più equivaleva a un passo verso la Primavera. Con l’avvento del Cristianesimo, la valenza simbolica dello Yule Log mutò completamente: il ceppo aveva la funzione di scaldare Gesù Bambino, mentre il fuoco incarnava l’emblema della Redenzione.
Dalla Germania, la tradizione dello Yule Log si diffuse in Gran Bretagna, nella penisola scandinava, in tutta la zona alpina, in Spagna, nei paesi dei Balcani e, last but not least, in regioni italiane quali la Lombardia e la Toscana. Successivamente, l’usanza sbarcò persino negli Stati Uniti. Il cerimoniale era simile ovunque: la vigilia di Natale, il ceppo veniva decorato (bacche, pigne, aghi di pino, vischio e piante rampicanti erano gli elementi più usati) e bruciato nel camino con una solenne cerimonia beneaugurale. Lo Yule Log si lasciava ardere per dodici notti di fila, fino all’ Epifania, e i suoi rimasugli, considerati magici, venivano conservati con cura. Ad essi si attribuivano benefici per la fecondità femminile, il raccolto, gli animali da allevamento, il benessere fisico, ed era d’uso utilizzarli per accendere il ceppo del Natale successivo. Ogni paese ha donato la propria impronta a questo rituale. Anche la pianta scelta per il ceppo variava da nazione a nazione: in Gran Bretagna, dove l’ usanza dello Yule Log venne adottata massicciamente, si preferivano la quercia, il pino, la betulla; i serbi optavano per la quercia, mentre i francesi puntavano sugli alberi da frutto.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la tradizione del Ceppo di Natale scomparve pressochè totalmente. L’ avvento delle stufe e il minor numero di camini presenti nelle case dell’ epoca fece sì che l’usanza, a poco a poco, si perdesse. Lo Yule Log, tuttavia, continua a esistere sotto un’altra forma: il tronchetto di Natale, uno dei dolci più golosi delle feste. Si tratta di un tronchetto di Pan di Spagna ricoperto di cioccolato e farcito con svariate creme. L’ aspetto è quello di un ceppo ornato di molteplici decorazioni: provate a prepararlo in casa per un Solstizio all’ insegna del gusto. Oppure, ripristinate la tradizione dello Yule Log. Procuratevi un ceppo su cui praticherete dei fori per inserirvi alcune candele. I colori di queste ultime potranno essere tipicamente natalizi, come ad esempio il rosso, il verde, l’oro. Decorate il ceppo con piante, fiori e bacche stagionali. Le candele andranno fatte bruciare durante la notte di Yule: è una variante contemporanea del Ceppo di Natale, ma risulta sempre di grand’effetto.
Foto del Ceppo di Yule con candele di Jeremy Fulton via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0
I tetti, le strade e le piazze abbagliano con il loro candore: la neve continua a scendere, impregnando lo scenario – fiabesco già di per sè – di un’ incantevole magia natalizia. I pub e i ristoranti sono affollati a qualsiasi ora, è sempre il momento ideale per sorseggiare un bicchiere di vin brulé o sorbire una cioccolata in tazza. Luci scintillanti, luminarie e candele decorano il reticolo di viuzze del centro storico medievale. Inoltrandosi nei vicoletti lastricati di ciottoli, dove si alternano bar, caffè e negozi di ogni genere, si può raggiungere la piazza dell’ Antico Municipio: lì, uno straordinario mercatino natalizio (nel 2019 è stato eletto il più bello d’Europa) ricrea le suggestive atmosfere dell’ “età di mezzo”. I venditori indossano costumi che risalgono a quell’ epoca e le bancarelle, numerosissime, sfoggiano una mercanzia che esalta il fascino dell’artigianato tipico. Al centro della piazza svetta un imponente albero di Natale, sontuoso nello sfavillio di luci da cui viene impreziosito. Ci troviamo a Tallinn, la capitale dell’ Estonia: non è un caso che la sua Città Vecchia Medievale, nel 1997, sia stata proclamata Patrimonio dell’ Umanità Unesco. La più antica capitale del Nord Europa si affaccia sul Mar Baltico ed è situata circa 80 km a Sud di Helsinki. La particolare posizione geografica dell’ Estonia, confinante a Est con la Russia, a Sud con la Lettonia e a Nord con il Golfo di Finlandia, fa di Tallinn un crocevia di culture. Il centro storico conserva le sue antiche vestigia medievali, ma nell’area moderna della città emergono tracce risalenti alla Russia Imperiale e all’ ex Unione Sovietica. Sulla zona del porto, prevalentemente ristrutturata, aleggia invece un mood più che mai contemporaneo.
E’ superfluo dire che, a Natale, il fulcro della città sia il centro storico. Addentrarsi nelle sue viuzze equivale a immergersi a capofitto nelle atmosfere del XV secolo: Tallinn conserva la Città Vecchia con estrema cura, l’aria del Medioevo si respira ovunque. Lo stile degli edifici, l’ interno dei ristoranti e dei negozi…tutto mantiene un’ impronta d’altri tempi. Quest’ anno, il periodo natalizio è stato inaugurato il 25 Novembre e si concluderà l’8 Gennaio del 2023. In Estonia, infatti, il 7 Gennaio si festeggia il Natale Ortodosso. Il “Tallinna Jouluturg”, ovvero il mercatino di Natale, ha luogo in Raekoja Plats, la piazza dell’ Antico Municipio. In questa splendida location quattrocentesca, miriadi di bancarelle espongono una mercanzia che spazia dai dolci all’ artigianato tipico passando per i souvenir locali: biscotti al pan di zenzero, maglioni variopinti e guanti lavorati ai ferri, tessuti realizzati manualmente, candele, oggetti in legno, gioielli impreziositi dall’ ambra del mar Baltico (anche detta “oro del Baltico”)…Non mancano prodotti che deliziano il palato come i crauti, l’Aspic (una gelatina di carne), i sanguinacci, le ostriche e il caviale nero. E’ possibile annaffiare il tutto con una tazza di vin brulè, bevanda-icona del mercatino. Imperdibile una visita alla casa di Babbo Natale, affiancata da una buca delle lettere dove grandi e piccini inviano la propria “wishlist” di regali al vecchio dalla barba bianca.
Una giostra soddisfa la voglia di divertimento dei più piccoli, mentre un palco gigantesco viene riservato ai concerti, agli spettacoli e alle esibizioni di artisti estoni o internazionali. Quest’ anno, però, si è preferito rinunciare agli eventi “on stage” privilegiando la Città Vecchia e i suoi angoli d’incanto: il centro storico è un museo a cielo aperto che offre l’ opportunità di vivere un’esperienza multisensoriale. Vista, udito, gusto e olfatto si fondono tra loro per regalare emozioni irripetibili. La suggestività delle viuzze, la prelibatezza della cucina tradizionale, i sentori di cannella e pan di zenzero che si insinuano nell’aria, le esibizioni degli artisti di strada…Tutto contribuisce a rendere indimenticabile il Natale 2022 di Tallin. Sempre nella Città Vecchia, in via Vene, è possibile ammirare una mostra di presepi che si snoda lungo l’ intera strada. Sono realizzati dagli autori più disparati: adulti, giovanissimi, scolaresche (per fare solo qualche esempio), e vengono esposti sulle finestre che fiancheggiano la via. Se invece desiderate vedere il presepe più grande allestito in città, potrete trovarlo nel cortile della Cattedrale di Pietro e Paolo.
Ma la città di Tallinn vanta anche un’altra particolarità: è la patria dell’ albero di Natale. Il primo albero di Natale, secondo una leggenda, fu realizzato a Tallinn nel 1441. Pare che quell’ anno un abete altissimo venne posizionato al centro di Raekoja Plats. La tradizione voleva che i single danzassero tra loro attorno all’ albero al fine di trovare l’anima gemella. L’usanza prevedeva anche che, successivamente, all’ albero venisse dato fuoco. Da allora, gli abeti cominciarono ad essere addobbati ogni Natale con un tripudio di lucine e di candele. Tallinn fece della tradizione dell’ albero un’ eccellenza del suo Natale. L’ allestimento del grande abete in Raekoja Plats divenne una vera e propria cerimonia, la cui importanza si accrebbe di anno in anno. Nel 1771, l’ Imperatore di Russia Pietro Il Grande in persona partecipò al rito di posizionamento dell’ albero di Natale. Come potremmo descrivere, oggi, l’albero di Natale più celebre di Tallinn?
C’è innanzitutto da dire che diversi alberi di Natale adornano le vie e le piazze di questa magica città. L’ albero principale, naturalmente, è quello allestito in Raekoja Plats: un abete alto ben quindici metri, maestoso, arricchito da miriadi di luci e decorazioni. Il colore dominante è l’oro, declinato in oltre 300 sfere di svariate dimensioni e festoni luminosi che raggiungono, in totale, i 3,7 chilometri di lunghezza. L’ albero di Natale della piazza dell’ Antico Municipio è collocato proprio al centro del mercatino natalizio e lo sovrasta in tutto il suo splendore.
Cosa vedere a Tallinn, oltre al suo tradizionale mercatino? Rimanendo entro i confini della Città Vecchia, nominata (come vi ho già detto) Patrimonio dell’ Umanità Unesco, visitare il Municipio è tassativo. Risalente al XIII secolo, edificato in stile gotico, è sormontato da una torre seicentesca di ben 64 metri d’altezza. L’ Antico Municipio si affaccia su Raekoja Plats; nei suoi spazi vengono organizzati concerti, mostre ed eventi di ogni tipo. All’altro lato della piazza, la Rarapteek merita un approfondimento: inaugurata nel 1422 e tuttora in attività, è la farmacia comunale più antica d’Europa. Via Vene, la strada dei presepi, può essere considerata un autentico capolavoro architettonico. Costruita nel Medioevo dai mercanti originari della Russia, è sede del Museo Civico di Tallinn. Da non perdere il “passaggio di Santa Caterina”, un suggestivo percorso pedonale medievale in pietra e ciottoli. La cinta muraria della Città Vecchia è senza dubbio un must-see. Le fortificazioni si snodano per oltre 2 chilometri e sono intervallate da numerose torri: è possibile visitare quelle di Numma, Sauna e Kuldaja. La Hellemann Tower, invece, ospita una galleria d’arte; da questa torre è anche possibile godere di una spettacolare veduta panoramica di Tallinn.
Foto di copertina by Sergei Zjuganov in Visit Estonia via Flickr, CC BY-NC-SA 2.0
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