Tra musica, ironia e scrittura in versi: incontro con Gasoldo, il poeta del rap

 

Nome: Leopoldo Ulivieri, alias Gasoldo. Segni particolari: un’ ironia travolgente e una dialettica che non conosce eguali. Professione: rapper, scrittore, poeta underground, artista specializzato nel catturare frammenti di stelle per tramutarle in versi. Passioni: scrittura e musica. Non c’è da stupirsi che la genialità di Leopoldo mi abbia immediatamente intrigato e che abbia voluto saperne di più su di lui. Magnetico, eclettico, esplosivo, quando parla è come un fiume in piena. A Milano lavora negli headquarter del designer Neil Barrett, ma nel frattempo porta avanti le passioni che gli bruciano dentro sin da quando era bambino. La musica, appunto (racconta di esser stato partorito “sul cubo di una discoteca”), ma soprattutto la scrittura, in particolare quella in versi, che per lui è diventata la chiave d’accesso ai magici reading show dell’ Infusione (serate che coniugano poesia ritmica visuale e delirio logico) ideati dalla Contessa Pinina Garavaglia. Il suo incontro con il rap ha fatto sì che l’ arte di scrivere e l’arte dei suoni si fondessero in modo ideale: i brani di Gasoldo sono uno sfavillante mix di musica e poesia (sia metropolitana che dell’ anima) imbevuto di ironia potente, un dettaglio da non trascurare. Perchè nelle sue lyrics Gasoldo racconta se stesso, o meglio, esprime una visione del mondo del tutto personale. Non senza toccare problematiche universali, naturalmente: è in grado di rappare su un fenomeno come quello delle sette religiose e, subito dopo, di affrontare il tema dell’ addio amoroso con una profondità incomparabile. Evita accuratamente di nascondersi dietro l’ oggettività; ci rende, al contrario, partecipi del suo punto di vista. E al tempo stesso prende le distanze da stereotipi e da leitmotiv ricorrenti nella new wave del rap, sempre fedele all’ intento di affermare la propria identità e il proprio credo. Ho incontrato Gasoldo in occasione di una ghiottissima news, l’ imminente uscita del suo nuovo singolo “Io & te per sempre”. Arricchito da un featuring con Erica Mengod e prodotto da Andrea Bonato aka Bitinjuice, con il quale Ulivieri ha fondato la TempiINversi Records, il brano vedrà la luce il 12 Novembre. Ci siamo quasi, insomma! Mentre inizio il countdown, vi invito a leggere questa intervista fiume dove è proprio il poliedrico rapper ad introdurvi nel suo straordinario universo. Preparatevi a farvi ammaliare da un flow irresistibile, da un turbinìo inarrestabile di parole a cui manca solo un sottofondo musicale…

 

La cover di “Io & te per sempre” (feat. Erica Mengod), il nuovo singolo di Gasoldo. Artwork by Charmante Folie

 

Leopoldo, potresti presentarti ai nostri lettori? Raccontaci chi sei e qual è il tuo background.

Dovrei scrivere un romanzo, le risate come le trascriverai? Sarò sincero e spontaneo come sempre. La spontaneità è un po’ un difetto di fabbrica, nel senso che poi spesso le persone non riescono a capire quando sei serio o quando scherzi. Anche se qua non si scherza, eh! È una sottile linea, ma in fondo è divertente anche così. Non mi piace sintetizzare una domanda così importante. Vai a spiegare che nasco poeta underground e fraintendono: il destino con la destinazione, la destinazione con la meta. Il viaggio con l’iperbole e via discorrendo. E qui si aprono capitoli su capitoli…Sono come un gatto che corre nei vicoli di notte fra mille pericoli. Eccomi di nuovo a cavallo del tempo che fugge galoppa distrugge come un leone in gabbia che fa? Rugge. Ecco, vedete, è interessante osservare che il termine “rugge” venga sottolineato come errore dal correttore automatico. Incredibile ma vero, direi. È un po’ come la musica che si sente adesso. Orribile e artefatta, non trovate? Manca proprio di poesia, di sentimento. È fredda. Falsa. Finta. Si sente che è fatta solo per un tipo di business da avvoltoi. Cara Silvia, la tua domanda è troppo complessa anche per uno come me, poi qui siamo in tre…e giro al largo lontano da ingorghi attraverso borghi e sobborghi, e  divago tra i sentimenti come il Dott. Zivago, sono scrittore poeta son rapper son quello che sono, così come sono, verso i miei versi in un verso, declamo reclamo proclamo sono un dolce frastuono nell’universo. Mia fantasia finché lei c’è veglia su me stasera sei mia stellare poesia andiamo partiamo prendiamo ogni cosa che sia veramente importante in totale? Niente lasciamo la gente di sempre in tempesta in balia tra la nebbia la noia la rabbia mai vista in questa con questa per questo sei mia solare poesia tu rendi chiara di luce la via nel sentiero vola un pensiero e se scrivo ci credo poeta sicuro vola il pensiero più duro e maturo e capisco e siluro e contagio la via nel tempo prezioso prezioso che sia preziosa follia i fogli miei sparsi in corsia dove la musica regna sulla pazzia. Niente, dai: passo direttamente alla seconda domanda senza passare dal via! E così sia. (ride fragorosamente, ndr)

 

Un’ immagine epica: Leopoldo (a sette mesi) come Gesù Bambino, circondato dai suoi fratelli, in una foto destinata ad un biglietto di auguri natalizio per i parenti e gli amici di famiglia. Lo scatto è di Silvio Nobili, noto fotografo di moda che realizzò anche la copertina dell’ album “Amore e non amore” di Lucio Battisti

Ma tu, quando eri piccolo, che cosa avresti voluto fare da grande?

Lo scrittore, anche se giocavo molto bene a pallone. Poi ho conosciuto il rumore di una traversa che probabilmente è ancora lì che trema. Ho conosciuto il sapore della delusione e della sconfitta, ho conosciuto me stesso, il rap e le donne. Da lì è cambiato tutto. Ho capito che per conquistare una ragazza non c’è per forza bisogno della bellezza fisica, anche se quella aiuta, dei soldi, dei classici stereotipi del calciatore con le veline. Bastava usare un po’ di fantasia e molta poesia. Infatti ad una delle mie prime fidanzate scrivevo ogni sera un sonetto, un testo, un pensiero…infatti…mi ha mollato. La poesia non piace. È scomoda. Quasi mette in imbarazzo. Come il rap, insomma. Anche se io non ho mai mollato né la scrittura né la musica, anzi. Ho raddoppiato. Ho insistito, ho continuato. Quando si va a fondo, o risali o stai li. È carattere sapere reagire. Nella sofferenza scrivere mi ha sempre aiutato. Nelle situazioni peggiori della mia vita riuscire a scrivere mi ha dato la forza per andare avanti e provare a superare determinate situazioni, spesso molto difficili. Scrivevo al buio, sui muri del baratro. Una sorta di preghiera, quasi. Un dialogo continuo, un grido insistente. In rima, poi, è una ricetta perfetta. Devi per forza di cose usare la materia grigia. Credo, pensandoci, che già da piccolino utilizzassi la scrittura come terapia. C’è chi si rilassa con la grappa…e chi scrivere testi e li rappa poi stappa…

Poi hai incontrato il rap, ed è stato subito colpo di fulmine. Ma ancora prima, appunto, la scrittura…

Per me è un piacere scrivere, per me è un dovere scrivere. Devo tanto alla scrittura e lei non mi deve nulla anche se adesso mi sta ripagando. Scrivere per vivere e viceversa, scrissi tanto tempo fa e la storia non è cambiata granché senonché adesso scrivo direttamente sulla musica, cosa che prima non facevo. Le parole scritte, secondo me, se messe giù bene sono già abbastanza musicali, come avrete provato ad assaporare con la prima domanda, ma se non le accompagni con un beat potente è tutto vano. Prima cercavo di adattare quello che avevo scritto su una base, poi conoscendo il mio produttore (Andrea Bonato aka Bitinjuice) è cambiato tutto. Una mente geniale al servizio della musica. Un vero professionista del suono. L’Ennio Morricone della musica elettronica. Eclettico al punto giusto. Schivo coi social. Estremamente concreto. Pragmatico. Pratico. Oltre alla fantasia ci vogliono delle regole, ci vogliono delle strutture logiche che, a volte,  riesco a rispettare…adesso scrivo direttamente sul brano e tutto prende forma in maniera diversa, più armonica, più concreta. Il cerchio si chiude. Ed ogni giorno una dedica non succede tutto subito. Se non hai un produttore forte che crede in te e nel progetto o che lo fa di mestiere, puoi essere anche Mandrake ma non ti muovi. Sei fermo. Non viaggi. Vai a tentoni, boccheggi. Insegui miraggi.

 

Gasoldo nel video di 7 (Sette)

Torniamo al rap: come è scoccata la scintilla e quando hai deciso di dedicarti a questo genere musicale?

Il rap è una conseguenza naturale dello scrivere, è la sua evoluzione naturale se si ha una certa attitudine verso quell’universo. Ti deve piacere e lo devi vivere in tutte le sue sfaccettature. La bellezza e l’adrenalina prima di esibirsi davanti a un pubblico. È un modo unico ed estremamente moderno per imprigionare dei concetti che se no resterebbero intrappolati sulla carta e dimenticati (per chi scrive ancora sulla carta, o persi in una bozza su un computer) e farli emergere con la musica e lì inciderli, scolpirli in maniera tale che riescano ad arrivare diretti al padiglione auricolare e da lì far scattare delle emozioni nell’ascoltatore. Incidere delle parole nel vero senso della parola. Scalfirle insieme in un connubio assolutamente unico, all’unisono, inseparabili e quasi irripetibili. Mi piace dare il giusto peso alle parole. Il rap è un’arma fantastica per esprimere dei sentimenti forti e potenti in rima prevalentemente. Ma è anche saper sperimentare.  Bisogna saperlo fare. O sbattersi molto per imparare e avere la costanza di insistere. Un po’ come con tutte le cose, direi. Anche perché una canzone, bella o brutta che sia, rimane unica. I pensieri scritti rimangono anche loro, è vero, ma è forse più difficile al giorno d’oggi farli emergere e farli arrivare a un pubblico più vasto. I libri se non si consumano, anche quelli vanno al macero. Non mi piace proprio il concetto di musica usa e getta. Eppure molti sanno farla benissimo. Beati loro. Quando ho deciso esattamente? La storia è lunga. Provo a farla breve. E’ andata così. Alberghiero indirizzo cucina, giorno dei più classici di occupazione. Bighellonavo tra le classi con i miei amici scapestrati, entriamo in una di queste e sento un ragazzo che fa freestyle, si diverte molto e fa divertire. È molto bravo, genuino rappa, ma al tempo stesso canta. Però c’è un velato malessere, c’è qualcosa che gli sta esplodendo dentro. Ci sono gli stessi sentimenti contrastanti che ho nella mia testa. Credo. Riesce a buttare fuori tutto e a intrattenere, incredibile, sputa veleno ma lo fa col sorriso di uno che ha già vinto e perso tutto. C’è rabbia, rancore, poesia, c’è l’ubriachezza della vita, c’è il disagio di sentirsi il più forte di tutti ma di non riuscire a dimostrarlo. C’è l’allenamento la dedizione c’è la passione. Quello sono io? Io che scrivevo già da una vita e di veleno ne avevo accumulato parecchio. Come sempre. Troppe falsità in una società così meschina. Troppe tavolate imbandite di bugie. Io e la mia esistenzialitá turbolenta. Io e tutti i miei scritti. Le mie paure. I miei sogni. Le speranze. I miei sfoghi da ragazzo che ha già vissuto sulla pelle il disagio esistenziale. Poi sono tornato a casa la sera, e quella notte mi è apparso in sogno mio nonno Gastone che da un’astronave aliena vestito col frac usava il bastone come mic ed il jack nella radio rappava il suo jazz. Da lì sì ho capito tutto. Esistono gli alieni. E ballano pure. Quindi posso esistere anche io come rapper. In fondo alla folla, Gas, Gasoldo non ti molla!  Avevo visto per la prima volta il volto di mio nonno Gastone. Era lui veramente? Cominciai a cercarlo ma questa è un’altra storia…

 

http://https://www.youtube.com/watch?v=4Tr4X1jn00o&t=5s

Il video di 7 (Sette)

Il rap in America è nato dalla strada, come espressione del malessere e come strumento per convogliare l’attenzione su svariate problematiche sociali. Poi è mutato con l’evolversi dei tempi. In molti tuoi brani, tuttavia, noto uno spirito di denuncia (immancabilmente velato di ironia) ricorrente…

Il rap deve essere denuncia. Il rap deve essere satira – intelligente – il rap deve essere poesia ritmica, provocazione acuta. Il rap non solo è capace di “descrivere” qualcosa che non va, ma deve riuscire a dare anche delle soluzioni. Non è solo autoaffermazione o farti capire che razza di inferno sto vivendo. Il rap può arrivare e quando arriva può veramente fare male, far pensare, far cambiare le cose. Il rap dovrebbe unire, non dividere; è uno strumento potentissimo. Ironia massiccia, irriverenza continua, provocazione ma non volgarità. Anche leggerezza, certo, ma odio le volgarità ed i soprusi e la piega che si è presa da anni da noi. Trovo inconcepibile come siamo potuti arrivare allo scempio di oggi, dove per esempio una forma di gentilezza viene scambiata per debolezza e l’arroganza dell’ignoranza si riempie la bocca di luoghi comuni e di saccenza da quattro soldi. La spocchiosità la fa da padrona. I famosi San Tutto Loro, i santi detentori di verità assolute. Degli sfigati. Non parliamo poi del rispetto o di sensibilità…vade retro! Roba che ti denunciano! Lasciamo perdere i vari stereotipi che si sono venuti a creare ma ad oggi per esempio i gentleman sono spariti dalla circolazione. Ma non solo i gentleman. Le buone maniere. Depennate. Annientate. Morte sepolte. Sembra che sia stato cancellato dimenticato nascosto sotto al tappeto un certo tipo di rap. I buoni intenti, la sommossa rivoluzionaria per il bene del prossimo… Sparito tutto. Proprio la base dell’educazione, ma anche senza quella almeno un briciolo di sensibilità ripeto, tipo aprire una porta, far sedere una donna incinta, robe così capito? Siamo al troglodismo puro, totale, barbaro, becero. Così sembra. Così ti fanno vedere. Così vedi. Così vendono. Così telebevi ed è tutto ok!  Bisognerebbe insegnare ed avere dei buoni maestri. Anche se certe cose di base dovrebbero essere scontate, in una società avanzata. Ci vorrebbe una nuova buona onda, una nuova ondata di vero hip hop, soprattutto negli intenti e nelle intenzioni. Anche se poi sappiamo benissimo che fine fanno tutte le ideologie una volta che incontrano il potere e quando questo incontra il denaro. Ormai ciò che è stato è stato, chi ha avuto avuto chi ha dato ha dato. Ma non scordiamoci il passato. E coltiviamo il nostro giardino. Che sia il momento giusto per un nuovo ordine mondiale del rap italiano ? E così nella musica. Effetto domino. Non sono un fanatico, ma il pensiero diffuso prepotente e volgare nei confronti delle donne – altro esempio a cui tengo – è un tema che supera anche la provocazione. Robe arroganti. Non divertenti. Penose. Robe da voltastomaco. Pensieri copiati ed importati ovviamente, ma fatti oramai assolutamente nostri. Uno schifo. Lo senti proprio nei termini che vengono usati. Nei testi. Nelle convinzioni, nell’odio che serpeggia e che senti strisciare. Sembra che siano dei frustrati repressi. Repressi da cosa? Non si sa, forse dalla stessa musica che ascoltano, che è altamente deprimente direi. A me provoca effetti collaterali che vanno dall’orticaria all’effetto tortura Guantanamo. In pillole caramelle Falqui. Passiamo avanti che se no poi mi innervosisco. È un flusso continuo. Il mio lo stesso disco. Allora centomila volte un disco techno. Poi ti svegli un giorno e scopri che è tutto finto. Tutto fake. E il mondo per cui hai lottato e gli ideali che hai inseguito sono una bufala. Quindi anche l’hip hop italiano si è dovuto piegare ad un certo sistema d’importazione, la macchina del business è oliata alla perfezione.

 

Leopoldo/Gasoldo con il pittore e poeta Davide Romanò, autore del dipinto che compare nel video di “Notturno con dedica” (lo trovate qui di seguito)

Come nasce, per te, l’ispirazione?

L’ispirazione nasce da e per le persone che mi stanno accanto, prima di tutto. Fare tesoro delle esperienze. Come si dice, un risultato negativo é pur sempre un risultato. Mandare giù qualche boccone amaro sapendo che la punta della penna scorrerà vertiginosamente sul foglio. Poi invece ho due modi classici, diciamo, di ispirazione; c’è quella irrefrenabile che ti balena in testa e devi subito scrivere e mollare qualsiasi cosa stai facendo e quella invece un po’ più “forzata” in cui decido di mettermi lì concentrato a scrivere. E mi metto sotto torchio per farlo. Da cosa nasce cosa. L’importante è iniziare a farlo, ci sono delle volte che non puoi fermarla e i concetti o le rime che siano vanno subito scritti ed impressi su qualsiasi cosa che sia a portata di mano. In qualsiasi luogo. L’ispirazione nasce anche da tutte le mie lamentele descritte prima, una volta che inizio a scrivere io entro in un’altra dimensione, la quarta e la quinta, viaggio in 3D sfiorando gli 8K e possono passare ore, giorni tipo ai confini della realtà, avete presente? Sindrome di Stendhal. Vedo. Sento. Empatizzo. Ma non sintetizzo. Mi sintonizzo su onde gamma incontrollabili. Arriveranno da dove? Nel buio la luce e viceversa. Nel buio maestoso. Non potrei mai e poi mai dormire con le tapparelle abbassate sai?

 

Leopoldo (il primo a sinistra) con i poeti dell’ Infusione. Al centro, la Contessa Pinina Garavaglia

Cosa pensi della scena rap italiana?

Che scena? Ah, perché in Italia esiste ancora una scena? Faccio fatica a stare dietro alle mie robe, figuriamoci a quelle degli altri. Però sono uno che si sbatte anche per gli altri. Poi sicuramente e magari sbagliando, ho cercato di ascoltare il meno possibile. Soprattutto per non inquinarmi le orecchie e tutto l’apparato uditivo. Io più che una scena vedo dei singoli che (giustamente) tirano il rap al proprio mulino. O l’acqua o il vino. La scena è oscena fatta di trash e di gossip. La scena fa pena e un po’ sono in pena farei una novena mentre la folla si scatena chissà se cambia qualcosa o mi parte la vena? Vogliamo roba stilosa! Scusa! Cosa? Perdo il filo! Dicevo. Ho cercato di ascoltare il meno possibile. Proprio per evitare di seguire una certa influenza/cadenza – di classico rap italiano – molti mi danno dell’old school ma non riescono a decifrarmi, non riescono a etichettarmi e questa cosa mi rende estremamente orgoglioso. La purezza del verbo. L’assenza di flow è flow puro al cento per cento. Diciamo che nella mia follia ci tengo ad essere originale. Penso si sia capito ormai. E qui, più che isteria da ragazzini, di prime donne non ne vedo. Bravi quelli che riescono a fare delle porcate e campano con quelle. Tutto lontano anni luce da me e dal mio pensiero. Tutto lontano dall’essenza dell’hip – hop che per carità, si evolve…ma qui penso ci sia stata una involuzione più che una vera rivoluzione. Lungi da me il gossip, le polemiche le cavolate funzionali create a tavolino per fare hype. Lontano dal centro marchette di finti professionisti faine. Lontano da tronisti galli galletti e galline. Tutta fuffa. Tutto fumo negli occhi. Una truffa. Stiamo arrivando. C’è qualcuno che detta le regole del mercato. I marchettari di lusso. Per esempio io sono un cultore del rap russo. Dove la musica hip hop è arrivata molto dopo. Il rap russo ha sviluppato più le tecniche linguistiche sul beat che la musica stessa. Quindi troviamo un universo di rime e genialità su sonorità un po’ meno evolute a livello proprio di suoni. Anche se oramai anche qui i beat spaccano decisamente. Il cocktail è esplosivo. In Italia invece seguiamo sempre i filoni che funzionano e la situazione è…stagnante. Sfiora il ridicolo. Una volta c’era il rap frash adesso cè la trap tresh  e lo sdoganamento della Drill U.K., altra roba importata. Mistero come a parte “O sole mio” ed i Måneskin l’Italia non riesca ad avere una sua identità con un genere che dà grande spazio a qualsiasi sperimentazione. Nonostante tutto nutro grande rispetto per quelli che ci provano e in tanti ci provano, ma pochi ci riescono perché si perdono nelle acque putride della melma che li circonda. Tutto ciò è ripugnante, se guardi il passato coltellate alle spalle. Io suggerisco a tutti di riuscire ad arrivare alla consapevolezza della strada verso l’indipendenza, il fai da te può portare molte più soddisfazioni del rincorrere qualcosa di difficilmente raggiungibile e soprattutto di ciclostilato. Ribadisco. Insegui il successo? Quella è la porta, ma la porta del cesso. Meglio originale  e sconosciuto così come sono. Con Internet oggi può anche sembrare essere tutto più semplice rispetto agli anni in cui portavi il tuo CD/demo porta a porta alle case discografiche. Oggi si sono azzerate le distanze e i costi sono dimezzati, è tutto più accessibile e fruibile, quindi per un musicista le possibilità sono potenzialmente enormi.  Il porta a porta funziona sempre. Ma c’è anche molta più concorrenza. Perciò devi offrire una qualità di livello molto più alto. Altissimo. E devi avere un cervello collegato 4.0. per saperti districare in un mare di robe da fare. Molti lasciano la musica, ma la musica non ti abbandona di certo anche quando non hai i risultati sperati. Rinunciano a fare musica perché nessuno se li fila di striscio, ma se come te ce ne sono altri cento uguali! Distinguiti oppure estinguiti. Perché tanto qualcuno si riempie sempre le tasche e il mondo va avanti uguale anche se sei il più originale in assoluto. Prova coi talent, magari lì ti capiscono. E diventi un fenomeno. Passeggeri, allacciate le cinture: si parte.

 

Due fotogrammi del video di “Gasoldo, cosa stai facendo?”

Esistono artisti che ammiri particolarmente?

Ho una serie infinita di artisti che stimo. Con alcuni ho anche un buon rapporto d’amicizia. Stiamo provando a costruire qualcosa di importante. Se non altro per noi stessi. Sono facili da reperire nelle mie playlist su Spotify e sono un bel mix di nuova generazione e vecchie conoscenze del rap italiano. Però quella di cui vado più orgoglioso è questa: Music Is the answer Italia  (https://open.spotify.com/playlist/1H7mGLLnSfp7d8Mg2Q1v8q?si=F7gxKakOT1GRQRpnI62-ew&utm_source=copy-link). Dò la possibilità gratuitamente a vari artisti di farsi conoscere e di aggiungere qualche stream in più alle loro produzioni. Anzi, chi volesse partecipare mi scriva pure su Instagram. Quando qualcuno ti reputa fonte di ispirazione per il suo rap vuol dire che magari non è proprio tutto cosi da buttare. Quando qualcuno ti stima veramente accresce l’autostima e ti spinge a fare meglio. Ti spinge a continuare. Non lo sa, ma ti incita come un coach. Non c’è niente di più soddisfacente che sentirsi dire sinceramente “Dai, insisti”! Nonostante io sia praticamente uno sconosciuto. Un cantante muto sputo rime per diletto ecco il delitto perfetto sono un Sig. rapper Qualunque che ama pure far del qualunquismo e dunque la roba fantastica è che io sono incopiabile perché sono unico ed irripetibile. Neanche il mio clone saprebbe rappare come rappo io. Sono i miei pensieri e difficilmente qualcuno può o riuscirà mai ad entrare nella mia testa. Nel mio vissuto nella mia esperienza, e questa intervista ne è la prova. Potete pure attingere se volete. Fate pure. Basta che in fondo siate sinceri con voi stessi almeno quando scopiazzate. (ride, ndr.) Tanto ancora non avete sentito nulla…Come dice Bitinjuice, il pezzo migliore ancora deve uscire e sarà il prossimo…

Durante la nostra lunga chiacchierata mi hai detto che adori lo “slam poetry”. Potresti approfondire con noi l’argomento? Immagino che sia un interesse direttamente associato al tuo amore per la scrittura in versi. O sbaglio?

Si ! Praticamente è quello che ho sempre fatto senza conoscerne il nome e cioè interpretare quello che si è scritto senza musica di sottofondo o di accompagnamento. Domanda al lettore. Chi furono i primi a sfidarsi in gare di freestyle? Gli americani, direte voi. Assolutamente no! In pochi sanno che che i primi di cui si ha conoscenza che facessero sfide di freestyle furono i poeti dell’antica Grecia. Nella più classica delle forme di immaginazione, in un anfiteatro con la tunica bianca a colpi di rime. Da un pò di anni anche in Italia ci sono un sacco di iniziative e talenti incredibili che praticano questa forma artistica di intrattenimento a molti ancora sconosciuta. Non vedo l’ora di poter sfidare chi detiene lo scettro in Italia, che sarà mio perché io sono il numero uno.

 

 

Nel 2008, insieme a Andrea Bonato (Bitinjuice il suo nome d’arte) hai dato vita al progetto “TempiINversi”. Che ci racconti di questa avventura?

Questa non è solo un avventura.  Questi siamo noi. TempiINversi è un concentrato di energia pura. È alchimia unica è magia. Difficile anche per me spiegare il legame viscerale che ci unisce. Credo che a parlare siano le nostre produzioni disincantate e spettacolarmente underground per il piacere di creare qualcosa di unico e da spararsi in cuffia H24 durante tutta la giornata. Più ci ascolti in loop più entri nella nostra storia, più capisci e apprezzi. Ci devi conoscere. Una volta che ci conosci, difficilmente non ti piace quello che facciamo. Sia per quanto riguarda il sottoscritto con i suoi rap, sia per quanto riguarda Bitinjuice con le sue produzioni, che è l’universo musicale di TempINversi. https://open.spotify.com/artist/1kiGBBb4DAJLzyj2SIqWMr?si=f0h-tvlwRLGBSC7ThH56Rg&utm_source=copy-link Una sorta di balsamo per l’udito creato dal sapiente druido Panoramix per infondere energia ad Asterix ed Obelix durante le numerose battaglie che la vita ti mette di fronte.

 

Il logo di TempiINversi

Tra gli artisti di TempiINversi, peraltro, spicca un’autentica icona della nightlife come la Contessa Pinina Garavaglia. Su quali perni si incentra la vostra sintonia? Pensate di regalarci delle nuove perle musicali a breve?

Io nasco su un cubo di una discoteca in una notte di maggio a suon di musica elettronica. Mia madre mi partorí li. Ballavano tutti. Il Dj screcciava. Con la Contessa, con cui collaboro da anni, ho un rapporto speciale: mi ha battezzato con le sue performance teatrali e sono uno dei suoi poeti di punta nelle serate Infusione  – Poesia ritmica visuale e delirio logico. Dal suo salotto alle performance in discoteca passando, oggi, dalla radio. Poesia ritmica visuale e delirio logico, dicevo, di cui sono il massimo esponente. Persona di infinita cultura, spesso mi dice che scrivo come Joyce nel suo Ulisse, che son più matto di Bukowsky e al tempo stesso geniale come Voltaire con il suo Candido. Insomma, tutta roba per me noiosa e che fatico pure a leggere. Mi addormento. Io ho bisogno di azione reazione come scrisse il grande Andrea. G. Pinketts (dove G. sta per Genio) nella sua prefazione del mio primo romanzo. (“Le strabilianti (dis) avventure di Gasoldo”, ed. Costa&nolan 2007). Mi riempie il cuore ricordarlo ed ogni volta ringraziarlo. Io preferisco, come avrete capito, più l’ironia alla “Dovlatov“: per chi non lo conoscesse, invito caldamente a cercarlo e leggerlo.  Dopo i successi di “Iconic”, “Disco Dreams” e “Forever young”, vi svelo in anteprima che Bitinjuice sta lavorando al quarto brano della Contessa Pinina Garavaglia, sorpresa anche per lei mentre starà leggendo questa intervista.

 

La copertina di “Le strabilianti (dis)avventure di Gasoldo”, il libro che Leopoldo ha scritto nel 2007. La prefazione è a cura di Andrea G.Pinketts

Un divo: Leopoldo intento a firmare autografi dopo l’uscita del suo libro

Ho l’ onore (oltre che il piacere) di annunciare in anteprima ai lettori di VALIUM che il 12 Novembre uscirà “Io & te per sempre”, il tuo nuovo disco, con il featuring di Erica Mengod. Potresti parlarcene?

Erica Mengod è una delle voci più belle che ho avuto il piacere di ascoltare e la perseveranza di averci voluto a tutti i costi collaborare. Bitinjuice ci ha indirizzato e dato carta bianca con una struttura spettacolare. E una cura delle voci che ha dell’incredibile. Ognuno ha scritto la sua parte, ognuno l’ha scritta, empatizzata, amata e interpretata. Con un argomento che può sembrare scontato. Ma qua di scontato non c’è nulla. Con noi non c’è mai nulla di scontato. Se poi si tira in ballo un argomento come l’amore…L’amore…Avete mai amato veramente qualcuno, nella vostra vita? Siete stati mai amati? Cosa fa muovere tutto? Che sentimento è l’amore? In una parola così ci sono dentro un infinità di universi. L’amore è allucinante. Fa muovere qualsiasi cosa. Fa fare cose pazze. L’amore non è una scusa. L’amore agisce. E non accetta scuse. L’amore è quasi follia. L’amore è una cosa seria. Ci fa grandi e piccoli allo stesso tempo. Ci porta all’esaltazione dell’io. L’amore è il motore della vita stessa. L’amore è forse Dio? Non lo so, ma l’amore ti fa stare da dio. È il sentimento più assurdo che l’anima dell’uomo potesse creare. È il sentimento più vero che esiste. L’amore è il fulcro, il centro di tutto. Questo non è il testo della canzone, ma una mia improvvisazione. E quando un amore finisce? O quando l’amore svanisce?

Ti piacerebbe una carriera “a tempo pieno” nella musica? E abbandoneresti volentieri i meandri underground per il mainstream?

Stiamo arrivando. #TempiINversi rulez ⚡ !

 

Gasoldo live

Con Clubradio06 stai portando avanti svariati appuntamenti che ti vedono protagonista. Facci sapere qualcosa di più, e soprattutto quando possiamo ascoltarti.

Con Marco Nardoni, il fondatore di Clubradio06, è nato subito un ottimo feeling. Ci siamo capiti al volo e sta nascendo una bellissima collaborazione, tanto che “Io & Te per sempre” (feat. Erica Mengod) sarà trasmessa in esclusiva venerdì 12  novembre 2021 alle 14:00 solo su clubradio06.com all’interno del programma rap Zonahh e al tempo stesso in tutti gli store digitali. Un’ idea gagliarda per ascoltare questo brano bomba in diretta! Con una sorpresa speciale. Siete ovviamente tutti invitati. Vi invito anche a scaricare l’app di clubradio06 che è leggerissima e così potete sintonizzarvi con un programma di ottima musica elettronica 24/24 7 giorni su 7. https://play.google.com/store/apps/details?id=com.xdevel.clubradio06 Inoltre, con dj Seven e la Contessa Pinina Garavaglia siamo in onda con l’Infusion Power tutti i sabati allo scoccare della mezzanotte. Invece sabato 13, alle ore 21:00, presenteremo il video di “Io & Te per sempre” su YouTube in collaborazione con l’eccezionale sand artist russa di fama internazionale Katerina Barsukova e Charmante folie, videoartist del progetto nonché stylist di tutti i progetti TempiINversi

Hai dei progetti in vista che ti piacerebbe anticiparci?

No (ride, ndr.), non basterebbero le pagine del tuo blog! Preparatevi ad emozionarvi ancora! Buona musica sempre a tutto Gas! Grazie a tutti! Un saluto ai lettori di VALIUM, peace! Spero non vi siate addormentati!

 

Link YouTube

Gasoldo

https://www.youtube.com/user/gasoldo

Bitinjuice

https://www.youtube.com/channel/UC6lqm3JbPyN2IEz8ukOG1IQ

 

Gasoldo durante un’ esibizione in stile Azteco

Ancora uno scatto di Gas dal vivo

Una foto di backstage dal video di 7 (Sette)…

…e un’ altra risalente all’ uscita del libro “Le (dis) avventure di Gasoldo

 

(Photo courtesy of Leopoldo Ulivieri)

L’ estate indiana

 

“L’estate indiana è come una donna: morbida, calda, appassionata, ma incostante. Va e viene come e quando le pare e nessuno sa se arriverà davvero né per quanto si tratterrà. Nel New England settentrionale l’estate indiana tarda un poco l’avanzare dell’inverno e porta con sé l’ultimo tepore dell’anno. È una stagione che non esiste e che vive fino al sopraggiungere dell’inverno, con la sua corte di ghiaccio, di alberi spogli, di brina. I vecchi, ai quali i venti rigidi hanno succhiato la giovinezza, sanno che l’estate indiana è un inganno e che la si deve accogliere con sospetto e cinismo. Ma i giovani l’attendono con ansia, scrutano il cielo grigio d’autunno alla ricerca di un segno che ne annunci l’arrivo. E a volte i vecchi, pur conoscendo la verità, aspettano insieme ai giovani, con gli stanchi occhi invernali rivolti al cielo, e cercano le prime tracce dell’ingannevole dolcezza.”

Grace Metalious, da “I peccati di Peyton Place”

 

 

 

 

 

Buon Halloween, felice Samhain

 

Che odore ha, secondo voi, la notte di Halloween? Come immaginate il suo imprinting olfattivo? Io la penso impregnata di un vago sentore di fumo: sì, proprio il fumo di un camino acceso. Che d’altronde, per me, è il tipico odore dell’ Autunno sin dai tempi dell’ infanzia. Mi è rimasto dentro quando ero piuttosto piccola, avrò avuto tre o quattro anni. Era l’ odore che aleggiava in certi borghi di montagna, dove mia madre, insegnante nella scuola elementare locale, tornava anche di pomeriggio se era molto impegnata. Naturalmente mi portava con sè, e ho ancora dei ricordi nitidi di quelle case in cui a volte ci invitavano per uno spuntino: il camino era il fulcro dell’ abitazione, più familiare e intimo rispetto al termosifone. Persino la cena veniva cotta puntualmente sul fuoco. Il mio Halloween ideale è in armonia con la natura, di conseguenza lo associo a un focolare e all’ aroma che sprigiona. Esistono diversi metodi per impedire che l’odore di cenere predomini, alcuni di questi semplicissimi da attuare: bruciare un po’ di cannella (la spezia dell’ Autunno per antonomasia), degli aghi di pino o del rosmarino tra le fiamme, ad esempio, può rivelarsi un’ ottima idea. Un’ altra opzione è l’utilizzo dell’ incenso aromatizzato. I fumi che diffonde, oltre a profumare la casa, accentueranno l’ alone di magia che circonda la notte del 31 Ottobre. Forse non sapevate che esistono piante tradizionalmente associate a Samhain: l’ alloro, pianta sacra ad Apollo, possiede la straordinaria virtù di donare capacità divinatorie e di tenere a distanza la malasorte, i malanni e le energie negative; la noce moscata ha proprietà purificatrici, potenzia la memoria e le abilità mentali calamitando, al tempo stesso, la buona sorte. La salvia è un toccasana per il benessere del corpo. Anticamente, veniva considerata il rimedio per qualsiasi patologia e si pensava addirittura che facesse tornare in vita i trapassati. Tra i punti di forza di questa miracolosa pianta, infatti, spiccava la presunta facoltà di rendere immortali. La mulleina, nome comune del Verbascum Thapsus, è un potente schermo contro la negatività, le forze demoniache e le fatture realizzate tramite la magia nera. I suoi gambi, avvolti in un amalgama di grassi o nella cera, un tempo plasmavano torce denominate “il foglio dei coni della strega”. L’ assenzio romano, invece, ha la funzione di accrescere le capacità psichiche. Gli aromi dell’ alloro, della salvia e della noce moscata sono quelli su cui puntare per la notte di Halloween.

 

 

Per esaltare l’atmosfera avvolgente originata dagli incensi e dal caminetto acceso, non resta che un ultimo dettaglio: una cena a lume di candela. Senza dimenticare che le candele dovrebbero essere rigorosamente tinte di color arancio, una delle tonalità emblematiche di Samhain.

Buon Halloween a tutti!

 

 

 

Halloween night: 5 usanze dell’ era vittoriana

 

Considerato il singolare rapporto con la morte che vigeva durante l’ epoca vittoriana (1837-1901), viene spontaneo chiedersi come si festeggiasse Halloween. Va ricordato, innanzitutto, che il tasso di mortalità elevato a causa delle malattie – e delle epidemie – allora incurabili, determinava una “familiarità” con il trapasso sfociata in usanze e rituali piuttosto macabri. Pensate solo alle fotografie post-mortem, in cui i defunti venivano immortalati insieme ai loro familiari a mò di ricordo, come se fossero ancora in vita. Oppure al lunghissimo periodo di lutto che le donne dovevano osservare, quattro anni in tutto suddivisi tra due di “lutto stretto” e due di “mezzo lutto”. Nei primi due anni vestire di nero era tassativo, nei successivi due era consentito passare al grigio, al malva o al lilla. Vi sembrerà curioso sapere che sorsero addirittura dei negozi specializzati nell’ abbigliamento da lutto (uno di questi era il Jay Mourning Store) : lì si vendevano abiti, ma anche gioielli e accessori da indossare dopo il decesso di una persona cara. I funerali vittoriani erano talmente solenni che per prendervi parte era necessario l’ invito, di solito graficamente elaboratissimo. Proprio in quegli anni, peraltro, esplose il boom dello spiritismo. Il dolore della perdita veniva mitigato dalla ricerca di un presunto contatto con il defunto, ma la morte e la malattia si esorcizzavano, in genere, elevandole quasi a culto. Il tipo di donna in voga aveva il corpo emaciato, lo sguardo spento e sofferente, la carnagione pallidissima. In letteratura spopolavano le elegie, i componimenti che esprimevano la profonda sofferenza causata dalla morte di un congiunto, di un amico o di un amante. Un esempio? “In memoriam A.H.H.” di Alfred Tennyson era il libro più letto. La Regina Vittoria stessa, quando suo marito (il Principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) morì, osservò il lutto per tutta la vita. Paradossalmente, i riferimenti alla morte venivano in gran parte rimossi all’ arrivo del 31 Ottobre. Per gli anglosassoni, all’ epoca, Halloween rappresentava uno speciale appuntamento mondano e come tale veniva celebrato: si davano feste, ci si travestiva, si raccontavano storie di streghe e di fantasmi (questo sì!) per intrattenersi, e ci si dedicava a svariati giochi. Sentori divinatori e magici, comunque, aleggiavano puntualmente nell’ atmosfera. Esaminando cinque usanze legate alla “notte delle streghe”, scopriremo il perchè. Leggete qui di seguito e ammirate la gallery, una serie di Halloween cards risalenti proprio all’ era vittoriana.

 

 

Le mele.

Moltissimi giochi e usanze vedevano le mele protagoniste. Innanzitutto, erano (e sono) considerate un frutto magico, simbolo della triade Amore, Conoscenza e Morte. Se tagliate una mela in orizzontale, noterete che raffigura un pentacolo al suo interno: vale a dire uno dei simboli esoterici più universalmente noti. La mela era il frutto della conoscenza e degli incantesimi, il legno del melo veniva utilizzato per accendere i fuochi sacri. Nell’ era vittoriana si pensava addirittura che ad Halloween le mele (ma anche le zucche e diversi tipi di ortaggi) potessero animarsi. La notte del 31 Ottobre, non a caso, spadroneggiavano come strumenti di divinazione o in diversi giochi di abilità. Le ragazze in “età da marito”, ad esempio, si esibivano in prove di sbucciatura: quanto più lunga era la buccia di mela tagliata, tanto più fortunato sarebbe stato il nuovo anno della giovane. Se la buccia veniva gettata in un catino pieno d’acqua, inoltre, si diceva che prendesse la forma dell’ iniziale del futuro sposo. Un altro gioco contemplava che qualcuno tagliasse una mela in nove fette e che mangiasse le prime otto di fronte allo specchio, in una stanza rischiarata unicamente dalle candele. La nona fetta doveva essere lanciata dietro la spalla sinistra per offrirla in dono agli spiriti: costoro avrebbero dimostrato la loro gratitudine facendo apparire l’ anima gemella nello specchio. Divinazione a parte, un gioco come il “bobbing” era famosissimo. Consisteva nell’ immergere diverse mele in una tinozza riempita d’acqua; i giocatori erano tenuti ad estrarle aiutandosi solo con i denti. Un gioco simile, ma decisamente più goloso, prevedeva invece che i partecipanti riuscissero a mangiare – senza toccarle – delle mele caramellate che pendevano da una corda.

 

 

Lo specchio.

All’ epoca, era lo strumento divinatorio per eccellenza. Si pensava, inoltre, che tramite gli specchi si accedesse all’ aldilà e che la notte di Halloween, a mezzanotte, gli Spiriti lasciassero intravedere negli specchi il loro riflesso. Decisamente foriera di sciagure era la visione di un teschio: annunciava che si sarebbe morti entro l’ anno.

La candela.

Per divinare il futuro, la notte del 31 Ottobre le giovani donne si servivano anche delle candele. Lasciavano cadere delle gocce di cera sciolta aspettando che si raffreddassero. Quando ciò avveniva, la cera prendeva la forma del nome dell’ uomo che le avrebbe sposate.

 

 

I tre piattini.

Davanti al caminetto venivano posati tre piccoli piatti, uno vuoto, uno pieno d’acqua e uno pieno di farina. Il giocatore, bendato, doveva immergere il dito in uno di essi. Sarebbero stati gli spiriti a guidare la sua mano. Se il dito finiva nel piattino vuoto, per lui sarebbe stata un’ annata difficile e segnata dalla povertà. Se capitava nel piattino pieno d’acqua o in quello pieno di farina preannunciava, rispettivamente, un matrimonio nei dodici mesi successivi e un anno all’ insegna della prosperità e dell’ agiatezza.

Il pudding.

L’ Halloween Pudding rappresentava una tradizione culinaria consolidata. Preparandolo, la padrona di casa doveva inserire cinque oggetti al suo interno prima della cottura: un ditale, una chiave, un bottone, una moneta e un anello. Il dolce veniva consumato alle nove di sera in punto seguendo un preciso rituale. Il più anziano (o la più anziana) della famiglia tagliava le fette in assoluto silenzio, un silenzio osservato da tutti i commensali. Alle parole pronunciate dopo quella pausa si attribuiva una valenza premonitrice, poichè ognuna conteneva gli elementi che avrebbero contraddistinto il nuovo anno. Ma anche i cinque oggetti avevano un carattere di preveggenza: la moneta simbolizzava un’ imminente ricchezza, l’ anello un matrimonio a breve, il bottone l’ incontro con l’ anima gemella, la chiave un viaggio in vista e il ditale, ahimé, un futuro da single nei prossimi dodici mesi.

 

Ottobre e il popolo dell’ Autunno

 

” In primo luogo era ottobre, un mese eccezionale per i ragazzi. Non che tutti i mesi non siano eccezionali. Ma ce ne sono di buoni e di cattivi; come dicono i pirati. Prendete settembre, un mese cattivo: cominciano le scuole. Considerate agosto, un mese buono: le scuole non sono ancora incominciate. Luglio, ecco, luglio è veramente splendido: niente scuola. Giugno, senza dubbio, giugno è il migliore di tutti, perchè le porte delle scuole si spalancano e settembre è lontano un miliardo di anni. Ma adesso guardate ottobre. Le scuole sono cominciate da un mese, e voi ve la prendete più calma, tirate avanti. Avete il tempo di pensare all’ immondizia che scaricherete sul portico del vecchio Prickett, o al costume da scimmia che indosserete alla festa dell’ YMCA l’ ultima sera del mese. E se è già il 20 ottobre e tutto odora di fumo e il cielo è color arancio e grigio cenere al crepuscolo, sembra che Halloween non verrà mai, in una pioggia di manici di scopa e in un fiottare sommesso di lenzuola agli angoli delle strade. Ma in un anno strano, buio, lungo e assurdo, Halloween venne in anticipo. Un anno Halloween venne il 24 ottobre, tre ore dopo mezzanotte. A quell’ epoca, James Nightshade, che abitava al 97 di Oak Street, aveva tredici anni, undici mesi e ventitrè giorni. Il ragazzo che abitava alla porta accanto, William Halloway, aveva tredici anni, undici mesi e ventiquattro giorni. Entrambi stavano per raggiungere i quattordici anni: già i quattordici anni tremavano nelle loro mani. E poi vi fu quella settimana d’ottobre in cui divennero adulti di colpo e non furono mai più giovani…”

 

Ray Bradbury, da “Il popolo dell’ autunno”

 

 

 

 

La colazione di oggi: la zucca, supremo emblema di Halloween

 

 

Halloween è dietro l’ angolo: manca solo una manciata di giorni alla notte più stregata dell’ anno. E qual è il suo supremo emblema, se non la zucca? Un frutto tipicamente autunnale che si presta a un’ infinita varietà di ricette. Nei paesi anglosassoni, in particolare, viene utilizzata per preparare dolci deliziosi: torte, crostate, ciambelle, biscotti, e classiche leccornie Made in USA come i brownie, i pancake, i muffin e la pumpkin pie (tradizionale torta del Thanksgiving Day). Proporla per la colazione di oggi, quindi, mi sembra un’ idea ottima. Anche perchè la zucca, tra pochi giorni, spopolerà persino come elemento decorativo. Il 31 Ottobre la ritroveremo davanti ai portoni, sui balconi e nei giardini; sarà intagliata per riprodurre un volto terrificante ed emanerà una fioca luce dall’ interno, assumendo le sembianze di una Jack-o’-Lantern altamente simbolica. Ma il suo legame con Halloween (o Samhain, se preferite la denominazione celtica) intendo approfondirlo più avanti. Intanto, accendiamo i riflettori sulle proprietà e sui benefici della zucca. Vi assicuro che non sono pochi! Innanzitutto c’è da dire che il colore di questo frutto, un arancio vivace, è una delle nuance identificative dell’ Autunno. All’ appeal cromatico si combinano, poi, delle virtù notevoli: povera di calorie, la zucca è ricca invece di fibre e di antiossidanti, un vero toccasana per l’ apparato cardiovascolare e contro le malattie degenerative.

 

 

Abbondando di acqua, la zucca è un alimento digeribilissimo e dalle spiccate proprietà diuretiche; tra i suoi componenti risaltano la vitamina A, un potente antiossidante (oltre che antinfiammatorio) prodotto dal carotene che contiene in gran quantità, le vitamine B1 e C, ma anche minerali come il potassio, il sodio, il fosforo e il calcio. I flavonodi racchiusi nella zucca contribuiscono a mantenere giovani le cellule, mentre la cucurbitina, un aminoacido di cui i suoi semi sono ricchi, si rivela ideale per il benessere dell’ apparato urinario e in qualità di antiparassitario. Nei semi del frutto sono presenti, inoltre, acidi grassi essenziali quali Omega-3 e Omega-6, che giocano un ruolo fondamentale per l’ organismo. Vi cito solo alcune delle loro virtù: possiedono virtù antinfiammatorie, ripristinano i valori ottimali del metabolismo, della colesterolemia e della pressione sanguigna, contrastano le patologie vascolari e la degenerazione del sistema nervoso. Ulteriori proprietà degli acidi grassi essenziali includono effetti benefici sulla vista e sull’ umore, il che li rende perfetti nella lotta contro la depressione.

 

 

Icona dell’ Autunno, dunque, ma non solo: la zucca è un’ autentica miniera di benessere. Alla voce “curiosità, menzionare Halloween è tassativo. La tradizione di intagliare i più disparati tipi di verdura pare che risalisse, a tal proposito, all’800 irlandese. Questa usanza mirava a esorcizzare le forze sovrannaturali, mantenendole lontane dal mondo dei vivi. E’ in quel contesto che entrò in scena la leggenda di Jack-O’-Lantern, a cui la zucca di Halloween si ispira direttamente. Si narra che il fabbro irlandese Jack, astuto e gran bevitore, la notte del 31 Ottobre incontrò il Diavolo mentre era diretto al pub che soleva frequentare. Satana manifestò la sua intenzione di rubargli l’ anima, ma Jack ci pensò su e gli chiese un favore: trasformarsi in una moneta da sei pence per permettegli di pagare la sua ultima bevuta. Il Diavolo acconsentì, pentendosene subito dopo. Jack, infatti, si infilò la moneta in tasca, e la vicinanza a una croce d’argento impedì al demonio di tornare alle sue sembianze originarie. Così, i due scesero a patti: Jack lo avrebbe lasciato andare se gli avesse donato dieci anni di vita e in quel decennio non fosse più ricomparso. Il Diavolo, suo malgrado, fu costretto ad accettare. Dieci anni dopo, però, il 31 Ottobre tornò a pretendere l’ anima di Jack. Il fabbro si finse d’accordo, ma chiese al Diavolo di poter cogliere per lui una mela: sarebbe stato il suo ultimo pasto prima di morire. Il Principe delle Tenebre si arrampicò su un melo, e poco dopo si accorse che il fabbro aveva inciso una croce sul tronco per impedirgli di scendere. Tra i due scoppiò un litigio poi sfociato in discussione, e infine in un nuovo patto. Satana si disse disposto a salvare Jack dalla dannazione eterna a condizione che non si facesse vedere mai più. Quando il fabbro morì, fu condannato all’ Inferno per la vita dissoluta e furfantesca che aveva condotto. Il Diavolo, però, si rifiutò di farlo entrare. Tuttavia, gli donò un tizzone ardente affinchè illuminasse il suo vagare tra le anime perdute del limbo. L’ uomo riflettè a lungo su dove sistemare il tizzone, decidendo infine di riporlo in una rapa intagliata. Ne ricavò una lanterna che ispirò il suo celebre soprannome: Jack-O’-Lantern (“la lanterna di Jack”). Da allora, ogni notte del 31 Ottobre si può scorgere nel buio la fiammella di Jack, il cui spirito è destinato a errare per l’ eternità.

 

 

Gli irlandesi, la notte del 31 Ottobre, erano soliti rievocare la leggenda di Jack attraverso un tripudio di rape intagliate e illuminate dall’ interno. Ma dopo il 1845, quando si diressero in America in massa a causa di una carestia, dovettero sostituire le rape con le zucche, più diffuse e facilmente reperibili. Se vi state chiedendo quale volto riproduca la zucca di Halloween, la risposta è molto semplice: quello di Jack il fabbro. In un mix tra lo sgangherato e l’orrorifico che coniuga l’ ebbrezza alcolica con l’ oscurità in cui vaga la sua anima.

 

 

 

Il luogo

 

Il dilagare della pandemia di Covid ci ha messo di fronte a una nuova realtà, mai sperimentata prima, dove i cambiamenti nello stile di vita sono all’ ordine del giorno. Tra lockdown e contagi in rialzo, chiusure e mascherine a oltranza, il 2020 è trascorso come un incubo a occhi aperti. In questi mesi di graduale normalizzazione dello scenario socio-sanitario, tuttavia, l’ entrata in vigore del Green Pass ha dato adito a proteste e rivolte a ruota libera. E nelle grandi città, già in preda al caos urbano, all’ inquinamento e al pericolo contagio, cortei e manifestazioni proliferano. C’è chi ha pensato da tempo, soprattutto quando la pandemia era nel suo pieno, di trasferirsi in luoghi più a misura d’uomo: magari in provincia, o nei piccoli centri. Oppure ancora in campagna, nei villaggi…dove l’aria è rimasta pura e la natura è una costante della quotidianità e dei paesaggi. Questa scelta si ricollega strettamente al tema del mutamento, alle nuove coordinate esistenziali che il Covid ci ha imposto. Avendone la possibilità (un’ attività in smart working o come freelance, l’ opportunità di raggiungere facilmente il proprio posto di lavoro in città), in molti hanno deciso di trasferirsi in un “borgo selvaggio” di leopardiana memoria. Immaginate quegli antichi e pittoreschi villaggi che abbondano nella nostra Italia, dove le strade sono ancora lastricate di ciottoli e ci si conosce tutti per nome: ecco, mi riferisco a location di questo tipo. I vantaggi del vivere in un borgo sono riassumibili in pochi punti: aria pulita, tranquillità, albe non di rado salutate dal canto del gallo, costo della vita irrisorio come le distanze, generalmente percorribili a piedi o al massimo in bicicletta. E poi, un più stretto contatto con la natura, un minor rischio assembramenti favorito dall’ esiguo numero degli abitanti, una socialità spiccata, zero criminalità. Con il valore aggiunto di poter apprendere il savoir faire artigianale di svariati settori: il gusto del “fatto a mano”, nei paesini, non è mai venuto meno. Molto spesso, inoltre, gli antichi borghi vantano angoli, scorci e vedute panoramiche senza pari. La decisione di trasferirsi in un villaggio, ciononostante, va valutata bene. Conoscere tutti ed essere conosciuto da tutti, far parte di una piccola comunità, può rappresentare un vantaggio e uno svantaggio a un tempo. La vita tranquilla, in genere, non regala troppe sorprese. Soppesare i pro e i contro di una scelta così radicale è tassativo. Entrano in gioco le attitudini, gli interessi, l’ indole individuale. Non ultima, la fase esistenziale che in quel momento si sta vivendo. La domanda principale da porre a se stessi è innanzitutto una: “Sono pronto a rinunciare alle opportunità e al fermento che mi offre una grande città?”.

 

 

 

 

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice – Un Autunno di rinascita

 

 

L’ Autunno del Principe Maurice ha avuto inizio nella magica atmosfera del circo. Dal 23 al 27 Settembre, infatti, Maurizio Agosti Montenaro Durazzo (il suo nome all’ anagrafe) ha funto da Gran Cerimoniere di un evento unico nel suo genere, l’ International Salieri Circus Award: coniugando arte circense e musica classica, la prima edizione di questo festival ha addentrato il pubblico in un mondo incantato, onirico, grondante di fascino. Un mondo, al di là del puro intrattenimento a cui mira, permeato di vera e propria arte; di talento e sacrificio. Non è un caso che al Teatro Salieri di Legnago, in provincia di Verona, sia stato celebrato con un contest a cui hanno partecipato i più geniali artisti circensi. A proposito di circo, sapevate che anche Maurice è un professionista del settore? Nei panni del Clown Bianco da lui stesso ideato, “Il Principe”, ha preso parte a spettacoli allestiti sotto tendoni autorevoli quali quello del Circus Roncalli. E non stupisce, perchè come ben sapete l’ ironia è insita nel suo DNA! Lo ha dimostrato anche in TV, di recente, quando su Canale 5 è apparso tra i “diabolici” protagonisti di una burla ai danni di Antonio Zequila nel programma “Scherzi a Parte” (se ve lo siete perso, guardatelo a questo link). Ebbene sì, il nostro eroe sta cominciando a muovere i primi passi nell’ universo televisivo: un traguardo meritatissimo, per la leggendaria icona del Teatro Notturno. La nuova stagione, insomma, ha portato innumerevoli novità nella vita professionale del Principe. Ce le racconterà in questa intervista, alternando l’ entusiasmo per il ritorno a una quasi-normalità dopo l’ incubo Covid al disappunto per le riaperture contingentate dei club.

Ci ritroviamo dopo un’ Estate per te particolarmente rovente. Intanto è già arrivato l’ Autunno e l’Equinozio, il 22 Settembre scorso, ha sancito il suo ingresso. Per molti è un periodo di svolta, di nuovi progetti…un giro di boa. Che rappresenta, per te, questa stagione?   

L’ Autunno, innanzitutto, mi piace molto: è sontuoso – penso ai suoi colori – e anche misterioso per quello che porta con sé, Halloween in particolare…Tra l’altro, per me è stato foriero di cose meravigliose che mi sono accadute e che mi stanno accadendo. Dò il benvenuto a questo Autunno che spero sia di rinascita, anche se normalmente viene visto come un periodo che conduce al freddo e alla “morte” dell’Inverno. Per me, invece, è una sorta di Primavera dell’anima! Inoltre compio gli anni in novembre… E poi bisogna dire che l’Autunno, per il mondo dello spettacolo, corrisponde al preludio della stagione più importante: quella invernale. Evidentemente non è un caso che io lo adori.

 

Il Principe nelle vesti del suo Clown Bianco “Il Principe” a Vienna, con il Circus Roncalli

 

Su VALIUM, le tue ultime news risalgono alla serata degli Amen Spiritual Awards tenutasi alla Terrazza Biennale del Lido di Venezia. Cosa ci racconti dell’evento “I say a little prayer…for me”, che hai dedicato alle donne vittime di sofferenza fisica e morale? Pensi che possa diventare un appuntamento a cadenza fissa?     

Non solo diventerà un appuntamento a cadenza fissa, ma con il patron di Amen, Giovanni Licastro, abbiamo pensato di dedicare una docufiction, un film o una serie a queste storie. Vorremmo dar voce alle donne che normalmente pregano da sole e in silenzio, vorremmo che riuscissero a raccontarsi e a trovare sostegno nel loro sfogo, che al tempo stesso è anche una denuncia. Bisogna che le donne imparino a riportare le violenze subite, a proteggersi e ad affiancarsi a persone che le stimano – quindi le aiutano e le rispettano – come noi. Nell’ aria non c’è solo l’intenzione di ripetere gli Amen Spiritual Awards: il nostro gruppo si renderà promotore di un’iniziativa mainstream che darà risalto in tutto e per tutto a queste problematiche. Come ti accennavo, le storie che raccoglieremo verranno riprodotte in una sorta di fiction che le drammatizzerà e “illustrerà” i racconti delle donne. Starà a loro decidere se rimanere anonime o meno. Alcune situazioni sono molto pericolose, per cui suppongo che dovranno scegliere l’anonimato. Mentre casi come quello di Micol Rossi, che lotta con coraggio contro il morbo di Crohn, vanno sicuramente considerati esemplari e quindi divulgati senza vincoli di sorta: ha appena fondato con persone che vivono il suo stesso problema (non solo donne) un movimento che si chiama “Guerrieri Invisibili”, che si può contattare e coadiuvare sui social.

 

Alcuni scatti tratti dal Red Carpet e dal Gala dell’ evento “I say a little prayer…for me – Amen Spiritual Awards”. Nella foto qui sopra, da sinistra: Giovanni Licastro, Matilde Brandi, Micol Rossi e Christophe Mourey insieme al Principe

Come ci avevi preannunciato qualche mese fa, hai rivestito il ruolo di Gran Cerimoniere del prestigioso International Salieri Circus Award di Legnago: un festival (alla sua prima edizione) che celebra le arti circensi nella città natia di Antonio Salieri. Come hai vissuto quella straordinaria esperienza?

E’ stato pazzesco! E’ stato bellissimo innanzitutto perché la casa di produzione di questo evento, la ProEventi, è super efficiente e ha rappresentato una garanzia dal punto di vista organizzativo. Il festival è stato un esperimento nuovissimo: c’era una giuria prestigiosa, gli artisti erano pazzeschi, ma soprattutto c’erano dei giovani davvero entusiasti, che avevano voglia di mettersi alla prova e magari eseguivano per la prima volta le loro performance con composizioni classiche in sottofondo…L’ esperimento è riuscito in pieno. Abbiamo potuto conoscere meglio il personaggio di Antonio Salieri, che era stato, come dire?,  un po’ “travisato” dal film su Mozart, e da questa esperienza scaturirà senz’altro una voglia di recupero della cultura classica legata a Salieri, un grande del suo tempo. Era molto più conosciuto e di successo di Mozart, poi però è stato dimenticato: la sua era essenzialmente una musica di corte che rimaneva a corte. Ma quando le corti si sono estinte, l’interesse attorno a lui si è spento. Ora merita di essere rivalutato. In questa prima edizione del festival, per problemi di sicurezza associati al Covid, ci siamo dovuti privare di un’orchestra dal vivo. Dalla prossima edizione, tuttavia, potremo avvalerci della presenza di una nota orchestra; al momento non posso anticiparvi più di tanto. Secondo Antonio Giarola, lo stratosferico Direttore Artistico del festival e uno dei massimi esperti mondiali di Arte Circense, il fatto che la musica verrà eseguita dal vivo sarà molto importante. L’intento è proprio di elevare il circo a un’Arte vera e propria accompagnata dalla Musica d’Arte, facendo sì che entrambe si valorizzino reciprocamente e che si crei una commistione nell’ interpretazione davvero sentita, autentica. Della giuria facevano parte personaggi autorevoli: il Direttore di Palcoscenico del Moulin Rouge Thierry Outrilla, il Direttore del Casting del Cirque du Soleil Pavel Kotov, il Ministro della Cultura Ungherese Péter Fekete, che è anche il direttore e fondatore del Circo Stabile di Budapest, e poi Joseph Bouglione, Direttore del Cirque d’Hiver di Parigi…per farvi solo qualche nome. Il “parterre de roi” della nostra giuria, quindi, ha conferito subito grande importanza e dignità al festival. Anche gli artisti coinvolti erano di fama internazionale: 31 in tutto provenienti da 13 paesi, persino d’oltreoceano. E’ stata un’esperienza incredibile, non ultimo, per il loro slancio nell’ affrontarla! In apertura e in chiusura, il mio intervento artistico era affiancato da una performance del Piccolo Circo dei Sogni di Paride Orfei e Sneja Nedeva. Ha sede a Milano e oltre ad essere un’Accademia che divulga l’arte circense propone anche corsi di danza e di recitazione.

 

Maurice insieme a Arturo Brachetti, Presidente della Giuria dell’ International Salieri Circus Award

Act circensi all’ evento del Teatro Salieri di Legnago

Che rapporto hai con il mondo del circo? Immagino che tu sia molto attratto dalla sua magia e dalle atmosfere felliniane che lo permeano…

Ci hai proprio azzeccato! (ride, ndr.). Ho sempre subito la magia del circo e, se devo essere sincero, anche del fatto di poter vedere da vicino molti animali esotici (oggi una sensibilità diversa ci porta ad accantonare la visione negativa di un animale che si esibisce). Però devo dire che la sfida che gli artisti circensi lanciano ai loro corpi, quando con il sorriso sulle labbra eseguono evoluzioni che richiedono un sacrificio abnorme, mi affascina immensamente. La figura che io ho interpretato più volte, anche per circhi prestigiosi come il Roncalli o il Togni, è quella del Clown Bianco. Ti dò una notizia esclusiva che è conosciuta solo negli ambienti del circo: sono un clown ufficialmente, ho creato un nuovo clown che si distingue da qualsiasi altro pagliaccio non solo per il costume ma anche per il trucco. L’ho battezzato “Il Principe”. (ride, ndr) E’ un personaggio a sé stante nel mondo del circo, formalmente riconosciuto. Sono anche un po’ circense, come vedete! Una volta ho avuto l’occasione di intervistare Moira Orfei e lei mi raccontò degli aneddoti, delle cose talmente meravigliose sul circo da farmelo apparire ancora più affascinante…E’ un universo straordinario fatto di gente straordinaria. E poi ho conosciuto tanti altri personaggi, tra i quali il fondatore del Cirque du Soleil Guy Lalibertè che ha rivoluzionato il circo rendendolo più teatrale. Adoro anche il circo equestre, lo trovo molto elegante: i cavalli sono animali abituati a stare con l’uomo, la loro presenza è più compatibile con gli spettacoli circensi rispetto a quella delle bestie feroci.

 

Un’ altra immagine del clown “Il Principe” a Vienna

Con Elena Grossule, regista dell’ International Salieri Circus Award

Dalla provincia di Verona passiamo a Londra, dove a Settembre sei volato per raggiungere uno dei più grandi amori della tua vita: Grace Jones. Di questa eccezionale trasferta devi raccontarci proprio tutto…

Avevo tanta voglia di rivedere Grace, che dalla Giamaica si è trasferita temporaneamente a Londra. Era lì per ultimare un nuovo disco ma anche per stare vicino al fratello Chris, che aveva dei problemi di salute molto gravi. Siamo andati a trovarlo negli ultimi giorni della sua vita e questo fatto, seppur tristissimo, mi ha rincuorato perché sono riuscito a rivederlo e a stare al suo fianco. Chris Jones è mancato proprio in quei giorni, mentre eravamo a Londra. Per Grace era una sorta di fratello gemello, era molto attaccata a lui…Ma nella capitale inglese era volata anche per partecipare a una serata di gala destinata alla raccolta fondi per bambini bisognosi voluta da una Fondazione Reale, che ha organizzato uno spettacolo durante la London Fashion Week. Alla serata hanno preso parte molti stilisti, tra cui Philip Treacy; è stato un bellissimo evento. Chris era una persona carissima, dolcissima, che è stata di grande aiuto per Grace perché pur essendo anche lui un artista, in realtà ha dedicato la sua vita ad assistere la sorella. Lo porterò sempre nel cuore. L’ultima immagine che ho di lui risale a quando gli ho fatto visita prima che se ne andasse. Sono riuscito ad abbracciarlo, e lui ha poggiato la testa sulla mia spalla facendomi capire che era pronto… La prima volta che sono andato a trovarlo in ospedale, invece, non appena mi ha visto ha aperto le braccia e in italiano mi ha detto “Mauri, anche tu qui? Grazie, grazie!” Il fatto di avergli regalato un sorriso nella situazione in cui si trovava mi dà conforto.

 

Foto di gruppo a Londra. Al centro, tra il Principe e Grace Jones, c’è Paulo, il figlio che la diva ha avuto da Jean-Paul Goude

Una bella immagine di Chris Jones in Giamaica, prima che un male incurabile lo aggredisse

Toglimi una curiosità: com’è la “vera” Grace Jones? Al pubblico si mostra aggressiva, grintosa, seduttiva, fiera…una vera pantera, insomma. Ma a riflettori spenti è realmente così?

Grace Jones è una persona oltre ad essere un’artista, e ha tutte le sfumature emotive di una donna estremamente sensibile. L’ho vista così materna, così dolce nei confronti del fratello, e la ricordo molto affettuosa anche nei miei confronti. Certo, è una pantera: bisogna sapere come accarezzarle il pelo, perché se sbagli verso può darsi che ti tagli a fette con gli artigli! (ride, ndr.) E’ passionale, ma anche portatrice di un’umanità straordinaria e di una sensibilità incredibile…perché è una persona speciale. Quando stavamo insieme, spesso congedavamo il personale di servizio; lei cucinava per me e io lavavo i piatti. (ride, ndr.) I piatti li ha lavati molto raramente, Grace, però cucina benissimo: soprattutto le pietanze giamaicane! A Londra le ho procurato un piccolo barbecue, perché ogni tanto facevamo il barbecue in terrazza come una vecchia coppietta. E’ bello vivere questi Vip anche in una dimensione così pulita, semplice e serena. Penso di aver regalato a Grace tanta tranquillità, perché sono una persona pacifica e lei si lasciava piacevolmente contagiare dalla mia serenità. Poterle essere di conforto anche nel triste momento della scomparsa di Chris, per me è stato molto importante. Il nostro rapporto è di grande vicinanza: siamo rimasti i migliori amici l’uno dell’altra.

 

Grace Jones con il modista Philip Treacy, autore del copricapo che ha sfoggiato all’ evento “This is Icon” inserito nella London Fashion Week

Altri scatti dal charity show londinese “This is Icon”

Passo ora a una domanda clou. La sera del 4 Ottobre ti abbiamo visto in TV, precisamente su “Scherzi a parte”, dove eri impegnato nell’ investitura a conte di Antonio Zequila. E ti “dilettavi” sadicamente nel bacchettarlo, peraltro, mentre gli insegnavi il galateo della tavola! Potresti raccontarci qualche aneddoto, qualche dettaglio intrigante sul backstage dello scherzo?

(ride, ndr.) Voi avete visto solo un brevissimo estratto di quello che è successo con Zequila, perché noi con lui siamo stati in ballo dal primo pomeriggio fino a tarda notte. “Scherzi a parte” aveva bisogno di un personaggio come me: dovete sapere che, quando vengono fatti gli scherzi, tutti i protagonisti vanno a cercare su Google con chi hanno a che fare. Quindi, quando sono stato presentato c’è stata immediatamente una ricerca…Io sono un uomo di spettacolo, ma sono anche Principe, per cui mi hanno presentato col mio nome. L’ intera situazione era grottesca! Non so come si possa cadere in un tranello del genere, perché tutto era estremamente surreale. Faccio i complimenti a me stesso perché sono stato bravissimo, e me lo dico da solo! Ma anche tutti gli altri attori, soprattutto l’attrice che ha interagito con Zequila “in notturna”…Devo dirvi che su “Scherzi a parte” è tutto improvvisato (a parte il soggetto, molto particolareggiato), perciò non avevamo un “copione”. Certo, a volte gli autori ci davano ulteriori input da dietro le quinte con gli auricolari, soprattutto per rendere più credibile la vicenda. Per me è stata veramente una bella prova dal punto di vista professionale, mentre dal punto di vista umano…A Zequila è dispiaciuto moltissimo non essere diventato conte: non tanto per la ricchezza, quanto per il titolo. Perché lui ci credeva! A un certo punto ha chiamato al telefono sua madre, Ivana Trump, Barbara D’Urso e chi più ne ha più ne metta per dare la notizia: era davvero convinto di essere entrato a far parte dell’ aristocrazia. Poi, quando ha scoperto che era tutto uno scherzo, è rimasto delusissimo. Ed è dispiaciuto tanto anche a me, non sapevo come confortarlo…mi è venuto il magone. Zequila aveva proprio la velleità di diventare nobile. Ma che risate, quando lo redarguivo! Io la bacchettavo davvero, tant’è che mi diceva che gli stavo facendo male! Quello scherzo è stato troppo divertente…

Sul piccolo schermo ti vediamo sempre più di frequente. Diventare un volto fisso della TV ti piacerebbe?

Mi piacerebbe avere un salotto nel quale poter ospitare i miei amici artisti e raccontare un po’ di storie, oltre a organizzare il format incentrato sulle donne in difficoltà. Diciamo di sì! E’ arrivato anche per me il momento di cominciare a fare televisione, sempre che trovi uno spazio dove io abbia la possibilità di gestire me stesso. Dovrei avere il controllo della redazione, altrimenti non so se mi troverei davvero a mio agio. Oppure, potrei intervenire come opinionista nei settori di mia competenza. Sì, lavorare in TV mi piacerebbe molto! Adorerei condurre un talk show dove farei intervenire sia personaggi famosi che tutti coloro che hanno qualcosa da raccontare, perché secondo me abbiamo bisogno di ascoltarci, scambiare opinioni, dialogare…

 

Il Principe sul Red Carpet di “I say a little prayer…for me” con Alberto Barbera, direttore della 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Matilde Brandi, Emma Mach e Flavia Cavalcanti al Gala degli Amen Spiritual Awards

Cambiando argomento ed affrontandone uno molto attuale: cosa pensi della riapertura delle discoteche con capienze contingentate?

Sono felice che finalmente il Governo si sia degnato di prendere in considerazione il nostro settore. Del resto, ormai, si ballava ovunque tranne che nei luoghi deputati. Lo scorso weekend è stato il primo di “semilibertà” al ballo. Il contingentamento è assurdamente prudente e denota la confusione scientifica, e anche politica, che ancora domina la scena. Speriamo che l’effettivo miglioramento riguardo contagi e ricoveri dia adito ad uniformare le capienze con gli altri luoghi cosiddetti di assembramento. Giovedì 21 Ottobre faremo un punto della situazione con il Presidente del Silb Maurizio Pasca, esponenti politici ed esperti del settore. Penso che comunque sarà una gran bella festa soprattutto per i giovani, che meritano di divertirsi in luoghi adatti e belli con la musica che a loro più piace e di essere coccolati all’ infinito dopo tutto il sacrificio e il delirio degli ultimi tempi. Viva la musica, che è vita!

 

Maurice bacia Micol Rossi, una delle donne premiate con l’Amen Spiritual Award

Concludo questa serie di domande con il consueto focus sui tuoi progetti e su tutti quegli impegni che, essendo incalcolabili, ho tralasciato involontariamente (mea culpa!) nelle domande…A te la parola!

La mia più grande soddisfazione è che il 23 Ottobre sarò impegnato nei panni di Casanova a Monte Carlo. In collaborazione con Delia Grace Noble, all’ Hotel de Paris, sotto il patrocinio dell’Ambasciata Italiana nel Principato di Monaco e del Principe Alberto II, con le finalità di sempre, allestiremo il mio primo ballo in maschera: un’anticipazione del Carnevale di Venezia che speriamo di riuscire a fare in presenza l’anno prossimo e a cui si sta già lavorando con la partecipazione di VELA, la società partecipata che si occupa di tutti i grandi eventi veneziani. Anche il direttore di Rai Veneto, Giovanni de Luca, si è detto entusiasta di mettere a disposizione lo splendido Palazzo Labia per poter proporre una programmazione di classe, ma divertente, in vista del Carnevale. E dato che rientreremo ancora nelle celebrazioni del 1600simo di Venezia, verrà omaggiata anche la storia del Carnevale. Oltre a questo ho in previsione innumerevoli altri impegni, ma ve ne parlerò più avanti! Sostanzialmente percepisco una gran voglia, un gran fermento…Il desiderio di ricominciare a vivere e a godere dell’arte dell’intrattenimento e della bellezza in generale. 

 

Un annuncio da fare col megafono: sabato 23 Ottobre, a Monte Carlo, il Principe Maurice sarà il Maestro di Cerimonia del Gran Masked Ball!

 

Photo courtesy of Maurizio Agosti

 

 

 

Dolci d’Autunno

 

 

Dolci d’ Autunno: la scelta è illimitata. I sapori intensi, la qualità e la varietà dei frutti di questa stagione fanno sì che ci si possa sbizzarrire nella realizzazione (o nell’ assaggio) di torte, biscotti e dolcetti di ogni tipo. Accanto alle zucche, alle castagne, ai fichi, all’uva, alle noci, alle mandorle, alle more e ai melograni fa la sua ricomparsa il cioccolato, che con i primi freddi si tramuta in una bomba di energia, e il miele spadroneggia insieme alle marmellate; ma quelli appena citati rappresentano solo alcuni degli ingredienti ricorrenti nei mesi che seguono all’ Estate e precedono il Natale. Autunno e dolci sono un binomio inscindibile. Perchè le temperature che calano incentivano il consumo degli zuccheri, ma anche perchè c’è più voglia sia di prepararli, che di consumarli. Dedicare un pomeriggio di pioggia all’ impasto di una torta è un’ occupazione allettante, così come gustare un delizioso dessert davanti al camino. Date un’ occhiata a questa gallery e fatevi venire qualche spunto…ne varrà la pena! Buon weekend a tutti.

 

 

 

 

 

Chi di notte sogna

 

” Chi di notte, dormendo, sogna, conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia: una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita (…). Il piacere del vero sognatore non dipende dalla sostanza del sogno, ma da questo: tutto quello che accade nel sogno, non accade solo senza il suo intervento, ma fuori del suo controllo. Si creano spontaneamente paesaggi, vedute splendide e infinite, colori ricchi e delicati, strade, case che non ha mai visto e di cui non ha mai sentito parlare. Compaiono degli sconosciuti che sono amici o nemici, benché chi sta sognando non abbia mai fatto nulla per loro né contro di loro. L’idea della fuga e l’idea dell’inseguimento tornano sempre, nei sogni, entrambe egualmente estasianti. Tutti dicono cose piene d’intelligenza e spiritose. È vero che, cercando di ricordarle durante il giorno, paiono sbiadite e senza senso perché appartengono a un’esistenza diversa; ma appena il sognatore si sdraia, la notte, il circuito si riallaccia e i sogni tornano a sembrargli stupendi. “

 

Karen Blixen, da “La mia Africa”