Vedesti il mare

 

“Opposto alla terra è il mare. Non permette sguardi dall’ alto, è orizzontale, pari. Ferma i passi e però è pure strada spianata. Lo vedesti calmo, senza una sponda in vista, fino a dove l’aria si confondeva con l’acqua. Ti venne voglia di salirci sopra. Eri arrivata al tuo punto di partenza. Rimanesti a fissarlo, una lastra lucente sotto il sole. Avevi la spinta a staccarti da tutto. Non ti aspettavi pace. In pochi giorni ti erano stati addosso tuo padre, dei gendarmi, dei banditi. Vedesti il mare, fine delle corse. Coi soldi dei capelli comprasti la tela cerata per lavorare a bordo, oltre al primo libro, l’alfabeto italiano. Dalla prima notte che dormimmo in barca non hai più dormito in terraferma. I tuoi figli sono stati concepiti a bordo di una chiatta. Scrivevi che era un ormeggio che si poteva sciogliere. Mi scrivesti, con la mano incerta delle prime lettere, del brevetto di subacqueo che avevi preso per lavorare alla pesca del corallo. Per mezz’ora di raccolta ci volevano ore di decompressione con le bombole. Lui restava a bordo. Scendevi con la lampada nell’ oscurità dei fondali lungo i fianchi di un vulcano sommerso. Ti sentivi al sicuro sul fondo del mare. I tuoi pericoli erano in terraferma. Shangai: il suo nome in cinese vuol dire stare al di sopra del mare. Avrei dovuto dirtelo. Sento di avvicinarmi a un punto simile a quello che è stato per te il mare. “

Erri De Luca, da “Le regole dello Shanghai”

 

 

Elisabetta I Tudor, l’incoronazione

 

“I preparativi per l’antico e complesso rito dell’incoronazione assorbivano gran parte del tempo di Elisabetta. Occorreva trovare un ecclesiastico disposto a officiare e, con il cardinale Pole defunto (era sopravvissuto a Maria solo per poche ore) e Heath, l’arcivescovo di York, diffidente nei riguardi dell’ intimo credo della nuova regina, la ricerca non si prospettava facile. Alla fine la scelta cadde su un oscuro suffraganeo di Heath, Owen Oglethorpe di Carlisle. Poi vi furono da appianare le controversie relative alla cerimonia, con i nobili che gareggiavano per ottenere la posizione di maggiore spicco durante le celebrazioni, i paramenti e gli arredi da ordinare, ecc. Nel giro di una notte, fu allestita una vera e propria impresa per fornire gli abiti, gli ornamenti e gli orpelli per la più sfarzosa delle occasioni regali: sarti e cucitrici per impuntire le vesti preziose e ricamatori, merciai e piumai per decorarle, pellai per reperire le pellicce e commercianti di tessuti per i ricchi velluti e le sete. I tappezzieri furono incaricati di rivestire la nuova portantina della sovrana con una stoffa intessuta d’oro e il seggio dell’ incoronazione nell’abbazia con un drappo argentato. Sellai e ferraioli prepararono sontuosi finimenti per i cavalli, mentre i coltellinai si occuparono delle spade cerimoniali e delle altre armi tradizionalmente indossate nel giorno dell’incoronazione. Il sarto della regina supervisionò l’ abbigliamento dell’ intera corte, non solo degli ufficiali e delle dame della sovrana, ma anche delle diverse centinaia di araldi, tirapiedi, musicisti e guardie che avrebbero seguito Elisabetta in processione. Nessuno fu dimenticato, nemmeno i fornitori di cibarie per le cucine del palazzo nè le lavandaie della regina, che ebbero una nuova veste rossa, e neppure i buffoni di corte, che avrebbero indossato sgargianti abiti in velluto arancione con inserti viola. “

 

Carolly Erickson, da “Elisabetta I – La vergine regina”

 

Foto: “Elizabeth I of England (1533-1603) in Coronation Robes”, dipinto di autore anonimo risalente al 1600 circa.

 

Il prato e il paradiso

 

“Sofia domandò com’ era il paradiso e la nonna rispose che forse assomigliava a quel prato là; stavano passando davanti a un pascolo a fianco del sentiero e si fermarono a guardare. Faceva molto caldo, la strada maestra era bianca e screpolata e tutte le pianticelle che crescevano lungo il ciglio del fossato avevano le foglie impolverate. Entrarono nel pascolo e sedettero sull’ erba che era alta e per nulla polverosa, e cosparsa di campanule e antennarie e ranuncoli. “Ci sono formiche in paradiso?” domandò Sofia. “No”, disse la nonna, e si distese con cautela sulla schiena, si tirò il cappello sul naso e cercò di dormire di nascosto. Lontano lontano si sentiva una macchina agricola, instancabile e pacifica. Escludendo il rumore della macchina, il che non era difficile, e ascoltando solamente gli insetti, questi diventavano migliaia di milioni e riempivano il mondo intero di ritmiche ondate d’estasi, e di un senso di estate. Sofia raccolse dei fiori e li tenne in mano fin quando divennero caldi e sgradevoli; allora li depose sulla nonna e domandò come facesse Dio ad ascoltare tutti quelli che pregano contemporaneamente. “E’ saggio, tanto saggio”, mormorò la nonna assonnata sotto il cappello. “Rispondi bene”, disse Sofia. “Com’è che ci riesce?” “Ha dei segretari…” “Ma come fa a esaudire le preghiere se non fa in tempo a parlare con i segretari prima che vada a finir male?” La nonna fece finta di dormire ma sapeva bene che non ingannava nessuno e alla fine disse che Dio predispone in modo che non possa succedere nulla di male fra l’attimo in cui si prega e l’attimo in cui viene informato sul contenuto della preghiera; allora la nipotina le domandò che cosa succede quando uno prega mentre sta cadendo da un albero e si trova ancora a mezz’aria. “Aha”, fece la nonna, e parve rianimarsi. “Allora fa in modo che si impigli in un ramo”. “Buona idea”, concedette Sofia. “Adesso tocca a te farmi delle domande. Ma devono essere sul paradiso.”

Tove Jansson, da “Il libro dell’estate”

 

 

Fellini e “La strada”

 

” In quel nostro primo incontro sulla terrazza del Lido, a un certo punto Fellini s’inoltrò nel racconto di La strada. Fu un momento sospeso tra la magia e l’ imbarazzo. L’idea che stesse progettando un film-favola, sia pure d’ispirazione neorealista, mi preoccupò per lui. Tanto che mi proposi, alla prima occasione, di sconsigliarlo vivamente, cosa che poi ebbi l’ opportunità di fare. Nello stesso tempo, però, mi rendevo conto che il narratore ci andava schiudendo dei panorami tali da consentire prospettive nuove su realtà antichissime: l’ Italia povera, i campi fangosi e freddi attraversati dai sottoproletari dello spettacolo, il rapporto brutale e primitivo fra l’uomo e la donna, ovvero il mondo contadino sopravvissuto ai margini delle vie consolari, i linguaggi perduti, i riti magici, i ricordi infantili e ancestrali. Senza rendersene conto, con perfetta naturalezza, quel cineasta di tipo nuovo si preparava a buttar giù i muri della cultura piccolo borghese dentro i quali la crescita dell’ Italia unita, in una regione come la sua Romagna fortemente segnata dal potere temporale, aveva cancellato i segni delle culture precedenti. Apprezzato o tollerato al tempo dei primi film come bozzettista crepuscolare, Fellini finì infatti per suscitare un’alzata di scudi con la triste odissea di Gelsomina, considerata elusiva e criptocattolica. Per anni nei caffè di via Veneto, nei saggi e nei dibattiti si andò proclamando che Fellini, con la sua formazione spavaldamente antintellettuale, era “fuori della cultura”. Solo dopo la svolta degli anni sessanta la sinistra pensante restituì legittimità alla forma della favola, riconoscendone il carattere mitografico, simbolico e perfino eversivo. E dovettero scomparire Stalin, Benedetto Croce e Pio XII perchè gli orizzonti si allargassero; sicchè quando i sapienti si avventurarono nel territorio inesplorato delle scienze dell’ uomo, fu per molti una sorpresa constatare che il regista di La strada era già là.”

Tullio Kezich, da “Federico. Fellini, la vita e i film”

 

Nella foto: una scena tratta dal film “La strada” con Zampanò (Anthony Quinn) e Gelsomina (Giulietta Masina). Immagine di Bucherwiliam, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Ricordi

 

” Questo luogo non ha mai avuto alcun rapporto né con me né con i miei antenati, ma chissà che un giorno non nasca fra noi uno stretto legame, un legame che si manterrà vivo per tutta la mia discendenza. Pensavo a ciò mentre salivo gli stretti scalini di pietra ricoperti di muschio sul retro della casa. Quella scalinata conduceva a uno spiazzo di circa sedici metri quadrati che non poteva essere sfruttato in altra maniera se non come punto panoramico. Ogni volta che venivo qui in cerca di solitudine, il silenzio a poco a poco mi penetrava nell’anima, liberava la mia mente da ogni pensiero, lasciando spazio solo alla bruciante nostalgia del passato. Di lassù era possibile cogliere con un solo sguardo la baia stretta dalla catena di montagne che accoglieva nel suo seno il villaggio sottostante. Al mattino e alla sera, dal molo situato ai margini partiva un piroscafo che collegava il paese con una grande città, l’irritante fischio del vapore si sentiva distintamente anche da qui. La sera il battello illuminato, piccolo quanto un ditale, puntava tenacemente al mare aperto. Osservando il tremolio delle sue luci, minuscole come la punta accesa di una bacchetta d’incenso, non potevo fare a meno di innervosirmi per la sua lentezza. Riflettevo spesso sui ricordi. Essi mi apparivano come oggetti insignificanti, di nessuna utilità, non altro che il guscio tolto alla vita trascorsa. A volte li scambiavo per gustosi frutti protesi verso il futuro, ma in realtà non erano altro che l’effimero conforto di esseri senza vigore, smarriti nel presente. Queste affermazioni così avventate, tipiche di una febbrile giovinezza, risalgono ad alcuni anni fa, quando molti pregiudizi influenzavano ancora i miei pensieri. Presto passai a riflessioni del tutto diverse. I ricordi diventarono per me la prova più essenziale del “presente”. Sentimenti come l’amore, la devozione, erano troppo duri perché riuscissi a individuarli nella realtà quotidiana, così avevo bisogno dei ricordi per riconoscerli, per capirne il giusto significato. I ricordi erano una sorgente che avevo trovato spostando mucchi di foglie, una sorgente che finalmente rispecchiava la volta celeste. “

Yukio Mishima, da “La foresta in fiore”

 

 

Beatitudine

 

” Una meravigliosa serenità, simile a questo dolce mattino di primavera, mi è scesa nell’anima e io ne godo con tutto il mio cuore. Sono solo e sono lieto di essere vivo in questo luogo creato per anime come la mia. Sono così felice, mio caro, così perduto nel senso di questa serena esistenza che la mia arte ne soffre. Ora non saprei disegnare nemmeno una linea, eppure non sono mai stato un pittore così grande come in questi momenti. Quando la bella valle effonde intorno a me i suoi vapori e il sole alto investe l’impenetrabile tenebra di questo bosco e solo qua e là qualche raggio riesce a penetrare in questo sacrario, e io mi stendo nell’erba alta accanto al torrente e, così vicino alla terra, scopro le piante più diverse e più singolari; quando sento vicino al mio cuore il brulichio del piccolo mondo in mezzo agli steli, le innumerevoli, incomprensibili figure dei bruchi e degli insetti e sento la presenza dell’Onnipotente che ci ha creati secondo la Sua immagine, l’alito del Supremo Amore che ci porta e ci sostiene in un’eterna beatitudine; quando, oh, amico mio!, i miei occhi si smarriscono in questa vertigine e l’universo e il cielo riposano nella mia anima come la figura di una donna amata, io provo allora l’angoscia di un desiderio e penso: oh, se tu potessi esprimere tutto questo, se potessi effondere sulla carta lo spirito di ciò che in te vive con tanta pienezza e con tanto calore, in modo da farne lo specchio della tua anima, come la tua anima è lo specchio del Dio infinito! Amico mio, io mi sento morire e soccombo alla forza e alla magnificenza di queste immagini! “

Johann Wolfgang von Goethe, da “I dolori del giovane Werther”

 

 

Un cielo di segni

 

“Puerto de Pollensa. Illa d’Or. Le case riposavano quiete nell’aria immobile, ciascuna avvolta in un delicato velo di fumo. Il viandante annega nella loro sfera come in anelli d’incenso, poiché il legno odoroso del pino montano alimenta la fiamma dei focolari. Il piacere che si prova in queste passeggiate solitarie è dovuto certamente anche al fatto che chi le compie omnia sua secum portat, come voleva il filosofo Biante. La nostra coscienza ci accompagna come uno specchio sferico, o meglio come un’aura il cui centro siamo noi. Le belle immagini penetrano in quest’aura e in essa subiscono un mutamento atmosferico. Così, noi passiamo oltre un cielo di segni come sotto aurore boreali e arcobaleni. Questo squisito sposalizio con il mondo, seguito da un nobile evento di riproduzione, fa parte dei supremi piaceri a noi destinati. La terra è la nostra eterna madre e donna, e come ogni donna fa, anch’essa dona qualcosa alla nostra ricchezza.”

Ernst Junger, da “Percorsi Balearici”

 

Il sonno e il sogno

 

” Di tutti i piaceri che lentamente mi abbandonano, uno dei più preziosi, e più comuni al tempo stesso, è il sonno. Chi dorme poco o male, sostenuto da molti guanciali, ha tutto l’agio per meditare su questa voluttà particolare. Ammetto che il sonno perfetto è quasi necessariamente un’appendice dell’amore: come un riposo riverberato, riflesso in due corpi. Ma qui m’ interessa quel particolare mistero del sonno, goduto per se stesso, quel tuffo inevitabile nel quale l’uomo, ignudo, solo, inerme, s’avventura ogni sera in un oceano, nel quale ogni cosa muta – i colori, la densità delle cose, persino il ritmo del respiro, un oceano nel quale ci vengono incontro i morti. Nel sonno, una cosa ci rassicura, ed è il fatto di uscirne, e di uscirne immutati, dato che una proibizione bizzarra c’ impedisce di riportare con noi il residuo esatto dei nostri sogni. Ci rassicura altresì il fatto che il sonno ci guarisce dalla stanchezza; ma ce ne guarisce temporaneamente, e mediante il procedimento più radicale riuscendo a fare che non siamo più. Qui, come in altre cose, il piacere e l’arte consistono nell’ abbandonarsi deliberatamente a quest’ incoscienza felice, nell’ accettare di esser sottilmente  più deboli, più pesanti, più leggeri, più vaghi dell’ esser nostro. (…) In che cosa consistono le caratteristiche alle quali teniamo di più, se contano così poco per chi dorme, e se per un istante, prima di rientrare di malavoglia nel mio guscio di Adriano, giungevo ad assaporare quasi coscientemente quell’ uomo vuoto di sè, quell’ esistenza senza passato?”

Marguerite Yourcenar, da “Memorie di Adriano”

 

 

Neve

 

” Subito dopo la partenza del pullman, mentre il passeggero seduto accanto al finestrino, pensando di poter vedere qualche cosa di nuovo, guardava con occhi attenti i quartieri della periferia di Erzurum, le minuscole e misere drogherie, i panifici e i caffè fatiscenti, aveva ripreso a nevicare. Adesso era più forte: i fiocchi erano più grandi di quelli del tragitto da Instanbul a Erzurum. Se il passeggero non fosse stato stanco per il viaggio e avesse prestato un po’ più di attenzione ai grandi fiocchi di neve che scendevano dal cielo come piume di uccelli, avrebbe potuto percepire che si stava avvicinando una violenta tormenta di neve e, forse, avrebbe potuto capire immediatamente di aver intrapreso un viaggio destinato a cambiare tutta la sua vita, e sarebbe potuto tornare indietro. Ma di tornare indietro adesso non gli passava proprio per la testa. Mentre la sera scendeva, guardava fisso il cielo che sembrava più luminoso della terra: contemplava i fiocchi di neve che man mano si facevano più grandi e si disperdevano nel vento, non come presagi di una prossima sventura ma, finalmente, come indizi del ritorno della felicità e dell’ innocenza della sua infanzia. (…) Sentiva che quella neve di una bellezza sovrannaturale lo rendeva persino più felice della Instanbul che aveva potuto rivedere dopo tanti anni. Era un poeta, e in una sua poesia di qualche anno prima, una poesia poco nota ai lettori turchi, aveva scritto che anche nei nostri sogni nevica, ma una sola volta nella vita. Mentre la neve scendeva fitta e silenziosa come nei sogni, il passeggero provò quella sensazione di innocenza e ingenuità che cercava appassionatamente da anni e, in un impeto di ottimismo, pensò di potersi sentire a proprio agio in questo mondo. Dopo un po’ fece una cosa che non faceva da tanto tempo: si addormentò nel suo sedile. “

Orhan Pamuk, da “Neve” 

 

 

“Per Sempre Giovani”: la Contessa Pinina Garavaglia lancia un live book crossmediale con la soundtrack di Dj Panda

 

Oggi ho il piacere, oltre che l’onore, di darvi una news del tutto speciale: è uscito ” Per Sempre Giovani – Poesie Viventi, Sonetti Attraenti”, il primo, travolgente live book della Contessa Pinina Garavaglia. Dove per “live book” si intende un volume multimediale, con tanto di soundtrack che ci accompagna lungo le sue 145 pagine. A firmare la suddetta soundtrack, una bomba in puro stile techno, è Ermanno Mainardi alias Dj Panda, un nome prestigioso nell’ ambito del clubbing: chi segue l’Infusion Power radiofonico della Contessa lo conosce bene, dato che i due collaborano al format ormai da tempo. Zacinto Edizioni, il marchio che il gruppo Biblion Edizioni dedica alla poesia, alla narrativa e ai testi teatrali votati alla crossmedialità, ha appena pubblicato questo eccezionale libro di “Poesie Viventi e Sonetti Attraenti”, un progetto innovativo (è il primo volume di poesie con sottofondo musicale mai stampato in Italia) presentato il 14 Gennaio scorso presso La Cavallerizza del Teatro Litta di Milano. Inutile dire che l’evento si sia avvalso di relatori di tutto rispetto: un gran cerimoniere del calibro di Mario Mattia Giorgetti, attore, regista e direttore di Sipario oltre che mentore della Contessa, e Roberto Vaio, curatore d’arte e speaker radiofonico. Ed è sempre Roberto Vaio a curare l’ introduzione del live book, addentrandoci sapientemente nel magico universo dei 104 componimenti in versi che racchiude.

 

La Contessa Pinina Garavaglia in un magnifico scatto del fotografo Donato Veneri

Per ascoltare la soundtrack è sufficiente inquadrare con lo smartphone il codice QR all’inizio di ogni capitolo; apparirà immediatamente il link al brano che verrà riprodotto in streaming. Si inizia con una ouverture-manifesto esaltata dal sottofondo impetuoso e ritmatissimo di Dj Panda, “In My Dimension”: “Non è mai troppo tardi per amare la burrasca del mare, per ballare con il tempo, per tuffarsi nel firmamento”, declama Pinina. “E’ una sorpresa travolgente, che può essere sconvolgente, ma che dà forza al cuore e libera la mente”…I versi sono ripetuti per ben tre volte, dando vita a un’atmosfera ipnotica e anticipando il mood trascinante, ad alto tasso di fascinazione e magnetismo, che fa da fil rouge all’ intero libro. Seguono le quattro sezioni che compongono il volume, “Nightlife”, “Wonderland”, “Celebrity Friends” e “Sonetti Attraenti”, ognuna contraddistinta da una colonna sonora con cui pulsa in perfetta armonia: “Overstate”, “Gold Dark”, “Sinless” e “Tensing” sono i titoli delle tracce musicali che le accompagnano. Conclude l’ opera una serie di foto della Contessa, con tanto di credits relativi ai designer che firmano le meravigliose creazioni di modisteria che indossa (Federico Caruso, che fu assistente di Franco Zeffirelli, Arrigo Sartoria Teatrale, Charmante Folie e Adriana Hot Couture hanno ideato per lei dei copricapo iconici, assolutamente straordinari); le immagini vengono magnificate a dovere dal sound di “Hartal”. “Per Sempre Giovani” non è soltanto un libro, è un piccolo capolavoro di arte sperimentale che combina musica e poesia. Per Pinina Garavaglia, spirito eclettico da sempre votato alla contaminazione, rappresenta una pietra miliare del suo percorso in bilico tra poesia e musica techno, teatro e body art. E’ un nuovo strumento di comunicazione artistica in cui i versi, immaginifici, adempiono a una precisa funzione: l’ evasione, la reazione e la ricreazione, una triade per Pinina quasi sacra. La soundtrack creata da Dj Panda convive mirabilmente con le poesie contenute nel volume; musica e versi si compenetrano, si sublimano a vicenda, raggiungono una simbiosi ideale. E se, come diceva Einstein, “Il tempo è un’illusione”, si evince che il concetto sintetizzato nel titolo racchiude una potente verità. Vogliamo essere così, “Per Sempre Giovani“: in questo live book la Contessa ci svela gli ingredienti del suo portentoso elisir di eterna giovinezza.

 

La ouverture mozzafiato di “Per Sempre Giovani”

 

Quali argomenti trattano, dunque, le poesie di “Per Sempre Giovani”? Complessivamente, potremmo definirle un’ escursione a tutto tondo nell’ essenza di Pinina Garavaglia. I titoli delle quattro sezioni del libro, in tal senso, sono significativi e rappresentano le più salienti sfaccettature dell’ anima poliedrica della Contessa. “Nightlife” corrisponde al primo capitolo. “Overstate”, la soundtrack delle poesie che include, esplode in un ritmo prorompente. Con queste incalzanti note in sottofondo ci addentriamo nel mondo fatato della notte, uno “scrigno prezioso” (come viene definito nel titolo di una lirica), uno “spazio di fuga/ di riposo di gioia/d’oblio e d’esaltazione/un luogo d’arte e genio/di vivida passione”(da “Lo Spettacolo è uno Scrigno Prezioso”). La Nightlife è un’altra dimensione, un regno parallelo dove la magia predomina e l’ impossibile si fa possibile. Laddove l’acqua balla con il fuoco e il sole si bacia con la luna, aleggia un alone potentemente onirico. La Dea Notte porta con sè colori cangianti, onde danzanti, scintillio di diamanti, e anima corpi altrimenti condannati a vegetare nella “pietraia umana”. La fiaba si insinua frequentemente, in questo universo alimentato da un’ “energia cosmica turbosensibile”: a una Fata Morgana che risplende di luce si affiancano “re d’oro e regine argentine/gialli scudieri e rossi cavalieri/candide fate e specchi incantati/verdi folletti e draghi infuocati” (da “I Ribelli”). Mezzanotte è l'”ora fatata” in cui si aprono i cancelli della “Notte liberata”, ma l’ oscurità, oltre all’aspetto sognante, mostra le sue molteplici sfaccettature. Nel buio si accendono sprazzi di pura realtà, come quando la Morte esplode in una risata sguaiata mentre la macchina sfreccia sull’asfalto (“Velocità”), l’alba sorge improvvisa e spezza l’incantesimo del chiar di luna (“Aurora in Fuori Orario”) o l’Autogrill, da mera area di ristoro, si tramuta in un’oasi “di delirio caramellato” dove le creature della notte approdano per rifocillarsi (“Autogrill”). Al Reame caleidoscopico della Nightlife, però, non può accedere chiunque. L’ingresso è precluso all’ “uomo-robot” di metallo e ruggine, a chi confonde il vivere con il sopravvivere, alle “formiche” stakanoviste incastrate nel meccanismo brutale della propria esistenza.

 

 

La sezione “Wonderland” abbandona le ambientazioni notturne per trasferirsi nella vita quotidiana. Ma non è esattamente un “Paese delle Meraviglie“, quello descritto da Pinina Garavaglia. Nelle sue liriche, la Contessa esplora il mondo circostante con sguardo disincantato e spesso critico, avvalendosi di metafore fantasmagoriche per esprimere il suo disgusto nei confronti di determinate tipologie di individui, fenomeni di costume e situazioni. Qualche esempio? La trash TV, le verità truccate, l’umana ipocrisia, le convenzioni, la banalità e l’invasione spudorata della privacy, un’attività oggi molto praticata. Il disprezzo di Pinina si esprime tramite versi che trasudano irriverenza e non di rado ironia. Basti pensare alla conclusione della “Favoletta delle donnine col sedere turchino o della privacy”, dove le api, morbosamente spiate dai personaggi citati nel titolo, “difendono con ardore la loro intimità/muoiono a frotte/preferiscono cadere/però a tutte le donnine han fatto viola il sedere.” Oppure alla poesia “Ladri”, che esordisce con “La bestia umana spia/l’occhio trapassa il bronzeo portone/che sbarra la segreta tua dimensione”. “Il tuo intimo castello”, scrive la Contessa, “non cede all’ invasione (…) ogni cosa si può violare/ma i tuoi pensieri liberi/nessuno può rubare.” Ai sentimenti di avversione, però, si alternano squarci di positività: in “Ibiza Therapy”, la isla blanca diviene un’ “isola fatata” che “cura e depura”, ne “La Festa Miracolosa” “l’arcano dono del Supremo Amore” sconfigge il Tempo, la Ragione e la Convenzione, ne “Il cammino” il Tempo è invece un’ ombra che nel suo eterno avanzare fa riaffiorare il ricordo “di un Natale remoto di stelle d’oro”…A fare da soundtrack alla sezione “Wonderland” è “Gold Dark” di Dj Panda, un brano che riflette anche nel titolo l’ ambivalenza dei temi esplorati.

 

La Contessa Pinina Garavaglia e DjPanda alla presentazione di “Per Sempre Giovani”

“Celebrity Friends” è un capitolo interamente dedicato ad alcune celebrità che, per un motivo o per l’altro, sono entrate nella vita di Pinina Garavaglia. La Contessa dedica liriche ai personaggi famosi che l’hanno colpita, affascinata, che in lei hanno lasciato un segno. I VIP in questione sono il grande violinista Uto Ughi, l’indimenticabile Gianni Versace, la Pantera del Pop Grace Jones, il fotografo Giovanni Gastel, l’attrice Piera Degli Esposti, la danzatrice Maria Cumani Quasimodo (moglie di Salvatore Quasimodo), il direttore d’orchestra Antonino Votto, il padre della Pop Art Andy Warhol, la scrittrice e traduttrice Fernanda Pivano e il principe Egon von Fürstenberg. I versi di “Celebrity Friends” si integrano alla perfezione con l’ esplosivo sottofondo di “Sinless” creato da Dj Panda.

 

Pinina Garavaglia declama i suoi versi alla Cavallerizza del Teatro Litta

“Sonetti Attraenti”, la quarta sezione del libro, si apre con le martellanti note di “Tensing”. In questo capitolo le poesie si tramutano in ciò che la Contessa chiama i suoi “Sonetti”, sebbene sia una definizione non dettata da criteri di tecnica compositiva. Un paragone a bruciapelo potrebbe avvicinarli agli Haiku giapponesi, ma anche in tal caso a prescindere dalla loro struttura metrica: la similitudine risiede solo nella brevità dei componimenti e nella concentrazione, in poche righe, di versi di forte impatto.  L’ aggettivo “attraenti” incluso nel titolo non poteva essere più pregnante. Sono sonetti magnetici, evocativi, immaginifici, che conquistano all’ istante. Utilizzando un altro termine per descriverli, li definirei “accattivanti”; certamente, non nel senso di confezionati ad uso e consumo del gradimento del lettore. I versi spaziano tra temi come i dubbi, il tempo, la tradizione, la seduttività, la passione, la vanità del cuore. Inneggiano a stagioni inebrianti quali l’estate e la primavera e a fasi chiave della giornata, ovvero il crepuscolo e l’aurora, inondandole di pathos. L’ amore, tuttavia, è l’argomento predominante. Il modo in cui si rapporta ad esso ci rivela molto della Contessa, focalizzando l’attenzione su un aspetto che in pochi conoscono e fornendo nuovi indizi nella complessa percezione della sua persona. “Bevi l’acqua dell’amore/alla fonte della Vita/ma il tuo cuore si disseta/solamente se è pulita…”, scrive Pinina Garavaglia in “Sete d’amore”. E poi, in “Amanti di fumo”: “Attenzione all’ ingannevole fiamma/all’ involucro attraente di niente/alla potenza della parola vana/impressa nella gioia presente/che in un attimo è passata/ e fuggente…” L’utilizzo dei puntini di sospensione a conclusione dei sonetti è onnipresente, quasi a suggerire una possibile molteplicità interpretativa. Oppure, allo scopo di esaltare il lato misterioso che ogni Sonetto concentra in sè. E’ una delle loro peculiarità, uno dei motivi per cui risultano potentemente “attraenti”: quei puntini di sospensione costituiscono una sorta di monito, hanno il potere di tramutare i versi in frasi sibilline. Come avviene in “Il Tempo Disperso”, dove la Contessa recita: “Chi guarda il paesaggio/e solo un deserto vede/ha fermato i suoi passi/senza miraggio più non procede./Se cerchi una vetta/non scalare colline…” Giuseppe Ungaretti, d’altronde, dichiarava che “la poesia è poesia quando porta con sé un segreto”. E in tutti i sonetti di Pinina Garavaglia questo segreto viene splendidamente celato: il mistero non è altro che il baluginante alone che esso sprigiona.

 

Nightlife: la Contessa e DjPanda si esibiscono in una discoteca di Milano

Approfondire la colonna sonora di “Per Sempre Giovani” è fondamentale. Ermanno Mainardi alias Dj Panda è entusiasta del live book, che definisce “pionieristico” perché mai prima d’ora poesia e musica si erano unite in un volume. Per Panda si tratta di un progetto “visionario e brillante”: “visionario” in quanto attinge al passato – le origini della poesia si perdono nella notte dei tempi – per proiettarsi nel futuro, “brillante” perché, a partire dalla ouverture, il libro ti coinvolge, ti trascina incessantemente lungo tutte le sue pagine. Le tracce sembrano composte ad hoc per fare da sottofondo ai versi della Contessa, ma in realtà sono nate diversi anni fa. “Quando Pinina mi ha chiesto di occuparmi della soundtrack del libro, le ho risposto che molti pezzi del mio archivio sarebbero stati ottimi in tal senso. Lei ha ascoltato quelli che a me sembravano più adatti e se ne è subito innamorata. Ne ha selezionati alcuni e devo dire che, incredibilmente, quei brani risultavano in perfetta sintonia con i suoi versi. Tra musica e poesia si è instaurata una sinergia immediata, e così è avvenuto anche per i titoli delle tracce. Abbiamo mantenuto quelli originari perché, per pura coincidenza, corrispondono ai temi delle quattro sezioni. L’unico titolo che ha subito un cambiamento è stato “My Dimension”, che è diventato “In My Dimension” alludendo all’ universo di Pinina.

 

 

Nel progetto, nato quasi casualmente, Dj Panda ha creduto sin dall’ inizio. Gli è bastato constatare le forti emozioni che suscitava in lui il “montare” versi su un sottofondo musicale: passo dopo passo, come per magia, la soundtrack e le liriche andavano fondendosi in un connubio eccezionale. “La musica dà movimento alla poesia di Pinina, la eleva”, spiega Ermanno, e prosegue: “C’è musicalità nel declamare della Contessa. Sembra rivolgersi al mondo della notte persino quando è il silenzio a fare da sfondo ai suoi versi: per questo le liriche che compone prendono vita in totale sintonia con le note.” Mainardi si augura che “Per Sempre Giovani” possa inaugurare un nuovo modo di fruire della musica, associandola a mondi completamente diversi come, in questo caso, quello della poesia. “Un primo riscontro l’ho avuto alla presentazione del libro, dove il pubblico era più che trasversale. La contaminazione ti porta ad ampliare la tua visuale, le arti si arricchiscono a vicenda: ognuna è una porta aperta su un nuovo universo che sei invogliato ad esplorare.”

 

Uno scatto della presentazione del libro a Milano

Bisogna aggiungere che il libro della Contessa è uno strumento polifunzionale. Musica e versi convivono alla perfezione, ma possono vivere anche separatamente.  La soundtrack, ad esempio, potrebbe essere il sottofondo ideale per una serata o un evento, mentre le poesie non stonerebbero fondendosi con altre realtà. Chiedo a Dj Panda quali iniziative ha in programma, di qui in avanti, insieme a Pinina Garavaglia. “Sicuramente proseguiremo con i progetti radiofonici legati all’ Infusion Power”, risponde, “e nel frattempo ci occuperemo della promozione del live book. Tra Milano, Torino e Bologna si stanno già concretizzando alcune situazioni. Dovremo presentarlo anche a Roma, ma al momento non abbiamo date ben precise: stiamo definendo il da farsi proprio in questi giorni.” Potete tenervi aggiornati sul calendario delle presentazioni consultando il profilo FB della Contessa Pinina Garavaglia (cliccate sul nome per collegarvi al link).

 

La Contessa e Dj Panda: la gioia negli occhi per un progetto pienamente riuscito