Passeggiata nel bosco autunnale

 

Il bosco risuona e tace: tace quando ascolto, risuona quando mi addormento.

(Pablo Neruda)

 

Il bosco in Autunno, pura meraviglia: un tripudio di colori che spaziano dall’oro al porpora, dal ruggine al vinaccia, dall’arancio al rosso. Se questa Estate siamo andati al mare per sfuggire all’afa e godere di tutti i benefici del salmastro, adesso è tempo di trasferirci in montagna. Solo addentrandoci nei boschi possiamo vivere l’Autunno appieno: la natura, con la sua graduale metamorfosi, suscita emozioni da lasciare senza fiato. Passeggiando tra gli alberi, lungo i sentieri o le radure, assistiamo allo spettacolo del foliage. C’è da rimanere letteralmente estasiati di fronte alle cromie assunte dal fogliame; piante come il tiglio, il castagno, il faggio, il pioppo tremulo, stupiscono con le straordinarie tonalità sfoggiate dalle loro chiome.

 

 

I funghi, grazie alle piogge e all’abbassamento delle temperature, cominciano a proliferare nel sottobosco. I cercatori dell’“oro dei boschi” vanno già alla spasmodica ricerca di gallinacci, porcini e mazze di tamburo; per evitare di incappare nelle specie velenose è imprescindibile una buona conoscenza micologica. Si rivela necessario, inoltre, apprendere la legislazione locale in materia di raccolta dei funghi.

 

 

La fauna selvatica è parte integrante delle bellezze del bosco autunnale. Le volpi, i cinghiali, i cervi, le lepri, i daini, i mufloni, gli scoiattoli, e molti altri animali ancora, adottano gli atteggiamenti tipici di stagione: non si fermano un minuto, vagano senza sosta alla ricerca di provviste per l’Inverno. Per i cervi, poi, tra Settembre e Ottobre ha inizio il periodo degli amori; i maschi emettono frequenti braiti e organizzano combattimenti per conquistare i favori delle femmine. In montagna è possibile alzare gli occhi e vedere grandi stormi di uccelli migratori che sfrecciano nel cielo: la partenza dei volatili per i paesi caldi è un appuntamento imperdibile, e potervi assistere è quasi un privilegio. Per gli appassionati di birdwatching, il bosco d’Autunno si rivela un autentico paradiso. Anche gli uccelli, come il resto della fauna selvatica, vanno a caccia di cibo da immagazzinare prima dell’arrivo del gelo. In questo periodo, sui monti risalta la presenza dei rapaci, che colpiscono per la loro maestosità: il falco pellegrino, l’astore, la possente aquila reale.

 

 

In quanto a doni della terra, invece, che cosa ci regala il bosco oltre ai funghi? Castagne a volontà, naturalmente, ma non solo: anche le mele la fanno da padrone. Raccoglierle è un vero e proprio divertimento; non è un caso che molte aziende agricole includano la raccolta delle mele tra le attività destinate ai loro visitatori. Sui sapori del periodo tra Estate e Inverno, VALIUM si è soffermato già. E dato che il mese di Ottobre domani farà la sua entrata trionfale, vi invito a organizzare una passeggiata nel bosco per addentrarvi nel cuore della nuova stagione. E’ un’esperienza irrinunciabile che vi permetterà di conoscere da vicino le meraviglie naturali dell’Autunno e di innamorarvene profondamente, proprio come merita.

 

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L’Autunno a tavola

 

Uva, castagne, funghi, fichi, zucche, mele, lenticchie, broccoli, frutta secca, cereali integrali, mais, cavoli, melograno…La tavola, in Autunno, si riempie di una miriade di cibi, di sapori e di colori. Sono cibi salutari, che ci aiutano ad affrontare al meglio il cambio di stagione: contengono dosi massicce di vitamine, nutrienti, sali minerali, proteine, antiossidanti, omega 3; rinforzano il sistema immunitario aiutandoci a prevenire i malanni da raffreddamento e donano una sferzata di energia all’organismo. I benefici che apportano sono innumerevoli, impossibile elencarli tutti. Possibilissimo, invece, è includere questi cibi nella nostra dieta per avvalerci di un mirabile connubio di salute e gusto che ci accompagni nella nuova stagione.

 

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Il vino e i suoi colori

 

Autunno, tempo di vino. Ma non tutti i vini, e lo sappiamo bene, hanno lo stesso colore. Potremmo inserirli in tre diverse tipologie cromatiche: vini rossi, vini bianchi e vini rosati. La loro colorazione dipende dai pigmenti vegetali presenti nella buccia dell’uva: gli antociani sono i responsabili della tonalità dell’uva rossa, i flavoni di quella dell’uva bianca e gialla, mentre l’ossidazione delle catechine e dei leucoantociani determina le sfumature più intense dell’uva bianca. Scopriamo meglio, nel dettaglio, come si ottengono i colori delle tre tipologie principali di vino.

 

Vino bianco

 

Viene vinificato dall’uva a bacca bianca. Tuttavia, a volte si adopera anche l’uva a bacca nera, ma tramite uno specifico procedimento: la sgrondatura. La separazione, cioè, delle bucce dal mosto nel momento immediatamente successivo alla spremitura; ciò permette di evitare la macerazione delle bucce nel mosto. E dato che sono i pigmenti contenuti nelle bucce degli acini a determinare la colorazione dell’uva, questo processo fa sì che si possano ottenere vini bianchi anche dall’uva a bacca nera.

 

Vino rosso

 

E’ il risultato della vinificazione dell’uva a bacca nera. La sgrondatura viene effettuata dopo un notevole lasso di tempo dalla macerazione delle bucce nel mosto; questo periodo varia a seconda del tipo di vino, ma di solito dura una manciata di giorni.

 

Vino rosato

 

Viene utilizzata l’uva a bacca nera, ma riducendo al minimo i tempi di macerazione delle bucce nel mosto; oppure, si ottiene una miscela di vino rosso e vino bianco utilizzando l’arte della cuvée, un particolare processo di assemblaggio. Ciò non riguarda, comunque, i vini fermi DOC poichè è vietato utilizzarli in questo tipo di procedimento.

 

 

Ma non esistono solo le tre colorazioni di cui abbiamo parlato: ciascuna di esse è contraddistinta da molteplici sfumature. Da ognuna si deduce di quale tipo di vino stiamo parlando. Come riconoscere, dunque, un vino dal suo colore? Facciamo subito qualche esempio.

 

Le gradazioni del vino bianco

 

I vini giovani sfoggiano sfumature giallo paglierino, che possono assumere una vaga tonalità verdognola in quelli più freschi.

I vini bianchi strutturati, che offrono un’esperienza degustativa estremamente avvolgente, hanno un tipico colore giallo dorato. Ciò vale anche per i vini ottenuti con vendemmia tardiva, quando l’uva viene lasciata appassire sulla vite dopo la maturazione, e per i passiti, realizzati tramite l’appassimento in fruttaio. Il giallo dorato può contraddistinguere, inoltre, i vini per i quali sono state utilizzate bucce che esibiscono una tonalità più scura.

I vini concentrati sono caratterizzati, invece, da una nuance di giallo ambrato: tra essi rientrano i passiti e i vini liquorosi o fortificati.

 

Le gradazioni del vino rosso

 

I vini giovani e di pronta beva, freschi e gradevoli al gusto, hanno intense sfumature rosso porpora.

I vini rossi di media struttura, così come quasi tutti i vini rossi, ostentano un bel rosso rubino.

I vini di lungo affinamento, lasciati cioè maturare a lungo direttamente in bottiglia, sono tinti di un caratteristico rosso granato.

Quando il suo stato evolutivo indica un’evidente maturazione, il vino assume decise sfumature rosso arancio. Se questa colorazione riguarda la totalità della bevanda, può designare invece un vino ricco di note ossidative: realizzato, cioè, tramite un processo di esposizione controllata all’ossigeno. Oppure ancora, la tonalità aranciata denota un’alterazione del vino.

 

Le gradazioni del vino rosato

 

Anche il vino rosato non ha un unico colore. Ad esempio, assume una gradazione rosa tenue quando le bucce dell’uva sono state lasciate a macerare per pochissimo tempo.

Quasi tutti i rosati sfoggiano una tonalità rosa cerasuolo, che conferisce loro un aspetto lussuoso.

La sfumatura che i francesi chiamano pelure d’oignon, ovvero buccia di cipolla, riguarda invece soprattutto gli spumanti e si identifica con un rosa intenso.

I vini rosati fermi, di media intensità, presentano una gradazione di rosa ancora più intensa: il rosa chiaretto. E’ per questo che prendono il nome di Clairet, “chiaretto” in francese.

 

La colazione di oggi: il Golden Milk, latte d’oro dalle mille virtù della medicina Ayurveda

 

La rubrica “La colazione di oggi” ritorna proponendovi la perfetta bevanda autunnale: avete mai sentito parlare del Golden Milk? Proviene dall’India ed appartiene alla tradizione della medicina ayurvedica. Non stupisce, quindi, che in Oriente venga considerata un must per il benessere psicofisico. Il Golden Milk è energetico, nutriente, ricco di proprietà salutari per l’organismo. Ma di cosa si tratta, esattamente? Scopriamolo insieme. Il Golden Milk è una bevanda a base di curcuma, la cosiddetta “spezia d’oro” (da qui il nome del latte) dalle molteplici virtù. In India, la curcuma è utilizzatissima; non è un caso che l’Ayurveda (la secolare medicina indiana dall’approccio olistico) ne abbia fatto un cardine dei suoi rimedi naturali. Anticamente, la ricetta del Golden Milk comprendeva il latte vaccino, la curcuma e il pepe nero, oggi si preferisce aromatizzarlo con dolcificanti come il miele e con latti vegetali, tipo quello di soia, di cocco o di mandorla. E’ dalla curcuma che derivano i maggiori benefici della bevanda: il suo principio attivo, la curcumina, può essere considerato un toccasana per l’organismo, ma per far sì che – essendo liposolubile – venga adeguatamente assorbito, deve accompagnarsi a un grasso (ecco il perchè del latte). Spezie quali il pepe nero o lo zenzero, invece, favoriscono il processo della sua metabolizzazione. Il corretto assorbimento e la biodisponibilità della curcumina, dunque, risultano fondamentali. Di ciò bisogna tenere conto al momento di variare la ricetta del Golden Milk, che deve possedere imprescindibilmente le suddette caratteristiche.

 

 

Il latte d’oro, bevuto molto caldo, è ottimo per la prima colazione. Può sostituire il classico caffè o il caffellatte, perchè regala una carica energetica perfetta per iniziare la giornata. Ma è anche  la bevanda ideale dei primi pomeriggi freddi: riscalda il corpo e tonifica l’organismo. Accompagnandola a una fetta di dolce o a dei biscotti, il suo gusto speziato ne esalterà il sapore.

 

 

Per capire meglio la valenza che ricopre il Golden Milk in Oriente, bisogna saperne un po’ di più sulle sue origini. Il latte d’oro nasce in India, ed è legato a doppio filo all’Ayurveda: questa ancestrale medicina indiana concepisce la salute come un perfetto equilibrio tra corpo, psiche e ambiente; in un simile connubio armonico, un ruolo chiave viene riservato all’alimentazione. Il latte d’oro, con le sue proprietà benefiche, si inserisce mirabilmente nella filosofia Ayurveda. Per raggiungere il benessere psicofisico, andrebbe bevuta una tazza di Golden Milk al giorno per almeno un mese di seguito. Le virtù della curcuma sono ormai note in tutto il mondo: questa spezia garantisce il benessere delle articolazioni, purifica il fegato, svolge una potente azione antinfiammatoria, rafforza il sistema immunitario e contrasta i malanni da raffreddamento. L’Autunno è la stagione ideale per imparare a conoscere il latte d’oro. Va bevuto bollente, assaporandolo sorso dopo sorso, perchè  è un’autentica delizia per il palato.

 

 

Agli ingredienti di base del Golden Milk, possono esserne affiancati altri a nostro piacimento; sempre tenendo presenti, comunque, le esigenze di assorbimento e metabolizzazione della curcumina. Ricapitolando, la ricetta del latte d’oro ruota attorno alla curcuma in polvere, al latte vaccino o vegetale (soia, cocco, riso, mandorle e così via) e al pepe nero macinato. Per personalizzare il gusto della bevanda, potete sbizzarrirvi a utilizzare ulteriori spezie o erbe aromatiche e dolcificare il tutto con il miele o gli sciroppi più golosi in circolazione.

 

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La vendemmia: un rito antichissimo e le sue tradizioni

 

Sono i giorni più belli dell’anno. Vendemmiare, sfogliare, torchiare non sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non ancora; c’è qualche nuvola chiara, si mangia il coniglio con la polenta e si va per funghi.
(Cesare Pavese)

 

Settembre, da sempre, è tempo di vendemmia. Un termine che indica la raccolta dell’uva da vino: l’ultima tappa di un impegno nei vigneti che dura un anno intero, a cominciare dalla potatura invernale di Gennaio. L’uva che si raccoglie durante la vendemmia, in sintesi, è quella che troviamo sulle nostre tavole tramutata in delizioso nettare degli dei. Ma la vendemmia, oltre ad essere una pratica agricola, è un vero e proprio rituale: sopravvive da secoli, portando con sè un bagaglio di tradizioni, usanze scaramantiche e tecniche entrate far parte degli annali della cultura agreste. La vendemmia nasce nell’antica Roma, e lo dice il termine stesso; “vendemmia” proviene dal latino “vindimia”, che unisce “vinum” (vino) e “demere” (raccogliere). Sin da allora, dunque, designava la raccolta dell’uva destinata alla vinificazione. I romani adoravano questo periodo, tant’è che gli dedicarono una festività, i “vinalia rustica”, che cadeva ogni 19 Agosto. Ma non solo: chiamarono il mese di Settembre “mensis vindemialis” e lo consacrarono interamente alla vendemmia. In quei giorni, il lavoro nei vigneti veniva coniugato con feste e rituali in onore degli dei; i romani esprimevano così la loro gratitudine alle divinità per l’abbondanza del raccolto.
E qui torniamo al discorso iniziale: la vendemmia, al di là dell’importantissima funzione che ricopre a livello agricolo, è sempre stata un’attività ricca di significati. In primis rappresenta un momento di aggregazione fondamentale per la comunità agreste, un evento all’insegna della convivialità e della voglia di festeggiare. Ci si ritrova tutti insieme in vigna e la raccolta dell’uva viene celebrata con canti, stornelli, chiacchiere e risate. Il duro lavoro si alleggerisce lasciando il posto alla magia che impregna questa fase dell’anno agrario. Usanze e rituali abbondano, così come la superstizione. E una volta terminata la raccolta, ci si diverte tramite balli, degustazioni e musica rigorosamente suonata dal vivo. La vendemmia è una festa da condividere in compagnia.
In più, c’è un dato non trascurabile da prendere in considerazione: il vino produce ricchezza. E non solo in qualità di bevanda. L’enoturismo, ovvero il turismo del vino, ultimamente ha conosciuto un incremento eccezionale. Un  numero sempre maggiore di persone è attratto da mete che hanno fatto del vino la loro eccellenza. Si moltiplicano le visite alle cantine, ai grandi vigneti, alle aziende vinicole, per vivere esperienze che spaziano dal semplice giro di perlustrazione ai workshop, le attività all’aria aperta, le degustazioni, gli approfondimenti culturali sui “territori del vino”. Il valore del vino, di conseguenza, è inestimabile sia dal punto di vista economico ma anche socio-culturale: definisce l’identità di un luogo, ne sancisce le tradizioni, favorisce la socialità e la coesione sociale.
Continuando a parlare della vendemmia e delle sue usanze, notiamo che sono innumerevoli e variano da regione a regione. Si tratta di consuetudini secolari, ma per la maggior parte tuttora in uso: un modo per mantenere ben saldo il legame tra l’uomo e le proprie radici. Ma quali sono le tradizioni più diffuse nei vigneti d’Italia? Tanto per cominciare, prima ancora che la vendemmia inizi, la vigna dovrebbe essere benedetta da un sacerdote: questo gesto, oltre che a scacciare la malasorte e a porre il vigneto sotto la protezione divina, serve a garantire un raccolto vinicolo abbondante.
La data di inizio della vendemmia, solitamente, viene stabilita dopo un attento studio delle fasi lunari, che si pensa possano influire sull’uva e sulla sua pregiatezza. Si tratta più che altro di superstizioni, ma sono in pochi a non tenerle in conto. Per una buona vendemmia, dunque, ne andrebbe ponderato l’avvio con il calendario alla mano.
Il primo grappolo d’uva raccolto ha un’importanza decisiva. Lo si mostra a tutti i partecipanti, a volte lo si benedice, lo si passa di mano in mano, lo si condivide mangiandone qualche chicco a testa. Ciò assicurerebbe una buona riuscita della vendemmia e una copiosa raccolta di grappoli.
L’inizio della vendemmia è un momento cruciale: le tradizioni proliferano e sono tutte volte a propiziare il successo della pratica agricola. In molte regioni italiane, ad esempio, la prima persona che entra nel vigneto è determinante. Una classica figura di buon auspicio è la donna, che alcuni vogliono bionda e altri bruna. Costei sarebbe portatrice di fecondità.
E’ comune accompagnare la vendemmia con canti, stornelli e botta e risposta pepati tra i due sessi. Nelle Marche, per esempio, i più giovani erano soliti scambiarsi frasi di corteggiamento attraverso gli stornelli. Si faceva a gara a chi formulava la proposta più arguta, o a chi replicava con un’altrettanto arguta risposta. Gli adulti chiacchieravano tra loro del più e del meno. Si rideva molto, questo sì, e la fatica risultava dimezzata. In alcuni vigneti d’Italia, invece, si ritiene che la vendemmia vada svolta in silenzio: servirebbe a non risvegliare le entità naturali, che potrebbero vendicarsi rendendo l’uva di pessima qualità.
Vendemmiando, va fatta molta attenzione al numero di grappoli che contiene ogni cesta. Anche in questo caso, trionfa la superstizione: tuttavia, le credenze differiscono in ogni regione. Ad attirare la buona sorte potrebbe essere, a seconda del territorio, un numero pari o un numero dispari. Il numero pari sarebbe emblema di armonia, il numero dispari di straordinarietà.
Frequenti sono anche le usanze che riguardano il primo mosto, il succo dei grappoli schiacciati poco tempo prima: a scopo propiziatorio viene versato sul suolo oppure lo si usa per produrre il vino “apripista” dell’annata.
Lo spirito della vigna è una credenza popolare molto diffusa. Questo spirito veglierebbe sul vigneto proteggendolo costantemente; non è un caso che un gran numero di viticoltori gli dedichi preghiere o doni per attirarsi i suoi favori.
Esistono poi delle curiosità che voglio citare ispirandomi ancora una volta alla mia regione, le Marche. Torniamo per un momento alla raccolta dell’uva. I grappoli venivano inizialmente sistemati nelle ceste e, a filare ultimato, versati nelle cassette che con un biroccio (un carretto a due ruote) si trasportavano fino alla cantina. Lì le uve si scaricavano nelle “canà”, grandi vasche adibite alla pigiatura. Quindi iniziava il lavoro che uomini e donne compivano con i propri piedi, pigiando i chicchi per lasciar fuoriuscire il mosto. Il movimento era una sorta di saliscendi che coinvolgeva  in alternanza la punta e il tallone del piede. Questa operazione, a seconda della quantità d’uva raccolta, non era raro che durasse tre giorni di fila. L’elemento interessante è la leggenda che è stata imbastita attorno alla pigiatura: si narra che un conte, avendo notato che i pigiatori procedevano stancamente, mandò a chiamare un suonatore ambulante di organetto. Quando questi arrivò nella cantina, il conte gli chiese di suonare una ballata dal ritmo serrato e molto allegra. I pigiatori si rinvigorirono non appena la ascoltarono, si lasciarono trascinare dalla musica e diedero involontariamente vita a un ballo che fu chiamato “saltarello”: è tipico delle Marche e di molte regioni dell’Italia centrale, come il Lazio, l’Umbria e l’Abruzzo. Viene considerata una delle danze più antiche d’Italia; con la vendemmia ha dunque in comune, oltre che l’origine, le radici ancestrali.
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L’Autunno e i suoi odori

 

Alla nuova stagione ci stiamo avvicinando a grandi passi. Mancano 15 giorni all’Equinozio, ma trovo interessante proiettarci fin d’ora nel mood autunnale. Oggi, ad esempio, parlaremo dell’ aroma dell’Autunno: perchè l’Autunno, così come ogni stagione, ha i propri odori peculiari e inconfondibili. Come potremmo descriverli esattamente? L’Autunno è una passeggiata nel bosco, aria frizzante da respirare a pieni polmoni. Sa di muschio, foglie morte, terra bagnata, funghi porcini, castagne, nocciole, legni impregnati di pioggia e nebbia. Sono odori intensi, che rilassano e permettono di assaporare appieno il nuovo ciclo naturale; inneggiando a quest’ultimo, ribadiscono il continuo divenire del creato. Anche i fiori prendono parte a questa danza olfattiva. In Autunno, quelli dell’ osmanto sprigionano un profumo potentissimo che alcuni paragonano alla fragranza della gardenia o della magnolia grandiflora. I fiorellini dell’ eleagno, pressochè invisibili, emanano una scia olfattiva che può essere annusata anche a diversi metri di distanza.

 

 

E poi c’è la camelia sasanqua, con i suoi fiori coloratissimi e vistosi; la datura, con i suoi petali disposti a campana; il ciclamino boscolino, dalla profumazione molto intensa…Le rose autunnali, vere e proprie meraviglie che rimangono in fiore fino all’inizio dell’Inverno.

 

 

Tutti aromi che in città, purtroppo, sono quasi impercettibili poichè si disperdono nell’ambiente. E ogni Autunno che passa li vede sempre meno protagonisti: ormai, tutti i segni distintivi stagionali si manifestano con un netto ritardo. Nel 2022, i ricercatori dell’USA National Phenology Network (la fenologia è una disciplina che studia la correlazione tra i mutamenti biologici di determinati organismi e i fenomeni stagionali) hanno invitato gli statunitensi a passeggiare nei propri luoghi di residenza registrando le caratteristiche e i mutamenti associati alla stagione autunnale. Le annotazioni dovevano essere riportate su un taccuino da consegnare, in seguito, agli stessi ricercatori. In molti hanno segnalato l’assenza dei tipici aromi autunnali, e il responso degli studiosi al riguardo si è rivelato assai interessante.

 

 

I membri dell’USA National Phenology Network hanno spiegato il fenomeno associandolo ai cambiamenti climatici: il calore persistente e la siccità avevano causato una caduta prematura delle foglie degli alberi, inoltre il caldo umido trattiene gli odori amalgamandoli in un’unica miscela. Risulta quindi impossibile distinguerli, percepirli nitidamente. All’epoca della ricerca, l’afa ininterrotta aveva ritardato l’arrivo dell’Autunno e la siccità si era rivelata nefasta per la vegetazione. La perdita precoce del fogliame aveva impedito agli alberi di tramutarsi nel polmone intriso dei tipici, oltre che benefici, aromi stagionali. Tutto questo è accaduto nel 2022, ma non risaltano particolari differenze rispetto alla situazione attuale. Se camminate per le vie della vostra città, noterete un gran numero di foglie morte sparse sui sampietrini.

 

 

Venendo meno le sue caratteristiche, una stagione si priva anche dei propri odori. E’ un fenomeno preoccupante, poichè odori e ambiente sono un tutt’uno: si integrano e completano a vicenda. L’odore, inoltre, influisce direttamente anche sulla sfera emotiva: si lega alle emozioni, ai ricordi, alle sensazioni…non è un caso che si parli di memoria olfattiva. Far sì che non si perda nei deleteri effetti della crisi climatica è essenziale: preservare la salute del nostro pianeta significa preservare anche la nostra.

 

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Frutta e verdura di stagione: le new entry settembrine

 

Nuova stagione, nuova frutta e verdura da portare a tavola. Ma quali sono le new entry del mese di Settembre? Scopriamolo con una panoramica generale. In primo piano, naturalmente, c’è l’uva, e non poteva essere altrimenti nel periodo della vendemmia. Dolcissima e succosa, l’uva è ricca di zuccheri ma senza eccedere, tant’è che possono consumarla (con moderazione) anche i diabetici non incorrendo in particolari problemi. Gli acini di questo frutto contengono un mix di vitamine e minerali: la vitamina A, B1, C e PP unite a buone dosi di calcio, manganese, potassio, ferro, sodio e magnesio danno vita a un connubio altamente salutare. L’uva ha il potere di depurare l’organismo, sopperire alla carenza di minerali e scongiurare l’anemia. Accanto all’uva troviamo i fichi, prelibatezze di fine estate per antonomasia, che vengono raccolti tra Agosto e Settembre. Le prugne e le pesche resistono, pesche noci o nettarine comprese, mentre per i frutti di bosco è un vero e proprio trionfo: le more, i mirtilli, il ribes e i lamponi tingono le nostre tavole di intensi colori.

 

 

Seguono a ruota i fichi d’India, le pere e le mele, la cui raccolta è iniziata da quasi un mese a causa dell’eccezionale calura estiva.

 

 

Per quanto riguarda la verdura, iniziare con i funghi è d’obbligo. Chi si dedica alla loro raccolta, non ha che l’imbarazzo della scelta: porcini, russole, cantarelli e steccherini sono le specie must di Settembre, e ad esse si aggiunge quella dei sanguinelli a fine mese.

 

 

A Settembre, in determinate regioni d’Italia, inizia anche la raccolta di varietà di tartufi come il tartufo bianco pregiato e il tartufo nero. Nell’orto potremo invece trovare svariate delizie: su tutte la zucca, emblema autunnale per eccellenza, e poi il porro, ultra saporito. Non si può dire che non siano in buona compagnia; finocchi, patate, pomodori, fagioli, carote, sedani rapa, cavolfiori, zucchine e peperoni compongono il resto del variegato gruppo di ortaggi settembrini. Sono tutte verdure che abbondano di acqua e vitamine, estremamente benefiche per l’organismo e – ça va sans dire – squisite in cucina grazie al loro gusto.

 

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Pieno Sole

 

Ferragosto: vacanze, relax, ma soprattutto sole, tanto sole. Il sole, non a caso, è l’emblema per eccellenza di questa festa. E i rituali pagani, anticamente, lo celebravano con grandi falò che avevano lo scopo di propiziarsi la sua luce per molto tempo ancora. Nel periodo in cui le giornate cominciano ad accorciarsi a poco a poco, onorare il Sole era un modo per esorcizzare il buio dell’inverno, la stagione in cui la natura si assopisce e cessa di elargirci i suoi frutti. I falò, inneggiando al Sole e alla sua potenza, avevano anche una funzione purificatoria e scacciavano gli spiriti maligni. In molte zone d’Italia, questa tradizione è rimasta invariata. Se ci facciamo caso, comunque, anche i fuochi d’artificio di Ferragosto rappresentano un anelito di luce: esplodono nell’oscurità e la accendono di scoppiettanti, luminose e coloratissime scintille. Ed è proprio alla luce, ma a quella del Sole splendente del 15 Agosto, che ho voluto dedicare la nuova photostory di VALIUM.

 

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Cibo d’estate: la libertà di scegliere il piatto unico

 

Estate è anche libertà di gestire i propri pasti; scegliere il piatto unico, ad esempio, inglobando i classici primo, secondo e contorno in un’unica portata: per risparmiare tempo e alleggerire la dieta. Il caldo asfissiante rallenta la digestione, dimezza l’appetito e rende necessario eliminare i cibi troppo elaborati o pesanti. Il piatto unico, di conseguenza, diventa un’ottima soluzione: innanzitutto è veloce da preparare, poi permette di sperimentare un gran numero di ricette mettendo la fantasia alla prova. Possiamo abbinare gli ingredienti più disparati, dando vita a un connubio sia all’insegna del gusto che della salute. In un paese come il Venezuela, la pietanza unica è una tradizione talmente consolidata da essere stata assurta a piatto nazionale: il Pabellon Criollo è ben noto a chiunque abbia visitato la “piccola Venezia” (questo il significato del nome “Venezuela” in italiano rinascimentale) affacciata sul “Caribe”; si compone di riso bollito, carne saltata con verdure, fagioli neri e platano fritto (una banana tropicale del genere Musa diffusissima in America Latina).

 

Il Pabellon Criollo, piatto tipico del Venezuela

E voilà, lo spunto è servito: possiamo creare dei gustosi mix utilizzando il riso, alcuni tipi di pesce, certe verdure…non esistono limiti all’inventiva. Il piatto unico può essere realizzato con ricette calde o fredde, ma è immancabilmente veloce e facile da preparare.

 

 

Portare a tavola un’unica pietanza, ma completa, è una scelta che in estate comporta non pochi vantaggi: libera dalla schiavitù delle lunghe ore passate ai fornelli, privilegia gli alimenti sani ma gustosi e incentiva la sfiziosità delle portate. Qualche idea per gli ingredienti da “miscelare”?  Le verdure, il tonno, il riso, l’insalata, i frutti di mare, i ceci, i pomodori (perfetti per essere farciti a proprio piacimento), il farro, i peperoni, i pomodorini, le uova sode…senza dimenticare formaggi invitanti come la feta, la scamorza e la mozzarella.

 

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Foto del Pabellon Criollo Byfreddygutierrez, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Davanti al mare: quel profondo senso di benessere e di libertà

 

Il mare è libertà (come dicevamo ieri), il mare è benessere. Non solo fisico, ma anche mentale. Ed è un benessere che percepiamo attraverso i cinque sensi. Bisogna però fare una premessa: il paesaggio marino riveste un ruolo primario in quel senso di profonda serenità. L’ambiente, infatti, è ricco di ioni positivi e negativi. Gli ioni positivi risultano piuttosto dannosi per l’organismo e possono provocare insonnia, depressione, nervosismo, spossatezza, problemi alla tiroide; incentivano inoltre la produzione dei radicali liberi. Gli ioni negativi, massicciamente presenti negli ambienti contenenti acqua come le cascate, i temporali, le fontane e soprattutto il mare, sono invece altamente benefici per il corpo e la mente:  li stimolano e rilassano al tempo stesso, riequilibrando i livelli di serotonina prodotti dal cervello. Non dimentichiamo che la serotonina, detta anche “ormone del buonumore”, svolge una funzione chiave per il benessere fisico e mentale. Ed è stato scientificamente attestato che gli “spazi blu”, che beneficiano cioè della vicinanza dell’acqua, sono un autentico toccasana per la salute psico-fisica delle persone, poichè riducono lo stress e l’ansia con effetti positivi sull’umore.

 

 

Passiamo ora al rapporto tra il mare e i cinque sensi. Partiamo dalla VISTA: ammirando l’orizzonte sconfinato, perdiamo lo sguardo nell’immensità del mare. E’ un’esperienza rigenerante, che amplifica la nostra percezione visiva. Anche da questo aspetto ha origine il senso di libertà che proviamo davanti alla distesa marina; avvezzi come siamo a spazi ristretti come quelli del display del nostro smartphone, della TV o dei locali che straripano di gente, ritroviamo il piacere di osservare l’infinito. Abbandoniamo il caos, la frenesia quotidiana per immergerci in sensazioni di totale armonia con il cosmo, di benessere e relax. L’andirivieni ipnotico delle onde ha un effetto rilassante per la vista e per la mente, favorisce la meditazione. Non è un caso che, al tramonto, molti abbiano l’abitudine di praticare yoga in riva al mare.

 

 

Arriviamo dunque all’UDITO: il flusso ritmico delle onde coinvolge anche la nostra percezione degli stimoli uditivi. Il mare è calma e potenza a un tempo, e l’infrangersi delle onde sulla riva ne descrive entrambi gli aspetti. Questa melodia, magnetica e cadenzata, viene chiamata rumore bianco: include tutte le frequenze dello spettro del suono che interagiscono tra loro in perfetta sintonia. Il rumore bianco accarezza il nostro udito, ci avvolge nella sua magia. Racchiudendo tutte le lunghezze d’onda, attutisce qualsiasi rumore presente ed è in grado di stimolare le onde alfa, che il cervello produce in condizioni di profonda calma e rilassamento. Non solo udito, quindi: il rumore bianco favorisce un’esperienza distensiva a tutto campo.

 

 

L’OLFATTO beneficia, da sempre, dell’inconfondibile odore marino e di tutti i sali minerali che impregnano l’aria di mare. Innanzitutto lo iodio, fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei, ma anche il calcio, il magnesio, il silicio, il potassio e il cloruro di sodio. Il profumo del mare è talmente unico e inebriante da aver ispirato innumerevoli fragranze che rievocano le atmosfere balneari.

 

 

Parlando del TATTO, non posso che far riferimento a una photostory pubblicata di recente, “A piedi nudi”, dove descrivo quanto risulti salutare  camminare a piedi scalzi lungo la battigia. In questo caso entrano in gioco la sensazione di libertà così come l’apparato circolatorio e l’ossigenazione sanguigna, stimolati dalle lunghe passeggiate in riva al mare. Ma non solo: il contatto del piede con l’acqua marina allevia lo stress e promuove una sensazione di relax tale da risultare estremamente proficuo per chi soffre di disturbi da dipendenza o correlati ad eventi traumatici.

 

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