Il Ceppo di Yule, un’ antica e suggestiva tradizione del Solstizio d’Inverno

 

” Solstizio d’inverno.
Sembra che il mondo voglia dare le spalle alla luce.
I colori nascondono il loro volto.
La terra coltiva l’ombra
come se fosse l’unica cosa che cresce.”
(Fabrizio Caramagna)

 

21 Dicembre, Solstizio d’Inverno: è il giorno più corto dell’ anno. Le ore di buio trionfano, fagocitando quelle di luce. Il Sole, giunto al punto di declinazione minima nel suo moto apparente lungo l’eclittica, sembra arrestarsi (non è un caso che il termine “Solstizio”, in latino “Solstitium”, derivi da “sol”, sole, e “sistere”, ovvero fermarsi). L’atmosfera è sospesa, la natura e il cosmo partecipano silenziosamente a questo importante momento di transizione. Perchè quando l’oscurità raggiungerà il suo apice, la luce ricomincerà ad avanzare a poco a poco. E il Sole rinascerà, si rinnoverà, tornerà a regnare sulla notte. Nell’ era pre-cristiana, i popoli germanici battezzarono “Yule” il giorno del Solstizio: “Hjòl” designava, in norreno, la ruota dell’ anno, che si trova nel suo punto più basso quando l’ Inverno entra ufficialmente. “Hjòl” si tramutò poi nel norreno Jòl e nel tedesco Jul. Tuttora è possibile rinvenire questi termini nelle lingue scandinave, dove indicano sia il Solstizio d’Inverno che il Natale“Jul” in svedese e danese, “Jol” in norvegese, “Joulu” in finlandese (con il significato, però, esclusivamente di “Natale”).

 

 

In un’ epoca in cui la sopravvivenza era legata a doppio filo ai cicli della natura, è facile intuire l’importanza che rivestiva Yule. La resurrezione della luce era un evento ricco di magia, di rituali associati a una simbologia antichissima. Per approfondire questi aspetti, vi rimando all’ articolo “Yule” che ho pubblicato su VALIUM l’anno scorso (rileggilo qui). Oggi ci concentreremo invece su un particolarissimo cerimoniale associato al Solstizio, il Ceppo di Yule o Yule Log.

 

 

I popoli nordici dell’ età pre-cristiana solevano celebrare il Solstizio d’Inverno con  un grosso tronco beneaugurale. La notte più lunga dell’ anno il ceppo si adornava di nastri, bacche e ramoscelli d’edera, poi veniva benedetto e fatto ardere per i dodici giorni dei festeggiamenti solstiziali. Secondo la tradizione, il fuoco precedente doveva essere spento dal capofamiglia e per riaccenderlo si doveva utilizzare un tizzone del tronco bruciato durante il Solstizio dell’ anno prima. Questo rituale aveva una potente valenza emblematica: il fuoco e il suo calore simboleggiavano la nuova luce, l’ardore del Sole che quella notte rinasceva e sarebbe tornato a splendere progressivamente. Ma il fuoco era anche una metafora della vita stessa. Nelle gelide lande del Nord Europa, i focolari erano sempre accesi; il caminetto riscaldava e risultava essenziale per il nutrimento, dal momento che il fuoco si utilizzava per cucinare. Il Ceppo di Yule, dunque, era un emblema di buon auspicio associato alla luce, alla rinascita della natura, alla prosperità: i fondamenti della sopravvivenza.

 

 

Quando il Cristianesimo sostituì le celebrazioni natalizie a quelle solstiziali, lo Yule Log divenne una costante della vigilia di Natale. Le prime testimonianze relative a questa tradizione risalgono alla Germania del XII secolo: un documento del 1184 cita un ceppo di Natale che, acceso la notte di vigilia, veniva fatto bruciare fino all’ Epifania. Alla ricerca del legno adatto si dedicavano giornate intere. I tronchi dovevano essere di albero secco, idonei alla combustione, e non essere stati eletti a tana da qualche animale. In Scozia, gli antichi Celti erano soliti scolpire una figura femminile nel ceppo: raffigurava la Cailleach Nollag, una dea dell’ Inverno, il cui aspetto sinistro veniva stemperato dalle fiamme. Era un emblema della ciclicità della natura; dopo la notte del Solstizio, ogni ora di luce in più equivaleva a un passo verso la Primavera. Con l’avvento del Cristianesimo, la valenza simbolica dello Yule Log mutò completamente: il ceppo aveva la funzione di scaldare Gesù Bambino, mentre il fuoco incarnava l’emblema della Redenzione.

 

 

Dalla Germania, la tradizione dello Yule Log si diffuse in Gran Bretagna, nella penisola scandinava, in tutta la zona alpina, in Spagna, nei paesi dei Balcani e, last but not least, in regioni italiane quali la Lombardia e la Toscana. Successivamente, l’usanza sbarcò persino negli Stati Uniti. Il cerimoniale era simile ovunque: la vigilia di Natale, il ceppo veniva decorato (bacche, pigne, aghi di pino, vischio e piante rampicanti erano gli elementi più usati) e bruciato nel camino con una solenne cerimonia beneaugurale. Lo Yule Log si lasciava ardere per dodici notti di fila, fino all’ Epifania, e i suoi rimasugli, considerati magici, venivano conservati con cura. Ad essi si attribuivano benefici per la fecondità femminile, il raccolto, gli animali da allevamento, il benessere fisico, ed era d’uso utilizzarli per accendere il ceppo del Natale successivo. Ogni paese ha donato la propria impronta a questo rituale. Anche la pianta scelta per il ceppo variava da nazione a nazione: in Gran Bretagna, dove l’ usanza dello Yule Log venne adottata massicciamente, si preferivano la quercia, il pino, la betulla; i serbi optavano per la quercia, mentre i francesi puntavano sugli alberi da frutto.

 

 

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la tradizione del Ceppo di Natale scomparve pressochè totalmente. L’ avvento delle stufe e il minor numero di camini presenti nelle case dell’ epoca fece sì che l’usanza, a poco a poco, si perdesse. Lo Yule Log, tuttavia, continua a esistere sotto un’altra forma: il tronchetto di Natale, uno dei dolci più golosi delle feste. Si tratta di un tronchetto di Pan di Spagna ricoperto di cioccolato e farcito con svariate creme. L’ aspetto è quello di un ceppo ornato di molteplici decorazioni: provate a prepararlo in casa per un Solstizio all’ insegna del gusto. Oppure, ripristinate la tradizione dello Yule Log. Procuratevi un ceppo su cui praticherete dei fori per inserirvi alcune candele. I colori di queste ultime potranno essere tipicamente natalizi, come ad esempio il rosso, il verde, l’oro. Decorate il ceppo con piante, fiori e bacche stagionali. Le candele andranno fatte bruciare durante la notte di Yule: è una variante contemporanea del Ceppo di Natale, ma risulta sempre di grand’effetto.

 

 

Foto del Ceppo di Yule con candele di Jeremy Fulton via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

Il luogo: Natale a Tallinn, viaggio a ritroso in un Medioevo da fiaba

 

I tetti, le strade e le piazze abbagliano con il loro candore: la neve continua a scendere, impregnando lo scenario – fiabesco già di per sè – di un’ incantevole magia natalizia. I pub e i ristoranti sono affollati a qualsiasi ora, è sempre il momento ideale per sorseggiare un bicchiere di vin brulé o sorbire una cioccolata in tazza. Luci scintillanti, luminarie e candele decorano il reticolo di viuzze del centro storico medievale. Inoltrandosi nei vicoletti lastricati di ciottoli, dove si alternano bar, caffè e negozi di ogni genere, si può raggiungere la piazza dell’ Antico Municipio: lì, uno straordinario mercatino natalizio (nel 2019 è stato eletto il più bello d’Europa) ricrea le suggestive atmosfere dell’ “età di mezzo”. I venditori indossano costumi che risalgono a quell’ epoca e le bancarelle, numerosissime, sfoggiano una mercanzia che esalta il fascino dell’artigianato tipico. Al centro della piazza svetta un imponente albero di Natale, sontuoso nello sfavillio di luci da cui viene impreziosito. Ci troviamo a Tallinn, la capitale dell’ Estonia: non è un caso che la sua Città Vecchia Medievale, nel 1997, sia stata proclamata Patrimonio dell’ Umanità Unesco.  La più antica capitale del Nord Europa si affaccia sul Mar Baltico ed è situata circa 80 km a Sud di Helsinki. La particolare posizione geografica dell’ Estonia, confinante a Est con la Russia, a Sud con la Lettonia e a Nord con il Golfo di Finlandia, fa di Tallinn un crocevia di culture. Il centro storico conserva le sue antiche vestigia medievali, ma nell’area moderna della città emergono tracce risalenti alla Russia Imperiale e all’ ex Unione Sovietica. Sulla zona del porto, prevalentemente ristrutturata, aleggia invece un mood più che mai contemporaneo.

 

 

E’ superfluo dire che, a Natale, il fulcro della città sia il centro storico. Addentrarsi nelle sue viuzze equivale a immergersi a capofitto nelle atmosfere del XV secolo: Tallinn conserva la Città Vecchia con estrema cura, l’aria del Medioevo si respira ovunque. Lo stile degli edifici, l’ interno dei ristoranti e dei negozi…tutto mantiene un’ impronta d’altri tempi. Quest’ anno, il periodo natalizio è stato inaugurato il 25 Novembre e si concluderà l’8 Gennaio del 2023. In Estonia, infatti, il 7 Gennaio si festeggia il Natale Ortodosso. Il “Tallinna Jouluturg”, ovvero il mercatino di Natale, ha luogo in Raekoja Plats, la piazza dell’ Antico Municipio. In questa splendida location quattrocentesca, miriadi di bancarelle espongono una mercanzia che spazia dai dolci all’ artigianato tipico passando per i souvenir locali: biscotti al pan di zenzero, maglioni variopinti e guanti lavorati ai ferri, tessuti realizzati manualmente, candele, oggetti in legno, gioielli impreziositi dall’ ambra del mar Baltico (anche detta “oro del Baltico”)…Non mancano prodotti che deliziano il palato come i crauti, l’Aspic (una gelatina di carne), i sanguinacci, le ostriche e il caviale nero. E’ possibile annaffiare il tutto con una tazza di vin brulè, bevanda-icona del mercatino. Imperdibile una visita alla casa di Babbo Natale, affiancata da una buca delle lettere dove grandi e piccini inviano la propria “wishlist” di regali al vecchio dalla barba bianca.

 

 

Una giostra soddisfa la voglia di divertimento dei più piccoli, mentre un palco gigantesco viene riservato ai concerti, agli spettacoli e alle esibizioni di artisti estoni o internazionali. Quest’ anno, però, si è preferito rinunciare agli eventi “on stage” privilegiando la Città Vecchia e i suoi angoli d’incanto: il centro storico è un museo a cielo aperto che offre l’ opportunità di vivere un’esperienza multisensoriale. Vista, udito, gusto e olfatto si fondono tra loro per regalare emozioni irripetibili. La suggestività delle viuzze, la prelibatezza della cucina tradizionale, i sentori di cannella e pan di zenzero che si insinuano nell’aria, le esibizioni degli artisti di strada…Tutto contribuisce a rendere indimenticabile il Natale 2022 di Tallin. Sempre nella Città Vecchia, in via Vene, è possibile ammirare una mostra di presepi che si snoda lungo l’ intera strada. Sono realizzati dagli autori più disparati: adulti, giovanissimi, scolaresche (per fare solo qualche esempio), e vengono esposti sulle finestre che fiancheggiano la via. Se invece desiderate vedere il presepe più grande allestito in città, potrete trovarlo nel cortile della Cattedrale di Pietro e Paolo.

 

 

Ma la città di Tallinn vanta anche un’altra particolarità: è la patria dell’ albero di Natale. Il primo albero di Natale, secondo una leggenda, fu realizzato a Tallinn nel 1441. Pare che quell’ anno un abete altissimo venne posizionato al centro di Raekoja Plats. La tradizione voleva che i single danzassero tra loro attorno all’ albero al fine di trovare l’anima gemella. L’usanza prevedeva anche che, successivamente, all’ albero venisse dato fuoco. Da allora, gli abeti cominciarono ad essere addobbati ogni Natale con un tripudio di lucine e di candele. Tallinn fece della tradizione dell’ albero un’ eccellenza del suo Natale. L’ allestimento del grande abete in Raekoja Plats divenne una vera e propria cerimonia, la cui importanza si accrebbe di anno in anno. Nel 1771, l’ Imperatore di Russia Pietro Il Grande in persona partecipò al rito di posizionamento dell’ albero di Natale. Come potremmo descrivere, oggi, l’albero di Natale più celebre di Tallinn?

 

 

C’è innanzitutto da dire che diversi alberi di Natale adornano le vie e le piazze di questa magica città. L’ albero principale, naturalmente, è quello allestito in Raekoja Plats: un abete alto ben quindici metri, maestoso, arricchito da miriadi di luci e decorazioni. Il colore dominante è l’oro, declinato in oltre 300 sfere di svariate dimensioni e festoni luminosi che raggiungono, in totale, i 3,7 chilometri di lunghezza. L’ albero di Natale della piazza dell’ Antico Municipio è collocato proprio al centro del mercatino natalizio e lo sovrasta in tutto il suo splendore.

 

 

Cosa vedere a Tallinn, oltre al suo tradizionale mercatino? Rimanendo entro i confini della Città Vecchia, nominata (come vi ho già detto) Patrimonio dell’ Umanità Unesco, visitare il Municipio è tassativo. Risalente al XIII secolo, edificato in stile gotico, è sormontato da una torre seicentesca di ben 64 metri d’altezza. L’ Antico Municipio si affaccia su Raekoja Plats; nei suoi spazi vengono organizzati concerti, mostre ed eventi di ogni tipo. All’altro lato della piazza, la Rarapteek merita un approfondimento: inaugurata nel 1422 e tuttora in attività, è la farmacia comunale più antica d’Europa. Via Vene, la strada dei presepi, può essere considerata un autentico capolavoro architettonico. Costruita nel Medioevo dai mercanti originari della Russia, è sede del Museo Civico di Tallinn. Da non perdere il “passaggio di Santa Caterina”, un suggestivo percorso pedonale medievale in pietra e ciottoli. La cinta muraria della Città Vecchia è senza dubbio un must-see. Le fortificazioni  si snodano per oltre 2 chilometri e sono intervallate da numerose torri: è possibile visitare quelle di Numma, Sauna e Kuldaja. La Hellemann Tower, invece, ospita una galleria d’arte; da questa torre è anche possibile godere di una spettacolare veduta panoramica di Tallinn.

 

 

Foto di copertina by Sergei Zjuganov in Visit Estonia via Flickr, CC BY-NC-SA 2.0

 

Da Lussi a Santa Lucia: il 13 Dicembre in Scandinavia tra Paganesimo e Cristianesimo

 

“Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia.”
(Proverbio)

 

Oggi festeggiamo Santa Lucia, una delle ricorrenze più importanti dell’Avvento. VALIUM ne ha parlato spesso, focalizzando l’attenzione sulla sua celebrazione in Svezia e sulla storia della “Santa della Luce” (clicca sui due link per rileggere gli articoli). In questo post, invece, approfondirò la matrice pagana della festa. Le location sono ancora una volta le magiche, innevate lande del Nord Europa: in Scandinavia, anticamente, la notte del 13 Dicembre era dedicata a una suggestiva festività dell’ era pre-cristiana. Innanzitutto, va precisato lo scenario in cui tale data si andava a collocare. Per i popoli nordici, Dicembre è il mese più buio dell’anno; l’oscurità fagocita le distese di fitti boschi, i campi, i laghi, i villaggi. Le forme si fanno indistinte. Questo periodo, molti secoli orsono,  veniva identificato con il caos primordiale:  l’ indefinito, le tenebre antecedenti alla creazione. Quando arrivava l’ Inverno, era come se si regredisse a quella condizione. La notte del 13 Dicembre, con il suo buio interminabile, rivestiva una precisa valenza simbolica. Era la più lunga, e quindi la più oscura notte dell’ anno; poteva nascondere insidie e pericoli. In Scandinavia venne battezzata “Lussinatt” o “Langnatt”, ovvero “lunga notte”, e si riteneva che Lussi, una divinità pagana il cui nome significa “luce” poichè era considerata la “Madre del Sole Nuovo”, regnasse su di essa.

 

 

Lussi era anche la madre degli spiriti dell’ Altro Mondo, e la notte del 13 Dicembre soleva volare nelle tenebre con il suo corteo di gnomi, fate, elfi e troll: un seguito sinistro e fantasmatico denominato Lussiferda. Questo particolare connette la figura di Lussi con il mito della Oskoreia, la “Caccia Selvaggia” capeggiata da Odino; imbattersi in una simile processione soprannaturale non era certo di buon auspicio, si rischiava di essere rapiti e trascinati nel Regno dei Morti. Ma anche Lussi e il suo corteo non scherzavano. Quando arrivava la Lussinatt, sorvolavano le case castigando tutti coloro che non si comportavano a dovere. Lussi si calava nei camini per prelevare i bambini malvagi e portarli nel Regno dei Morti, e puniva le famiglie che non adempivano ai preparativi per la festa di Yule. La notte del 13 Dicembre, inoltre, anche gli animali erano dotati del dono della favella: si riteneva che conversassero tra loro e commentassero come venivano trattati dai rispettivi padroni. Ogni istante della Lussinatt, insomma, era intriso di magia. Il motivo è molto semplice. Nel mese di Yule, quando il buio imperversava, cadevano le barriere tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti e delle creature fatate. Un numero illimitato di ombre poteva celarsi nell’ oscurità; incantesimi e pericoli erano in agguato dietro l’angolo.

 

 

Potremmo considerare Lussi la controparte oscura di Santa Lucia. La divinità pagana portava un nome che inneggiava alla luce, eppure regnava sulla notte più lunga dell’ anno; era rappresentata come una vecchia, a metà tra la strega e la maga, ma aveva il compito di concepire l’astro solare, che immergeva in un caldaio e rigenerava grazie al bollore delle fiamme. Queste ambivalenze, in realtà, appaiono frequentemente nel Paganesimo. In quanto Madre del Sole Nuovo, Lussi era anch’essa, come Lucia, una “portatrice di luce”: il suo nome aveva una valenza potentemente simbolica.

 

 

Ma quando avvenne, esattamente, la transizione dal culto di Lussi a quello di Santa Lucia? In Scandinavia il passaggio non fu così rapido. Il Cristianesimo cominciò a diffondersi nell’ anno 1000 in quelle lande nordiche, e tuttavia svariate testimonianze dimostrano che, nel XIII secolo, la figura di Lussi era ancora saldamente ancorata nell’ immaginario collettivo. La venerazione di Santa Lucia, e i riti che a tutt’oggi la contraddistinguono, sono fenomeni che in Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia si affermarono dalla fine del 1800 in poi (in Norvegia, il culto di Lucia di Siracusa prese piede addirittura dopo il secondo conflitto mondiale): prova ne è il fatto che “Santa Lucia”, la celebre canzone napoletana che si accompagna alle celebrazioni nordiche, fu scritta da Teodoro Cottrau nel 1849. Solo nel XX secolo la devozione a Lucia, portatrice di luce e protettrice della vista, si consolidò nella penisola scandinava. Fino a quel momento, soprattutto nelle zone rurali, le tracce delle antiche tradizioni pagane non erano mai scomparse del tutto.

 

 

Lussi e Lucia: due figure agli antipodi accomunate, però, da più d’una caratteristica. La prima è l’essere entrambe “portatrici di luce”. Lussi in quanto artefice del rinnovamento del Sole, Lucia per il suo nome e poichè nel suo sguardo vibrava la luce spirituale del cambiamento e della speranza. Non è un caso che, secondo la leggenda, le furono cavati gli occhi. Ma gli elementi che Lussi e Lucia hanno in comune sono anche altri. Uno di questi è venato di accenti vagamente sinistri, e sembra riportare al clima oscuro della Lussinatt: gli antichi popoli sostenevano che guardare negli occhi le divinità femminili più “tenebrose” (e tra queste rientrava Lussi) portava a conseguenze terribili e irreversibili. Curiosamente, tutto ciò riporta a una credenza relativa a Santa Lucia. Ai bambini si raccomandava di non guardarla, quando passava di casa in casa per consegnare i doni, perchè avrebbe gettato cenere nei loro occhi accecandoli temporaneamente.

 

 

Gli stessi occhi che Lucia conserva in un piattino sono un’ immagine inquietante. Eppure, al tempo stesso, hanno una valenza positiva: emblema di luce, gli occhi giacciono inanimi così come il Sole soccombe all’ oscurità dell’ Inverno. Ma la luce e il Sole rinasceranno a Yule, il giorno del Solstizio, quando il buio comincerà ad arretrare progressivamente. In omaggio al Sole che rinasce, gli svedesi hanno ideato un dessert tipico della festa di Santa Lucia: i Lussekatter, ribattezzati in Italia “Gatti di Santa Lucia”. Si tratta di dolcetti soffici e di un giallo luminoso (come lo è, appunto, il Sole) ottenuto con lo zafferano. La loro forma ad “S” rimanda, non a caso, alla rinascita ciclica del Sole, anche se da molti viene associata alla coda del gatto protagonista di un’antica leggenda sui Lussekatter.

 

 

L’ illustrazione è dell’ artista svedese Gerda Tirén

 

La colazione di oggi: le spezie di Natale

 

Dicembre è un mese straordinario anche dal punto di vista olfattivo: chi potrebbe mai scinderlo dai deliziosi profumi speziati che aleggiano sui mercatini natalizi? La cannella, lo zenzero, la vaniglia, l’arancia, l’anice stellato aromatizzano la maggior parte dei dolci di fine anno; si annusano nell’aria e caratterizzano questo magico periodo al pari dell’ odore del focolare, del vin brulé e degli aghi dell’abete naturale che molti sono soliti addobbare. “La colazione di oggi” ha già approfondito spezie quali lo zenzero e la cannella (clicca sui rispettivi nomi per rileggere gli articoli). E’ il momento di conoscerne qualche altra, di proseguire l’affascinante viaggio alla scoperta degli aromi natalizi: potrete avvalervene per iniziare in bellezza queste affascinanti giornate dicembrine.

 

L’anice stellato

 

 

Ha una forma particolarissima e inconfondibile: somiglia ad una stella a molteplici punte, tant’è che viene chiamato “anice stellato” per differenziarsi dall’anice semplice. E’ il frutto di un sempreverde proveniente dall’ Asia, lo si raccoglie prima che sia completamente maturo e lo si lascia essiccare esponendolo al sole. Ha proprietà ossidanti e antibatteriche; anticamente, i cinesi lo usavano per combattere l’ansia e le infiammazioni delle vie respiratorie. Il suo aroma è molto intenso, simile a una combinazione di liquirizia e mentolo. Viene venduto già in polvere, oppure in semi interi che, dopo aver fatto bollire in acqua per alcuni minuti, si polverizzano con un mortaio. Cosa aromatizzare con l’anice stellato? Lo troviamo in svariati tipi di torte al miele e di biscotti, nel panpepato e in golose marmellate.

 

 

L’ arancia

 

 

Questa spezia apporta tutti i benefici del frutto che vede protagonista; abbonda di vitamina C, è un antiossidante naturale e un toccasana per il sistema immunitario. Viene adoperata in svariati modi: fette di arancia caramellate, buccia di arancia grattugiata, succo di arancia, scorze di arancia candite…E’ gettonatissima, versatile, la si può includere nelle ricette più disparate. Cosa aromatizzare con l’arancia? Una quantità innumerevole di dolci e di biscotti. Per un dessert ad alto tasso di golosità, provate a intingere le scorze di arancia candite nel cioccolato fondente.

 

 

I chiodi di garofano

 

 

Sono profumatissimi e si ricavano dai fiori essiccati del Syzygium aromaticum, un albero originario di Zanzibar e del Madagascar. Il loro aroma inebriante con accenti pungenti aromatizza squisitamente il vin brulè, il panpepato, il punch, il , dolci come le crostate e i ciambelloni, le creme, la cioccolata calda e la frutta cotta. Insieme alla cannella, allo zenzero e al cardamomo rientrano tra i principali ingredienti dei Pepparkakor, i tipici biscotti che in Svezia si preparano durante l’ Avvento e in occasione della festa di Santa Lucia. Gli antichi popoli conoscevano bene le proprietà antidolorifiche dei chiodi di garofano, e li utilizzavano anche per contrastare il gonfiore e le infiammazioni.

 

 

La vaniglia

 

 

E’ originaria dell’ India e dell’ America Centrale, viene venduta in baccelli (dai quali estrarre i semini) o in polvere. Può essere considerata la spezia più amata: il suo gusto dolce, intenso e cremoso piace a tutti indistintamente. Con i dessert instaura un connubio ideale, esaltando e intensificando il loro sapore. I dolci che la includono sono incalcolabili: torte, pasticcini, prodotti da forno, salse, creme, panna cotta, glassa, créme brulée e via dicendo. L’ abbinamento con i canditi è un vero e proprio must del gusto. La vaniglia, inoltre, viene considerata un antidepressivo naturale; rilassa e fa bene all’ umore. Per preservarne al meglio l’aroma, i baccelli andrebbero conservati in luoghi bui e con temperature non troppo elevate.

 

 

Il cardamomo

 

 

E’ una spezia ricavata dai semi di una pianta della famiglia delle Zingiberaceae, da cui derivano anche lo zenzero, la curcuma e il pepe. La pianta del cardamomo proviene dall’ India ed è ampiamente diffusa in Asia, soprattutto nel Vietnam, nello Sri Lanka e in Cambogia. Il cardamomo ha baccelli di un caratteristico colore verde e un gusto deciso e piccante. Questa spezia dalle origini antiche è pregiatissima. I Greci e i Romani la utilizzavano per creare fragranze dall’ aroma unico, molto persistente. E’ molto efficace per favorire la digestione e possiede proprietà antisettiche e antinfiammatorie. In India e nel Medio Oriente il cardamomo accompagna un gran numero di pietanze e di dolci; viene anche mescolato al tè e al caffè. Nel Nord Europa si usa per preparare il pane e dessert tradizionali, abbinandolo di frequente alla cannella e ai chiodi di garofano. Cosa aromatizzare con il cardamomo? Il panpepato, le torte, i biscotti, le cheesecake, il tiramisù, le tortine, il budino…gli spunti sono illimitati.

 

 

La noce moscata

 

 

Ha un gusto dolce e agro a un tempo, molto versatile. Si ottiene dai semi di un sempreverde originario dell’ Indonesia, il Myristica Fragrans, coltivato in svariati paesi asiatici e caraibici. E’ possibile acquistarla in polvere o in semi interi da grattugiare. In cucina viene utilizzata per aromatizzare sia le pietanze salate che i dessert: soffermandoci su questi ultimi, la troviamo soprattutto abbinata alle torte, alle cheesecake, ai biscotti e alle creme. Possiede proprietà sedative, toniche e antisettiche, è un toccasana per l’ intestino e contrasta l’aerofagia. Ma attenzione a non eccedere con le dosi: un utilizzo smodato di noce moscata può provocare addirittura stati allucinatori (lo sapevano bene gli antichi Egizi, che se ne servivano per potenziare l’effetto dell’ hashish).

 

 

 

Le Frasi

 

” Tutti i grandi uomini sono dei sognatori. Vedono cose nella leggera foschia primaverile, o nel fuoco rosso della sera d’un lungo inverno.”
(Thomas Woodrow Wilson)

 

 

VALIUM accende le luminarie

 

 

“Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.”

(Gesù di Nazareth)

Così dice Gesù nel Vangelo secondo Giovanni. E ogni anno, a Natale, le città si adornano di luci per commemorare la sua nascita. Oggi anche VALIUM accende le luminarie: un tripudio di bagliori che risplendono nel buio e tramutano in pura magia la realtà. Renne, stelle, fiocchi di neve, maestosi alberi di Natale vestono a festa il blog dando vita ad atmosfere suggestive e trascinando in un vortice di fulgori ipnotici. L’ oro e l’argento predominano, diffondendo un sontuoso alone di regalità. Godetevi la photogallery per immergervi in scenari sublimemente fatati, dove anche gli angoli più bui si ammantano  di un’ incantevole luminosità.

 

 

 

Le Frasi

 

” Che cos’è questa grande favola nella quale viviamo e che ognuno di noi ha la possibilità di assaporare solo per un breve momento? Non venire a dirmi che la natura non è una meraviglia. Non venire a dirmi che il mondo non è una favola. “

(Jostein Gaarder)

 

 

Il pupazzo di neve: storia di uno dei più giocosi simboli del Natale

 

«Fa così freddo che scricchiolo tutto» disse l’uomo di neve. «Il vento, quando morde, fa proprio resuscitare! Come mi fissa quello là!» e intendeva il sole, che stava per tramontare. «Ma non mi farà chiudere gli occhi, riesco a tenere le tegole ben aperte.» Infatti i suoi occhi erano fatti con due pezzi di tegola di forma triangolare. La bocca invece era un vecchio rastrello rotto, quindi aveva anche i denti. Era nato tra gli evviva dei ragazzi, salutato dal suono di campanelli e dagli schiocchi di frusta delle slitte. Il sole tramontò e spuntò la luna piena, rotonda e grande, bellissima e diafana nel cielo azzurro. «Eccolo che arriva dall’altra parte!» disse l’uomo di neve. Credeva infatti che fosse ancora il sole che si mostrava di nuovo. «Gli ho tolto l’abitudine di fissarmi, ora se ne sta lì e illumina appena perché io possa vedermi. Se solo sapessi muovermi mi sposterei da un’altra parte. Vorrei tanto cambiare posto! Se potessi, scivolerei sul ghiaccio come hanno fatto i ragazzi, ma non sono capace di correre.»

(Hans Christian Andersen, da “L’Uomo di Neve”)

 

E’ buffo, giocoso, e soprattutto…completamente bianco. Il che non sorprende, dal momento che è la neve a dargli forma. Emblema del Natale, ma anche dell’ Inverno, il pupazzo di neve rimanda alla gioia e alla spensieratezza. Esiste da tempi immemorabili, e definirlo solo un “pupazzo” sarebbe riduttivo: nel corso dei secoli, infatti, ha rivestito valenze molteplici e molto interessanti. Le sue radici risalgono al folklore del Nord Europa, dove i pagani lo assursero a simbolo della ciclicità naturale. Così come il seme, durante l’Inverno, riposa in attesa del risveglio primaverile, il pupazzo di neve “prende vita” con il freddo e si scioglie con il primo sole. Sappiamo tutti come sia fatto: il suo aspetto antropomorfo viene ottenuto collocando due o tre grandi palle di neve una sopra l’altra. Ma a quando risale, esattamente, la comparsa di questo personaggio? Lo scrittore, illustratore e cartoonist Bob Eckstein ne descrive le origini nel libro “La Storia del Pupazzo di Neve”. Secondo le sue ricerche, il candido emblema natalizio appariva già nel Medioevo.  In un manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale dell’ Aia, il “Libro delle Ore” (data di pubblicazione 1380), spicca infatti un disegno – un pupazzo di neve accovacciato davanti al fuoco – che lo vede protagonista. Nel 1494, persino Michelangelo ebbe a che fare con l’ “omino immacolato”. Dopo la morte di Lorenzo Il Magnifico, il suo mecenate, accettò una commissione di Piero de’ Medici (figlio di Lorenzo) che gli chiese di realizzare una statua di neve. La scultura che Michelangelo creò per lui fu talmente strabiliante da farlo rientrare subito alla corte medicea. In alcune stampe del 1500, un pupazzo di neve viene attorniato da un girotondo di fanciulli. Nel XVI secolo, inoltre, l’ “uomo di neve” fu protagonista di un rilevante evento sociopolitico: il cosiddetto “Miracolo del 1511” di Bruxelles. L’ Inverno di quell’ anno fu particolarmente rigido, e il popolo, sfinito dal gelo e dall’ indigenza, ideò un metodo originale per scagliarsi contro l’aristocrazia e la Casa Reale. Creò oltre 100 pupazzi di neve con le loro fattezze, deformandole in un modo a metà tra il grottesco e il licenzioso. Fu una sorta di satira politica a base di neve. La popolarità dello “snowman”, come lo chiamano gli anglosassoni, raggiunse un vero e proprio boom durante l’ epoca vittoriana. Il Principe Alberto, che era un grande appassionato di tradizioni natalizie tedesche, importò l’ usanza del pupazzo di neve direttamente dalla Germania. Dal Regno Unito al resto del mondo il passo fu breve; l’ uomo di neve divenne una vera e propria icona del Natale, emblema di  speranza e dei piccoli piaceri che ci regala l’ Inverno. Libro di Eckstein a parte, una delle più suggestive testimonianze storiche che riguardano il pupazzo viene associata a San Francesco di Assisi.

 

 

Pare che il Santo – così, almeno, viene affermato in una parabola – adorasse i pupazzi di neve e ne incoraggiasse la realizzazione. Il fatto che la neve scendesse dal cielo la equiparava a un dono divino, come divino era il suo candore. Per San Francesco i pupazzi di neve erano degli autentici angeli, creature celesti che tenevano lontane le forze demoniache. Ma erano anche gli intermediari tra gli uomini e Dio, a cui trasmettevano le loro richieste. Vigeva l’ uso di ritrovarsi attorno a un pupazzo di neve per formulare desideri; si attendeva, poi, che si concretizzassero quando la neve si sarebbe sciolta con i primi tepori. Un’ antica leggenda narra invece che il pupazzo di neve sia un aiutante di Babbo Natale: è lui che si impegna affinchè la notte di vigilia nevichi, per creare un’atmosfera adeguatamente magica quando Santa Klaus va a consegnare doni con la sua slitta.

 

Oltre ad apparire in note pellicole americane (una su tutte “Jack Frost”, datato 1998, di Troy Miller), il pupazzo di neve è il protagonista principale di una celebre fiaba di Hans Christian Andersen, “L’uomo di neve”. Pubblicato nel 1861, il racconto è incentrato sul dialogo tra un pupazzo di neve e un vecchio cane. Tema principale è la condizione precaria sperimentata dal primo dei due, che diventa quasi una metafora della caducità della vita: ” Il sole ti insegnerà senz’altro a correre!”, dice il cane al pupazzo. ” L’ho già visto con il tuo predecessore dell’anno scorso, e con quello dell’anno prima. Via, via! e tutti ve ne andrete!”. Gli “uomini di neve” sono accomunati dalla stessa sorte, vivere d’Inverno per poi sparire sotto i raggi del sole. Ogni anno, nei mesi freddi, vengono creati pupazzi di neve destinati a sciogliersi e ad essere dimenticati. La situazione si ripete tutti gli Inverni, originando un ciclo perenne che presenta non poche similitudini con quello dell’ esistenza.

 

Immagini: seconda illustrazione dall’ alto, “A Merry Christmas” (1903), from the Miriam and Ira D.Wallach Division of Arts, Prints and Photographs. Picture collection by an unknown artist, original from The New York Public Library, digitally enhanced by Rawpixel. Terza immagine dall’ alto via Dave from Flickr, CC BY-ND 2.0 . Quarta immagine dell’ alto via snap713 from Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

Un albero di Natale

” Sono stato a osservare, questa sera, un’ allegra brigata di bambini riunita attorno a quel bel gioco tedesco, un Albero di Natale. L’ albero era piantato al centro di un gran tavolo tondo, e torreggiava alto sopra le loro teste. Era splendidamente illuminato da una miriade di candeline; e ogni dove riluceva e scintillava di oggetti sfavillanti. C’erano bambole dalla rosee guance, nascoste tra le verdi foglie; e c’erano orologi veri (con lancette mobili, quantomeno, e con un’ infinita capacità di caricarsi) penzolanti da innumerevoli ramoscelli; c’erano tavoli francesi lucidati, sedie, letti, armadi, pendole a carica settimanale, e altri vari articoli di mobilio domestico (mirabilmente creati, in latta, a Wolverhampton), appollaiati fra i rami, come in attesa di arredare qualche casa di fate; c’erano grassi ometti dal faccione largo, assai più piacevoli a vedersi di tanti uomini in carne e ossa…e lo credo bene, perchè staccando le loro teste, mostravano che erano pieni di caramelle; c’erano violini e tamburi; c’erano tamburelli, libri, cassette degli attrezzi, scatole di colori, scatole di dolciumi, scatole di lanterne magiche, e ogni sorta di scatole; c’erano ninnoli per le ragazzine più grandi, assai più splendenti di tutto l’ oro o di tutti i gioielli per adulti; c’erano cestini e puntaspilli di ogni foggia; c’erano fucili, spade e stendardi; c’erano fattucchiere in mezzo a cerchi magici di cartone , a predire la sorte; c’erano dadi rotanti e trottole fischianti, agorai, nettapenne, boccette di sali profumati, carte da conversazione, portafiori; frutta vera, rivestita artificialmente da una sfoglia dorata; mele, pere e noci finte, zeppe di sorprese; (…). Questa variopinta collezione di oggetti di ogni sorta, i quali erano raggruppati sull’ albero come grappoli di bacche miracolose, e che riflettevano gli sguardi brillanti su esso puntati da ogni lato (…) formava un quadro vivente delle fantasie infantili, e mi ha indotto a pensare che tutti gli alberi che crescono e tutte le cose che esistono sulla Terra, possiedano i loro addobbi fantastici in quel memorabile periodo. “

 

Charles Dickens, da “Un albero di Natale”

 

 

Foto “Children with Christmas Tree” di The Texas Collection, Baylor University, via Flickr, CC BY-NC 2.0