Schield e ‘The Exhibitionist’, la nuova photostory di Diego Diaz Marin

 

Schield Collection lancia la sua nuova campagna pubblicitaria Autunno/Inverno 2013/14 optando per la formula della photostory e presenta The Exhibitionist, raccontata dalle immagini del giovane e talentuoso fotografo Diego Diaz Marin. Con la modella Anna Rudenko come protagonista, The Exhibitionist immortala in sequenze fotografiche progressive la vicenda di una bellissima donna, affetta da un disturbo di personalità che la spinge compulsivamente a mettersi in mostra: un bisogno che la stimolerà ad entrare, furtivamente,  in un museo per fingersi protagonista di un fashion shooting nella location di una giungla artificiale. Nell’ immaginario servizio fotografico, assume pose che mettono in risalto la sua statuaria bellezza  impreziosita dai gioielli Schield, esibiti scatto dopo scatto. Il suo ‘delirio’ verrà infine placato dal personale di sicurezza del museo, che la allontanerà con forza dalla teca di vetro esotica. Ancora una donna ‘disturbata’, ancora una personalità patologica legata ad  una delle manifestazioni caratteriali più pertinenti al nostro tempo: l’esibizionismo, l’ ossessione morbosa del mettersi in mostra. Diego Diaz Marin, riprendendo un topic che accomuna le protagoniste di The Exhibitionist e di Psychotic Love di Roberto Cavalli – di cui è stato il celebrato autore – sembra affascinato da donne ‘problematiche’ e lievemente megalomani: quel che lo attira, come egli stesso afferma, è la loro dignità, mai scalfita neppure dalle più assurde azioni, la loro superiorità morale rispetto ai gesti stravaganti compiuti. Il formato della photostory è l’ideale per raccontare personaggi e vicende esprimendone la dinamicità, la fluidità, il movimento nella serie di scatti in sequenza cronologica, piuttosto che in una singola foto.  Il colore vivido, forte e profuso, è un elemento costante nella fotografia di Diaz Marin: The Exhibitionist sancisce il predominio dell’ azzurro, un turchese brillante quasi da fondale marino che crea un link tra background, occhi della protagonista e dettagli del suo look come lo smalto alle unghie dello stesso colore. Su questo sfondo dalla tonalità  monocroma, la esibizionista e gli animali imbalsamati del museo risaltano in modo particolare, avvolgendosi nella velatura onirica della realtà parallela da lei vissuta. La sensualità e il glamour vengono abbondantemente emanati da una Rudenko che indossa top attillati,  reggiseni a fascia, pantaloni in pelle, camicie bianche perfettamente ‘aggiustate’ al corpo e con i capelli biondi, liscissimi, accuratamente pettinati all’ indietro.

La sua sofisticatezza, la sua eleganza ci spingono a parteggiare per lei condividendo la sua fantasticheria con l’indulgenza  che si riserva a chiunque deleghi all’apparenza un ruolo supremo anche se fittizio: un leit motiv della nostra contemporaneità, dopotutto. Il fascino ammaliante mantenuto nella compulsività stimola condivisione, ammirazione dell’ audacia al di là di qualsiasi condanna, un sorriso divertito nei confronti di chi, con caparbietà e sventatezza, tenta comunque di vivere un proprio sogno. La photostory di Diego Diaz Marin si rivela dunque, oltre che un perfetto veicolo pubblicitario, ottimo strumento indagatore della realtà che si avvale di due motivi fondamentali: il glamour e la fantasia. Il che, non guasta.

 

 

The Exhibitionist

Fotografo: Diego Diaz Marin

Stylist: Roberto Ferlito e Diego Diaz Marin

Modella: Anna Rudenko

Hair Stylist: Nino Maiorana

Make Up Artist: Carla Sorrenti

Roberto Cavalli presenta Psychotic Love

 

Un film fuori dagli schemi, composto da sequenze fotografiche che sviluppano un storia espressa dal titolo – Psychotic love – in modo calzante: è il progetto più recente di Roberto Cavalli, che si avvale della direzione creativa di Rachele Cavalli e degli scatti di Diego Diaz Marin. Un progetto mirato a promuovere la nuova collezione accessori del brand evidenziando, in particolar modo, l’ iconica Hera bag. Protagonista del film è una star volitiva e ribelle, fortemente caratterizzata da una fluente chioma di capelli ramati, che si muove nei dintorni di una immensa magione di campagna – e poi al suo interno – senza mai separarsi da una gallina nè dalla sua Hera bag. Le esperienze che vive, sequenza dopo sequenza, evidenziano un suo disagio crescente sempre più ossessivo accompagnato da una progressiva variazione nei colori delle immagini, che si tramutano in toni inesorabilmente dark di pari passo con l’ implosione psichica della protagonista. Il film intanto, enfatizzando i superglamourous accessori del brand, si snoda tra tonalità di estremo impatto che amalgano, in modo artistico, gli outfit della ‘donna sulla crisi di nervi’ all’ ambiente circostante quasi mimetizzandoli in esso. Le sequenze lasciano sporadicamente spazio a scatti in cui il corpo della star si moltiplica a dismisura e crea giochi geometrici intrecciandosi con elementi dello sfondo, dando vita a sorprendenti effetti psichedelici. Le foto di Diaz Marin sono splendide realizzazioni artistiche che eccellono sia nel ritrarre le ambientazioni in esterno che in interno, partendo dalla sorta di iniziale trip ‘bucolico’ della protagonista fino ad arrivare alle claustrofofiche crisi nella sua cupa abitazione. La scena finale del film mostra la star in procinto di abbandonare tutto: circondata da bagagli e valigie di ogni tipo, si appresta a salpare verso la sua nuova esistenza. La Hera Bag, naturalmente, è lì ad accompagnarla, irrinunciabile compagna di vita e di avventura. Come dire: si può rinunciare a tutto, mai allo stile. (Nelle immagini, alcune sequenze del film).

 

Summer Jamboree: arrivederci al 2013!

(Photo by Alberto Polonara)

E anche quest’ anno è calato il ‘the end’, sul sipario del Summer Jamboree di Senigallia. Ultimi concerti, ultimi eventi, ultimi sprazzi di swing mood per la grande festa dedicata alla musica e cultura americane degli anni ’40 e ’50: un’ affollatissima domenica di metà agosto in cui i colori profusi degli stand del Vintage Market regalavano, ancora, frammenti di sogni di un’epoca lontana ma viva, amata, celebrata da un pubblico appartenente ad ogni fascia di età. Tra le numerose novità del Festival, quest’ anno alla sua tredicesima edizione, personaggi inediti come Miss Dorothy, presentatrice dallo squisito stile rétro e dalla frizzante personalità. Ma chi è  Miss Dorothy? Un’ ingresso ad appena 10 anni di età nel Disney Channel dove lavora per 9 anni,  diverse esperienze nello show-biz come un film, Marameo, con Enzo Iacchetti, pubblicità e teatro  formano parte del suo CV fino al saliente giro di boa, 4 anni fa: l’ inizio dell’ attività di performer con una delle più importanti agenzie di Burlesque italiane. Come lei afferma in un’ intervista, qualità, difetti e pregi della sua identità originaria si sono trasferiti nel suo “nuovo personaggio” donandogli quel tocco di freschezza, di fascino pulito e disarmante che fa la differenza. Quale potrebbe essere il nome di questo nuovo personaggio? ‘Signorina Dorothy’, è la proposta della diretta interessata, che ci auguriamo di vedere come protagonista di un sempre più variegato Summer Jamboree per molte altre edizioni ancora. In bocca al lupo Miss Dorothy, e che il rock’n roll sia con te!

Buon lunedì.

Hanami

 

“Cadono i fiori di ciliegio sugli specchi d’acqua della risaia: stelle, al chiarore di una notte senza luna.”

(Yosa Buson)

Sono molteplici, gli haiku giapponesi che celebrano i fiori di ciliegio: il sakura, fiore nazionale, è protagonista dell’ evento più caratteristico, più spettacolare della cultura e della tradizione nipponica. Narra un’antica leggenda che, in origine bianchi, i petali di ciliegio fossero divenuti rosa dopo che un imperatore ordinò che sotto le loro fronde fiorite venissero seppelliti dei valorosi Samurai caduti in battaglia. Da allora, dopo che gli alberi ne ebbero assorbito il sangue, la loro tonalità cambiò per sempre e furono assunti a simbolo dello splendore e della caducità dell’esistenza. Il ciliegio, che al momento della fioritura espande i suoi petali creando impalpabili nuvole rosa, esprime in quel preciso istante tutta la sua meraviglia: una meraviglia di breve durata, legata ad un’ intensa ma fragile, effimera bellezza. Esattamente come la vita è un dono magnifico ma precario, destinato ad appassire, senza facoltà alcuna di mantenere la sua sfolgorante grazia. In tutto il Giappone l’ Hanami, dal significato letterale di ‘guardare i fiori’, è un fenomeno che viene accuratamente pianificato durante il corso dell’ anno: già alla fine dell’ inverno, l’avanzamento dello sbocciare dei fiori e gli aggiornamenti sulla fioritura vengono seguiti con attenzione ed estremo interesse dalla popolazione, costantemente mantenuta updated da notiziari e tg.

 

 

La Primavera rappresenta il culmine di questa fibrillazione: al fiorire dei ciliegi, in aprile, la tradizione vuole che i giapponesi srotolino lunghe stuoie azzurre sotto gli alberi fioriti e che, sotto la splendida ‘tettoia’ di corolle, si dedichino a un relax conviviale che include il sorseggiare sakè, la conversazione, la contemplazione della natura e l’assaggio di delizie quali il sakura mochi, dolcetti a base di riso tinti prevalentemente di bianco e rosa. La notte diviene un momento ancora più magico, grazie alla luce soffusa delle lanterne di carta e al bagliore lunare: propizia il romanticismo e il ritrovo degli innamorati. Momenti di assoluto incanto che godono, nell hic et nunc, della magnificenza floreale senza pensare al prossimo futuro, alle giornate in cui i petali si staccheranno poco a poco dai rami lasciando svanire l’affascinante malia dell’ Hanami. Un fenomeno naturale, visto con serenità se pensiamo che, nell’ ottica dei kamikaze, persino il suicidio viene paragonato alla caduca grazia dei fiori di ciliegio: “Se solo potessimo cadere come fiori di ciliegio in primavera, così puri, cosi luminosi” recita l’ haiku di un soldato ventiduenne. Un concetto che ribadisce, in sè, tutta l’assoluta poesia racchiusa tra i petali di quello che Yukio Mishima definisce “Il fiore per eccellenza.”

 

 

La Roma oscura de Il segno del comando

 

C’è una Roma sconosciuta ai turisti: intrecci di vicoli come labirinti che sfociano in piazze lastricate di ciotoli. E’  una Roma notturna e silenziosa, semideserta, che si insinua come un’ oasi antica e misteriosa all’ interno della città caotica e trafficata. Una Roma fatta di solenni e lugubri palazzi nobiliari abitati da personaggi che vivono fuori dal tempo, in un mondo personale di passioni e di ossessioni iniziatiche, in cui aleggiano strane presenze. E’ la Roma che scoprirà il prof. Foster, arrivato da Cambridge per disquisire sul diario romano di Byron al British Council e da quel momento in poi preso nel vortice di antiche leggende ed esoterici presagi, irretito quasi inconsapevolmente da una torbida’ setta’ che  si rivela in un doppio volto, in una doppia realtà. Deciso a saperne di più dopo un sonetto in cui Byron descrive un’esperienza inquietante concludendo i suoi versi con ‘Tenebrose presenze’, viene coinvolto in una strana storia di reincarnazioni, predestinati e artisti maledetti accomunati dalla passione per l’occulto, per lo spiritismo, per il soprannaturale. Una profezia di negromanti designa Foster come il reincarnato di un pittore morto cento anni prima di cui è sosia, condannandolo a morire il 28 marzo, come il pittore…Ma una macabra caccia al tesoro a cui lo conduce proprio il sonetto di Byron, lo porta a scoprire luoghi e figure chiave per la sua salvezza: giungerà ad essa grazie ai versi sibillini del Salmo della doppia morte, partitura per organo di un musicista attratto da mondi oscuri e ‘morto nel peccato’ secoli prima. Ma intanto la realtà e l’ intangibile si intrecciano, intersecano, passato e presente si uniscono e sdoppiano, rivelando un lato oscuro nei luoghi, nelle persone e nelle situazioni in cui niente, nessuno è come appare, e muoiono persone legate alla ‘trama esoterica’ . Anche la figura ambigua di Lucia, in abiti gipsy e dalle misteriose apparizioni e sparizioni, crea una realtà confusa e onirica trascinando Foster in taverne secolari che svaniscono nel nulla, tenebrose sedute spiritiche negli angoli più lugubri di antichi castelli, tetre sartorie teatrali abitate solo da manichini.

 

 

Dovrebbe morire il 28 marzo, Foster: l’unico modo che ha per salvarsi è trovare il potente Segno del Comando, un amuleto in grado di sconfiggere la profezia, e crede di essere sulla strada giusta, di aver trovato il luogo in cui si nasconde grazie alle parole a doppia chiave contenute nel Salmo. Ma sarà stupore quando questo non avviene, altri morti si susseguono orribilmente, e persino il finale della storia si dirama in una doppia versione: quella di un commissario di Polizia che snocciola una conclusione dalla razionalità pura, in cui magia equivale a superstizione ed appannaggio di fanatici, contrapposta alla versione esoterica che conduce Foster a impossessarsi del Segno del Comando grazie a un viottolo buio dove, nella fantomatica Taverna dell’ Angelo appena riapparsa, sarà Lucia a rivelargli il mistero. Può capitare dunque che all’ interno di una trama oscura e misteriosa, il fantasma della modella di un pittore maledetto del passato venga a salvarti e che sia il suo amore, l’amore di una Lucia presenza di due mondi oscillanti tra il terreno e l’ ultraterreno, a consegnarti il misterioso, salvifico Segno del Comando: Foster lo aveva già con sè, dono di Lucia la prima sera insieme, alla Taverna. Un medaglione su cui è incisa una civetta, opera di un antico orafo e negromante, ha impedito che la profezia si avverasse. All’ alba del 29 marzo, Foster è vivo grazie a un dettaglio, incastonato perfettamente nel romanticismo byroniano: la sua vita prosegue, messa in salvo da un fantasma che ha attraversato secoli e tempo per raggiungerlo, mosso dal più passionale tra i sentimenti. L’ambiguità di Lucia, ora, abbandona le ombre rivelando una limpida luminosità…quella dell’ amore.

La realtà stessa ha dunque un doppio volto, in cui la razionalità si interseca suo malgrado, ma costantemente, inevitabilmente, con l’insondabile…

 

 

Foto tratte dallo sceneggiato TV Il segno del comando, 1971, diretto da Daniele D’ Anza.

Buon mercoledì.