Il Vin Santo, l'”oro liquido” della Toscana

 

L’Autunno è, senza dubbio, la stagione del vino. In nessun altro periodo dell’anno il vino si beve più volentieri: davanti al caminetto acceso, insieme agli amici o nell’intimità familiare. Ma anche da soli, la sera, per celebrare la fine di una lunga giornata di lavoro. Il vino novello, non a caso, viene immesso sul mercato dal 30 Ottobre in poi; e le ossa dei morti, i tipici biscotti del giorno della Commemorazione dei Defunti, si servono rigorosamente con il Vin Santo. Ecco, il Vin Santo appunto: oggi approfondiremo la storia, le curiosità e le caratteristiche di questo antichissimo vino toscano. Che sia stato ribattezzato “oro liquido” è tutto fuorchè casuale. Si tratta di un vino pregiato, raffinatissimo, che in tempi remoti veniva offerto agli ospiti – o alle persone – di prestigio compiendo un gesto di stima e di profonda riverenza nei loro confronti. Pare addirittura che il  procedimento per realizzarlo sia una sorta di “ricetta” segreta tramandata di padre in figlio.

 

 

Ma che cos’è, innanzitutto, il Vin Santo? Il Vin Santo è un vino passito, che viene cioè ricavato da uve lasciate appassire dopo essere state raccolte. Sul nome che gli è stato assegnato, così particolare, abbiamo notizie che sconfinano un po’ nella storia e un po’ nella leggenda. Un antico scritto senese attesta che, negli anni in cui la peste nera imperversava in tutto il Vecchio Continente, un frate appartenente all’Ordine Francescano si servisse del vino destinato all’Eucaristia per guarire i contagiati. Era il 1348:  due anni prima la peste bubbonica si era diffusa dall’ Asia in Europa, dove sarebbe rimasta per 500 anni. Dubitiamo che la terapia a base di vino funzionasse, ma molti ne erano fermamente convinti: fu chiamato Vin Santo perchè si riteneva che fosse miracoloso, in grado di curare la peste.

 

 

Sempre nel Medioevo, precisamente nel 1439, pare che fu il cardinale e umanista Giovanni Bessarione a imbattersi nel Vin Santo. Mentre il Concilio di Firenze era in corso, Bessarione assaggiò un vino e credette di riconoscere nella bevanda il “vino di Xantos”, ovvero Santorini. Lo affermò davanti a tutti, ma coloro che sedevano a tavola con lui udirono il termine “santos” al posto di “Xantos”: ciò li portò a credere che quel vino possedesse caratteristiche taumaturgiche. Secondo altre testimonianze, invece, il nome Vin Santo deriverebbe dal fatto che fosse utilizzato nella Santa Messa, durante la liturgia Eucaristica.

 

 

E le particolarità del Vin Santo, quali sono? Essendo un vino passito, come già detto, viene realizzato con uve sottoposte a una lunga fase di appassimento, o disidratazione. Durante il processo, l’acqua e gli acini si separano incrementando la concentrazione di zuccheri in modo esponenziale. Questo procedimento è piuttosto duraturo e, soprattutto, estremamente dispendioso. Il vino che si ottiene è contraddistinto da un’alta gradazione alcolica e un elevato residuo zuccherino. La produzione del Vin Santo si avvale di uve come la Malvasia del Chianti, il San Colombano, il Cenaiolo Bianco e il Trebbiano; quando vengono usate uve di tipo Sangiovese, prende il nome di Vin Santo occhio di pernice. Anche in Umbria, oltre che in Toscana, il Vin Santo è una bevanda tradizionale. Nella sua versione più dolce (ne esiste una dalle note che virano al secco) si abbina ai cantucci, biscotti secchi a base di mandorle che affondano le loro origini nella Toscana del 1500. Montefollonico, una frazione del comune di Torrita di Siena, viene considerato il “borgo del Vin Santo”: questa tipologia di vino è il simbolo del paese. Qui, ogni anno, il 7 e l’8 Dicembre si festeggia la produzione del cosiddetto “oro liquido” con l’evento “Lo gradireste un goccio di Vin Santo?”, dove con “goccio” si fa riferimento alla parsimonia con cui veniva offerto il prezioso vino toscano. Tra le attrazioni della festa sono incluse degustazioni, mercatini artigianali, passeggiate naturalistiche, ma il clou è costituito dal concorso “Il miglior Vin Santo fatto in casa”: viene assegnato un premio a tutti coloro che producono il Vin Santo artigianale più squisito.

 

Photo Credits, dall’alto verso il basso:

Vin santo e cantucci, foto 1: Popo le Chien, CC0, via Wikimedia Commons

Vin Santo e cantucci, foto 2: Popo le Chien, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Uve appassite: Zyance, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons

 

Il vino e i suoi colori

 

Autunno, tempo di vino. Ma non tutti i vini, e lo sappiamo bene, hanno lo stesso colore. Potremmo inserirli in tre diverse tipologie cromatiche: vini rossi, vini bianchi e vini rosati. La loro colorazione dipende dai pigmenti vegetali presenti nella buccia dell’uva: gli antociani sono i responsabili della tonalità dell’uva rossa, i flavoni di quella dell’uva bianca e gialla, mentre l’ossidazione delle catechine e dei leucoantociani determina le sfumature più intense dell’uva bianca. Scopriamo meglio, nel dettaglio, come si ottengono i colori delle tre tipologie principali di vino.

 

Vino bianco

 

Viene vinificato dall’uva a bacca bianca. Tuttavia, a volte si adopera anche l’uva a bacca nera, ma tramite uno specifico procedimento: la sgrondatura. La separazione, cioè, delle bucce dal mosto nel momento immediatamente successivo alla spremitura; ciò permette di evitare la macerazione delle bucce nel mosto. E dato che sono i pigmenti contenuti nelle bucce degli acini a determinare la colorazione dell’uva, questo processo fa sì che si possano ottenere vini bianchi anche dall’uva a bacca nera.

 

Vino rosso

 

E’ il risultato della vinificazione dell’uva a bacca nera. La sgrondatura viene effettuata dopo un notevole lasso di tempo dalla macerazione delle bucce nel mosto; questo periodo varia a seconda del tipo di vino, ma di solito dura una manciata di giorni.

 

Vino rosato

 

Viene utilizzata l’uva a bacca nera, ma riducendo al minimo i tempi di macerazione delle bucce nel mosto; oppure, si ottiene una miscela di vino rosso e vino bianco utilizzando l’arte della cuvée, un particolare processo di assemblaggio. Ciò non riguarda, comunque, i vini fermi DOC poichè è vietato utilizzarli in questo tipo di procedimento.

 

 

Ma non esistono solo le tre colorazioni di cui abbiamo parlato: ciascuna di esse è contraddistinta da molteplici sfumature. Da ognuna si deduce di quale tipo di vino stiamo parlando. Come riconoscere, dunque, un vino dal suo colore? Facciamo subito qualche esempio.

 

Le gradazioni del vino bianco

 

I vini giovani sfoggiano sfumature giallo paglierino, che possono assumere una vaga tonalità verdognola in quelli più freschi.

I vini bianchi strutturati, che offrono un’esperienza degustativa estremamente avvolgente, hanno un tipico colore giallo dorato. Ciò vale anche per i vini ottenuti con vendemmia tardiva, quando l’uva viene lasciata appassire sulla vite dopo la maturazione, e per i passiti, realizzati tramite l’appassimento in fruttaio. Il giallo dorato può contraddistinguere, inoltre, i vini per i quali sono state utilizzate bucce che esibiscono una tonalità più scura.

I vini concentrati sono caratterizzati, invece, da una nuance di giallo ambrato: tra essi rientrano i passiti e i vini liquorosi o fortificati.

 

Le gradazioni del vino rosso

 

I vini giovani e di pronta beva, freschi e gradevoli al gusto, hanno intense sfumature rosso porpora.

I vini rossi di media struttura, così come quasi tutti i vini rossi, ostentano un bel rosso rubino.

I vini di lungo affinamento, lasciati cioè maturare a lungo direttamente in bottiglia, sono tinti di un caratteristico rosso granato.

Quando il suo stato evolutivo indica un’evidente maturazione, il vino assume decise sfumature rosso arancio. Se questa colorazione riguarda la totalità della bevanda, può designare invece un vino ricco di note ossidative: realizzato, cioè, tramite un processo di esposizione controllata all’ossigeno. Oppure ancora, la tonalità aranciata denota un’alterazione del vino.

 

Le gradazioni del vino rosato

 

Anche il vino rosato non ha un unico colore. Ad esempio, assume una gradazione rosa tenue quando le bucce dell’uva sono state lasciate a macerare per pochissimo tempo.

Quasi tutti i rosati sfoggiano una tonalità rosa cerasuolo, che conferisce loro un aspetto lussuoso.

La sfumatura che i francesi chiamano pelure d’oignon, ovvero buccia di cipolla, riguarda invece soprattutto gli spumanti e si identifica con un rosa intenso.

I vini rosati fermi, di media intensità, presentano una gradazione di rosa ancora più intensa: il rosa chiaretto. E’ per questo che prendono il nome di Clairet, “chiaretto” in francese.

 

La colazione di oggi: l’ uva, emblema di vita e di prosperità

 

Nella scorsa puntata di questa rubrica abbiamo parlato delle mele (e della torta di mele), stavolta parleremo dell’ uva. Molti frutti autunnali, in effetti, sono miniere inesauribili di salute e di benessere. L’ uva è uno di questi. Oltre a darci l’occasione di dilettarci con la vendemmia (io l’ho fatto da piccola, mia zia aveva un podere in campagna) ci regala il vino, e i suoi acini succosissimi sono ottimi anche per la prima colazione. Ma quali sono le virtù di questo frutto che, più di ogni altro, rappresenta la fine dell’ estate? Innanzitutto, contiene un’ alta quantità di polifenoli: la sostanza che dà il colore all’ uva e la mantiene sana.  Ingerendoli, contrastiamo l’ invecchiamento cellulare poichè agiscono contro i danni causati dai radicali liberi. I polifenoli sono molecole preziose anche per la salute dell’ apparato cardiovascolare; favoriscono infatti un buon funzionamento dell’ endotelio (il tessuto che riveste le pareti interne del cuore), dei vasi linfatici e sanguigni, svolgendo al tempo stesso un’ azione antinfiammatoria e antiaggregante. L’ uva, inoltre, è un ottimo antidoto contro la degenerazione della macula, la parte centrale della retina. Si rivela utile, quindi, a preservare il benessere della nostra vista.

 

 

Se volete mantenervi giovani e attivi a lungo, poi, l’ uva fa al caso vostro: il resveratrolo e l’ acido linoleico di cui è ricca incentivano, rispettivamente, la sopravvivenza delle cellule grazie a potenti proprietà antiossidanti, e il mantenimento dell’ elasticità della pelle. Lo stress ossidativo, drasticamente ridotto dai componenti dell’ uva, viene contrastato e anche la memoria ne risente: ecco perchè i grappoli di questo frutto sono dei veri e propri toccasana contro le malattie degenerative. Ma non è finita qui: la lista dei benefici dell’ uva è ancora molto lunga. La presenza dei polifenoli apporta ulteriori vantaggi, combatte la sindrome metabolica contribuendo a mantenere ottimali, di conseguenza, i valori dei trigliceridi, del colesterolo, della glicemia e della pressione. Avete mai sentito parlare di vitamina K? Bene, l’ uva la contiene. E’ un efficacissimo fluidificante del sangue, che previene il rischio di emorragie. Inoltre, la presenza di fibre solubili nel frutto regolarizza le funzioni intestinali e diminuisce i livelli del colesterolo e degli zuccheri nei vasi sanguigni.

 

 

L’ uva è squisita sia mangiata da sola che in innumerevoli altre versioni: potete utilizzarla per guarnire dessert quali torte, crostate, pancake, includerla tra i frutti della macedonia o tra i componenti di un tagliere, ricavarne un delizioso succo. Avete solo l’ imbarazzo della scelta! Per concludere, come sempre, lascio spazio alle curiosità e alle leggende. Che in questo caso sono numerosissime: basti pensare che l’ uva, in tempi remoti, veniva considerata il Nettare degli Dei. Non è un caso che gli antichi popoli associassero al vino una divinità in carne ed ossa, Bacco nel caso dei Romani e Dioniso in quello dei Greci. Questi Dei donavano l’ uva all’ uomo come atto di generosità, e dall’ uva veniva ricavata una bevanda, il vino, che aveva uno straordinario potere sull’ animo umano; se bevuto in quantità moderate, alimentava il coraggio, l’ euforia e la loquacità. I valori più comunemente attribuiti all’ uva erano molteplici: il vino, ma ancor prima la vendemmia, venivano associati alla condivisione e alla convivialità. Attorno all’ uva ruota un’ antica leggenda. Si raccontava che, agli albori del tempo, la vite non producesse frutti. Un contadino decise così di potarla, per far sì che le altre piante potessero godere della luce solare. Ma quando si vide disadorna e priva delle sue rigogliose fronde, la vite scoppiò in un pianto disperato. Un usignolo che passava da quelle parti, ascoltandolo, si commosse, e cominciò a intonare una canzone per darle conforto. Le stelle furono toccate profondamente da quella scena, e decisero di rianimare la vite con la loro luminosità. All’ improvviso, la pianta ritrovò le forze e ognuna delle sue lacrime si tramutò in un acino dolcissimo: erano nati i grappoli d’uva.

 

 

Una leggenda della mitologia ellenica, invece, ricollega la genesi della vite alla morte di Ampelo, uno splendido giovane di cui Dioniso era innamoratissimo. Quando Ampelo morì incornato da un toro, Dioniso versò lacrime amare. Il dio che non conosceva la sofferenza si rese conto, nel modo più triste, di cosa fosse il dolore. Inconsolabile, Dioniso continuava a piangere quando un giorno le sue lacrime, cadendo sul corpo inanimato di Ampelo, operarono il miracolo: Ampelo si tramutò in una vite e le lacrime di Dioniso, fondendosi con il sangue di colui che tanto aveva amato, diedero origine al vino. Una sostanza, non a caso, in grado di donare ebbrezza e quindi di cancellare i ricordi strazianti tramite la gioia e la spensieratezza. Il vino cominciò a incarnare la vita, l’allegria, un modo per sconfiggere la morte e qualsiasi pena. Ulteriori motivi che favoriscono l’associazione tra uva e vita si rinvengono nella vendemmia: un autentico rituale che coincide con l’ inizio dell’ autunno. La terra sta per assopirsi, inaugura il suo periodo di riposo in attesa del risveglio primaverile. Ma prima di farlo ci fa dono dell’ uva, o per meglio dire del vino, che ci accompagna lungo tutto l’ inverno restituendoci calore e gioia di vivere. L’ uva diventa così l’ emblema della vita stessa, del trionfo della vita sulla morte, dell’ amore, della prosperità. Non stupisce che in Spagna, a Capodanno, si usi ingurgitare 12 chicchi d’uva in concomitanza con i 12 rintocchi della mezzanotte. L’ uva è fertilità e abbondanza; nell’ Eucarestia il vino simboleggia il sangue di Cristo, che diventa anche il nostro affinchè possiamo rinnovarci, rigenerarci in Lui. Esiste poi un detto, “In vino veritas”, che celebra l’ effetto disinibitorio del vino. Il vino “libera”, elimina i freni e le inibizioni. Sconfigge la doppiezza e favorisce l’ affiorare della verità: rappresenta, dunque, una saggezza pura e “senza filtri”.