“Dopo tanti anni ci siamo lasciati. Era primavera. Un giorno di marzo. Ovviamente non ci siamo lasciati quel giorno – a quarant’anni non ci si lascia mai – ma quel giorno ci siamo lasciati. E’accaduto per gradi, e poi tutto d’un colpo. Una sera dovevamo andare a vedere un film che nessuno dei due aveva voglia di vedere. In quel periodo capitava spesso, andavamo al cinema solo perchè c’era una sala comoda dove arrivare a piedi la domenica nel tardo pomeriggio e dimenticarci di noi stessi. Rivolti allo schermo, potevamo non guardarci negli occhi. Il cuore è un mistero. Lo è la scintilla, la scossa minima, che lo muove per la prima volta e che poi lo accompagna per tutta la vita – una media di ottantadue anni, se tutto va bene, se tutto va come deve andare – , una piccola scossa che ti tiene in piedi, tiene in piedi il cuore per tutto quel tempo, un battito costante, con qualche accelerazione ogni tanto, qualche rallentamento, tutti appesi a una pulsazione, alla palpitazione dell’unico mondo che abbiamo, cioè noi stessi, finchè a un tratto – ma sono passati moltissimi anni – smette, con un collasso doloroso, o forse un assopimento lento, morbido, indotto dai farmaci, sedato, e a quel punto forse il cuore si adagia come un piccolo animale stanco nell’ angolo della casa dove ha sempre vissuto, e muore nel suo mistero, portandosi via la scintilla che l’ha generato. – Lo sente? Tum, tum. – Lo sente? – No, non lo sentiamo più. “
Marco Rossari, da “L’ombra del vulcano” (Giulio Einaudi Editore)
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