L’incantevole fascino del plumbago, il gelsomino azzurro

 

E’ talmente incantevole che Dolce & Gabbana gli hanno dedicato il nuovo profumo della collezione Dolce, Blue Jasmine: un ammaliante connubio a base  di gelsomino Sambac, legno di cedro e fico blu di Sicilia. Eppure, questo meraviglioso fiore dal colore a metà tra l’azzurro e l’indaco con il gelsomino non ha nulla a che vedere. Il suo nome è plumbago, ma viene comunemente chiamato piombaggine oppure gelsomino azzurro (ed ecco il legame con Blue Jasmine). Ho pensato di conoscerlo meglio dopo l’articolo sulla florigrafia che ho pubblicato ieri, perchè lo merita. A proposito, qual è il significato simbolico del plumbago nel linguaggio dei fiori? Viene considerato un emblema di intesa, di complicità. Forse perchè le sue infiorescenze sono riunite in grappoli e il colore dei suoi cinque petali, che rievoca il cielo al momento dell’ alba o del crepuscolo, rimanda a una serena consapevolezza.

 

 

Tuttavia, curiosamente, pare che il nome del plumbago derivi dalla tonalità plumbea dei suoi fiori. Tale teoria risulta probabile in quanto a volte assumono sfumature che tendono al lilla e, in condizioni di scarsa luminosità, vagamente al grigio. L’ ipotesi più attendibile è quella che fa risalire la denominazione del fiore al latino “plumbum”, piombo, poichè anticamente si riteneva che il plumbago fosse efficace contro l’avvelenamento da piombo. Questa pianta perenne, appartenente alla famiglia delle Plumbaginaceae, sboccia tipicamente nei mesi estivi. E’ originaria dell’Africa meridionale ed è molto diffusa nell’ Europa del Sud. Secoli orsono, veniva ampiamente utilizzata per le sue virtù curative: le popolazioni se ne servivano per guarire dalle patologie della vista, dal mal di denti, dalle fratture, dalle ferite e persino dal morso dei serpenti velenosi. Va aggiunto che, essendo una pianta velenosa il plumbago stesso, è pericolosissimo ingerirlo.

 

 

Grazie alla sua bellezza scenografica, non è raro che il plumbago orni e impreziosisca i terrazzi e i giardini. Chi ama le farfalle, poi, deve sapere che può attrarne in quantità: adorano il suo nettare e gli svolazzano intorno in grandi sciami con le loro ali variopinte. Ma il plumbago sfoggia unicamente quella splendida nuance che spazia tra l’azzurro e l’indaco? La risposta è no: la specie di cui sopra, detta Plumbago auriculata, viene affiancata dal Plumbago indica, i cui fiori ostentano un rosso intenso, e dal Plumbago zeylanica, con infiorescenze bianche. Il plumbago cresce sia sotto forma di rampicante che di arbusto, e ciò lo rende sommamente eclettico; resiste alla siccità e non ha specifiche esigenze climatiche. Inoltre, richiede una manutenzione poco elaborata e vanta fiori profumatissimi: un dettaglio che non stupisce, dato l’omaggio olfattivo che Dolce & Gabbana hanno intitolato al “gelsomino azzurro”.

 

Foto via Pexels

 

Tre fiori primaverili e le loro leggende

 

La Primavera è la stagione dei fiori, uno dei supremi emblemi del risveglio. Di quelli che sbocciano in questo periodo conosciamo più o meno ogni cosa: i loro nomi, i loro colori, i loro profumi, le loro caratteristiche…li utilizziamo in cucina, quando è possibile (rileggi qui l’articolo sui fiori edibili). Non tutti sanno, però, che a molti fiori si associano delle magnifiche leggende. Ve ne racconto tre.

 

Il lillà e la leggenda di Siringa e del dio Pan

 

 

La prima leggenda riguarda il Syringa Vulgaris, nome botanico del lillà. Si narra che Pan, il dio dei monti e della vita agreste, un giorno si imbattè in Siringa, una splendida ninfa delle acque dell’Arcadia. Per Pan fu un colpo di fulmine: con l’intento di sedurla, la riempì subito di mille complimenti. L’aspetto del dio, per metà uomo e per metà con sembianze caprine, fece però inorridire Siringa, che fuggì spaventata. Temendo che Pan potesse raggiungerla, Siringa chiese aiuto a suo padre Ladone, il dio dei fiumi. Ladone, quindi, la trasformò in un arbusto di lillà per impedire a Pan di possederla: il dio caprino era noto per il temperamento selvaggio e per i suoi bagordi orgiastici. Pan, in lacrime, non riuscendo più a trovare Siringa si disperò. A questo punto, la leggenda si dirama in due versioni differenti. Secondo la prima, quando Pan passò davanti al cespuglio di lillà udì il melodioso lamento del vento tra le sue fronde; decise dunque di reciderle e con esse costruì un flauto da cui non si separò mai più. La seconda versione, invece, racconta che Siringa si trasformò nella canna di un canneto per sfuggire a Pan. Il dio se ne accorse ed estrasse dal canneto sette canne che accorciò e unì tra loro realizzando uno strumento musicale. Nacque così il suo celebre flauto, che non a caso porta anche il nome di “siringa”. E il lillà? Da allora, venne per sempre chiamato Syringa Vulgaris.

 

La pratolina e la leggenda di Bellis e del dio della Primavera

 

 

La pratolina è una di quelle margheritine che in Primavera invadono i prati. Scientificamente si chiama Bellis Perennis: un nome che, come nel caso della Syringa Vulgaris, ebbe origine da una leggenda molto antica. Bellis era la bellissima figlia di Belus, il dio celtico della luce. La leggenda vuole che, un bel giorno, Bellis iniziasse a danzare su un prato con il suo fidanzato. Il dio della Primavera la notò immediatamente: perse la testa per lei e si fiondò sulla coppia per strapparla dalle braccia dell’amato. Quest’ultimo, infuriato, reagì all’assalto del dio con estrema violenza. Spaventatissima, Bellis decise quindi di fuggire da entrambi; chiuse gli occhi, si estraniò da quel contesto e si trasformò in una leggiadra margherita. La pratolina, anticamente, era un fiore che riscuoteva grande apprezzamento sia presso i reali che la gente comune. Tra i suoi estimatori annoverava Margherita di Valois, prima moglie di Enrico IV di Francia, San Luigi dei Francesi e Margherita D’Angiò, la consorte di Enrico VI di Lancaster. In inglese, il nome della pratolina è intriso di suggestività: “daisy“, infatti, deriva da “day’s eye”, ovvero “occhio del giorno”.

 

Il giacinto e la leggenda di Giacinto e di Apollo

 

 

Veniamo ora alla leggenda che riguarda lo Hyacintus, una pianta bulbosa dalle infiorescenze coloratissime. Il suo nome deriva da Giacinto, un prestante giovane della mitologia greca. Principe di Sparta, Giacinto era amato dal dio Apollo, ma ad essere affascinati da lui erano anche Zefiro (personificazione del vento dell’ ovest), Borea (personificazione del vento del nord) e Tamiri. La gelosia di Zefiro nei confronti di Apollo, purtroppo, fu fatale al bel principe di Sparta. Apollo era innamoratissimo di Giacinto; un giorno, in previsione delle Olimpiadi a cui quest’ultimo avrebbe preso parte, i due amanti iniziarono una gara di lancio del disco. Apollo lanciò il disco, e osservando quella scena Zefiro impazzì di gelosia: soffiò una forte folata di vento sulla coppia, ma la raffica cambiò la traiettoria del disco. Giacinto fu colpito violentemente dall’attrezzo, che si scagliò contro la sua tempia uccidendolo. Apollo, disperato, tentò in tutti i modi di salvare il suo amante; non ci riuscì, però non permise ad Ade, il dio dell’ oltretomba, di portarlo con sè: trasformò il sangue versato da Giacinto in un fiore profumatissimo e dal colore intenso a cui diede il suo stesso nome. Per celebrare Giacinto, a Sparta tra Maggio e Giugno si tenevano le Giacinzie, una tre giorni composta da riti simboleggianti la morte e la rinascita.