Il pastore d’Islanda

 

“Quando una festa si avvicina, gli uomini si preparano a celebrarla, ognuno a modo suo. Ce ne sono molti e anche Benedikt aveva il proprio, che consisteva in questo: quando iniziava il digiuno natalizio, o meglio, se il tempo lo permetteva, la prima domenica d’Avvento, si metteva in viaggio. (…) In questo suo pellegrinaggio d’ Avvento Benedikt era sempre solo. Davvero solo? Meglio dire senza compagnia umana. Perchè era ogni volta scortato dal suo cane e spesso anche dal suo montone guida. (…) E ora camminava nella neve, intorno a lui tutto bianco fin dove l’occhio arrivava, bianco e grigio il cielo invernale, perfino il ghiaccio sul lago era coperto di brina o da un leggero strato di neve. Solo i crateri bassi che emergevano qua e là disegnavano anelli neri grandi e piccoli, simili a segni premonitori nel deserto di neve. Ma che cosa annunciavano? Si potevano interpretare? Forse le bocche di quei crateri dicevano: “Anche se tutto ghiaccia, se si rapprendono le pietre e l’acqua, se l’aria gela e cade giù in fiocchi bianchi e si posa come un velo nuziale, come un sudario sulla terra, anche se il fiato gela sulle labbra e la speranza nel cuore, e nella morte il sangue nelle vene – sempre, nel centro della terra, vive il fuoco. ” Forse parlavano così. (…) E, come nata da tutto quel bianco, con gli anelli scuri dei crateri e qualche colonna di lava che sorgeva spettrale qua e là, c’era in quella domenica nel distretto di montagna una solennità che stringeva il cuore. Una festosità grande e immacolata esalava nel quieto fumo domenicale dei casali bassi, rari e quasi sepolti sotto la neve. Un silenzio inesplicabile e promettente – l’Avvento. Sì…Benedikt pronunciò con cautela quella parola grande, mite, così esotica e al tempo stesso familiare. Forse, per Benedikt, la più familiare di tutte. (…) Negli anni quella parola era arrivata a racchiudere tutta la sua vita. Perchè cos’era la sua vita, la vita degli uomini sulla terra, se non un servizio imperfetto che tuttavia è sostenuto dall’ attesa, dalla speranza, dalla preparazione? “

Gunnar Gunnarsson, da “Il pastore d’Islanda”

 

 

L’ Ora Blu

 

Il giorno e la notte si incontrano, stringendosi in un abbraccio. Il silenzio fluttua nell’ atmosfera sospesa. L’aria si impregna di magia, il cosmo emana vibrazioni di armonia potente: è l’ora blu, il momento immediatamente successivo al tramonto e antecedente all’ alba. Ora blu perchè, in quegli istanti, il cielo si tinge di un blu azzurrognolo inconfondibile e molto intenso. E’ un blu che esalta la penombra, che avvolge il paesaggio in un alone onirico dove gli unici bagliori distinguibili provengono dalla luce artificiale. In italiano, la fase del giorno a cui corrisponde si definisce “crepuscolo”; il termine “ora blu” è però più suggestivo e denso di evocatività. Basti pensare che, nel 1912, Guerlain ha dedicato una suo leggendaria Eau de Parfum proprio al “tempo sospeso” che precede la notte e l’alba. Il nome? Heure Bleue, naturalmente. Ed è un omaggio all’ ora blu anche la photostory che oggi vi propongo: per godere appieno di quei momenti inebrianti e mistici che rigenerano l’anima.

 

Ogni cosa fluisce

 

” Contemplando il rivestimento di merletto che i torrenti disegnano sulle montagne non si può non rammentare che ogni cosa fluisce, ogni cosa si muove verso un qualche punto, gli esseri viventi e le rocce così dette inanimate come l’acqua. Fluisce la neve, rapida o lenta, nelle valanghe e nei ghiacciai creatori di bellezza; fluisce l’aria in maestose inondazioni che trasportano minerali e foglie, semi e spore, torrenti di musiche e di profumi; fluisce l’acqua trasportando rocce, in soluzione o in forma di fango, sabbia, ciottoli, sassi. Fluiscono le rocce dalla bocca dei vulcani, come acque dalle fonti e gli animali si raggruppano ed è tutto un fluire, un avanzare di zampe, di groppe in salto, d’ali spiegate, sulla terra, nell’aria, nel mare… E intanto le stelle corrono nello spazio spinte dal perenne pulsare, come globuli rossi nel caldo sangue della Natura. “

 

John Muir, da “La mia prima estate sulla Sierra”

La mappa del mondo

 

” Potevi pensare che era matto. Ma non era così semplice. Quando uno ti racconta con assoluta esattezza che odore c’è in Bertham Street, d’estate, quando ha appena smesso di piovere, non puoi pensare che è matto per la sola stupida ragione che in Bertham Street, lui, non c’è mai stato. Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. A modo suo: ma davvero. Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima. In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava… Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all’altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa. “

 

Alessandro Baricco, da “Novecento. Un monologo”

Il Tempo

” C’era come un odore di Tempo, nell’aria della notte. Tomàs sorrise all’idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi? Odorava di polvere, di orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? Faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d’una grotta, di voci querule, di terra che risuonava con un tonfo cavo sui coperchi delle casse, e battere di pioggia. E, per arrivare alle estreme conseguenze: che aspetto aveva il Tempo? Era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un’antica sala cinematografica, cento miliardi di facce cadenti come palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo. “

 

Ray Bradbury, da “Cronache marziane”

Felice Anno Nuovo

 

 

” Anche la neve contribuisce all’idea

che ci si debba decidere.

Ma appena entrati nell’aria di gennaio,

che è come sempre forzare una porta

o sospingere un vetro con delicatezza,

non è più imbarazzante enumerare i sintomi

di quelle forme bianche rigorosamente

irregolari, contingenti, malgrado

la straordinaria chiarezza della luce, sul fondo,

che ci vediamo costretti a interpretare.

In questo senso la neve ci identifica: segno

del movimento, incessante, compiuto

cominciamento. “

 

“Aria”, poesia di Roberto Sanesi

Le Frasi

” Lo senti quel pungente profumo di freddo nell’aria, il grigio negli occhi e quei lunghi tramonti? E’ l’inverno che arriva.”

(Stephen Littleword)