I fiori di campo e la loro bellezza selvaggia

 

Che posto solitario sarebbe un mondo senza fiori di campo!

(Roland R. Kemler)

 

Cominciano a sbocciare già all’inizio della Primavera, e in Estate trionfano in tutto il loro splendore: i fiori di campo sfoggiano una bellezza selvaggia e costellano le distese campestri di una miriade di colori. Nascono spontanei, non hanno bisogno della semina nè della coltivazione, eppure sono meravigliosi. Non è un caso che siano stati immortalati da alcuni degli artisti più celebri di tutti i tempi: ricorrono nei dipinti di Claude Monet, Vincent Van Gogh, Gustave Klimt…Gli Impressionisti, che dipingevano en plein air in mezzo alla natura, li adoravano letteralmente. Anche perchè la loro comparsa nei prati, nei campi e nel sottobosco coincideva con il risveglio della natura. A sbocciare per prime sono le margherite, i cosiddetti occhi della Madonna (fiori di Veronica) e le primule; successivamente spuntano il tarassaco (su VALIUM ho parlato del buon miele che si ottiene da questa pianta) e la camomilla. Quando il clima si fa più caldo, e il sole invade i campi in attesa della mietitura, ecco che i papaveri cominciano a schiudersi; i loro petali rossi e impalpabili vibrano di rutilante splendore. In aree più ombreggiate ed erbacee, invece, le campanule e i muscari non passano inosservati. Questi ultimi, costituiti da raggruppamenti di piccoli fiori color indaco lungo uno stelo tubolare, sono utilizzatissimi anche come pianta ornamentale per la scenograficità della loro nuance. Ma oltre a quelli già citati, quali sono i fiori di campo più conosciuti?

 

 

Il fiordaliso, ad esempio, azzurrissimo e al centro di due affascinanti leggende della mitologia romana. Ma anche l’anemone, detto il fiore del vento, e poi la margherita di mais (glebionis segetum), così soprannominata perchè somiglia a una margherita completamente gialla. E ancora, la viola del pensiero, la viola riviniana, il ranunculo favagello.

 

 

La digitale rossa colpisce per il contrasto tra il suo nome ed i suoi fiori, infiorescenze pendule tipicamente viola, mentre il garofano dei poeti è diventata una nota pianta ornamentale, come d’altronde l’adonide estiva. Tra i fiori di campo troviamo anche il gittaione, la lantana, la dimorphoteca sinuata, con i suoi colori vivaci, il farfaraccio maggiore.

 

 

E infine il tussilago farfara, dai caratteristici petali giallissimi e sottili. A questa pianta venivano attribuite proprietà medicamentose sin dai tempi dell’antica Roma: pare che il suo nome derivi dal latino “tussis”(tosse), una patologia che il tussilago si era rivelato molto efficace nel curare.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Picnic

 

Primavera, tempo di picnic: di rilassarsi a stretto contatto con la natura, consumando cibi e bevande in un prato verdeggiante costellato di alberi in fiore. E’ un piacere unico, specialmente adesso che le temperature hanno raggiunto valori quasi estivi. Una pausa dal tran tran quotidiano e soprattutto dallo smog cittadino, momenti di svago che aiutano a riscoprire l’importanza di un rito conviviale organizzato in splendidi scenari naturali: su una distesa erbosa, lungo le sponde di un fiume, in riva al mare. Picnic è un vocabolo inglese che deriva da piquenique: con questo termine, composto dal verbo “piquer”(rubacchiare) e da “nique” (che anticamente indicava una sorta di cianfrusaglia), i francesi designavano un pasto frugale, a base di alimenti che ci si procurava in cucina alla bell’e meglio. L’utilizzo di tale espressione cominciò a diffondersi alla fine del 1600, mentre in Inghilterra apparve per la prima volta nel 1748. Nel corso del XVIII secolo, infatti, le tradizionali partite di caccia dell’aristocrazia britannica erano seguite da pranzi all’aria aperta dove veniva consumata la selvaggina. A partire dal 1900, il termine picnic iniziò ad assumere il significato attuale; alla connotazione conviviale del rito, tuttavia, se ne affiancò una più intima: niente di meglio che un pasto consumato in mezzo alla natura, per corteggiare la donna amata. Molti artisti hanno immortalato la suggestiva “parentesi” del picnic, in particolare gli Impressionisti. “Le déjeuner sur l’herbe”, un dipinto che Edouard Manet realizzò nel 1863, rimane l’opera maggiormente conosciuta in tal senso.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Tomte e Nisse: i folletti del Natale scandinavo

 

Nell’articolo sul Natale a Copenaghen, che ho pubblicato lunedì scorso (rileggilo qui), ho parlato di una figura onnipresente nelle festività scandinave: il folletto. Questo personaggio, insieme ai suoi simili, prolifera ovunque. Tant’è che, come vi dicevo, è raro visitare un mercatino natalizio senza incontrarne almeno uno. Oggi scopriremo qualcosa in più su di lui, una creatura ricorrente nel folklore del Grande Nord. Il suo nome varia a seconda del paese di provenienza: in Danimarca e Norvegia il folletto è stato battezzato Nisse, in Svezia viene chiamato Tomte. Le origini del Nisse e del Tomte affondano nella cultura agreste, il tardo Medioevo è l’epoca in cui compaiono le prime illustrazioni e testimonianze che li riguardano. In quel periodo, il folletto è un’entità che ha la funzione di proteggere la tenuta agricola. Il nome svedese che lo designa è indicativo: “tomt” significa “terreno”, per cui viene considerato una sorta di “guardiano della fattoria” che ha il compito di aiutare l’agricoltore nelle incombenze giornaliere e nella gestione del bestiame. Il folletto ama gli animali e se ne prende cura; ha un debole per i cavalli, tantevvero che di notte è solito riempire la loro criniera di treccine talismaniche. Vive nascosto, generalmente nei camini e nelle soffitte. Ma che aspetto ha un Nisse o un Tomte che dir si voglia? Innanzittutto, è alto all’incirca due spanne. Fisicamente è simile a uno gnomo, sul volto da anziano spicca una lunga barba candida; indossa un cappuccio rosso a punta e i tipici abiti dei contadini scandinavi del 1600. In Danimarca e Norvegia svolge le medesime funzioni del Tomte svedese, anche se Nisse deriva dal nome proprio Niels, diminutivo di Nikolas. C’è da dire che il carattere del folletto non è esattamente accomodante. Nonostante sia laborioso, discreto (lavora durante la notte, in gran segreto, mentre gli abitanti della fattoria dormono placidamente), preciso e attento, se nota qualche negligenza o ritiene di essere trattato male va su tutte le furie: rompe, disfa, fa dispetti…minaccia di andarsene per sempre. Per evitare di scatenare la sua ira, e a mò di ringraziamento, l’agricoltore deve lasciare un pasto per lui ogni sera. La ciotola che rimane vuota dopo qualche ora è la prova della sua esistenza. A Natale, poi, il folletto ha diritto a un alimento speciale di cui è golosissimo: il tomtegröt, un tipico budino di riso svedese. Lo pretende con zucchero, burro e cannella abbondanti, altrimenti esplode in sonore arrabbiature.

 

 

Anticamente, la figura del folletto era molto controversa. C’era chi ringraziava il cielo per averne uno che badava alla fattoria e chi riduceva quest’atteggiamento positivo nei suoi confronti a una sorta di idolatria. Accudire un folletto, per alcuni, era come adorare il diavolo; non è un caso che il Tomte e il Nisse fossero spesso tirati in ballo durante i processi per stregoneria. I cristiani consideravano i folletti creature pagane e guardavano a loro con diffidenza. In più erano collerici, vendicativi, si diceva che rubassero persino…Solo intorno alla fine dell’800 l’immagine del Tomte e del Nisse venne riabilitata. Gli artisti e i letterati cominciarono a ricondurli alla figura di San Nicola, ma l’autentica svolta si ebbe quando l’illustratrice svedese Jenny Nyström li raffigurò come folletti bonari a corredo del componimento “Tomten” dello scrittore e filosofo Viktor Rydberg. Questo testo descrive un Tomte che trascorre la gelida notte di Natale completamente immerso in meditazioni filosofiche. Il folletto non è più l’entità dispettosa e irascibile del folkore: diventa un essere pensante, mansueto, che ama gli animali e ha a cuore il bene della fattoria. Ma cosa c’entrano il Tomte e il Nisse con il Natale?

 

 

Il legame tra il folletto e il Natale si instaurò nientemeno che in Italia, precisamente nel 1836. In quel periodo erano molti gli artisti e gli intellettuali scandinavi che si trasferivano nel nostro paese. A far conoscere il Nisse nella tiepida e assolata Roma fu il pittore danese Constantin Hansen, un esponente della corrente del Romanticismo. In molti notarono l’addobbo natalizio raffigurante un Nisse durante una festa che Hansen diede nella sua abitazione: da allora, il folletto scandinavo venne considerato una creatura del Natale e si moltiplicarono le sue rappresentazioni a tema. Anche l’artista Johan Thomas Lundbye (danese come Hansen) incluse un Nisse intento a mangiare il budino di riso in una sua illustrazione natalizia del 1845.

 

 

Non molto tempo dopo, l’apparizione della versione femminile del folletto gli diede addirittura la possibilità di metter su famiglia. Attualmente, la figura del Tomte e del Nisse ha raggiunto un giusto equilibrio tra l’irriverenza e la permalosità delle origini e la bonarietà rassicurante e pacifica che acquisì nel XIX secolo: d’altronde, un folletto che non sia dispettoso non si è mai visto! E il Tomte e il Nisse, appartenenti al mondo delle innumerevoli creature che animano i boschi, i monti, i mari e le tenute agricole delle innevate lande del Grande Nord, hanno fatto della loro “dispettosità” un tratto distintivo e inconfondibile. Concludo con un particolare che non può essere tralasciato: in Svezia, Babbo Natale si chiama Jultomte. Ma in comune con Santa Claus ha solo il cappello rosso, perchè lo Jultomte non è altro che il folletto “delle fattorie”. Lo Jultomte porta i doni ai bimbi e in questo ruolo ha preso il posto dello Julbock, ovvero la celebre capra di Natale del folklore scandinavo.

 

Tutte le illustrazioni sono di Jenny Nyström (Public Domain)

 

Quando il ghiaccio si fa arte: l’Ice Hotel di Jukkasjärvi, nella Lapponia Svedese

 

La neve e il gelo di questi giorni ci hanno riportato a contatto con il freddo, quello vero, quello delle temperature che scendono sottozero. Ma non si può negare che anche il ghiaccio abbia il suo fascino. E per immergersi a 360 gradi nella meraviglia invernale esiste una possibilità che a prima vista potrebbe sembrare surreale: soggiornare in un ice hotel. Ne esistono molti nel mondo, ma come potrete immaginare si concentrano prevalentemente nella penisola scandinava. E sono pronti ad offrirvi un’esperienza da fiaba, permettendovi di pernottare in strutture che spaziano dagli igloo a veri e propri castelli di neve dagli interni incantati. Ma come resistere al freddo polare di questi hotel? La risposta è molto semplice: munendovi di un pigiama termico e usufruendo degli speciali sacchi a pelo riscaldati e delle pelli di renna che troverete in ogni camera. Tenete presente che gli ice hotel sono aperti solo nei mesi invernali, generalmente da Dicembre a fine Marzo. Perciò, se l’esperienza vi attira, fareste bene a prenotare il prima possibile!

 

 

Il primo hotel di ghiaccio mai costruito al mondo (e anche il più grande, dato che misura 6000 m2) si trova in Svezia, precisamente nella Lapponia Svedese. Il suo nome è Ice Hotel ed è situato a Jukkasjärvi. Dista 14 km da Kiruna (la città più settentrionale del paese) e 200 km dal Circolo Polare Artico, rispetto al quale è collocato a nord. L’ imprenditore svedese Yngve Bergqvist diede vita al progetto nel 1989: sono state utilizzate oltre 500 tonnellate di neve per la realizzazione della struttura, che viene ricostruita ogni anno e rimane aperta da Dicembre a Aprile. Entrando nel dettaglio, l’Ice Hotel è composto da neve pressata ed enormi blocchi di ghiaccio rinvenuti presso il fiume Torne. A tenere insieme pareti e colonne è lo snice, una miscela di neve e ghiaccio che plasma anche svariate parti dell’ edificio. L’Hotel viene impreziosito, inoltre, dagli oltre 200 cristalli di ghiaccio scolpiti manualmente che sfoggia l’ iconico lampadario della hall. Il risultato finale è straordinario: non è un caso che la struttura, ad ogni sua apertura, vanti più di 50.000 visitatori provenienti da tutto il mondo.

 

 

Esternamente, l’ Ice Hotel è simile a un enorme igloo. Al suo interno, però, sprigiona preziosità pura: le 12 suite che ospita esibiscono sculture glaciali realizzate da 24 artisti internazionali sotto la direzione del comasco Luca Roncoroni, architetto e direttore creativo dell’ Hotel. Tra giganteschi elefanti, pareti intagliate a mò di fiocco di neve, arabeschi, ispirazione Bauhaus e miriadi di imponenti funghi, lo splendore è assicurato. Alle suite si aggiungono 24 camere, con una capienza complessiva fino a 100 ospiti. I letti, di ghiaccio, sono ricoperti di caldissime pelli di renna e sacchi a pelo termici: la temperatura si mantiene immancabilmente entro i 3-8 gradi sottozero. I servizi igienici sono invece collocati a parte, in una struttura “tradizionale” annessa all’ Hotel che contiene anche la tipica sauna scandinava. L’Ice Hotel, sviluppato unicamente a pianoterra, include un atrio molto spazioso, una reception e l’Absolut Icebar, un magico “bar di ghiaccio” sponsorizzato dal brand svedese Absolut Vodka.

 

L’ Absolut Icebar

Ma a partire da quest’ anno c’è una grande novità: una piccola cappella, la “Sala delle Cerimonie”, con panche di ghiaccio rivestite di pelli di renna. Lì, è possibile sposarsi in una cornice insolita e altamente suggestiva. Valutate bene questa opzione, nel caso foste in cerca di una location non convenzionale per il vostro giorno del sì!

 

 

Foto, dall’ alto verso il basso

n.2: la Hall del 2007 con sculture di Jörgen Westin. Foto di Laplandish, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

n.4: l’Absolut Icebar nel 2012/13. Foto di L’Astorina, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, attraverso Wikimedia Commons

n.7: la facciata esterna dell’ Ice Hotel. Foto di Markus Bernet, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, attraverso Wikimedia Commons

n.8: la “Banished Dragon Suite” realizzata dagli artisti Valli Schafer & Barra Cassidy. Foto di Laplandish, CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, attraverso Wikimedia Commons

n.9: la suite “Blue Marine” realizzata da Andrew Winch e William Blomstrand nel 2012. Foto di L’Astorina, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

n.10: la suite “Coming out” di Maurizio Perron nel 2008. Foto di Laplandish, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

n.11: particolare dell’ Absolut Icebar. Foto di Markus Bernet, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, via Wikimedia Commons

n.12: scultura “Elephant in the room” realizzata da AnnaSofia Mååg. Foto di Bene Riobó, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

Los Angeles e l’arte della perfezione

 

” La gente oggi prova sconcerto all’ idea che si possa essere innamorati di una città, soprattutto se la città è Los Angeles. La gente pensa che uno dovrebbe innamorarsi di altre persone o del proprio lavoro o della giustizia. Ho amato persone e idee in diverse città e ho imparato che gli amanti che ho amato e le idee che ho sposato dipendevano da dove mi trovavo, da quanto freddo faceva e da cosa dovevo fare per riuscire a sopportarlo. Sopportare L.A. è facilissimo, che è la ragione per cui è praticamente inevitabile che ogni sorta di idea venga messa in atto, per non parlare degli amanti. Anche se nello scompiglio si perde la sequenza logica. L’arte dovrebbe stabilire parametri di organizzazione e di struttura, ma non sono cose che trovi nella California del Sud. Ci hanno provato. E’ complicato essere davvero seri se si è in una città che non riesce nemmeno a tirare su un grattacielo per paura che la terra un giorno si sollevi e faccia crollare quel coso per intero in testa alla gente. E’ così gli artisti a Los Angeles non hanno l’ entusiasmo bruciante che ci si aspetta da loro. (…) I miei amici a New York iniziano a fare su e giù per la stanza irritati al solo ricordo del piacere irrazionale che si prova con le meraviglie simili a nuvole di Larry Bell. (…) L’idea di una “comunità artistica” svanisce nella lentezza dei giorni. (…) Quando negli anni cinquanta la Ferus Gallery iniziò a mostrare l’arte di Los Angeles al resto del paese, la scena artistica di New York osservò che tutti sembravano ossessionati dalla perfezione. Le cornici dovevano essere perfette, e pure il retro delle cornici. Lo definirono il “Finish Fetish”. Come i Beach Boys, per i quali ogni accordo doveva cadere dal cielo in nuvole uniformi. Il rock’n’roll a L.A. ci prova anche oggi a non essere così magnifico, a essere trasandato e appassionato, ma non funziona. Linda Rondstandt, gli Eagles e Jackson Browne non fanno paura a nessuno. Come l’arte della vecchia Ferus, il rock’n’roll di L.A. è semplicemente perfetto. “

 

Eve Babitz, da “Slow Days, Fast Company (il Mondo, la Carne, L.A.)

In a Coachella Mood

 

” Mi resi conto all’improvviso che mi trovavo in California. Caldo, aria balsamica – un’aria che si poteva baciare − e palme. “
(Jack Kerouac, da “On the road”)

 

Tra poco più di 10 giorni, dopo uno stand by biennale causa Covid, tornerà l’ attesissimo Coachella Valley Music and Arts Festival. Dal 15 al 17 Aprile e dal 22 al 24 Aprile, in California, un’ eccezionale line-up di artisti (che include, udite udite, anche i “nostri” Maneskin) si esibirà sui palchi dell’ Empire Polo Fields di Indio, nel cuore del deserto del Colorado. Non potrebbe esistere location più suggestiva: pensate al sole che cala sul paesaggio brullo, ma ricco di palme e Joshua Tree; all’iconica ruota panoramica, la più maestosa al mondo dopo il London Eye e La Grande Roue de Paris; alla musica che si libra magicamente nell’ aria; al tripudio di colori e di persone che rievocano l’ era dei gloriosi raduni rock. Non è un caso che al Coachella Festival abbiano preso parte i più prestigiosi performers internazionali. Qualche nome? I Gun’s and Roses, gli Oasis, i Red Hot Chili Peppers, The Cure, i Radiohead, i Coldplay, i Depeche Mode, Madonna, Prince, Beyoncè…L’ atmosfera è impregnata di un connubio di note e libertà totale. Una libertà gioiosa e rigenerante, nulla a che vedere con il caos, mirabilmente esaltata dal look dei giovani che affollano la manifestazione. Predomina lo stile Hippie, un rimando a Woodstock – il Coachella Festival è nato nel 1999, in occasione del suo trentennale – che si incastra alla perfezione con gli scenari californiani: spazi sconfinati, spettacolari, costantemente baciati dal sole e vagamente affini alla surreale Death Valley in cui Antonioni girò il film cult “Zabriskie Point” (la Death Valley, il deserto del Colorado e quello del Mojave, d’altronde, rappresentano le tre principali aree desertiche della California). Tornando al Festival, vi anticipo che Kanye West (oggi ufficialmente “Ye”), Harry Styles e gli Swedish House Mafia saranno gli headliner dell’ edizione 2022. Per visionare il calendario completo, potete consultare il sito del Coachella Valley Music and Arts Festival. Ma non dimenticate di visionare, prima, la photostory che dedico allo spirito wild & free di questa leggendaria kermesse.

 

 

 

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Nottate milanesi

 

” E poi è stato grazie a quei primi fumetti che sono arrivato a Milano, e ho cominciato a spassarmela. Lavoravo tanto, ma riuscivo anche a godermi le nottate milanesi, che erano intensissime. Soprattutto al Capolinea, storico jazz club sui Navigli. C’era una band fissa, con ospiti che si alternavano di volta in volta. Lì ho visto e sentito spesso Enzo Jannacci. Ed era bellissimo anche andare nel quartiere di Brera, quello degli artisti. E dei ribelli. A Brera ho conosciuto Andrea Valcarenghi di “Re Nudo”, un leader assoluto della controcultura. Di quelle notti ero uno spettatore. Bevevo con gli occhi e con le orecchie quello che vedevo, ed era tutto straordinario. E si beveva anche nel senso più comune, parecchio. Certe “mattine” cominciavano a mezzogiorno, con un gran mal di testa. I tipi che si incontravano, al Capolinea o nei locali di Brera, stavano cambiando il mondo. Ero affascinato da quegli ambienti milanesi, ma non stupito, perchè avevo già respirato quell’ aria nuova a Venezia, tra il ’67 e il ’68. Ma anche prima, per la verità: alla Biennale di Venezia del ’64, in cui avevano presentato la pop art americana. Mentre dall’ Inghilterra stavano cominciando ad arrivare le canzoni dei Beatles e Rolling Stones, in Italia si ascoltava anche De André. Per me, giovanissimo, era stato un cambiamento culturale, prima che politico. Un cambiamento partito dall’arte, dalla musica, dalla letteratura. “

 

Milo Manara, da “A figura intera”

 

 

 

 

 

“Sogno dunque sono”: incontro con Antonia Sautter, regina della creatività Made in Venice

 

Dire “Carnevale di Venezia” equivale a dire “feste”: sontuose, spettacolari, intrise di fascino e di suggestioni oniriche. Balli in maschera che sono un inno alla fantasia, ad un passato opulento come lo fu il ‘700 della Serenissima, a un’ eleganza fastosa ma estremamente raffinata. E dire “feste”, nella Venezia carnascialesca, equivale a dire “Ballo del Doge”. Vanity Fair lo ha definito “il più esclusivo al mondo”, e non a torto: allestito nella meravigliosa cornice di Palazzo Pisani Moretta, gioiello gotico affacciato sul Canal Grande, è senza dubbio l’ Evento per eccellenza. Definirlo “festa in maschera” sarebbe riduttivo. Partecipare al Ballo del Doge è inoltrarsi in un sogno, un regno palpitante di colori, emozioni, luci, suoni, un luogo incantato dove la realtà lascia spazio all’ immaginazione più squisita. Ogni angolo del Palazzo viene impreziosito da decorazioni sofisticatissime, sul palco si alternano fiabesche performance di artisti straordinari e gli ospiti, anzichè limitarsi ad assistere alla magia che prende vita a poco a poco, diventano gli autentici protagonisti della soirée. Per avere un’ idea dell’ atmosfera del Ballo, basta leggere i titoli e i temi assegnati alle sue edizioni: “…Because Dreaming is an Art” (2014), “Cupid in Wonderland” (2015), “The Secret Garden of Dreams” (2016), “The Magnificent Ephemeral – In praise of Dream, Folly and Sin” (2019), solo per citarne alcuni. L’ ideatrice di questo happening internazionale, un vero e proprio evento artistico oltre che mondano, è Antonia Sautter. Nata nel capoluogo del Veneto da padre tedesco e madre veneziana, Antonia riunisce in sè il pragmatismo teutonico e il gusto per il bello insito nel DNA degli abitanti della città lagunare. Il suo aspetto è nordico (occhi azzurri, capelli lunghi e biondissimi), la sua anima creativa allo stato puro. Si definisce “un’ artigiana sognatrice”, e ha diramato questa dote in più direzioni: la realizzazione di splendidi costumi ed accessori fatti a mano, l’ organizzazione di eventi luxury e, naturalmente, la direzione artistica del prestigioso Ballo del Doge. Era ancora una bambina quando, affascinata dalle abilità sartoriali di sua madre, iniziò a creare abiti. Da allora, lasciando la fantasia a briglia sciolta, ha intrapreso un percorso che anni dopo l’ avrebbe portata a fondare la Antonia Sautter Creations & Events. Il suo Atelier nel cuore di Venezia, poco distante da San Marco, è una sorta di “wunderkammer” del savoir faire artigianale. Costumi principeschi, compresi quelli d’ epoca realizzati per il Ballo del Doge, convivono con parrucche barocche, scarpine vellutate, sfarzosi kimono e borse ornate di arabeschi. Affianca il tutto un tripudio di preziose stoffe, stampe handmade e ricami finissimi, che utilizza per la creazione dei suoi accessori e della sua linea moda: entrambi, sono composti rigorosamente da pezzi unici. L’ ispirazione attinge perlopiù a Venezia, privilegiando velluti, damaschi, sete e broccati. La creatività, leitmotiv di una vita vissuta sulle ali del sogno, è valsa ad Antonia Sautter molteplici riconoscimenti, compresa l’ onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana di cui è stata insignita nel 2012. Affascinata dal suo talento e dal suo eclettismo (in qualità di costumista ha collaborato anche con svariate produzioni teatrali e cinematografiche), ho voluto fortissimamente ospitarla nel mio blog. Dal nostro incontro è scaturita l’ intervista che segue: una conversazione in cui sarà l’ icona veneziana stessa a raccontarsi e a raccontare la sua arte.

Pensare a Antonia Sautter e pensare a Venezia è un po’ un tutt’uno. Come definirebbe il suo rapporto con la città lagunare?

Sono nata e cresciuta a Venezia. Questa città è sempre stata per me un’ inesauribile fonte di ispirazione. Venezia non smette mai di stupirmi, di emozionarmi, di incantarmi. È la mia città, la sento nell’anima e la vivo da cittadina, luogo in cui ho scelto di rimanere proprio per la sua unicità, esempio unico di forza e resilienza e habitat naturale in cui coltivare le mie creazioni e ideare nuovi progetti. Non potrei immaginare di vivere in un altro luogo. Non ho mai ceduto alla comodità della terraferma e nonostante i disagi spesso affrontati negli anni soprattutto per l’acqua alta, niente potrà mai allontanarmi da questa città che amo profondamente.

 

Antonia Sautter al lavoro nel suo magico Atelier

Dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università Ca’ Foscari si è trasferita a New York, dove ricopriva il ruolo di amministratore unico di Venezia Mode (azienda leader nella distribuzione della moda Made in Italy). Cosa le mancava di più della Serenissima, quando viveva negli Stati Uniti?

Mi mancavano i tramonti, le passeggiate lungo le mie amate “Zattere”, i riverberi della laguna, il suo speciale ritmo in cui il tempo sembra avere più valore, tutta quell’atmosfera di Venezia che io vivo come un grande abbraccio.

La nascita del Ballo del Doge, il prestigioso evento che ha lanciato nel 1994, è associata ad una storia decisamente affascinante. Potrebbe raccontarcela?

Il Ballo del Doge nasce a Venezia nel 1994. A quel tempo avevo un mio piccolo negozio di artigianato veneziano dove vendevo le mie creazioni. Per una serie di circostanze inaspettate entrò Terry Jones, storico membro dei Monty Python, attratto dai piccoli e colorati pezzi di artigianato che realizzavo. Mi parlò di un docu-film per la BBC dedicato alla quarta Crociata. Si trattava di riscostruire un viaggio nella storia di Venezia e, con intraprendenza e un pizzico di audacia, convinsi Terry Jones ad affidarmi parte dell’organizzazione. Misi alla prova la mia creatività, cimentandomi nella realizzazione dei costumi, delle scenografie e dei set per le riprese televisive, coinvolgendo amici e conoscenti da tutta Europa in un’impresa che, senza saperlo, avrebbe segnato il mio destino. Parte del programma consisteva nel mettere in scena una grande festa in un prestigioso palazzo veneziano. Fu un tale successo che gli amici, coinvolti nel progetto, mi incoraggiarono a realizzare, l’anno successivo, una nuova festa. Mi piace pensare che quello fu il primo Ballo del Doge che, da quel momento, ha avuto luogo ogni anno a Venezia l’ultimo sabato di Carnevale diventando una vera e propria produzione artistica, una nuova tradizione, oggi conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo.

 

L’ opening del Ballo del Doge 2020

 

Parlando di sé stessa, ha tramutato la nota locuzione di Cartesio “Cogito ergo sum” in “Somnio ergo sum”. Come è sorto, in lei, questo gusto per il sogno, per il viaggio in altre epoche, per la sontuosità e la fiaba?

C’è una frase di un autore a me molto caro, Paulo Coelho, “Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni”: questa frase esprime perfettamente il mio rapporto con i sogni e il mio modo di vivere la vita. Ognuno di noi cresce con il desiderio di realizzare i propri sogni e io credo di esserci riuscita. Questo lo devo, in primis a Il Ballo del Doge, ma anche a tutta la mia attività creativa che, basandosi sulla tradizione veneziana, mi ha portata ad aprire un Atelier, a creare una linea moda e a specializzarmi in grandi eventi. Un lavoro fatto di tanta passione, tenacia e creatività unite nel mettere in scena uno spettacolo che alza il suo sipario per una notte soltanto. Il Ballo è un luogo dove il tempo è sospeso e lo spazio perde i suoi confini reali. Mi piace definirlo “Il Sogno” perché non rappresenta soltanto il mio, ma è anche quello di tutti coloro che ogni anno scelgono di sognare insieme a me, siano essi ospiti o collaboratori. “Il Sogno” perché ognuno è libero di vivere questa esperienza nel modo in cui preferisce, esprimendo i propri desideri, le proprie aspirazioni attraverso l’arte del travestimento che riesce a svelare la vera essenza di ognuno di noi. A me piace pensare che chiunque scelga di partecipare al Ballo scelga di entrare in una dimensione onirica in cui tutto è possibile…o quasi.

 

Antonia Sautter sul palco del Ballo del Doge 2018

È appassionata di ricerca creativa, di savoir faire artigianale e delle sue espressioni più antiche, soprattutto rispetto ai tessuti e alle tecniche di lavorazione. Indicativo è il fatto che, a pochi passi da San Marco, abbia fondato un Atelier in cui vengono realizzati dei preziosissimi abiti e accessori su misura. Potrebbe dirci qualcosa in più al riguardo?

Mi considero una paladina del Made in Venice. Le mie creazioni, sia la linea moda che i miei abiti storici ed allegorici, sono interamente realizzati a Venezia. Il mio Atelier proprio dietro Piazza San Marco custodisce oltre 1.500 costumi, da me disegnati e creati per gli artisti del Ballo e per gli ospiti in oltre trent’anni di attività, tutti rigorosamente fatti a mano nel mio laboratorio a Venezia. Sono costumi di tutte le epoche e stili, da me reinterpretati in chiave fashion-glam. Non solo, quindi, costumi d’epoca filologicamente ispirati, ma anche allegorici, frutto della mia fantasia. Sono questi ultimi i costumi più scenografici e quelli a cui sono maggiormente affezionata: i miei abiti scultura, uno dei quali, Venetia, Regina dei Mari, è stato anche esposto alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2017. L‘Atelier è aperto tutto l’anno, su prenotazione, ai visitatori che vogliano provare l’emozione di indossare una delle mie creazioni e magari realizzare un servizio fotografico per immortalare questa esperienza unica. Oltre ai costumi, ho un’altra grande passione che ho coltivato nella mia fucina tutta veneziana, un laboratorio artigianale dove realizzo la mia linea moda. Reinterpretando antiche tecniche di tintura e di stampa a mano, nascono collezioni immediatamente riconoscibili per la particolarità dei dettagli come le stelle che richiamano la Torre dell’Orologio di Piazza San Marco, il gotico fiorito delle trifore della Ca’ D’Oro, i fregi bizantini che si rincorrono sulle facciate dei palazzi e molti, molti altri ancora, tra cui le libellule simbolo di armonia, di amore, di trasformazione come realizzazione del sé al femminile e di libertà. La creatività al femminile è proprio per me sinonimo di libertà. Questi disegni vengono incisi con una sgubbia su tavolette di legno o linoleum e poi, assestando dei colpi di martello sullo stampo, prendono vita ricami indelebili dai colori scintillanti su velluto o seta pregiata. Sono capi di alta manifattura in edizione unica, interamente fatti a mano e decorati uno a uno. I materiali utilizzati sono morbidi velluti e sete cangianti. La collezione comprende abiti da sera, borse, scarpe, kimono, accessori e complementi per l’home decor come cuscini e puff, cornici per specchi, ventagli e arazzi. Tutto personalizzabile su richiesta del cliente. Ciascuna creazione comporta ore di attento lavoro e di studio: della giusta combinazione per trovare la nuance di colore perfetta, della scelta del velluto adatto, della realizzazione degli stampi attraverso i quali verranno realizzati i disegni sui tessuti. Pazienza, concentrazione, grande precisione e manualità sono le modalità con cui lavoro io, assieme alle mie sarte. Le mie creazioni sono disponibili al Venetia, il mio piccolo negozio-atelier situato dietro Piazza San Marco oppure nel nuovo e-commerce Antonia Sautter Boutique (https://antoniasautter.boutique/).

 

L’ abito “Venetia”, realizzato interamente a mano come ogni creazione di Antonia Sautter

Un novero di meravigliosi abiti d’epoca rende ancora più suggestivo l’ Atelier dell’ icona del “Made in Venice”

Il Ballo del Doge viene considerato l’evento mondano più esclusivo a livello internazionale. Come sceglie, di volta in volta, i temi che caratterizzano la festa?

La stampa, i media e gli ospiti che si sono susseguiti negli anni lo hanno definito il più sontuoso, raffinato ed esclusivo ballo in maschera del mondo, una delle dieci cose che tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita. La mia ispirazione per ogni edizione de Il Ballo del Doge nasce dai miei sogni di bambina, dall’immaginario che mia mamma stimolava con la sua inesauribile creatività. E anno dopo anno è diventato una straordinaria produzione, un vero happening internazionale. Durante i lunghi mesi di preparazione per il Ballo già penso a come vorrei realizzare il successivo. L’ispirazione per me nasce proprio nel momento di massima operosità, quando sono immersa nel mio lavoro e circondata dai miei collaboratori. Quelli sono i momenti per me più preziosi e delicati. Attimi in cui per esempio dall’ascolto di un brano da sposare ad una nuova coreografia, la mia mente mi regala immagini e suggestioni che mi danno un’idea per il Ballo che verrà. Così inizio a pensare, ideare, realizzare bozzetti e personaggi per la nuova edizione. Per tradizione i temi del Ballo sono 3 e vengono declinati a seconda della narrazione scelta. I peccati capitali, l’amore eterno, il giardino dell’ Eden, una celebrazione di Venezia. Insomma, ogni anno la mia creatività, che corre a briglia sciolta, mi porta in territori sconosciuti nei quali non ho paura di addentrarmi e, attraverso la disciplina che mi caratterizza, riesco a domarla realizzando il mio sogno, Il Ballo del Doge.

 

Alcuni scatti che testimoniano la preziosità e la scenografia fastosa e accuratissima del Ballo del Doge

Sempre a proposito del Ballo del Doge, esistono aneddoti o VIP che ricorda in modo particolare e di cui vorrebbe parlarci?

Tante sono le personalità, gli imprenditori e le star dello sport che negli anni hanno scelto di vivere l’esperienza de Il Ballo del Doge. Spesso questi ospiti scelgono di uscire dagli schemi e utilizzano l’arte del travestimento che permette di giocare con sé stessi. C’è chi sceglie il totale anonimato coprendo il proprio volto completamente e chi invece vuole vestire panni insoliti o eccentrici. Ricordo con piacere una personalità del mondo musulmano, che volle vestirsi da Papa.

 

Costumi sfarzosi, atmosfere da sogno, artisti che coniugano la Commedia dell’ Arte con la fiaba…Il Ballo del Doge è tutto questo e molto altro ancora

A causa della pandemia di Covid, stiamo vivendo uno dei periodi più drammatici della nostra storia. Il lockdown ha determinato anche la sospensione delle favolose feste del Carnevale veneziano. Cosa pensa di questa situazione, sicuramente penalizzante? Una rinascita secondo lei è possibile o rimarremo ancorati al virtuale ancora a lungo?

Il Ballo del Doge nel 2020 celebrava la sua ventisettesima edizione giusto in tempo prima che calasse il sipario sul mondo della creatività, della fantasia, dello spettacolo in genere. Quest’anno non ho potuto mettere in scena il Ballo a causa delle restrizioni imposte per la tutela della salute pubblica. Tutti i miei ospiti, ormai per me diventati anche amici, mi hanno sostenuta e appoggiata in questo difficile momento. Il Ballo del Doge non è solo un evento mondano, ma una grande macchina lavorativa che coinvolge per molti mesi dell’anno tanti giovani. Runner, montatori, tecnici del suono e delle luci, vestieriste, truccatori, costumisti, sarti, facchini, attori, cantanti, ballerini, fotografi, operatori video, figuranti e molti altri. Una popolazione che conta su questo evento e su di me. Un evento di livello internazionale che permette loro di valorizzare il proprio mestiere, qualunque esso sia, di mettersi in mostra davanti ad un pubblico prestigioso. La sospensione è stata un duro colpo per me soprattutto pensando a tutti loro. Ho cercato però, il più possibile, di continuare a lavorare, a creare, insieme ai membri più stretti del mio team. Per fare in modo che il sogno non si fermasse, non si spegnesse la fiammella della fantasia. Siamo pronti a portare in scena una nuova magnifica favola, quando sarà il momento giusto. E garantisco fin d’ora che metterò tutte le mie forze affinché sia uno spettacolo da ricordare.

Il Ballo del Doge, in occasione del 1600simo anniversario della fondazione di Venezia, si è svolto in una speciale edizione virtuale incentrata su una serie di tableaux vivants ai quali hanno preso parte svariati artisti e performer. Che può raccontarci di questa iniziativa?

L’iniziativa realizzata per Fliggy (piattaforma travel di Alibaba) era parte di una più ampia serie di collaborazioni con attrazioni turistico-culturali in tutta Europa. Musei tra i più celebri al mondo come Il Louvre, Il Prado e il British Museum, avevano già realizzato live streaming attraverso questa piattaforma per continuare a tenere i riflettori accesi sul mondo dell’arte in questo periodo di chiusura. È stata un’opportunità molto importante e preziosa per me. Abbiamo regalato al pubblico cinese un Ballo del Doge a portata di smartphone con oltre 40 performers del mio cast artistico, che mi hanno accompagnata in un percorso di narrazione per presentare, attraverso i tableaux vivants da me ideati, Venezia e la tradizione del suo Carnevale. Le iniziative digitali, come la diretta live-streaming con Fliggy, sono occasioni perfette di visibilità e massima diffusione per continuare a tenere alta l’attenzione sull’arte, la cultura e la magia del Carnevale e di Venezia in tutto il mondo. L’evento con Fliggy è coinciso anche con i festeggiamenti per l’anniversario dei 1600 anni di Venezia. Un’occasione unica per ricordare al mondo la bellezza e la storia immortale di questa nostra meravigliosa città.

 

Gli artisti che si esibiscono durante l’ evento contribuiscono ad accentuarne l’incanto

Ha già deciso il tema su cui si focalizzerà il prossimo Ballo del Doge? E quale edizione, a tutt’oggi, ricorda con maggior soddisfazione?

Ho già scelto il titolo per la ventottesima edizione che sarà “Amor Opus Magnum”, ovvero l’amore è la grande ricchezza. La immagino come una rinascita, una festa straordinaria che si vestirà di nuovi colori per celebrare l’inizio di una nuova vita dove passione, creatività, tradizione, bellezza e arte troveranno nuovamente spazio per esprimersi in un’esplosione di joie de vivre e libertà. Ogni Ballo (e sono ormai 27!) è una nuova favola, legata a straordinari ricordi e densa di emozioni. Tutte le edizioni rappresentano l’espressione della mia creatività. Forse quella che ricordo con maggior affetto è stata “Il Ballo del Doge Rebirth and Celebration”, la venticinquesima edizione. Fu un traguardo simbolico, l’apoteosi dei festeggiamenti, ma anche una magica coincidenza: si celebrava infatti, nella stessa notte, anche il mio compleanno. Questo ha reso il tutto ancora più straordinario: 25 anni di Ballo del Doge, 30 anni di attività nella organizzazione di eventi e i miei 60 anni!

 

 

Per concludere, vorrei riaccendere i riflettori su Antonia Sautter. Sognatrice, creatrice, visionaria, amante del bello e…? Quale definizione aggiungerebbe, per completare la sua descrizione?

Sono una sognatrice…pragmatica e ottimista di natura. Ho sempre capito che per realizzare i sogni bisogna avere senso pratico e capacità organizzative, altrimenti rimarrebbero pura astrazione. Mi piace volare con la fantasia tenendo i piedi saldamente fissati al suolo. Sono costantemente alla ricerca della meraviglia e, curiosa di natura, mi piace mettere nelle cose quel dettaglio magico, in apparenza impercettibile, che fa la differenza e fa emozionare coloro che lo sanno cogliere. Sono tenace, al limite dell’ostinazione, e sono convinta che attraverso la volontà e l’applicazione si possa raggiungere qualsiasi traguardo. Dicono che sono coraggiosa e questo coraggio, forse, deriva dalla continua spinta ad osare che mi caratterizza. In concreto, sono una stilista di moda, designer di costumi d’epoca ma anche direttore artistico e organizzatrice di eventi. E a tutto questo voglio aggiungere, con fierezza, che sono donna! Fortemente convinta del valore aggiunto che il femminile possa portare nel mondo. Per me tutte le donne sono regine guerriere e affrontano ogni giorno con coraggio le loro piccole grandi sfide della vita. Da anni curo nel dettaglio e propongo, in diverse versioni, una sfilata spettacolo dove attraverso alcuni dei miei abiti dedicati alle grandi regine della storia e dell’immaginario, ripercorro uno straordinario universo femminile. Le regine storiche come Maria Antonietta, Caterina di Russia, Cleopatra, Teodora o quelle fantastiche come Titania, Sharazade, la Regina del Mare, la Regina dell’Amore, la Regina dei Peccati. Queste sono solo alcune delle personalità che ho scelto di portare in scena e a cui affido un messaggio di coraggio e di intraprendenza. Attraverso queste straordinarie protagoniste, della storia o dei sogni, cerco di esprimere le tante anime femminili che sono ancestralmente dentro ciascuna di noi. Un messaggio ad essere impavide e prendere consapevolezza dell’energia creatrice che ci caratterizza e ci rende uniche. Per non dimenticare mai che ogni donna è Regina nell’anima.

 

Abito “Caterina di Russia”

Antonia Sautter in una delle sue ricercatissime mise

Ancora una serie di scatti tratti da varie edizioni del Ballo del Doge

Abito “Veronica Franco”

Abito “Regina della Notte”

Abito “Cleopatra”

Antonia Sautter mentre rifinisce uno dei suoi spettacolari abiti d’altri tempi

I kimono, tra i capi più iconici dell’ Atelier

Night Blossom Pantuffe, slippers in velluto di seta stampato a mano impreziosite da finiture in oro e cristalli Swarovski

Venetia, la boutique a due passi da San Marco

Kimono platin con stampa giardino e insetti

Costumi d’epoca. Qui sopra: Caterina Cornaro, Giacomo Casanova e Maria Antonietta

Antonia Sautter nel suo regno

In queste immagini, dei magnifici pezzi appartenenti alla Home Collection

Due foto scattate sul red carpet della 77ma Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica di Venezia. Sfila “Venetia”, abito scultura di Antonia Sautter (nella foto, con tanto di mascherina gioiello), indossato per l’ occasione dall’ attrice Beatrice Schiaffino. L’ abito, in organza di seta, rappresenta Venezia attraverso i colori che evocano le albe del bacino San Marco. Le rose rimandano ai vortici dell’ acqua e il lungo strascico simboleggia il Canal Grande. “Venetia” è stato esposto alla Biennale d’Arte del 2017 nel padiglione Luxus come emblema dell’ artigianato d’ eccellenza veneziano.

 

All photos courtesy of Antonia Sautter Press Office

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice – Fase 2: tra bilanci, Flassy Mask e doverose considerazioni

Il Principe “au naturel”, baciato dal sole e immerso nel verde

La Fase 2 dell’ emergenza Coronavirus è appena cominciata, e VALIUM prosegue il suo percorso sulle tracce del Principe Maurice. E’ un percorso ricco di sorprese, dove profonde riflessioni e un’ incisiva vis critica si alternano al mood giocoso di Maurice: a fine lockdown (o quasi), la nostra conversazione telefonica straborda di sprint e spirito propositivo. La quarantena, con i suoi tempi dilatati e l’azzeramento di ogni precedente stile di di vita, ha accentuato più che mai la voglia di reinventarsi del Principe. Nella casa-atelier della costumista Flavia Cavalcanti ha trovato il modo di continuare a fare, a creare, lasciando un doveroso spazio alle considerazioni sulle professioni del mondo della notte e al loro futuro. Intanto, l’ “icona notturna” per eccellenza vive di giorno e lancia già nuovi progetti e iniziative: li scoprirete qui di seguito, leggendo l’ intervista. Posso anticiparvi che non cessa mai di rimanere accanto ai fan, anche solo con il pensiero. E che i limiti imposti dalla pandemia non scalfiscono la sua indole costruttiva, perchè tutto ciò che fa lo fa con passione. Mettendoci il cuore sempre. Ormai lo conosciamo bene…Al punto che potremmo dire, con Stendhal, che “la passione non è cieca, è visionaria”: nessun aforisma sembra più adatto a descrivere il Principe Maurice e il motore che lo anima.

La tanto attesa Fase 2 è appena cominciata: qual è il bilancio della tua quarantena in quel di Milano?

La mia quarantena è stata tutto sommato piacevole, con i limiti e le angosce di chiunque. Come vi ho detto nella puntata scorsa sono ospite di Flavia Cavalcanti e stiamo procedendo nella sistemazione dei suoi archivi, della sua casa atelier, abbiamo addirittura fatto dei lavori di decorazione…Diciamo che in due, tutti e due creativi, il tempo passa e si riesce ad investirlo bene. Poi, sto implementando i miei studi musicali: mi sono procurato una piccola consolle con la quale sto prendendo confidenza per gestire in modo ancora più professionale il mio ruolo di emotional dj. E’ un’ottima consolle virtuale della Pioneer che si collega al computer e mi dà la possibilità di lavorare meglio. Mi sto divertendo molto! Ho anche fatto un piccolo corso con un dj e produttore discografico mio amico, Alessandro Panicciari , che mi ha dato delle dritte per poter utilizzare al meglio questo strumento. Flavia aveva comprato la consolle tempo fa perchè era ne rimasta intrigata, poi me l’ha regalata perchè era sempre molto presa dai suoi costumi! Per cui, ora sarò un po’ più attrezzato nel mio ruolo di dj per dinner show, cocktail e vernissage. Voglio precisare, non sono un dj vero e proprio. Mi definisco, piuttosto, un emotional selector: è la visione che sto implementando in questo periodo in cui abbiamo tempo a sufficienza per organizzare, per pensare…Il mio futuro, molto probabilmente, mi vedrà vestire anche quei panni. Dal punto di vista umano, invece, le sofferenze della quarantena sono tante, perché io sono un animale sociale e detesto la solitudine. Ma il fatto di essere in due, con quella persona straordinaria che è Flavia, è positivo di gran lunga. Anche se la visione un po’ fumosa di questa Fase 2 sta inquietando tutti e ha cominciato ad inquietare anche me. Ho notato che negli ultimi periodi, purtroppo, non ho più ritmi: mi sveglio frequentemente di notte, mi addormento di giorno, comincio a essere stufo…è un fenomeno che mi dà un po’ fastidio. Se consciamente sto passando bene la quarantena per i motivi che già ti ho detto, dal punto di vista inconscio certe paure che ci instillano continuamente, certe insicurezze stanno iniziando a logorarmi: questa preoccupazione nelle retrovie del cervello sfasa la gestione dell’ansia.

 

La nuova consolle del Principe

Balou, ospite fisso di casa Cavalcanti

Cosa hai imparato su te stesso, in questi giorni?           

Posso dirti che, in realtà, non ho fatto altro che avere la conferma di quello che sapevo di me: mi conosco bene. La circostanza indubbiamente è particolare, però io sono già passato attraverso fasi di dolore, senso di perdita, cambiamento dal punto di vista professionale, per cui so bene come mi comporto. Cerco di rendere positive tutte le esperienze, anche quelle più drammatiche. Non ho scoperto tante cose nuove su di me, però ho scoperto che mi manca il mio lavoro! Soprattutto dal punto di vista dell’incontro con il pubblico. Come sai ho fatto una live su Facebook che mi è piaciuta, dove ho parlato con il cuore…Però mi sentivo un imbecille: mi sembrava una masturbazione mentale l’esibirmi davanti a uno schermo, distratto dai commenti – tantissimi devo dire, voglio ringraziare gli spettatori anche attraverso il tuo blog – che ho letto tutti e ai quali ho risposto. Questo feedback sì, è stato bellissimo, perché essendo assolutamente vergine delle live non ho fatto altro che essere me stesso in quel momento, così come mi sentivo. Non volevo fare qualcosa di roboante con costumi, travestimenti vari…Ho parlato con il cuore in mano, senza filtri. E poi ho individuato una canzone straordinaria, “Because the night” di Patti Smith, e l’ho voluta interpretare in una maniera molto intima, proprio in base al senso profondo che può avere per il mondo della notte, per chi ama la notte, quella canzone lì. Le dirette, in ogni caso, non diventeranno un mio modo alternativo di fare spettacolo: ne sono sicuro! Ogni tanto apparirò, perché queste iniezioni di umanità fanno bene. Sono stato me stesso come lo sono sempre, però in una dimensione più intima ed anche colpita da tutto quello che ci sta succedendo…che è qualcosa di veramente allucinante.

 

In versione “Silver Devil” durante la live con i Datura e Rexanthony

Una domanda quasi scontata: parlami della prima cosa che farai ora, in linea con le nuove misure precauzionali.

Purtroppo, come sai, non ci si può ancora abbracciare o stringere la mano, però ci si può almeno vedere di persona…grazie alle nuove norme sulle visite ai congiunti. Quindi, senza dubbio, presto andrò a trovare mia sorella che abita a pochi passi da Milano. Anche se non posso abbracciarla o stringerla voglio vederla con i miei occhi, guardarla negli occhi davvero e non attraverso lo schermo del telefono o del computer! Voglio ridere e piangere con lei del fatto che siamo ancora qui e che possiamo farcela. Questa è la prima cosa che voglio fare! Metto innanzi a tutto i rapporti più forti, gli affetti più intimi e familiari. Dopodichè, mi piacerebbe ricominciare a diventare progettuale e operativo riguardo alla mia nuova professionalità proiettata per la contingenza sul concetto di dinner show. Aggiungo che il 5 Maggio ho un appuntamento importante: andare alla libreria Mondadori, qui a Milano, per comprare l’ ultima fatica letteraria – “Caffè Voltaire” – della mia cara amica Laura Campiglio. Un libro che doveva uscire a Marzo, ma si è arenato nel limbo delle restrizioni.

 

On stage insieme a Grace Jones, amore mai dimenticato e amica di sempre

A livello di fantasia, invece, qual è la prima cosa che vorresti fortissimamente fare? Cosa ti è mancato di più, durante questa interminabile clausura?              

Vorrei abbracciare chiunque, a diversi livelli a seconda dell’attrazione fisica! A parte questo, una cosa che vorrei fare tantissimo coinciderebbe con due desideri, non con uno solo: prendere l’aereo, andare in Giamaica e abbracciare Grace (Jones, ndr.), che da lontano mi è stata molto vicina così come io sono stato molto vicino a lei. Ho un grande desiderio di viaggiare, di ritrovare i miei amici sparsi in tutto il mondo, ma in particolare di rivedere la mia amica di sempre che è Grace. L’ idea di riuscire a raggiungerla, anzi, mi ispira anche qualcosa di più di un abbraccio! E poi c’è un’ altra cosa, naturalmente: vorrei tanto ritornare nella mia Venezia! Vorrei riuscire a vederla così surreale, così meravigliosamente e drammaticamente surreale. Mi catapulterei nel mio delizioso boudoir, Ca’ Pier, dove c’è un giardino segreto sicuramente fiorito e un pianoforte da suonare fino allo sfinimento…Molte città (compresa Milano), in questo silenzio e nell’ essere così vuote, hanno recuperato una purezza nella loro bellezza.

 

Il libro (freschissimo di stampa) “Caffè Voltaire”…

…e la sua autrice: la scrittrice, giornalista e conduttrice Laura Campiglio

In questi due mesi, comunque, mi giunge voce che tu non sia rimasto con le mani in mano…

Con Flavia abbiamo dato il via a una bellissima iniziativa. Avendo tanto tempo a nostra disposizione, abbiamo fatto questa considerazione anche per il fatto che sono soprattutto io, tra i due, quello che esce a fare la spesa e deve quindi indossare la mascherina chirurgica. Funzionale, per carità, ma brutta! Siccome il senso dell’estetica in noi è potente, sono nati degli input anche da fuori: perché Flavia Cavalcanti, così brava, non si inventa delle mascherine belle, particolari? Tra l’altro, non dimentichiamo che le mascherine dovremo indossarle ancora per un bel po’. Non solo, ormai saranno obbligatorie. Così abbiamo creato una nostra linea. Non sono un presidio medico ma abbiamo fatto in modo che una tasca interna possa far passare dei filtri migliori, chirurgici e via dicendo, però diciamo che dal punto di vista del droplet sono funzionali. Sono molto belle, realizzate con dei meravigliosi tessuti a fantasia, applicazioni speciali…Alcune sono più di largo consumo, ma sempre fashion, altre sono pezzi in edizione limitata ed altre ancora pezzi unici che ci hanno già richiesto alcuni VIP. Vengono usati materiali preziosi quali cristalli Swarovski, perle coltivate, paillettes, strass, ricami fatti a mano e pietre dure… E’ stata un’idea straordinaria! Flavia e un suo collaboratore stanno procedendo nella produzione, io intervengo con un mio tocco creativo (mi è sempre piaciuta la moda, quindi ci metto anch’io del mio) per cui ci sarà anche una limited edition a me dedicata…Siamo molto felici! Accettiamo ordini piccoli o singoli e verrà presto creato un sito apposito. Potete ricevere informazioni, dettagli e ordinarle via e-mail (flassymask@gmail.com), acquistarle on line e farvele consegnare a casa, non c’è nessun problema. Nel frattempo, abbiamo già battezzato la nostre creazioni: si chiamano Flassy Mask, l’ acronimo dei nomi dei due creatori Flavia Cavalcanti e Vassy Longhi – un giovane hair stylist e makeup artist (già consulente per Dolce & Gabbana e altri brand di prestigio) che ha collaborato con Flavia ai costumi teatrali del musical “Pinocchio”. L’idea è piaciuta moltissimo e svariati cantanti, attori, attrici e soubrette sono pronti ad acquistarle. Riassumendo, le nostre mascherine sono di tre tipi: alcune sfoggiano stampe animalier, tessuti pregiati e di marca (Cavalli, Philipp Plein e altri… è una serie riprodotta, anche se in un numero limitatissimo). Altre sono tutte fatte a mano e adornate con delle belle applicazioni, altre ancora sono dei preziosi pezzi unici. La nostra è un po’un’ ”Haute Couture” della mascherina! Quando il dramma del Coronavirus sarà finito, secondo me, la mascherina diventerà un feticcio ricordo con cui farsi immortalare. L’emblema di questo momento storico. Quindi averlo bello, averlo griffato Flassy sarebbe un bel cimelio da lasciare alle prossime generazioni. Non è da trascurare!

 

Flavia Cavalcanti e Vassy Longhi con le Flassy Mask

 

Alcuni esemplari di Flassy Mask, mascherine ultrafashion

Hai esordito con una live su Facebook la sera del lunedì di Pasqua. E’ stata, non c’è bisogno di dirlo, apprezzatissima: l’affetto dei fan nei tuoi confronti si percepiva a pelle. Come hai vissuto quel debutto virtuale?

Mentre la giravo ero un po’ imbarazzato. Ho dovuto far forza su me stesso, ma ciò era anche dovuto al fatto che durante la diretta stavo cercando di capire come funzionasse la parte tecnica. Poi, però, mi sono sentito sempre più a mio agio e mi sono lasciato andare. Ho parlato a ruota libera di quello che provavo, messo e descritto la musica che ho scelto al momento, incastonata perfettamente in quell’occasione: proprio come una colonna sonora dei miei sentimenti. E’ per questo che la chiamo “musica emozionale”. Mi è piaciuto, esibirmi in una live. Non riuscivo a capire quanta gente mi stesse seguendo, non capisco una mazza di quella roba lì, però vedevo parecchi commenti il che mi incoraggiava…Sono riuscito ad arrivare indenne alla fine. Successivamente, altri artisti mi hanno proposto di fare delle live insieme e i primi a cui ho detto di sì sono stati i Datura e Rexanthony: sabato 25 Aprile, infatti, ci siamo riuniti virtualmente per una diretta ispirata alla trasmissione che avevamo su M2O, “Rememo”, di musica e di interventi vocali. Il pubblico ha potuto seguirci sia su Facebook che su Instagram. Un’ altra live che ho in programma mi vedrà con Francesca Faggella, lei da Palma di Maiorca e io da Milano, dove riproporremo la New Disco con un intervento “Gloss’n’Glitter”. Cerchiamo di mantenere vivo l’interesse sulle cose belle che facciamo e queste live possono essere degli spot, ma non diventeranno la mia forma alternativa di esibirmi. Io ho bisogno di esibirmi davanti a un pubblico, folto o esiguo che sia.

 

 

Due Flassy Mask della special edition “Principe Maurice”: preziose, notturne e vagamente esoteriche (soprattutto il modello che vedete qui sopra)

Quindi, riguardo alle live, non si può parlare di un vero e proprio progetto che ti manterrà connesso con i tuoi ammiratori…

No. Non è un progetto vero e proprio: lo farò soltanto quando avrò gli inviti simpatici e adeguati. O il desiderio di apparire, perché ogni tanto apparire è anche un’esigenza. Però non diventerà un appuntamento fisso. Me l’hanno chiesto in molti, ma non lo diventerà perché non è nelle mie corde. Potrebbe saturarmi. Di tanto in tanto mi farò vivo molto volentieri, magari anche in compagnia di artisti con cui collaboro, però sempre con la speranza di ricominciare presto ad esibirmi. Sto pensando ad un’ ironica diretta con ospiti qualificati per affrontare l’argomento “sesso” in quarantena: “Fallo a casa (se non hai un congiunto)”, sfruttando il palese doppio senso (ahahahah!) e ispirandomi al personaggio della sessuologa della mitica Anna Marchesini!

 

Alcuni screenshot della live del 25 Aprile con i Datura e Rexanthony

Il futuro dei lavoratori dello spettacolo dopo il lockdown, purtroppo, è ancora nebuloso: gli assembramenti dovuti a serate e concerti rendono difficile una riapertura dei locali a breve. Molti artisti hanno lanciato appelli al Governo, suggerimenti per ovviare allo stand by (penso al teatro in TV di Monica Guerritore). Hai elaborato anche tu una proposta che vorresti divulgare?

Intanto è scandaloso che i lavoratori del mondo dell’entertainment non siano mai stati mai nemmeno citati. Parlo di dj, vocalist, perfomer, ballerini, tecnici vari, camerieri, baristi, manutentori…di tutta quella popolazione che mantiene le famiglie con questo tipo di lavoro nei club della notte. Non sono stati mai menzionati e non è stato pensato alcunchè per quanto riguarda la loro ripartenza. Noi siamo stati i primi ad essere chiusi, saremo sicuramente gli ultimi a riaprire, ma non c’è alcuna forma di sostegno per le famiglie che vivono dei proventi del nostro settore. Penso, che so, anche agli addetti alla sicurezza, alle donne delle pulizie, a chiunque…Tutte persone che con il loro reddito contribuivano al ménage familiare. Nei loro confronti, al momento, non c’è in programma una tutela ufficiale. Ora il sindacato (Silb) sta cercando di muoversi, si stanno organizzando delle raccolte di firme, però la cosa scandalosa è che da parte del Governo o del Ministero non esiste la minima attenzione nei nostri confronti. Ma che a loro piaccia o meno, noi esistiamo. Non ci sembra giusto sentirci dei paria! Io mi occupo anche di altre cose, per carità, però l’industria degli eventi in toto – anche solo i matrimoni, per dire, piuttosto che i congressi aziendali o celebrazioni varie- non è stata mai presa in considerazione. Lo trovo inquietante. Non possiamo fare degli eventi in streaming! La Guerritore è un’attrice, peraltro bravissima, ma io non è che potrei mettermi a recitare con una telecamera davanti. Il mio tipo di lavoro non potrà essere realizzato se non quando ci sarà la possibilità di riunirsi di nuovo. E non c’è alcun accenno a tutto questo, sotto nessun punto di vista. C’è solo il divieto. Però il divieto significa anche che non si lavora, non si guadagna, in certi casi non si mangia! Io ringrazio il cielo, la mia situazione non è così drammatica, ma è una tragedia che stanno sperimentando in molti. L’ industria del divertimento ha un suo valore, e non è un valore così relativo. Ha un suo fatturato, tasse pagate, stipendi, tutto l’indotto che vive intorno…Pensa, che so, alla Riviera Romagnola. Per quanto mi riguarda, investirò sicuramente nel dinner show. Non esiste alternativa alla discoteca, la discoteca non può essere fatta in altro modo se non quello di ballare insieme. Il problema è anche quello di riaprire in maniera economicamente conforme, e con poca gente non si può. Non so neanche se alcuni ristoranti riusciranno a essere di nuovo attivi, perché se un locale da 60 coperti ne può contenere 10 non ce la fa a pagare neppure le spese. Mi chiedo: esistono enti statali appositi, perchè non vengono consultati? Ad esempio c’è il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro), che da sempre dovrebbe essere di sostegno in caso di necessità perché è composto da operatori del mondo dell’industria, dell’economia, del commercio, eccetera…però non è stato consultato. Invece hanno istituito questo “Comitatone” di esperti (?) che ci sta di fatto governando, perché se il Governo pende dalle loro labbra lo facciamo anche noi. Ma si può sapere chi sono questi signori? Che competenze hanno, che esperienze hanno, soprattutto, della vita reale?  Con l’Europa, poi, dovremmo essere tutti uniti: secondo me qui o diventiamo Stati Uniti d’Europa o l’Europa si sfascia, e sarebbe un peccato perché a me piacerebbe l’idea di un’unione salda e reale. L’ unico neo che ho notato all’ interno del mondo della notte è che, purtroppo, non siamo coesi. Ognuno pensa alle proprie iniziative. Invece, siccome l’unione fa la forza, dovremmo farci sentire tutti insieme. Bisogna trovare un modo per far valere i nostri diritti, anche quelli di semplici cittadini che lavorano. Ci stiamo ragionando, purtroppo ne avremo di tempo per ragionare! Però, per far fronte all’ emergenza, auspico che proprio dal punto di vista sociale e politico si prenda atto che esistono anche delle figure professionali che in questo momento sono ferme e lo saranno per molto più tempo degli altri: sono una forza lavoro che va aiutata con un sostegno monetario immediato.

 

 

Nel video, il Principe al pianoforte nel suo boudoir veneziano “Ca’ Pier” e (di seguito) uno scatto dello stesso

Lo stile di vita che ci aspetta non sarà più quello di prima. Come cambierà in meglio e come in peggio, a tuo parere?

Di positivo direi che ci sarà che avremo voglia di fare. Anche chi si era un po’ assopito, adesso, vuoi per necessità o per il fatto di essere obbligato a non far niente, avrà voglia di ricominciare in qualche modo. Sarà sicuramente tutto molto diverso, ancora molto frustrante…In ogni caso darà un’apertura alla speranza il fatto di poter ricominciare a scendere per le strade (sempre con le dovute precauzioni, per carità), poter andare al ristorante o anche solo a lavorare, per dire. Farà ricominciare ad apprezzare quel poco o quel tanto che ognuno di noi aveva. Di certo aumenteranno la coscienza, l’apprezzamento nei confronti di ciò che consideravamo routine o normalità, che davamo per scontato. Però il percorso per tornare a una normalità “vera” sarà ancora lungo e difficile. Probabilmente il fatto di essere isolati, con molto tempo a disposizione, ha aguzzato l’ingegno di chi è propositivo per natura. Penso che potrebbero esserci dei cambiamenti positivi e belli anche per quanto riguarda la gestione dell’ecologia, ma la cosa più inquietante sarà che molte famiglie faranno fatica a mettere insieme persino i pasti giornalieri. La crisi economica è paragonabile a quella di una guerra. E’ di fondamentale importanza, adesso, nell’urgenza, che vengano dati immediatamente degli aiuti a fondo perduto a chi deve pagare l’affitto, le bollette…L’unico modo che vedo possibile sarebbe poter avere a disposizione dei finanziamenti – a fondo perduto, ribadisco –  erogati dalla Comunità Europea, proprio come se fosse scoppiata una guerra mondiale. Con il Piano Marshall, dopotutto, noi non abbiamo dovuto restituire i soldi all’ America quando ce li ha dati per ricostruire. Quel che è certo è che il mondo non sarà più quello di prima. Sotto alcuni punti di vista, soprattutto quello filosofico, sarà migliore: ritroveremo una coscienza oltre che individuale anche comune. Per quanto riguarda l’edonismo e tutto il resto, invece, sarà peggiore perché non saremo più in grado di riavere il nostro stile di vita. Però, dato che si è resettato tutto, si può creare qualcosa di nuovo se ce ne danno la possibilità materiale. Potrebbe venirne fuori una nuova società, una forma nuova di fruire tutto: le bellezze naturali, le bellezze artistiche, musicali…anche il divertimento, che magari sarà molto più intenso, intelligente e di qualità. Ci sarà meno massificazione, forse è così che dev’ essere. Quello che mi auguro è che questa pausa, questo poter tanto riflettere, possa creare dei nuovi fermenti. Sto cercando anch’io di capire come e quando “rinascere” in maniera inedita e interessante…Il primo passo sarà quello di inserire il mio personaggio nell’ambito delle cene spettacolo, quindi dell’intrattenimento durante il pasto. Per il momento, sarà l’unico modo: le strutture di ristorazione che hanno spazio e capienza a sufficienza hanno anche la possibilità di rendere la cena un’occasione non più soltanto conviviale, ma anche in cui ricominciare a fruire di spettacoli speciali, artistici, ben curati, divertenti, leggeri e pregni al tempo stesso. Come quelli che io avevo già iniziato a fare. Questo è il primo modo di esibirmi che vedo realizzabile. Esistono strutture ben dotate e organizzate dove, se la gente vorrà recepire questo nuovo inizio, il dinner show potrebbe avere un buon successo. Immagino che non sia possibile ballare, però se mentre ceni sei circondato da pochi artisti sul palco, qual è il problema? Non potremmo certo esibirci in mascherina, o magari sì se fosse una Flassy Mask! La maschera, dopotutto, appartiene al teatro: stavolta, invece di metterla sugli occhi la metteremmo sulla bocca!

 

Flavia Cavalcanti immortalata durante la creazione di una Flassy Mask

Il Principe con una Flassy Mask dalle suggestioni neon

Vorrei concludere con un tuo messaggio per i fan del mondo della notte, che vedono avvicinarsi un’estate tristemente priva dei loro templi. Cosa diresti per rinvigorire l’animo di tutti quei giovani che amano tirare l’alba a suon di musica o – nel caso del tuo pubblico – al potente ritmo della techno?

Se si potrà uscire sarebbe bello che magari andassero in luoghi anche isolati o particolari, dove ci sono dei bei paesaggi, ad aspettare l’alba (soli o con pochi amici più intimi) o a godere del tramonto mettendo in macchina le cassette, i cd o le chiavette con la musica che amano di più. La ascolteranno chiudendo gli occhi e lasciandosi andare ai loro balli, tornando con la mente ai momenti in cui sono state registrate quelle performance. Per ora, bisogna avere pazienza. Da parte nostra stiamo cercando di fare il possibile perché si possa di nuovo riuscire a stare insieme, ma non dipende da noi. Siamo tutti in sospeso e dobbiamo muoverci in base a come si svilupperà la situazione. Però vorrei dire ai giovani: non rinunciate mai alle vostre passioni, fanno parte del vostro DNA…Non rinunciate alle vostre passioni perché in questo modo tenete vivi anche noi che siamo pronti, prontissimi – appena si potrà – a ritrovarvi e ad amarvi come sempre per essere riamati. Quando sarà possibile uscire, visto che in molti avete un’automobile con un bell’ impianto stereo, raggiungete una spiaggia deserta, un posto ameno. Godete della bellezza della natura, che in questo periodo ha potuto riprendere fiato visto che non l’abbiamo più deturpata né inquinata. Oppure ecco, potreste organizzare dei silent party con le cuffie: magari vi ritrovereste, sempre nel rispetto delle distanze, ascoltando la stessa musica. Perché anche il discorso dell’inquinamento acustico può dar fastidio, quantomeno ai vicini non affini… E questa estate, nel caso non potessimo uscire dalle nostre regioni di residenza, noi italiani siamo talmente fortunati da avere ovunque un patrimonio meraviglioso di cui godere. In ogni regione, in ogni città, anche nel più piccolo borgo esistono delle ricchezze indescrivibili. Quindi vi raccomando di andare alla scoperta della nostra bellezza, del nostro valore, e ve lo dico forte e chiaro: italiani, riscoprite l’Italia, perché è il posto più bello del mondo! Credo che non ci mancherà niente. La nostra estate non sarà un adattarsi ma un riscoprire, un ricominciare ad amare la nostra straordinaria terra.

 

 

Altre due immagini del boudoir del Principe a Venezia

“Andrà tutto bene”…e se indosserete una Flassy Mask, ancora meglio!

 

 

Photos courtesy of Maurizio Agosti

 

Andy, Morgan & The White Dukes: tributo veneziano a David Bowie insieme al Principe Maurice

 

Chi segue la rubrica “Sulle tracce del Principe Maurice” avrà già preso nota di questo straordinario evento anticipato dal Principe in occasione dei suoi Auguri di Buone Feste ai lettori. Oggi, il countdown è agli sgoccioli e VALIUM ritiene imprescindibile dedicare un approfondimento extra alla serata Andy, Morgan & The White Dukes eseguono David Bowie” in programma il 9 Gennaio presso il Teatro Goldoni di Venezia. Si tratta di un tributo d’eccezione a David Bowie che vedrà protagonisti Andy e Morgan, entrambi ex Bluvertigo, insieme alla band dei White Dukes e con la presenza speciale del Principe Maurice nelle vesti di narratore: uno show imperdibile, un autentico must per iniziare il nuovo anno all’ insegna della suggestività pura. A partire dalla location – il più antico teatro tuttora attivo dell’ incantevole Venezia – proseguendo con i prestigiosi nomi degli artisti coinvolti, infatti, il tributo a Bowie si configura come un evento spettacolare ed impregnato di magia. Per conferirgli  la solennità che merita riporto quindi il comunicato stampa ufficiale, dove le info relative allo show si intrecciano ad un’ affascinante descrizione del concept da cui prende vita.

 

Il Teatro Goldoni, inaugurato a Venezia nel 1622

Eseguire la musica di David Bowie a Venezia ha un senso, è quasi dovuto. Li accomunano la bellezza immortale, la “creatività libera ed estrema”, la teatralità intrinseca e quell’essenza tra Eros e Thanatos che li mitizza. Lo sanno bene Andy e Morgan, sin dai tempi dei Bluvertigo, che con i White Dukes mercoledì 9 gennaio interpreteranno al Teatro Carlo Goldoni il repertorio tratto dal periodo più fecondo e poliedrico: 1971 – 1997. Bowie amava questa città così surreale e unica, potente eppure fragile, decadente e sperimentale; la capiva, la godeva, la assorbiva. L’esibizione di Andy, Morgan e i White Dukes vuole essere un suo ritorno, una condivisione da parte di due artisti che si riconoscono con lui in una forma d’arte contaminata che si può definire “teatro del rock”. A sottolineare questa visione particolare, Il Principe Maurice, visionario e qualificato narratore, accompagnerà il viaggio musicale attraverso le tante anime di uno degli artisti più iconici, controversi e affascinanti degli ultimi 50 anni: David (Jones) Bowie.

“Andy, Morgan & The White Dukes eseguono David Bowie” –  9 Gennaio ore 21 al Teatro Goldoni (San Marco, 4650/B) di Venezia

Per ulteriori informazioni, potete far riferimento al sito web del Teatro Stabile del Veneto: www.teatrostabileveneto.it

 

 

 

Immagini del Teatro Goldoni, dall’ alto:

Foto di giomodica [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)] via Wikimedia Commons

Foto di Andrzej Otrębski [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], da Wikimedia Commons