Speciale Hanami: il lessico dei sakura e le date delle fioriture

 

Dell’Hanami (in giapponese “osservare i fiori”) e dei sakura (“fiori di ciliegio”), su MyVALIUM, ho già parlato molte volte. Ma dato che in Giappone, in questi giorni, la fioritura dei ciliegi raggiunge il massimo splendore, vorrei esplorare un aspetto poco conosciuto del periodo dell’anno più atteso e celebrato nel Sol Levante: il lessico dell’Hanami, ovvero le parole che i giapponesi associano al rito della contemplazione dei sakura e alla Primavera in generale. I fiori di ciliegio e la loro fioritura, in Giappone, rappresentano qualcosa di talmente straordinario che esistono oltre 70 termini dedicati ai sakura e all’Hanami. Per ragioni di spazio sarebbe impossibile citarli tutti, perciò ne riporto solo alcuni. Andiamo subito a scoprire quali.

 

 

Asazakura

Ammirare i sakura dona sensazioni inebrianti in ogni istante, ma per i giapponesi l’alba rappresenta un momento speciale: nasce un nuovo giorno, e i fiori di ciliegio, impregnati di rugiada, raggiungono l’apice della bellezza. Le gocce d’acqua che ricoprono i loro petali li fanno scintillare mentre riflettono i bagliori del sole che sorge, conferendo una bellezza non comune al sakura del mattino.

 

 

Adazakura

Con questo termine si indica la bellezza transitoria ed effimera dei sakura: il fiore di ciliegio ha vita breve, i suoi petali vengono strappati al ramo da un alito di vento e i viali si riempiono, ben presto, di tappeti composti da corolle smembrate. Per i giapponesi, tutto ciò che è fugace riveste un significato importante; di conseguenza adorano lo stato d’animo vagamente malinconico indotto da quella visione.

Hanagasumi

Viste da una certa distanza, le chiome dei ciliegi in fiore somigliano a una coltre di nebbia. La parola “Hanagasumi” evoca tutta la poesia e la suggestività di quell’immagine flou, impregnata di accenti onirici.

 

 

Hanafubuki

Un altro termine che rimanda al meteo: quando il vento è molto forte, fa volteggiare vorticosamente i sakura che cadono dai rami. Sembrano fiocchi di neve nel pieno di una bufera. Anche questa immagine risulta estremamente pittoresca ed evocativa.

Sakurafubuki

Ha più o meno lo stesso significato della parola precedente: sta ad indicare la “tempesta” di fiori di ciliegio prodotta da un vento sferzante che libra nell’aria i loro petali.

 

 

Hanabie

Rimaniamo focalizzati sul meteo, prendendo in prestito questo termine dalla poesia giapponese. Si parla di Hanabie quando all’improvviso, una volta che la Primavera è arrivata e i fiori di ciliegio sono già sbocciati, l’Inverno torna a colpire con tutta la sua irruenza e ricopre i ciliegi di neve: un colpo di coda che non è poi così infrequente.

Hatsuzakura

Sono i primi sakura sbocciati in Primavera, quelli che danno il via al rito dell’Hanami ma non solo: i giapponesi li immortalano in foto e video, li decretano protagonisti di servizi televisivi e giornalistici…Rappresentano un vero e proprio evento anticipato da previsioni meteo relative alle date delle fioriture in ogni città.

 

 

Hazakura

Corrisponde al periodo in cui, quando tutti i fiori sono caduti, sul ciliegio iniziano a spuntare le prime foglie. Foglie che si infittiscono man mano che arriva l’Estate. Inizia un nuovo ciclo: la magia primaverile è terminata, i sakura vengono sostituiti dal fogliame. La natura, come sempre, fa il suo corso.

 

 

Hanamizake

Se rileggete questo articolo, troverete molte informazioni sul rito dell’Hanami. E scoprirete che il saké, la bevanda nazionale giapponese, è una delle più bevute durante gli interminabili picnic sotto le chiome dei ciliegi in fiore. Si parla di Hanamizake ogni qualvolta dei petali di sakura, cadendo dal loro ramo, finiscono in una ciotola ricolma di saké.

 

 

Sakura zensen

Il Japan Meteorological Corporation comunica ai giapponesi le date in cui, ogni anno, i ciliegi fioriranno  nelle città principali del paese. I sakura, infatti, sbocciano prima nel sud del Sol Levante, dove le temperature sono più calde, e successivamente nel nord, dove il clima è decisamente più rigido. Le fioriture, dunque, seguono un ipotetico asse che dal sud (Kyushu) si muove verso nord (Hokkaido): ecco il concetto che si associa al sakura zensen.

 

 

Quando ammirare le fioriture in alcune città giapponesi

A proposito di sakura zensen: se prevedete di viaggiare in Giappone, segnatevi le date delle fioriture nelle città che vi indico qui di seguito.

  • Tokyo ⇒ fioritura il 24 Marzo, piena fioritura il 30 Marzo
  • Osaka ⇒ fioritura il 29 Marzo, piena fioritura il 5 Aprile
  • Nagoya ⇒  fioritiura il 26 Marzo, piena fioritura il 4 Aprile
  • Nagano ⇒  fioritura il 10 Aprile, piena fioritura il 15 Aprile
  • Aomori ⇒ fioritura il 18 Aprile, piena fioritura il 22 Aprile
  • Fukuoka ⇒fioritura il 26 Marzo, piena fioritura il 4 Aprile
  • Hiroshima ⇒ fioritura il 27 Marzo, piena fioritura il 6 Aprile
  • Kyoto ⇒ fioritura il 28 Marzo, piena fioritura il 6 Aprile
  • Kanazawa ⇒ fioritura il 3 Aprile, piena fioritura il 9 Aprile
  • Sapporo ⇒ fioritura il 26 Aprile, piena fioritura il 30 Aprile

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Il Dirty Coffee, bevanda di tendenza alla conquista dell’Europa

 

E’la bevanda del momento, adorata dalla Generation Z ma non solo: il Dirty Coffee, dopo l’Asia, sta conquistando l’Europa ed è pronto a sbalordire il mondo intero. Nel Vecchio Continente si è inizialmente diffuso nei paesi del Nord per poi approdare in Italia, dove impazza in tutte le caffetterie. Sembra quasi incredibile che a comporlo siano due semplici ingredienti, il latte e il caffè espresso, eppure è proprio così. Ma il Dirty Coffee ha una marcia in più: si prepara versando un espresso molto caldo in un bicchiere di latte freddo, facendo attenzione a non mescolare le due sostanze. Il risultato è una bevanda squisitamente stratificata, dal gusto intenso e particolarissimo. Il nome che porta lo deve proprio a quel connubio: Dirty Coffee si riferisce allo shot di espresso bollente che, una volta versato nel latte freddo, crea un sorprendente “effetto macchia”. Il latte candido sembra sporcarsi con lo strato di caffè che lo ricopre, ma non lo compenetra; si ottiene una bevanda visivamente attraente, che prende le distanze dal caffellatte pur includendo i suoi stessi ingredienti.

 

 

Come si prepara il Dirty Coffee

Per gustare il drink di tendenza dell’Autunno, bastano un bicchiere di latte e uno shot di caffè espresso. Ma attenzione: il latte dev’essere rigorosamente vaccino, intero e avere una temperatura glaciale; solo questi requisiti permettono di conferire al Dirty Coffee la caratteristica stratificazione. L’espresso, al contrario, è necessario che sia caldo al punto giusto ed estratto alla perfezione. Per procedere alla preparazione, lo si versa nel bicchiere di latte con estrema lentezza. Il caffè dovrebbe depositarsi sulla superficie del latte senza mai amalgamarsi ad esso. Quel che si ottiene è una bevanda deliziosa, la nuova frontiera del caffellatte: la stratificazione non interferisce nel gusto, ma definisce l’estetica del Dirty Coffee. E’ il dettaglio che lo rende unico e speciale. In Giappone, la sua patria, viene arricchito di spezie, guarnito o combinato con sciroppi aromatici per sperimentare sempre nuove versioni del drink.

 

 

Dove è nato il Dirty Coffee?

Come vi ho già accennato, pare che sia nato nel Paese del Sol Levante; la sua paternità viene attribuita a Katsuyuki Tanaka, che fondò la celebre caffetteria Bear Pond Expresso di Tokyo. Secondo quanto riportato da vari siti, nel 2010 un’amica riferì a  Tanaka di aver comprato un caffellatte freddo da asporto; lungo la strada di ritorno, però, il ghiaccio si era sciolto e la bevanda si era completamente riempita d’acqua. Tanaka ebbe quindi un’idea: avrebbe preparato un caffellatte senza ghiaccio, versando l’espresso direttamente nel latte a bassissima temperatura. In tutta l’Asia, questa bevanda riscosse un enorme successo. Conquistò persino Pechino, dove i consumatori non erano ancora abituati all’espresso. In Europa cominciò a prendere piede a Varsavia prima di diffondersi a macchia d’olio.

L’importanza dei dettagli

L’aspetto estetico riveste una grande importanza, per il Dirty Coffee, e ha certamente contribuito al suo boom: l’espresso pigramente versato nel latte va a creare un forte contrasto cromatico che caratterizza e rende iconica la bevanda. Anche il bicchiere in vetro non è scelto a caso: permette di distinguere chiaramente la stratificazione, punto di forza del Dirty Coffee. Dulcis in fundo, questo prodotto può essere considerato una bevanda così come un dessert: un dualismo che senza dubbio accresce il suo fascino.

Foto, dall’alto verso il basso:

Pariwat Pannium via Unsplash, Klara Dlouha via Wikipedia Commons (Public Domain), Pariwat Pannium via Unsplash

 

Il Vin Santo, l'”oro liquido” della Toscana

 

L’Autunno è, senza dubbio, la stagione del vino. In nessun altro periodo dell’anno il vino si beve più volentieri: davanti al caminetto acceso, insieme agli amici o nell’intimità familiare. Ma anche da soli, la sera, per celebrare la fine di una lunga giornata di lavoro. Il vino novello, non a caso, viene immesso sul mercato dal 30 Ottobre in poi; e le ossa dei morti, i tipici biscotti del giorno della Commemorazione dei Defunti, si servono rigorosamente con il Vin Santo. Ecco, il Vin Santo appunto: oggi approfondiremo la storia, le curiosità e le caratteristiche di questo antichissimo vino toscano. Che sia stato ribattezzato “oro liquido” è tutto fuorchè casuale. Si tratta di un vino pregiato, raffinatissimo, che in tempi remoti veniva offerto agli ospiti – o alle persone – di prestigio compiendo un gesto di stima e di profonda riverenza nei loro confronti. Pare addirittura che il  procedimento per realizzarlo sia una sorta di “ricetta” segreta tramandata di padre in figlio.

 

 

Ma che cos’è, innanzitutto, il Vin Santo? Il Vin Santo è un vino passito, che viene cioè ricavato da uve lasciate appassire dopo essere state raccolte. Sul nome che gli è stato assegnato, così particolare, abbiamo notizie che sconfinano un po’ nella storia e un po’ nella leggenda. Un antico scritto senese attesta che, negli anni in cui la peste nera imperversava in tutto il Vecchio Continente, un frate appartenente all’Ordine Francescano si servisse del vino destinato all’Eucaristia per guarire i contagiati. Era il 1348:  due anni prima la peste bubbonica si era diffusa dall’ Asia in Europa, dove sarebbe rimasta per 500 anni. Dubitiamo che la terapia a base di vino funzionasse, ma molti ne erano fermamente convinti: fu chiamato Vin Santo perchè si riteneva che fosse miracoloso, in grado di curare la peste.

 

 

Sempre nel Medioevo, precisamente nel 1439, pare che fu il cardinale e umanista Giovanni Bessarione a imbattersi nel Vin Santo. Mentre il Concilio di Firenze era in corso, Bessarione assaggiò un vino e credette di riconoscere nella bevanda il “vino di Xantos”, ovvero Santorini. Lo affermò davanti a tutti, ma coloro che sedevano a tavola con lui udirono il termine “santos” al posto di “Xantos”: ciò li portò a credere che quel vino possedesse caratteristiche taumaturgiche. Secondo altre testimonianze, invece, il nome Vin Santo deriverebbe dal fatto che fosse utilizzato nella Santa Messa, durante la liturgia Eucaristica.

 

 

E le particolarità del Vin Santo, quali sono? Essendo un vino passito, come già detto, viene realizzato con uve sottoposte a una lunga fase di appassimento, o disidratazione. Durante il processo, l’acqua e gli acini si separano incrementando la concentrazione di zuccheri in modo esponenziale. Questo procedimento è piuttosto duraturo e, soprattutto, estremamente dispendioso. Il vino che si ottiene è contraddistinto da un’alta gradazione alcolica e un elevato residuo zuccherino. La produzione del Vin Santo si avvale di uve come la Malvasia del Chianti, il San Colombano, il Cenaiolo Bianco e il Trebbiano; quando vengono usate uve di tipo Sangiovese, prende il nome di Vin Santo occhio di pernice. Anche in Umbria, oltre che in Toscana, il Vin Santo è una bevanda tradizionale. Nella sua versione più dolce (ne esiste una dalle note che virano al secco) si abbina ai cantucci, biscotti secchi a base di mandorle che affondano le loro origini nella Toscana del 1500. Montefollonico, una frazione del comune di Torrita di Siena, viene considerato il “borgo del Vin Santo”: questa tipologia di vino è il simbolo del paese. Qui, ogni anno, il 7 e l’8 Dicembre si festeggia la produzione del cosiddetto “oro liquido” con l’evento “Lo gradireste un goccio di Vin Santo?”, dove con “goccio” si fa riferimento alla parsimonia con cui veniva offerto il prezioso vino toscano. Tra le attrazioni della festa sono incluse degustazioni, mercatini artigianali, passeggiate naturalistiche, ma il clou è costituito dal concorso “Il miglior Vin Santo fatto in casa”: viene assegnato un premio a tutti coloro che producono il Vin Santo artigianale più squisito.

 

Photo Credits, dall’alto verso il basso:

Vin santo e cantucci, foto 1: Popo le Chien, CC0, via Wikimedia Commons

Vin Santo e cantucci, foto 2: Popo le Chien, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Uve appassite: Zyance, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons

 

Arabica, Robusta, Liberica e Excelsa: conosci le quattro varietà di caffè?

 

Per tutti quelli che, proprio come me, “la giornata inizia solo dopo un buon caffè“, sarà interessante saperne di più su questa incomparabile bevanda. VALIUM le ha dedicato già due articoli, il primo nella rubrica “La colazione di oggi” e il secondo teso ad approfondire il modo di berla in diversi paesi. Il focus di oggi riguarderà, invece, le varietà di caffè presenti nel mondo. Ne esistono quattro, che differiscono per luogo di provenienza, sapore, clima delle aree di coltivazione, lavorazione e tostatura dei chicchi. I loro nomi? Arabica, Robusta, Liberica e Excelsa. Le varietà Arabica e Robusta sono le più utilizzate, anche perchè vengono considerate le più pregiate. Andiamo a scoprire, ora, le principali caratteristiche delle quattro specie.

 

Coffea Arabica

Viene coltivata in zone dal clima mite, con temperature massime di 20 gradi. Originaria dell’ Etiopia, si è estesa a svariate zone dell’Africa e dell’America centro-meridionale: in Colombia, Brasile e nel Centro America si trovano le piantagioni più vaste. Il gusto dell’Arabica è aromatico, ma piacevolmente delicato; lo arricchiscono note acidule determinate dal luogo in cui si collocano le coltivazioni, che possono raggiungere i 2400 metri di altezza. A seconda dell’area di provenienza, comunque, il sapore dell’Arabica varia profondamente; denominatori comuni di tutte le specie rimangono il colore, un marrone molto intenso, e il gusto che, a tratti, ricorda la cioccolata. La varietà Arabica, decantata per la sua pregiatezza, viene considerata la migliore.

 

Coffea Robusta

La varietà Robusta si distingue dall’Arabica per i chicchi di dimensioni minori e per la percentuale di caffeina in essi contenuta; questi elementi fanno sì che il sapore della Robusta risulti più intenso, più amarognolo  rispetto a quello dell’Arabica. Diversa è anche la struttura dei chicchi: di forma tondeggiante con taglio centrale per la Robusta, allungata con taglio irregolare per l’Arabica. A livello aromatico, poi, la varietà Arabica si rivela molto più eterogenea, mentre la Robusta possiede un minor numero di cromosomi; ciò esalta e intensifica il suo sapore amaro. Rispetto alle caratteristiche in comune, invece, il frutto delle due specie è di un bel rosso vivo per entrambe. Potremmo definire la Robusta “robusta di nome e di fatto”: adattandosi a molteplici climi, viene coltivata in svariati paesi. Le piantagioni più numerose si trovano in Africa, in Brasile e nell’Asia Sud Orientale, ma il suo paese di provenienza è la Repubblica Democratica del Congo. Le temperature ottimali per la Robusta sono comprese tra i 24 e i 29 gradi. Cresce molto velocemente, perciò la raccolta è frequente; essendo coltivata a un’altitudine massima di 800 metri, inoltre, la Robusta è priva degli accenti aciduli dell’Arabica. Ma allora, perchè quest’ultima viene considerata la varietà migliore? In realtà, pare che tra le due non esistano sostanziali differenze. Tantevvero che, in Italia, dalla miscela di Arabica e Robusta si ottiene il caffè espresso. Potremmo dire che l’Arabica eccelle nell’aroma, mentre la Robusta è l’optimum per conferire cremosità al caffè; le caratteristiche di ogni variante, come ho già detto, vengono condizionate anche dal processo di lavorazione dei chicchi e dalla loro tostatura.

 

Coffea Liberica

Proviene dalle foreste della Liberia, nell’Africa Occidentale, dove viene ampiamente coltivata. Le esigenze di questa varietà, che richiede acqua in abbondanza e temperature elevate, riducono però il numero delle sue piantagioni. Tra le caratteristiche della Coffea Liberica risalta un sapore fortemente intenso e aromatico. I giapponesi adorano i suoi fiori, con cui preparano dei deliziosi infusi. La coltivazione della specie si è estesa a paesi come le Filippine, l’Indonesia, le Seychelles, la Malesia, la Polinesia Francese, il Venezuela, la Colombia, il Brasile e diversi stati dell’America Centrale.

 

Coffea Excelsa

E’ una varietà molto coltivata in Africa, in Indonesia e nel Vietnam. In confronto con quella dell’Arabica, la sua pianta vanta una “tempra” più forte; tuttavia, le esigenze della specie Excelsa sono molteplici e ne pregiudicano notevolmente la diffusione: basti pensare che la raccolta prevede che ogni chicco venga colto singolarmente. Ciò rende la procedura fin troppo laboriosa e richiede dei cospiscui investimenti in termini di tempo e di denaro.

 

Hanami: i cibi e le bevande tradizionali dei picnic sotto i ciliegi in fiore

 

“Hanami”, in giapponese “guardare i fiori”: di questa tradizione del paese del Sol Levante, VALIUM ha parlato più di una volta. E’ un rito collettivo antichissimo, un inno alla bellezza del fiore di ciliegio e alla sua simbologia. I giapponesi attendono la fioritura dei ciliegi con trepidazione, spostandosi poi in massa verso i luoghi dove è possibile ammirarli in tutto il loro splendore. Lì, sotto le chiome in fiore dei sakura (il ciliegio o il fiore di ciliegio giapponese), contemplano la meraviglia di quelle spettacolari nuvole rosa e organizzano picnic. Di notte, al chiar di luna e con le luci dei lampioni e delle stelle, l’ Hanami risulta ancora più suggestivo: viene ribattezzato Yozakura, ovvero “ciliegio notturno”, ed è un appuntamento imperdibile di ogni Primavera. Ma quali sono i cibi e le bevande che i giapponesi consumano durante questi picnic? Cominciamo subito col dire che il rosa è il colore che fa rigorosamente da leitmotiv. Celebra il fiore di ciliegio e la sua valenza emblematica, che spazia dalla caducità alla meraviglia della vita.

 

 

Scopriamo quindi quali cibi tradizionali si accompagnano all’Hanami. Bisogna dire innanzitutto che, oltre al colore rosa, esiste un altro elemento che contraddistingue i picnic sotto i sakura in fiore: il sapore di fiore di ciliegio. E’ delicato, inconcondibile, e in Giappone si utilizza per aromatizzare qualsiasi bevanda e cibo, dolci o salati che siano. Molti di voi conosceranno i sakuramochi, dei dolcetti a base di riso, zucchero e pasta di fagioli rossi che vengono serviti avvolti in una foglia di sakura.

 

 

Anche i dango sono piuttosto celebri: nei manga potete ammirarne a volontà, essendo un dolce tipico giapponese. Esistono svariate tipologie di dango, i Mitarashi dango sono i più noti. Si tratta di gnocchi di farina di riso infilzati su un bastoncino (che può contenerne da un minimo di tre a un massimo di cinque), dalla forma sferica e rivestiti di glassa a base di salsa di soia dolce. In occasione dell’Hanami, si prepara una versione chiamata Hanami dango. E’ costituita da tre polpette sferiche (sempre infilzate a mò di spiedino) tinte nei caratteristici colori primaverili: rosa, bianco e verde. Il rosa simbolizza i sakura, il verde le foglie nate di recente, il bianco la neve appena sciolta.

 

 

C’è un proverbio ironico che riguarda gli Hanami dango, ossia “Meglio i dango che i fiori”. Il significato è duplice: può essere un elogio alla sostanza a discapito dell’estetica, oppure indicare qualcuno che approfitta dell’ Hanami per dedicarsi a grandi abbuffate anzichè all’ammirazione dei fiori di ciliegio. Dopotutto, l’Hanami è anche un modo di incontrarsi, di socializzare all’insegna del buon cibo e di deliziose bevande. La cornice di incredibile bellezza dei sakura, tuttavia, si rivela fondamentale. Prima parlavamo del gusto di ciliegio: lo ritroviamo dappertutto, persino nei gelati, nelle birre, nel thè, addirittura nell’acqua. La Coca Cola, in vista dell’Hanami, mette in commercio una speciale edizione al ciliegio della bevanda, il cui packaging è in total pink. Starbucks, dal canto suo, lancia il sakura frappuccino “vestito” di rosa e al gusto di ciliegio per l’occasione; lo stesso avviene per la nota birra Asahi, che in tempo di Hanami rinnova il look e il sapore. Ma torniamo ai cibi. Quelli imprescindibili sono l’onigiri, il tipico spuntino di riso bianco ripieno di tonno e di salmone; è riconoscibile, tra l’altro, dall’alga nori che lo ricopre lateralmente.

 

 

Molto comuni sono anche le tamagoyaki, gustose omelette tradizionali, gli edamame, baccelli di soia lessati tipici anche della cucina cinese, e il dorayaki, un dolce composto da due pancake e ripieno di salsa rossastra ottenuta dai fagioli azuki. Tutti questi cibi, e molti altri ancora, sono di solito racchiusi nel bentō, un vassoio munito di coperchio particolarmente utile per i picnic all’aria aperta. Tra le bevande dell’ Hanami risaltano invece l’Hanami-zake, sakè in coppetta a cui si aggiunge un fiore di ciliegio: dev’essere appena caduto dal ramo per esaltare il fascino e la potenza evocativa del drink. Anche il té verde ai fiori di ciliegio è un must, e in molti lo portano con sè in un thermos (caldo o freddo non importa). Il chuhai lo si trova praticamente in tutti i supermercati, nei bar e nei distributori automatici; è una bevanda alcolica gassata rinfrescante a base di schochu (un distillato tradizionale del Sol Levante) e highball. L’aroma, naturalmente, è al gusto di ciliegio.

 

 

E in questo trionfo del rosa, vi chiederete, che ruolo ha il vino rosè? La buona notizia è che il rosato italiano sta avanzando a grandi passi verso il Giappone, e chissà che un giorno non riesca ad affiancare le bevande tradizionali dell’ Hanami.

 

 

Foto dei dango e sakuramochi (n.4 dall’alto) di crayonmonkey from Manchester, UK, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, da Wikimedia Commons

Il resto delle foto, via Pixabay e Unsplash

 

La colazione di oggi: tornano le arance, un must autunnale

 

A Novembre, puntuali, tornano a ravvivare il grigiore con il loro colore vibrante. Un colore che ha preso spunto dal loro nome, perchè è proprio alle arance che si ispira l’arancione. Proveniente dalla Cina e dall’Asia del sud-est, il Citrus Sinensis (questo il nome botanico dell’arancio, una pianta appartenente alla famiglia delle Rutacee) venne importato in Europa dai marinai portoghesi. Secondo alcuni studiosi il suo ingresso nel Vecchio Continente risalirebbe al XV secolo, mentre altri affermano che l’albero approdò in Italia, più precisamente in Sicilia, molto tempo prima grazie ai romani e passando per la Via della Seta. Nel IX secolo furono gli Arabi a reintrodurre l’arancio nell’isola, quando ebbe inizio la conquista islamica della Sicilia. Non è un caso che un frutto siciliano chiamato “melarancia” venga citato in più d’un libro della Roma antica: i tomi sono datati al I secolo d.C. E sempre nella città eterna, un arancio che San Domenico piantò intorno al 1200 fa bella mostra di sè nel chiostro del convento di Santa Sabina; tuttavia, non se ne conosce la provenienza. E’ certo, invece, che il termine “portogallo” equivalga a dire “arancia” in diverse lingue, tra cui il rumeno, il greco, l’arabo, l’albanese e l’italiano del 1800. Peraltro, il frutto del Citrus Sinensis prende il nome di “portogallo” in molti dialetti della nostra penisola: ciò sembra confermare, almeno apparentemente, la diffusione ad opera dei portoghesi della pianta.

 

 

Ma veniamo alle caratteristiche di questo frutto, tondeggiante e tinto di un vivace color arancio. Ha una forma sferica, una buccia spessa e increspata; la dolcezza dei suoi spicchi, succosissimi, contrasta con accenti aspri che ne rendono ancora più intrigante il sapore. Le arance cominciano a maturare a Novembre, mese in cui vengono raccolte le prime varietà. Un periodo ideale, considerando la loro efficacia nel prevenire i malanni della stagione fredda. Iniziare la giornata con delle arance, anche in versione spremuta, è un’ottima idea: regalano energia e sono ricche di vitamina C, un noto rafforzante del sistema immunitario. In più, contengono pochissime calorie e un indice glicemico talmente esiguo da permettere anche ai diabetici di consumarle. Le loro virtù sono innumerevoli: oltre a racchiudere acqua in dosi massicce, le arance sono un’autentica miniera di fibre come la pectina, la lignina e la cellulosa, che accentuano il senso di sazietà e fanno sì che gli zuccheri e i grassi vengano assorbiti in quantità moderate. Il licopene, contenuto soprattutto nelle arance rosse, è un carotenoide dalle spiccate doti antiossidanti e antinfiammatorie; contrasta le patologie cardiovascolari, oculari e ossee (come l’osteoporosi). La vitamina C è un po’ il “marchio di fabbrica” di questo frutto: favorisce un adeguato assorbimento del ferro e del calcio, è un potente antiossidante e un toccasana per le difese dell’organismo. La vitamina A (o retinolo) mantiene in salute la pelle e gli occhi e assicura un buon funzionamento sia del sistema immunitario che del metabolismo. Le vitamine del gruppo B, essenziali per la produzione dei globuli rossi, tengono sotto controllo i livelli di omocisteina e si rivelano portentose per il sistema nervoso. Tra i sali minerali contenuti nell’arancia risaltano il ferro (imprescindibile per il benessere del’organismo), il rame (antiossidante efficacissimo contro le patologie cardiovascolari), il potassio (ottimo per la salute dei muscoli) e il calcio (benefico in particolare per le ossa, i denti e la coagulazione sanguigna). Le antocianine e i polifenoli, di cui l’arancia abbonda, sono degli importanti antiossidanti.

 

 

I benefici che apporta il consumo di arance, quindi, sono molteplici. La vitamina C contrasta le infezioni potenziando le difese immunitarie, le fibre regolarizzano i livelli di colesterolo, gli antiossidanti combattono i radicali liberi e mantengono sotto controllo la pressione poichè fluidificano il flusso sanguigno. I citroflavonoidi contenuti nell’arancia, inoltre, svolgono una valida azione nei confronti della fragilità capillare. E non è finita qui: incrementando la formazione dei succhi gastrici, il frutto del Citrus Sinensis facilita la digestione, mentre la funzione antiossidante degli antociani incentiva il metabolismo. Le fibre, infine, hanno virtù diuretiche e impediscono ai grassi e agli zuccheri di essere assorbiti troppo velocemente (con buoni risultati anche per la linea).

 

 

Dell’ arancia esistono molte varietà, ammontano a oltre 100. Le differenze principali possono essere ricondotte a due tipologie: arance dolci e arance amare (le prime le compriamo dal fruttivendolo, le seconde si utilizzano in ambito cosmetico e per la produzione di marmellate dal gusto particolare), arance bionde e arance rosse (la distinzione riguarda essenzialmente il colore della loro buccia). Qualche nome delle numerose varianti? Ci sono le Navel, le Tarocco, le Moro, le Sanguinello, le Belladonna, le arance alla vaniglia…Ma quel che ci interessa ora è come includere questo succoso frutto nella prima colazione.

 

 

La classica spremuta d’arancia è un toccasana, però prima di prepararla bisognerebbe osservare qualche accorgimento. Innanzitutto, non va mai bevuta a digiuno: l’acido citrico contenuto nel frutto potrebbe risultare difficilmente digeribile o provocare acidità di stomaco. Sempre per questo motivo, chi soffre di patologie gastriche dovrebbe evitare l’aranciata o perlomeno consumarla dopo qualche pasto, foss’anche solo un toast o un dolcetto. Le arance possono essere mangiate a spicchi o tagliate a fette, lo spunto ideale per una prima colazione coi fiocchi: arricchiscono il porridge e i pancake, diventano deliziosi biscotti (se volete strafare, immergetele nel cioccolato fuso). Con il succo, la polpa e la scorza di arancia si preparano dolci sfiziosissimi, dalle torte al pan d’arancio siciliano, dai ciambelloni alla crema di arancia passando per i muffin, il rotolo e le crostate. Cercate qualche ricetta? Cliccate qui. E dato che a Natale manca poco più di un mese, vi suggerisco di provare le scorze di arance candite: sono una ghiottoneria unica (qui la ricetta), anche in questo caso – volendo – da intingere nel cioccolato fuso per esaltarne al massimo il sapore. Se invece optate per una colazione essenziale e super salutare, puntate sulla marmellata di arancio spalmata sulle fette biscottate o  su una fetta di pane; è una prelibatezza “minimal”, ma dalla bontà garantita.

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

La colazione di oggi: il caffè e le sue varianti nel mondo

 

In Italia è un’istituzione. Il caffè non è una semplice bevanda, bensì un rito: da svolgere da soli o in compagnia. Ma anche nel resto del mondo lo si apprezza. Non è un caso che appaia solo al terzo posto, dopo l’acqua e il té, nella classifica dei liquidi più bevuti. E se nello stivale l’espresso (preparato al bar con una macchina che eroga un getto di acqua calda sotto pressione su uno strato di caffè macinato e pressato in precedenza) è il tipo di caffè più gettonato, molti paesi hanno elaborato varianti entrate a far parte delle proprie tipicità nazionali. Le caratteristiche di queste varianti, come scopriremo, sono determinate da molteplici fattori: i più rilevanti si associano alla presenza di piantagioni di caffè, alla lavorazione dei chicchi, al gusto e allo stile di vita locali. Il caffè migliore, è risaputo, proviene dalle zone tropicali. Le specie del genere Coffea sono diffuse nella “Bean Belt”, la fascia equatoriale del globo, che comprende oltre 50 paesi. In essa rientrano molti stati dell’ America del Sud, dell’ Africa e dell’Asia sud orientale. A detenere il record della produzione mondiale di caffè sono cinque nazioni: al primo posto in classifica troviamo il Brasile, seguito dal Vietnam, dalla Colombia, dall’ Indonesia e dall’  Etiopia. Qualche dato? Il mercato del caffè è secondo solo a quello del petrolio; ogni anno si esportano più di 30 milioni di sacchi di caffè, che viene consumato da circa il 40% della popolazione terrestre. Secondo le statistiche, le tazze di caffè bevute annualmente ammontano a ben 500 miliardi. I paesi maggiormente coinvolti nell’esportazione del prodotto sono il Brasile, la Colombia (dove è presente il cosiddetto “Eje Cafetero”, una vastissima area di piantagioni di caffé), l’Indonesia e l’ Honduras, mentre tra i principali importatori figurano gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, l’Italia e il Belgio. Le qualità di caffè differiscono in base al luogo di provenienza. Determinanti per l’aroma risultano il clima, il tipo di terreno, la coltivazione…Il sapore dei chicchi, idealmente, dovrebbe contraddistinguere il paese da cui derivano. In questo articolo ci occuperemo però non tanto della Coffea Arabica, quanto del caffè bell’è pronto: ovvero, delle varianti di caffè (considerato come bevanda) più diffuse al mondo.

 

 

Andiamo subito in Colombia, dove il caffè rappresenta il motore dell’economia. L’ Eje Cafetero, situato a sud di Medellin, è la “zona del caffè” per eccellenza: qui il caffè si coltiva, si produce e si esporta. In questo territorio immenso le piantagioni si alternano a città, paesini e paesaggi di una bellezza mozzafiato che hanno fatto guadagnare all’Eje il titolo di Patrimonio Mondiale dell’ Umanità UNESCO. Ma quali sono le principali tipologie di caffè preparate in Colombia? Su tutte, predominano due rivisitazioni dell’ espresso: se il Tinto corrisponde all’espresso classico, la Chaqueta è un caffè nero arricchito di panela, ovvero zucchero di canna non raffinato e plasmato in panetti che funge da dolcificante. Questo caffè viene anche detto Tinto Campesino. Poi c’è il Cortado, un caffè macchiato che mescola espresso e latte in parti uguali.

 

 

Proseguiamo il nostro tragitto in America Latina. Chi ha visitato il Venezuela sarà senz’altro rimasto intrigato dal caffè Guayoyo, un caffè nero dall’aroma decisamente soave diluito con acqua bollente. Il Cerrero è il suo esatto opposto, molto concentrato e dal gusto intenso, mentre il Guarapo viene dolcificato con il papelòn, l’equivalente della panela colombiana. Il Tetero, invece, si prepara con un 90% di latte e un 10% di caffè.

 

 

In Messico il Café de Olla è una bevanda tradizionale; solitamente, per esaltare il suo sapore “antico”, viene servito in tazze o recipienti di argilla o di ceramica. Si beve caldo ed è composto da acqua, caffè macinato, cannella e piloncillo (il nome messicano della panela colombiana). Il Café de Olla ha un aroma inconfondibile che sancisce la sua unicità.

 

 

Restiamo in America, ma dirigiamoci negli Stati Uniti. Negli USA il caffè è molto amato, ma viene preparato in un modo completamente diverso dal nostro. Il più conosciuto è senz’altro il Caffè Americano, un caffè lungo, diluito con acqua bollente, bevuto in tazze alte e piuttosto capienti (le cosiddette “mugs”). Il Red Eye, invece, richiede una tazza di piccole dimensioni per esaltare il suo gusto intenso: è un mix potente di caffè espresso ed americano. Poi abbiamo il Drip Coffee, preparato con un filtro all’interno del quale viene posta una dose di caffè macinato. Per completare l’opera, si versa dell’acqua calda sul caffè in modo da creare un liquido uniforme. Va anche detto che gli americani adorano rendere il caffè il più goloso possibile: molto spesso lo arricchiscono con panna, marshmallows, biscotti e un’ampia varietà di delizie dolciarie.

 

 

Dall’America passiamo all’ Europa, dove non si può certo dire che le varianti del caffè facciano difetto. Una delle più note è certamente l’Irish Coffee, diffusissimo anche negli Stati Uniti: nasce in Irlanda, come suggerisce il suo nome, ed è una prelibata miscela di caffè caldo, whiskey rigorosamente irlandese e una buona dose di panna shakerata “posata” sulla superficie. Perchè shakerata? E’ molto semplice: in questo modo appare ancora più spumosa ed invitante. L’Irish Coffee si beve in un bicchiere di vetro simile a un calice, a stelo lungo, che viene riscaldato prima di essere riempito. La storia dell’Irish Coffee è curiosa. Fu inventato da Joe Sheridan, lo chef di un ristorante situato di fronte all’ aereoporto della città irlandese di Foynes, per rinfrancare dei viaggiatori di malumore a causa della cancellazione del volo su cui si sarebbero imbarcati. Qualche anno dopo un giornalista del San Francisco Chronicle, Stanton Delaplane, degustò l’Irish Coffee mentre si trovava in Irlanda e ne fu conquistato al punto tale da “esportarlo” immediatamente negli Stati Uniti.

 

 

Approdando in Germania, notiamo che anche i tedeschi amano abbinare al caffè i più golosi ingredienti. L’Eiskaffee, ad esempio, è un drink che combina il caffè freddo con polvere di cacao, gelato alla vaniglia e panna montata. Una ghiottoneria unica, non c’è che dire! Il Pharisäer Kaffee si prepara invece correggendo il caffè lungo con del rum ed aggiungendo una spolverata di cacao amaro, dello zucchero e una buona dose di panna montata: da leccarsi i baffi.

 

 

In Asia c’è davvero da sbizzarrirsi. Il Vietnam, al secondo posto tra i paesi esportatori di caffè, spicca per le varianti a dir poco creative con cui ha rivisitato la bevanda. Innanzitutto va detto che il caffè classico si prepara con una speciale caffettiera a percolazione, i cui filtri vengono posizionati proprio sopra al bicchiere. Su un filtro si inserisce il caffè macinato, poi si versa dell’acqua calda lentamente, a più riprese. Infine si mescola il tutto e si ottiene un caffè dal gusto molto intenso, che può essere gustato sia caldo che freddo (grazie ad alcuni cubetti di ghiaccio). Un’ altra versione di questo caffè prevede l’aggiunta di una modica dose di latte condensato, e riscaldato, precedentemente messo nel bicchiere. La variante detta Bac Xiu si avvale invece di latte condensato in dosi massicce raffreddato con molto ghiaccio. Il sapore particolarmente forte del caffè vietnamita è dovuto ai chicchi di Robusta con cui si prepara, che rispetto a quelli di Arabica contengono il doppio della caffeina. Il Caphe Trung potrebbe quasi essere definito un dolce: si montano dei tuorli d’uovo mescolandoli con lo zucchero e il latte condensato, unendoli successivamente al caffè preparato con la caffettiera a percolazione. Il risultato è super goloso, una sorta di crema densa che ricorda il tiramisù. Il Caphe Sua Chua è un delizioso mix di caffè nero e yogurt, mentre il Caphe Dua combina il caffè con il latte di cocco, e viene servito caldo oppure ghiacciato.

 

 

Prima di passare ai caffè ghiacciati, che durante l’estate hanno spopolato e intendono farlo anche in autunno, diamo un’occhiata al caffè più diffuso nella penisola balcanica, in medio oriente e in tutti i paesi arabi: il caffè Turco. L’acqua, insieme al caffè in polvere e allo zucchero, viene fatta bollire in un bricco di ottone che i turchi chiamano “cezve” e i greci “briki”. Una volta pronto, è tassativo insaporire il caffè con delle spezie – in particolare il cardamomo. Anche buona parte dell’Africa, come abbiamo già visto, appartiene alla cosiddetta “Bean Belt”. Del continente nero non possiamo tralasciare il caffè Touba, un’ antichissima bevanda senegalese. Il Touba, autentico emblema della tradizione africana, viene addirittura servito per strada e come complemento ideale dello street food (in Senegal, infatti, lo si accompagna ai cibi salati). Questo tipo di caffè, dal gusto intenso e corposo, si prepara pestando i grani di caffè insieme ai chiodi di garofano e a baccelli di pepe tostati. Dopo aver filtrato la miscela, si aggiunge dell’acqua bollente e si filtra nuovamente; oppure si dolcifica il tutto tralasciando la seconda filtrazione. La bevanda che si ottiene ha un gusto unico, potente e speziato, e svolge un’ottima azione depurativa per lo stomaco e il fegato.

 

 

Con i bollori dell’estate, di recente, si è verificato un vero e proprio boom del caffè ghiacciato. Essenzialmente ne esistono due tipi: l’Iced Coffee e il Cold Brew Coffee. Il primo è un caffè che viene estratto a caldo e in seguito raffreddato. Tra le sue varianti in Italia troviamo l’Espresso Shakerato, mentre in Giappone furoreggia il Japanese Iced Coffee (che si avvale di un dripper per la sua preparazione) e negli USA l’Iced Latte arricchito di sciroppi aromatizzati. Il Cold Brew Coffee, al contrario, è un caffè preparato con acqua fredda (o addirittura ghiacciata) in cui vengono infusi dei fondi di caffè in polvere. L’operazione richiede dalle 12 alle 24 ore, dopodichè il caffè può essere scolato. Il Cold Brew Coffee affonda le sue origini a Kyoto, in Giappone, e fu diffuso in Europa dai mercanti olandesi che commerciavano con il paese del Sol Levante. Oggi, nazioni come il Vietnam, l’India e la Tailandia hanno creato delle proprie varianti della bevanda, gettonatissima anche negli Stati Uniti.

 

 

 

La colazione di oggi: l’amarena, il frutto “luculliano”dell’ Estate

 

A prima vista sembrano ciliegie, ma ciliegie non sono. Delle ciliegie potrebbero essere sorelle, perchè appartengono alla stessa famiglia: quella delle Rosacee. Ma mentre le ciliegie sono i frutti del Prunus avium, le amarene (perchè è di loro che sto parlando) maturano dai fiori del Prunus cerasus. Si suppone che l’ amareno, anche detto ciliegio aspro, provenga dall’ Asia o dal Medio Oriente.  Quel che è certo è che il Prunus cerarus si adatta alla perfezione a qualsiasi clima e tipo di terreno, resistendo a lunghi periodi di siccità. Tornando alle differenze tra ciliegie e amarene, la più evidente riguarda il sapore: le ciliegie sono soffici, dolcissime, succose. Le amarene hanno una polpa più “tosta” e un gusto più aspro, tendente all’ amarognolo. Entrambe sfoggiano un bel rosso acceso e una forma tondeggiante, ma anche questi aspetti presentano delle diversità. La tonalità delle amarene è meno intensa rispetto a quella delle ciliegie, che vantano dimensioni maggiori rispetto alle loro “sorelle”. Il gusto leggermente amaro dei frutti del Prunus cerasus si deve all’ acido ossalico, contenuto in svariati alimenti. Lungi dal renderle sgradevoli, quel sapore è un punto di forza: non è un caso che il maraschino, liquore dall’ aroma inconfondibile, sia interamente ricavato dalla distillazione delle amarene. La versatilità di questi frutti, inoltre, fa sì che vengano inclusi in moltissime ricette. Sciroppate, danno vita a degli ottimi dessert; alcuni esempi? Torte come la celebre Foresta Nera, e poi cheesecake, panna cotta, biscotti, dolcetti, yogurt…Anche uno dei più acclamati gusti di gelato, l’amarena, si avvale di amarene sciroppate. Denocciolati, i frutti del Prunus cerasus possono essere utilizzati per guarnire un buon numero di dolci e di spuntini. Mangiati crudi (e preferibilmente freschissimi, perchè si seccano a tempo di record) non sono meno invitanti, magari – date le loro virtù energizzanti – per ritrovare un po’ di sprint. Con le amarene si preparano dei ghiotti sciroppi, liquori e marmellate. In alcuni paesi dell’ Europa dell’ Est si suole addirittura friggerle prima di inserirle in delizie quali un tipico strudel locale.

 

 

Veniamo ora alle proprietà delle amarene. Che sono molte! Innanzitutto, hanno il potere di sconfiggere l’ insonnia. Berle ogni notte sotto forma di succo (tassativamente da non zuccherare) incrementa la produzione di melatonina, regolarizzando il ciclo sonno-veglia con benefici istantanei per l’umore. Le amarene sono dei potenti antiossidanti naturali: i flavonoidi in esse contenuti combattono l’ invecchiamento delle cellule e rappresentano un toccasana per la circolazione del sangue. Essendo dei frutti diuretici, contrastano la ritenzione idrica favorendo l’ eliminazione delle tossine e il drenaggio dei liquidi in eccesso. Anche la stipsi può essere sconfitta grazie alle amarene: sono ricche di fibre, che purificano l’ intestino e ne garantiscono la regolarità. Questi frutti, vere e proprie miniere di potassio, rinvigoriscono la muscolatura e restituiscono energia; le vitamine A, B e C che racchiudono in dosi massicce accrescono i livelli di collagene con effetti benefici per la pelle e per la vista. Le amarene, infine, ottimizzano la formazione di acido urico nell’ organismo rimuovendone gli eccessi: ciò permette di scongiurare patologie come la gotta.

 

 

Per concludere, una teoria incentrata sulla misteriosa origine del ciliegio aspro. Si narra che l’ amareno giunse in Italia per merito di Lucio Licinio Lucullo, un generale romano che condusse campagne in Oriente tra il 70 e il 65 a.C. Grande stratega militare, raffinatissimo e amante del bello, Lucullo adorava i pasti sfarzosi (i celebri banchetti “luculliani”), e in Asia rimase colpito dal gusto amarognolo e dalle proprietà dei frutti del Prunus cerasus. In particolare, pare che apprezzasse le vitamine e le virtù energizzanti delle amarene: le fece quindi includere nel rancio dell’ esercito romano per rinvigorire i soldati. Secondo vari scritti dell’ epoca, Lucullo si impossessò di un esemplare di amareno a Cerasunte, colonia greca affacciata sul Mar Nero, e dopo averlo portato con sè a Roma lo trapiantò in uno dei suoi sontuosissimi giardini. Era il 65 a.C. circa. Attualmente non è raro che il Prunus cerasus cresca spontaneamente nella boscaglia; può farlo fino a 1000 metri di altezza. Una curiosità: il suo legno supera quello del ciliegio in quanto a pregiatezza e longevità.

 

 

Foto del gelato all’ amarena: Dirk Vorderstraße, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Arriva la Luna di Fragola

 

Non c’è che dire: la natura è sempre pronta a meravigliarci. E tra neppure una settimana ci offrirà uno spettacolo che, senza dubbio, custodiremo tra i ricordi più indelebili. Annotatevi la data del 5 Giugno, perchè quella sera vedere la Luna di Fragola sarà un must. L’ evento, attesissimo, è talmente eccezionale che Astronomitaly ha deciso di trasmetterlo in streaming su Facebook e su YouTube affinchè tutti gli italiani possano assistervi, e non stupisce: l’ ultimo plenilunio di Primavera, per una serie di fattori collegati alla rotazione terrestre, ci mostrerà una luna magicamente tinta di rosa. Negli Stati Uniti la chiamano “Luna di Fragola” perchè appare tra Maggio e Giugno, quando le fragole raggiungono l’apice della fioritura, mentre in Europa è più nota con l’appellativo di “Luna di Miele” o “Luna delle Rose”, in quanto coincide con i periodi associati, rispettivamente, alla celebrazione dei matrimoni e allo sboccio della “regina dei fiori”. Qualunque sia il suo nome, si tratta di un fenomeno astronomico di immensa suggestività. Il 5 Giugno, a partire dalle 19, si verificherà un’ eclissi penombrale di luna: la luna verrà occultata dalla terra, che la inghiottirà nel suo cono di penombra, e comincerà a tingersi di un’ incredibile gradazione di rosa. Quando l’ astro riemergerà dall’ oscurità, sorprenderà tutti con il suo splendido colore. Sarà possibile ammirarlo dall’ Europa, dall’ Asia, dall’ Africa e dall’ Australia, mentre in America non risulterà distinguibile.

 

 

Ma l’ evento della Luna di Fragola non sarà l’unico che il cosmo ci regalerà a breve: dal 2 Giugno, infatti, e fino al 10 dello stesso mese, resteremo ammaliati dalla cascata di stelle cadenti delle Arietidi, generate dai residui della cometa 1566 Icarus. Il fenomeno, in realtà, è già iniziato alla fine di Maggio, ma tra pochi giorni sarà pienamente visibile. Siete pronti a lasciarvi travolgere da questi sbalorditivi show siderali?