Il corvo, tra mito e simbologia

 

Restando in tema di oscurità novembrina  (un argomento accennato nell’articolo apparso ieri su VALIUM), oggi incontriamo il corvo: un volatile che ha il colore del buio pesto e una fama tenebrosa. Il corvo comune o corvo selvatico (nome scientifico Corvus frugilegus Linnaus) è un passeriforme la cui area di diffusione spazia dall’Europa Centrale al Giappone passando per l’Asia Minore e l’estremo Oriente. In questo periodo dell’anno, prima dell’arrivo dei rigori invernali, è solito migrare in direzione sud-ovest, ma non tutti i corvi effettuano lo svernamento. Mentre alcuni volano verso luoghi caldi anche molto lontani (dal Nord Europa, ad esempio, ai paesi del Mediterraneo), altri gruppi si rifugiano presso gli alberi dove si dedicheranno alla nidificazione: i corvi, infatti, nidificano in colonie sui rami delle piante, e le fasi del corteggiamento hanno inizio già nei mesi freddi. Ma perchè il corvo, nel mondo occidentale,  viene frequentemente associato a connotazioni e presagi oscuri? Basta pensare al suo aspetto per provare un senso d’inquietudine: il piumaggio è di un nero talmente profondo da evidenziare riflessi verdi o color porpora, se viene lambito dai raggi del sole; il becco, parzialmente nero e ricurvo, ha ispirato la maschera che nel Medioevo indossavano i Medici della Peste. Non è un caso che il corvo, nutrendosi (anche) di carcasse, rimandi così spesso alla simbologia della morte. E poi, l’antica leggenda che lega i corvi della Torre di Londra al destino della Corona è ben nota: se i misteriosi pennuti muoiono o si allontanano, e il loro numero scende sotto il sei, secondo la profezia cadrà la Corona stessa.

 

 

Il corvo e le streghe

Il corvo, in realtà, è un animale complesso che in secoli e culture diverse è stato soggetto a molteplici interpretazioni, non solo negative. Eppure, la sua reputazione sinistra prevale. Nel Medioevo, ad esempio, la figura del corvo veniva immancabilmente messa in relazione con quella della strega, della quale incarnava uno dei famigli: le entità demoniache, cioè, con sembianze di gatti, furetti, corvi o gufi che la strega riceveva in regalo dal diavolo e che diventavano i suoi servitori o assistenti. Il corvo, inoltre, veniva considerato un messaggero delle adoratrici del demonio, che all’occorrenza avevano la facoltà di tramutarsi in un cupo passeriforme. Anche demoni specifici come Malphas e gli Harab erano soliti trasformarsi in corvi.

 

 

Il corvo e Odino

La mitologia norrena associa i corvi a Odino, che un kenning definiva “dio corvo”. La divinità suprema del mito scandinavo possedeva due corvi, seduti costantemente sulle sue spalle; il loro scopo era quello di volare intorno al mondo per poi riferire a Odino, una volta tornati, le notizie e i segreti più importanti. Il dio norreno li spronava a prendere il volo all’alba; la sera, dopo aver vagato per mari e monti, i corvi ritornavano e si posavano sulle spalle di Odino per bisbigliargli all’orecchio quanto avevano appreso. I volatili si chiamavano Huginn, “pensiero” in norreno, e Muninn, ossia “memoria”: due nomi indicativi, se pensiamo che il corvo è un animale che vanta una straordinaria intelligenza.

Il corvo e il suo ingegno fuori dal comune

Forse, il corvo ha acquisito la nomea di animale “diabolico” anche in virtù delle sue abilità intellettive. Questo volatile ha la capacità di elaborare un pensiero sommamente complesso, è in grado di risolvere problemi e di concepire accuratissime strategie di sopravvivenza. Solo animali come il delfino e lo scimpanzè, oltre al corvo,  possiedono la dote di riconoscersi allo specchio; ma non è finita qui: a contraddistinguere il corvo è anche uno sbalorditivo senso della memoria. A quanto pare, i nomi dei due corvi di Odino non erano stati scelti a caso! D’altronde, in tempi molto antichi, l’intelligenza e la saggezza del passeriforme dalle piume nere erano state notate persino dai Celti d’Irlanda e dai nativi americani, che su di esse imbastirono innumerevoli leggende.

 

 

Il corvo e l’alchimia

Il corvo e il mistero sono un tutt’uno. Gli aspetti che lo legano alla simbologia magica non vanno dimenticati. Su tutti, spicca la valenza del “passaggio” da una condizione all’altra, indossolubilmente associata al concetto di metamorfosi e trasformazione. Il corvo è un’importante emblema di transizione; i nativi americani lo ricollegavano al Grande Spirito, colui che connetteva il mondo terreno con l’aldilà. Ma a prescindere da questo, la funzione simbolica di “passaggio” rivestita dal corvo è in stretto connubio con il viaggio iniziatico nel mondo spirituale: la transizione, ad esempio, dall’ignoranza alla conoscenza. Gli alchimisti utilizzavano il corvo con degli intenti ben precisi. Decapitandolo, favorivano la nascita del basilisco (la creatura mitologica serpentiforme che era in grado di uccidere o tramutare qualcuno in pietra con un solo sguardo); la testa del corvo, infatti, insieme al suo cuore, venivano frequentemente adoperati per la creazione di potenti pozioni magiche.

Foto: Sonny Mauricio via Unsplash

 

11 Novembre: San Martino, ma anche “festa dei cornuti”

Cesare Breveglieri, “San Martino” (1932)

 

“Da San Martino l’inverno è in cammino”, “Per San Martino si buca la botte del miglior vino”, “A San Martino il grano va al mulino”, “Chi vuol far buon vino zappi e poti a San Martino”, “A San Martino si sposa la figlia del contadino”…I proverbi sulla festa di San Martino, solennità che ricorre l’11 Novembre (VALIUM ne ha parlato qui), sono innumerevoli. Questa data, in effetti, ha sempre assunto un’importante valenza simbolica nel folklore italiano ed europeo: a San Martino venivano rinnovati i contratti agricoli, se ciò non avveniva i mezzadri erano costretti a traslocare; l’11 Novembre era una sorta di “Capodanno contadino”, poichè sanciva un decisivo passaggio stagionale. Non bisogna dimenticare, poi, che gli antichi Celti si erano insediati in molti paesi europei (tra cui la Francia, dove a Tours venne seppellito il corpo di San Martino), e festeggiavano il Capodanno proprio a cavallo tra Ottobre e Novembre. Con l’avvento del Cristianesimo, la Chiesa conferì il massimo risalto alla festa in onore del Santo, e finì per soppiantare i riti e le tradizioni celtiche del periodo. Tuttavia, soprattutto nell’ ambito della cultura agreste, quella data rimase perennemente associata a una fase di transizione: al Capodanno Celtico si sostituivano le celebrazioni commemorative di San Martino, nel Medioevo popolarissimo in tutto l’Occidente, ma la valenza rimaneva pressochè invariata. Con il passar del tempo, tuttavia, dalle tradizioni popolari è scaturita una nuova definizione per l’11 Novembre: festa dei cornuti. Ma cos’ha a che vedere tutto questo con il Santo? Assolutamente nulla.

 

 

Il nesso tra la “festa dei cornuti” e quella di San Martino è tuttora avvolto nel più fitto mistero. Alcune teorie, però, rimandano alle antiche fiere del bestiame che si tenevano proprio intorno all’11 Novembre: buoi, caproni e montoni sono dotati di corna, non a caso dire “becco” è come dire “cornuto”. Durante quelle fiere, il tradimento diventava una possibilità reale; gli uomini si allontanavano da casa e – tra caldarroste e vino novello – non mancava l’occasione di fare bisboccia, magari in compagnia di qualche gentil donzella. Le donne, rimaste a casa sole, cedevano facilmente alla tentazione di una scappatella. Le fiere duravano diversi giorni e permettevano di concedersi al mezzadro o a qualsivoglia spasimante. Il vino dell’ ultima vendemmia  fungeva da potente euforizzante: l’ebbrezza alcolica favoriva la spregiudicatezza, rendeva tutti più audaci. E spuntavano le corna…Una metafora ispirata, appunto, dalle corna del bestiame. Altre ipotesi riguardano il Capodanno Celtico e la Cabala ebraica. Partiamo subito dalla prima. Le celebrazioni dei Celti si concludevano attorno all’ 11 Novembre, e alcuni ritengono che durante quei festeggiamenti abbondassero la promiscuità e i rituali licenziosi. A tutto ciò si aggiunge l’utilizzo del corno potorio, un corno di bovide dal quale si beveva vino a fiumi: riappare l’associazione tra ebbrezza alcolica e spudoratezza, un’equazione che dà come risultato il tradimento. Nella Cabala ebraica, invece, il numero 11 viene collegato alle corna. Ma l’11 è altresi connesso con due termini che potremmo definire evocativi: “Dibah”, ovvero “maldicenza”, e “Zad”, che significa più o meno “impertinente”. E’ una spiegazione piuttosto nebulosa, ma rientra tra le ipotesi relative alle origini della “festa dei cornuti”. La teoria riguardante le fiere del bestiame risulta, tutto sommato, la più plausibile. Eppure, non c’è nessuna certezza. Quel che è certo è che in cittadine italiane come Roccagorga (in provincia di Latina), Santarcangelo di Romagna (in provincia di Rimini), Grottammare (in provincia di Ascoli Piceno) e Ruviano (in provincia di Caserta), la “festa dei cornuti” viene a tutt’oggi celebrata in un tripudio di giocosità e goliardia: un modo per mantenere vivo il legame con il mondo agreste e le sue tradizioni ancestrali.

 

Immagine di copertina: Fondazione Cariplo, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto del bestiame via Unsplash