Raffaello Bellavista: un 2020 di importanti svolte

 

Per Raffaello Bellavista, ospite fisso di VALIUM, la quarantena non è certo coincisa con uno stop. Mai come in questo periodo la sua vita è stata ricca di novità, progetti, svolte decisive, sia sul versante privato che professionale: lasciatosi alle spalle il Duo Bellavista-Soglia, Raffaello sta consolidando la propria carriera da solista e, al tempo stesso, ha intrecciato ben due nuove collaborazioni. Nonostante il sodalizio con Michele Soglia si sia concluso, porterà avanti il progetto pianoforte-marimba con un nuovo partner musicale, il giovane marimbista Matteo Marabini, ma il vero e proprio scoop riguarda il suo rapporto con Serena Gentilini. Che da rapporto sentimentale, sancito da una convivenza avviata proprio in occasione della quarantena, è diventato un rapporto artistico con tutti i crismi. E se – come disse Antoine de Saint-Exupéry –  “Amore non è guardarci l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”, Raffaello e Serena guardano entrambi verso un unico orizzonte: la passione per la musica. Alternandola, da personalità poliedriche quali sono, ad interessi altrettanto creativi che ruotano attorno alla moda (soprattutto per quanto riguarda Serena) e all’arte. Sono molteplici e sorprendenti le news che Raffaello Bellavista ha in serbo per voi, non ultima quella del suo debutto da solista; si rende quindi necessario un perno, un punto di riferimento ben preciso per iniziare questa conversazione. Al momento di sceglierlo, non ho avuto dubbi. Da dove partire se non da “Eros e Thanatos”, lo straordinario evento veneziano che ha visto affiancare Raffaello, Serena e Matteo Marabini al fantasmagorico Principe Maurice? Ma prima di dare il via alle domande, vi lascio con una ghiotta anticipazione: per farci sapere qualcosa di più sulla sua carriera in bilico tra moda e musica, anche Serena Gentilini sarà presto ospite di VALIUM. Non posso che concludere invitandovi a “rimanere sintonizzati”!

Vorrei iniziare parlando del prestigioso evento a cui hai preso parte al Carnevale di Venezia, “Eros e Thanatos”, diretto e interpretato dal Principe Maurice. Come è andata forgiandosi l’idea di questa collaborazione?

Premetto che l’evento “Eros e Thanatos” ha significato davvero molto per la mia crescita professionale ed é indubbiamente stata una delle esperienze più interessanti e complete. L’idea era nell’aria, avevo già avuto diverse collaborazioni con Maurice nei festival che organizzo in Romagna e c’era sempre stata la massima intesa e voglia di unire più forme d’arte in un’ esperienza sinestetica. Partendo da questi saldi presupposti, il destino ha fatto il resto. Infatti, proprio durante il periodo del celebre Carnevale Veneziano avevo in repertorio il concerto “Magellano” per pianoforte e marimba legato al tema del viaggio, “Lascia ch’io pianga” per pianoforte e voce ed una rielaborazione in chiave crossover di “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode per pianoforte e voce. Proprio queste composizioni si legavano in maniera diretta e simbolica con i monologhi e le interpretazioni del poliedrico Principe Maurice. Dopo alcuni incontri si é capito subito che era nata una perfetta intesa e comunione d’intenti. E proprio da questo é sorto uno spettacolo che sicuramente farà molto parlare di sé.

 

 

Due scatti tratti da “Eros e Thanatos”. L’ evento ha avuto come cornice lo splendido Palazzo Labia, sede di RAI Veneto.

Inizialmente avrebbe dovuto affiancarti Michele Soglia, poi c’è stato un cambio di programma e sono subentrati il marimbista Matteo Marabini e la cantante Serena Gentilini. Su quali elementi ha fatto perno la sintonia immediata che è sorta tra di voi?

L’evento veneziano ha avuto un’importante carica simbolica per me. Infatti ha sancito due nuove collaborazioni: da un lato ha dato il via al mio sodalizio artistico con il marimbista Matteo Marabini, giovanissimo talento che é divenuto l’artista con il quale porto avanti il progetto pianoforte e marimba. E’ stato incredibile come si sono sviluppate le cose, avevamo solo dieci giorni per preparare un programma davvero complesso e variegato che andava dal trascendentale concerto “Magellano” a brani conosciuti al grande pubblico di Sakamoto, Piazzolla…che avevo arrangiato proprio per l’occasione per pianoforte e marimba. Questa situazione di estrema difficoltà ha fatto sì che durante le poche prove intercorse sia nata una grandissima complicità e una determinazione che mai avevo visto prima. Ed il successo riscosso é stato un ottimo battesimo di questa collaborazione artistica. L’altra grande soddisfazione é stato inaugurare il mio rapporto artistico con la mia fidanzata: la cantante Serena Gentilini. Una giovanissima promessa del canto che il Principe Maurice ha deciso di inserire in maniera geniale nello spettacolo con una duplice connotazione artistica. Infatti, nella prima parte dello spettacolo il dialogo avveniva tra monologhi e citazioni di grandi figure femminili del passato in alternanza a brani ad essi correlati per pianoforte e marimba.Parallelamente Serena era seduta su questo trono al centro del palco, con un velo che le copriva il volto ponendola in una dimensione di sospensione metafisica, tanto che molti pensavano, all’inizio, che si trattasse di una statua. Nella parte finale invece, in un momento di grande phatos, con un gesto pregno di carica evocativa il Principe Maurice ha sollevato quel velo nello stupore generale, facendo risorgere una ninfa che ha concluso lo spettacolo cantando la celebre e difficile aria di Haendel “Lascia ch’io pianga”.

 

Raffaello Bellavista e Matteo Marabini. Sullo sfondo, la “donna velata” Serena Gentilini

Serena Gentilini insieme al Principe Maurice durante la performance

In “Eros e Thatanos” il Principe ha totalmente improvvisato il suo monologo, mentre l’accompagnamento musicale aveva una scaletta predefinita. E’ stato facile “scandire” la vostra colonna sonora sui ritmi recitativi imprevedibili di Maurice?

E’ stato molto semplice per quanto fino al momento dello spettacolo c’era molta emozione. Infatti “Eros e Thanatos” aveva una scaletta di massima divisa per brani e significato di quest’ultimi, sui quali il Principe si inseriva. Proprio la maestria di Maurice ha saputo tradurre in beneficio il fatto di non aver provato in maniera forzata ogni parte dello spettacolo, determinandone la naturalezza e la freschezza. Quando finivamo i brani danzava, e con le sue movenze e la sua dialettica sembrava quasi proseguire le melodie terminate da poco traducendole in parola. Il Principe Maurice é una figura geniale, sono in pochi a saper condurre con efficacia uno spettacolo così equilibrato. Molto spesso ci sono concerti con qualche intervento letterario, oppure spettacoli teatrali con qualche intervento musicale. Ma qui é tutto diverso, é una cosa a sé stante dove suoni, profumi, parole, sensazioni si uniscono dando vita al primo spettacolo multisinestetico al mondo.

 

Serena Gentilini

Come si sono incrociati il tuo percorso e quello di Matteo Marabini?

Oggi il Conservatorio é proprio come un’ Università, quindi abbiamo una laurea triennale, un biennio ed eventualmente un dottorato. Il mio biennio di Pianoforte l’ho conseguito presso il Conservatorio di Cesena, proprio dove ora sta per diplomarsi Matteo Marabini. Avevamo sentito parlare l’uno dell’altro ed avevo visto il suo nome molte volte, inserito in varie rassegne concertistiche. E così, attraverso il suo professore, ho avuto un primo incontro dove abbiamo eseguito una prima parte del concerto “Magellano” con grande trasporto e senza alcuna indecisione. Infatti una decina di giorni prima del concerto c’è stato il cambio di programma del mio ex collega, e Matteo Marabini é subentrato con sicurezza e grande preparazione. Tutto ciò é stato davvero incredibile. La musica mi ha dato degli insegnamenti importanti, ha fortificato la mia caparbietà. In un momento di drammatici cambiamenti, il fatto di resistere nella tempesta ha fatto nascere un grande collaborazione.

La presenza di Serena Gentilini è stata una sorpresa del tutto inaspettata. Raccontaci la genesi della sua partecipazione e il motivo della scelta del brano “Lascia ch’io pianga”, tratto dal “Rinaldo” di Händel.

Come anticipato prima, la partecipazione di Serena Gentilini si deve ad una acuta scelta del Principe Maurice, che ha deciso di valorizzare le sue qualità sia di cantante che di modella inserendola nella prima parte al centro del palco con un magnifico costume veneziano coperta da un velo, e nella seconda parte di resuscitarla per farle cantare questa magnifica aria di Haendel. Scelta ancor più geniale, se si pensa al brano selezionato. Infatti in uno spettacolo dove convivono pulsioni di morte e amore nulla si sarebbe potuto associare meglio a quest’aria che é un emblema sia della sofferenza che della morte, ma anche della rinascita e della potenza dell’amore. Ed è proprio qui che mi viene da fare una riflessione molto profonda. Pochissimi giorni dopo questa prima rappresentazione é scoppiato il dramma del Coronavirus, che ha sprofondato il paese e il mondo intero in una dimensione oscura e di grande oppressione. Nei mesi bui della quarantena sono tornato più volte con la mente a questa esperienza veneziana, ed ora che il cielo sembra rischiararsi sento schiudersi in me la potenza dell’amore. Faccio proprio ai lettori di VALIUM questa confidenza perché é forse la prima volta che mi sento di vivere in un’opera d’arte.

 

Serena Gentilini e Raffaello Bellavista

Serena, Raffaello e il Principe, intervistato da RAI Veneto

Il successo di “Eros e Thanatos” è stato incredibile: Palazzo Labia era gremito e l’evento è stato addirittura ripreso da RAI Veneto. Pensate di replicare la performance o comunque di tornare ad esibirvi, come duo (tu e Serena Gentilini) o come trio, insieme al Principe Maurizio Agosti?

Sicuramente lo spettacolo “Eros e Thanatos” ha significato qualcosa di grande per tutti noi. Perché sia la situazione che si era creata prima del concerto che il successo riscosso ci hanno fatto capire molte cose. Inoltre, tutto ciò ha rafforzato il mio sodalizio artistico con il Principe Maurice. La scelta é quella di portare nei principali teatri italiani e stranieri questo spettacolo, integrando ulteriori aspetti e continuando il lavoro di ricerca costante. Ovviamente sto proseguendo i miei progetti sia in solo che in duo, ma sicuramente lo spettacolo “Eros e Thanatos” é inscindibilmente legato alla figura di Maurice che funge da maestro delle cerimonie per questo rituale musicale e letterario. Penso che il mondo culturale e non solo abbia bisogno di questo spettacolo, per dare nuova linfa ad un sistema che già da diversi anni non sta funzionando più come dovrebbe. Non voglio aprire polemiche, ma sicuramente questo progetto artistico lascerà un segno anche per la capacità di integrare l’arte su più livelli, con argomenti a noi vicini ed attuali. Coniugando un linguaggio fruibile con aspetti simbolici.

 

Il Principe Maurice in “Eros e Thanatos”

Un flashback: il 7 Dicembre scorso, ti sei esibito da solista nel concerto “Tra apollineo e dionisiaco” (con musiche di Chopin e di Liszt) al Goethe-Zentrum di Bologna. Quell’ evento, oltre a ribadire il tuo talento musicale, ha sancito un importante punto di svolta nella tua carriera. Potresti dirci qualcosa di più?

Sì, esattamente, la fine del 2019 e l’inizio del 2020 hanno rappresentato un grande periodo di svolta, probabilmente quello di maggiore portata nei miei 28 anni. E’ stato infatti il mio primo recital nel prestigioso Istituto di Cultura Tedesca di Bologna, sede di numerosi concorsi musicali e stagioni concertistiche nel quale ho scelto di valorizzare le mie due dimensioni artistiche: quella del pianista e del cantante lirico. Nella prima parte ho eseguito celebri e difficili brani per pianoforte solista come la “Dante Sonata” di Liszt, la “Prima ballata” di Chopin e le “Variazioni KV 265” di Mozart. Nella seconda parte, invece, accompagnato dalla docente e pianista Nicoletta Riccibitti ho interpretato celebri arie d’opera tratte dalle “Nozze di Figaro”, ”Don Giovanni”, “Carmen”. E’ stata una scelta coraggiosa, perché mi ha dato finalmente la possibilità di imporre il mio punto di vista dopo anni di studio ed attività concertistica. In un ambiente musicale in cui si predilige di perseguire una sola strada volevo dire la mia e proprio a partire da questo concerto. Forte anche del sostegno di vari esponenti della cultura italiana, porterò in tour questo mio progetto artistico che sarà focalizzato attorno alla figura di Dante Alighieri, del quale nel 2021 ricorre il VII centenario della morte.

Il Carnevale di Venezia era ancora in corso quando è esplosa l’emergenza Coronavirus. Il periodo della quarantena è iniziato poco dopo e segnerà, penso, una tappa indelebile nell’esistenza di ognuno. Come hai vissuto quell’ esperienza?

Come accennato in precedenza, é stato un periodo denso di significato per me. Infatti poco prima dello scoppio del Coronavirus avevo concluso diversi accordi per i miei debutti sia da solista, sia in duo con Serena Gentilini, in diversi teatri italiani ed esteri. Tutto ciò é stato spazzato via e il danno personale si é sommato alle immagini drammatiche che ognuno di noi ha visto sui mass media, unitamente al fatto che molti dicevano che le attività culturali sarebbero state sospese addirittura per anni e che l’artista si sarebbe estinto. Dopo un primo periodo di grande meditazione interiore ho capito che le cose dovevano andare avanti, e grazie anche al grandissimo e prezioso aiuto della mia fidanzata ho scelto di incidere un disco intitolato “Trinus” (che significa viaggio in latino), dove ho inserito brani per pianoforte solista ed arie d’opera tutte legate al tema del viaggio ed alla figura di Dante Alighieri, che viaggerà dagli Inferi all’ascesa in Paradiso. Un disco che è il risultato di un concerto live tenuto in una notte oscura durante il periodo di quarantena. Parallelamente a questo primo disco ho registrato assieme a Serena Gentilini un video per la Regione Emilia-Romagna che é stato trasmesso su Lepida TV, dove ho reinterpretato assieme a lei celebri brani conosciuti al grande pubblico come “Billie Jean”, “Heroes”, “Enjoy the Silence” e “Arrivederci” in chiave colta. Abbiamo anche registrato diversi brani per progetti di raccolta fondi nella lotta al Coronavirus che hanno fatto sì che decine di migliaia di euro potessero andare in beneficenza in svariate iniziative, molte delle quali organizzate dal MEI. Infine, grazie alla mentalità illuminata e poliedrica della mia compagna, ho deciso di allargare i miei orizzonti artistici ponendo la mia attenzione sull’arte figurativa: realizzando, cioè, una scultura in ceramica con precisi riferimenti simbolici legati al complesso momento che sta vivendo la nostra umanità ma anche alla grande energia creativa che dà la vita.

 

Le sculture in ceramica, un’ ennesima sfaccettatura dell’ eclettismo di Raffaello Bellavista e Serena Gentilini

Se per molti la quarantena ha rappresentato un “periodo di fermo”, per te è coincisa con l’ apice della fertilità creativa: il video e il disco live che omaggiano Dante Alighieri (del quale nel 2021 ricorreranno i 700 anni dalla morte) sono nati allora. Cosa ci racconti, al riguardo?

Il periodo della quarantena é stato molto complesso. In un primo momento è prevalso uno sconforto sia su un piano globale, perché le immagini alle quali eravamo sottoposti erano drammatiche, sia su un piano soggettivo, perché la mia attività concertistica era stata totalmente bloccata per via delle disposizioni relative alla chiusura dei teatri. Dopo questo  periodo di demoralizzazione, la voglia di rinascere ha fatto sì che la mia attenzione si ponesse sul sommo poeta fiorentino Dante Alighieri, sepolto a Ravenna e del quale nel 2021 ricorre il VII centenario della morte. E’ stato quindi un omaggio simbolico, dove nei brani registrati nell’Auditorium Pagliaccine all’interno di casa mia, immerso nella natura, ha preso vita questo viaggio musicale tra brani della grande tradizione pianistica ed arie d’opera che si snodano attraverso un percorso che parte dagli Inferi e giunge all’ascesa in Paradiso. Senza scendere troppo in particolari complessi il primo brano é la trascendentale “Dante Sonata” di Liszt, che rappresenta l’ingresso nell’inferno dantesco, si passa poi per l’aria tratta dal “Don Giovanni” “Deh vieni alla finestra”. C’è un momento di Purgatorio con la “Prima ballata” di Chopin scritta in un periodo di chiaroscuri sentimenti ed avverse difficoltà, il passaggio poi dal Purgatorio al Paradiso é sancito dalla “Sonata al chiaro di Luna” di Beethoven, dove nel primo tempo c’è un riferimento al “Don Giovanni” di Mozart che si tramuta nell’ultimo tempo in una ascesa. La vetta del Paradiso é rappresentata dalle variazioni su “Ah, vous dirai je maman” di Mozart in DO maggiore che simbolizzano l’apollineo tradotto in musica. Quasi una sorta di rituale musicale per auspicare l’arrivo di una nuova era lontana dai dolori del periodo della quarantena. L’artista, secondo il mio pensiero, deve essere questo: un mago dei suoni che attraverso lo specchio della coscienza si rapporta con l’esterno analizzando ciò che sta accadendo e proponendo un via di ascesa e di estasi per l’essere umano, ormai gettato in una prigione senza mura e senza odore.

Sempre durante il lockdown, aderendo all’ iniziativa #laculturanonsiferma dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, tu e Serena Gentilini avete girato un video dove vi esibite insieme in alcune cover rivisitate in versione crossover. Introducendole, hai annunciato la creazione di un vostro duo: che tipo di sonorità lo caratterizzano e come avete intenzione di battezzarlo?

Il progetto era già nell’aria da alcuni mesi, in quanto a mio avviso manca un artista che porti sonorità e stilemi classici nella musica conosciuta al grande pubblico e che in qualche modo svolga un’azione di nobilitazione dei brani pop. Proprio da questa mia idea é scoccata la scintilla quando ho sentito la cantante Serena Gentilini. Infatti da una parte ci sono le mie conoscenze in ambito classico e crossover, e dall’altro c’è l’esperienza di questo giovanissimo talento in ambito jazz, pop che come detto in precedenza ha avuto modo di esibirsi già su palchi prestigiosi a New York oltre che in Italia. E’ una geometria che si completa e che risulta estremamente vincente. Infatti, il video che abbiamo realizzato per la Regione Emilia-Romagna e che é stato trasmesso su Lepida TV é in poco tempo divenuto il video più visto su tutta la piattaforma con oltre 11. 000 visualizzazioni. Questo ovviamente é solo l’inizio, stanno bollendo in pentola numerosi progetti che avranno molta risonanza.

 

Serena e Raffaello circondati dal verde della loro Romagna

Una domanda che scava un po’ nel personale. Come vivi il fatto di condividere una carriera nella musica con la donna che ami? E’ più probabile che, con il tempo, possa incrementarsi la complicità oppure sorgere una sottile (ed eventuale, ovvio) vena competitiva? Penso a film come “A Star is Born” con Lady Gaga…

In realtà il mio rapporto con Serena si é ulteriormente rafforzato grazie ad una reciproca stima e ad un sodalizio artistico che non conosce rottura. Personalmente siamo dell’ idea che non c’è nulla di più bello del condividere con la persona che si ama la passione ed il lavoro, senza prevaricare in alcun modo le scelte che ognuno vuole intraprendere. Certamente non é un ambiente semplice, a volte i ritmi di lavoro possono essere molto duri, però la voglia di comunicare sia in solo che con lei il mio messaggio artistico mi dà la forza di non arrendermi mai. Inoltre, Serena ha una grandissima disciplina e una conoscenza delle lingue straniere che le permettono di essere molto reattiva nell’affrontare ogni tipo di difficoltà.

 

Un’ altra immagine di Serena mentre si esibisce a Palazzo Labia

A proposito di competitività, in una tua intervista sul blog on line “Brisighella by Night” hai dichiarato che hai trovato certi aspetti dell’ambiente musicale molto ostici da affrontare. A che ti riferivi esattamente, e qual è l’antidoto per non lasciarsi sopraffare?

L’intervista a “Brisighella by Night” é stata una piacevole sorpresa, in quanto era un’iniziativa che partiva da giovani del territorio volta a far conoscere i talenti di maggiore spicco con base a Brisighella. Infatti, a differenze delle interviste che solitamente rilascio per varie testate giornalistiche, c’è stata la voglia di portare il colloquio su un piano più profondo tramite un dialogo che si é snodato per oltre un’ora e che ha visto centinaia di spettatori, anche di giovane età, interessarsi ad argomenti legati all’ambito classico. Tornando alla domanda in questione, l’ambito musicale e quello classico in particolare hanno sviluppato nel corso dei decenni delle dinamiche sociali a mio avviso molto brutte e dannose. Infatti, a differenza dei valori alti che l’artista é tenuto a trasmettere quando si fregia di tale titolo, nel comportamento sociale spesso ci sono grandi scorrettezze da parte dei colleghi e la voglia di indottrinare creando dei manichini da parte dei docenti. Io dopo aver terminato il mio percorso con il massimo dei voti ho scelto nell’ultimo periodo di fortificare la mia visione e di non scendere più a nessun tipo di compromesso per cercare di compiacere qualche docente o collega. Bisogna rendersi conto che la vita é una sola, e che se si sceglie di seguire una vocazione artistica affrontando mille difficoltà bisogna e si deve andare fino in fondo. Perché il rischio é quello di fare una musica che non é veramente propria e rendersi conto di aver magari per anni vissuto una vita che non é la propria. Quindi, in conclusione, il mio antidoto che posso dire anche essere la mia arma più letale é la caparbietà totale e la fiducia totale, anche a costo di sembrare arroganti in quello che si fa.

In quarantena, oltre che a dedicarvi alla musica, tu e Serena avete dato il via alla creazione di bellissime opere in ceramica. Pensate che l’arte possa diventare una vostra ulteriore modalità di espressione?

Serena Gentilini ha davvero molte abilità artistiche, infatti oltre al canto nel quale eccelle ha coltivato nel tempo il talento per la pittura, l’abilità nel creare vestiti d’alta moda e la capacità di realizzare opere in ceramica. Diciamo che rappresenta la figura di donna per me ideale e di artista a tutto tondo. L’idea della ceramica era quella di imprimere in materia sensazioni, tensioni e idee a quattro mani cercando equilibrio, ideali e rilassatezza. Così sono nate diverse opere, l’ultima delle quali di grande impatto emotivo. In questo caso ci siamo dedicati alla realizzazione di un’opera astratta legata al simbolo della spirale che abbiamo applicato su tre strutture, ognuna delle quali con una diversa connotazione simbolica. Il concetto di spirale é legato al concetto di vita e morte, di creazione e distruzione ed al concetto di rigenerazione. A completamento del tutto, abbiamo inserito due figure geometriche per collocare questo passaggio surreale in una dimensione metafisica.

 

 

 

 

Alcune opere in ceramica firmate Bellavista-Gentilini

Per concludere, Raffaello, vorrei chiederti cosa puoi anticiparci rispetto ai tuoi progetti più imminenti.

Ho deciso di riprendere la mia attività concertistica ad agosto e per farlo ho scelto uno dei luoghi più suggestivi ed esclusivi della Romagna. La Tenuta Mara, costruita e concepita dall’imprenditore Giordano Emendatori e seguita dalla figlia Elena: una tenuta di vino biodinamica sui colli del riminese dove la vite viene fatta crescere cullata dal suono della musica classica. Infatti, la tenuta é completamente amplificata con un impianto di diffusione di ultima generazione. Il rapporto con la musica continua anche durante il riposo in botte del vino. All’interno di questa tenuta tutto é in armonia e ci sono opere d’arte sia all’aperto che all’interno della cantina. Un aspetto incredibile é riservato all’auditorium realizzato sulla sommità di quest’ultima e che ha un’acustica davvero incredibile. Qui a fine agosto terrò un mio concerto unico nel suo genere, in quanto presenterò i miei tre progetti al pubblico in un concerto diviso nel seguente modo: nella prima parte suonerò la “Dante sonata” di Liszt per pianoforte solo presentando il mio progetto solista, poi sarà il momento del “concerto Magellano” di Sejourneè che farò assieme al marimbista Matteo Marabini,  infine ci sarà la magnifica voce di Serena con la quale presenterò 5 brani celebri rielaborati in chiave colta. Il tutto, durante una serata esclusiva con una degustazione di vini finale. A fine settembre sarò tra gli ospiti di un evento molto esclusivo a Merano, del quale in futuro renderò noti i dettagli ed al quale parteciperanno diverse personalità dello spettacolo. In autunno porterò a Ravenna il mio progetto su Dante ed a dicembre debutterò in uno dei templi della musica a Milano. Prossimamente debutterò anche a Bolzano e non é escluso un ritorno in un grande evento a Venezia. Ovviamente, tutti i progetti citati in questo nostro dialogo saranno sviluppati a lungo termine attraverso concerti in luoghi prestigiosi e rientreranno in una produzione discografica.

 

 

 

 

 

 

Diversi scorci della Tenuta Mara, splendido Relais panoramico sui colli nei dintorni di Rimini

Raffaello e Serena, la coppia d’oro emergente della musica italiana

 

 

Photo courtesy of Raffaello Bellavista

 

 

Il fiabesco universo di Paolo Domeniconi

Gli Auguri di Buone Feste di Paolo Domeniconi

VALIUM ha celebrato molto spesso le atmosfere che impregnano le festività natalizie. La voglia di fiaba, di magia, di un ritorno all’ infanzia per riscoprire la meraviglia delle cose, sono il fil rouge di settimane che ogni anno si concludono con l’arrivo della Befana. E il tema della fiaba torna anche oggi, di certo senza risultare ridondante: le illustrazioni che vedete qui di seguito ne sono una prova. Si tratta di un bestiario incantato, dalle dimensioni enormi, calato in paesaggi onirici e fatati. Neve, stelle, fitti boschi, ninfee galleggianti predominano, facendo da sfondo a quei giganteschi animali e ai bambini che li affiancano di frequente. E’ questo, il poetico universo di Paolo Domeniconi. Un universo fatto di immagini che tutto il mondo conosce e apprezza: basta osservare il numero delle loro condivisioni sui social. Sono gli anni ’90 quando Domeniconi debutta nella pubblicità: si occupa di campagne, packaging e grafica. Successivamente, rimane conquistato dalla letteratura per l’ infanzia e comincia ad illustrare le fiabe più celebri. A tutt’oggi oltre 40 libri – senza contare le raccolte di fiabe, i volumi scolastici e le copertine – includono le sue iconiche illustrazioni; vanta collaborazioni con case editrici del calibro di Grimm Press, Mondadori, Houghton Mifflin Harcourt, The Creative Company (solo per citarne alcune), e i suoi lavori sono presenti, oltre che in Italia, in paesi come  gli Stati Uniti, la Spagna, il Regno Unito, la Cina, la Corea e Taiwan. Per saperne di più sull’ immaginario sognante e fantastico di Paolo Domeniconi, ho pensato di rivolgergli alcune domande.

Cominciamo dai suoi studi. Si è focalizzato sin dall’ inizio sul mondo della grafica e dell’illustrazione?

Quando mi sono trovato a dover scegliere un indirizzo di studi non ero ancora in grado di fare la scelta giusta. Ho passato un anno piuttosto spaesato in un istituto tecnico. Non ci ho messo tanto a rendermi conto di essere fuori strada e sono quindi ripartito da zero in un istituto d’arte.

 

Paolo Domeniconi circondato da alcuni dei libri che ha illustrato

Com’è nata questa sua passione?

Inizia nell’infanzia, è un approccio alle cose che mi ha sempre portato a fare stranezze rispetto alla maggior parte dei miei coetanei, a vivere in un mondo a parte, in un certo senso. A 10 anni passavo ore a fare disegni animati e stop-motion col vecchio 8mm, hackeravo cineprese, pellicole, organi elettronici, un armamentario di strumenti creativi che oggi un bambino può trovare in un tablet. Col tempo mi sono sempre più focalizzato sul disegno cominciando a vagheggiare, chissà in che modo, che un giorno potesse diventare il mio lavoro.

 

 

Nei primi anni ’90 si è dedicato alla pubblicità e al visual merchandising, occupandosi anche di stampe e di packaging. Quanto è determinante, a suo parere, la comunicazione visiva di un prodotto e in che percentuale riesce ad orientare i gusti del pubblico?

L’immagine è tutto. Il “pubblico” mi sembra piuttosto acritico nei confronti della comunicazione ma devo ammettere che ormai questi temi mi appassionano poco.

 

 

Esistono dei motivi grafici che a quell’ epoca prediligeva utilizzare?

Il mio era comunque un lavoro da illustratore o da visualizer. Si lavorava tanto sul packaging di prodotti alimentari e si trattava di rendere accattivanti le immagini del prodotto, la fragranza di una merendina come la freschezza di uno yogurt alle fragole. Photoshop era ancora poco usato e toccava a noi illustratori trovare il lato glamour in un mazzo di spinaci. Fortunatamente qualche volta l’immagine aveva una funzione più evocativa o addirittura metaforica, erano i tempi in cui giravano le immagini di Folon e di alcuni illustratori americani che hanno caratterizzato fortemente la comunicazione istituzionale, Brad Holland, per esempio.

Com’è avvenuto il suo passaggio all’illustrazione di libri per bambini come le fiabe?

Per tanti motivi mi sentivo sempre più fuori posto in quell’ambiente e in generale la pubblicità non mi interessava più. In quegli anni mi ero riappassionato alla lettura e un po’ per gioco inventavo copertine immaginarie, studiandomi tecniche e stili diversi. Alla Children’s Book Fair di Bologna ho toccato con mano le meraviglie che si pubblicavano all’estero e alla fine ho deciso di rimettermi in gioco. Ho seguito quattro corsi brevi ma intensi nelle due migliori scuole di illustrazione e nell’arco di qualche anno sono passato gradualmente dalla pubblicità all’editoria.

 

 

In questo settore ha lavorato per case editrici di tutto il mondo. Da quanto ha potuto riscontrare, è un universo che conosce diverse sfumature a seconda della latitudine e delle culture o piuttosto omogeneo nell’ intero pianeta?

Il linguaggio del libro illustrato può essere molto diverso da un paese all’altro. Cambiano i contenuti, lo stile grafico, la scelta di un certo tipo di illustrazione piuttosto che altri. Ciononostante, alcuni libri particolarmente riusciti vengono tradotti in tante lingue e fanno il giro del mondo. Un dato positivo per gli editori italiani è che le vendite dei diritti per la pubblicazione all’estero sono in aumento.

Cosa la affascina, del mondo delle fiabe?

Forse il fatto stesso che raccontandoci le fiabe siamo vicini, ci riconosciamo. Contengono elementi così universali e archetipici che creano un grande momento di empatia tra le persone, adulti o bambini che siano.

 

 

Uno dei leitmotiv delle sue illustrazioni sono gli animali umanizzati, i bambini e soprattutto la notte, intesa – credo – come parentesi magica e del sogno…Potrebbe approfondire per noi questi temi?

Le favole ci hanno abituati alla presenza degli animali antropomorfi nelle illustrazioni. Maestri come Wolf Erlbruch li hanno introdotti anche in contesti più contemporanei e nelle storie del quotidiano, io copio un po’ da lì. L’effetto è di spaesamento surreale, a volte divertente perché vediamo nell’animale aspetti caricaturali dell’umano. In un altro tipo di illustrazione (e di narrazione) più vicina al “fiabesco”, mi interessa l’animale come portatore di mistero, contatto con una natura inconoscibile. Detesto il magico della letteratura fantasy e allo stesso tempo il documentarismo che si interessa solo alla meccanica dei comportamenti animali. Cerco lo stupore di chi ancora sta scoprendo il mondo, per questo i miei bambini si ritrovano spesso in atmosfere notturne, tra sogno e realtà.

 

 

I suoi progetti più imminenti sono top secret o potrebbe darci qualche anticipazione al riguardo?

Posso dire che sto lavorando per un editore russo su un albo illustrato molto impegnativo. Si tratta di una fiaba classica molto nota in Russia ma praticamente sconosciuta da noi. Qualche copertina di romanzi per ragazzi e a seguire tornerò finalmente a pubblicare in Italia con tre titoli di autori contemporanei.

 

 

Qual è il sogno più grande che – professionalmente parlando – vorrebbe ancora realizzare o che ha già realizzato?

Ho tante cose da imparare ancora. Ogni nuovo libro è per me quasi un ripartire da capo e costituisce la più grande sfida in quel particolare momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice: ritorno al Cocoricò e magia pre-natalizia

Il Principe al Memorabilia del Numa Club (Bologna)

Al Natale manca qualche settimana, ma per il Principe Maurice l’ aria è già carica di magia. Dal giorno del suo compleanno, il 15 Novembre, è come se i festeggiamenti non fossero mai finiti: colpi di scena, eventi inediti, progetti mozzafiato sono i leitmotiv che lo accompagnano in questo Autunno inoltrato.  Ci ha sorpreso con una news spettacolare, quella del suo ritorno al Cocoricò dopo quattro mesi di crisi, e venerdì scorso è riapparso alla grande insieme a Cirillo, ai Datura e a Ricci Jr in occasione del Memorabilia in programma al Numa Club di Bologna (leggi qui l’ annuncio dell’ evento). Impossibile dimenticare una simile rentrée:   sfoggiando robe-manteaux strepitosi, gonfi come mongolfiere ad ogni alito di vento, il Principe ha dato ancora una volta prova del suo incredibile carisma scenico. I fan che da sempre lo seguono, smaniosi di assistere ad un riavvicinamento tra la Piramide e la sua leggendaria icona, sono stati accontentati. A loro, Maurice ha anticipato il più bel regalo natalizio. E non è finita qui: l’ 8 Dicembre potremo riammirarlo proprio nel tempio riccionese della techno grazie ad un Memorabilia che si terrà in loco! L’ ultimo mese dell’ anno, insomma, sancisce il ruolo mitico del Principe Maurice prima di un 2019 all’ insegna di una grande svolta. Quale? E’ lui stesso a raccontarcelo nella conversazione che segue.

Iniziamo con la notizia clou di questo incontro: la tua “riconciliazione” con il Cocoricò. Più che di un ritorno di fiamma, si può parlare di un amore mai finito. Con quale stato d’animo hai affrontato il Memorabilia al Numa di Bologna?

Effettivamente non si può parlare di ritorno di fiamma in quanto non si era mai spenta… Sono sempre stato e sempre sarò innamorato del Cocoricò e di tutte le sue emanazioni, Memorabilia in testa. C’era stato un malinteso con la gestione che è stato chiarito e appianato quindi nulla ostacolava la ripresa dei rapporti artistici e di lavoro, tanto più che pare foriera di interessanti sviluppi. Molto emozionante poter nuovamente proclamare al pubblico del Numa la fatidica frase: “Ieri, oggi e domani: Memorabilia”. La serata è stata bellissima perché tra di noi si è ricreata quella sintonia che rende speciale il lavorare insieme sotto l’egida del Cocoricò.

 

 

Avremo quindi il piacere, oltre che la grande opportunità, di riammirare il tuo Teatro Notturno nel mitico luogo che l’ha visto nascere. Dell’ evento bolognese mi hanno colpito molto anche i tuoi costumi, decisamente spettacolari. Chi firma le creazioni mozzafiato che sei solito sfoggiare durante le performance?

Sì e sono estremamente felice di tornare nella Casa Madre, la grande Piramide. Ti ringrazio di darmi l’opportunità, tu che sei appassionata e specialista di moda, costume e society, di rimarcare che i cosiddetti “travestimenti” sono frutto in realtà della professionalità di intere equipe di artisti ed artigiani al servizio della spettacolarità ma anche dei contenuti delle mie performances. Quelli di venerdì erano eseguiti da Placido Balzano del Dok Show il quale ha la particolarità, ispirandosi a collezioni iconiche di Haute Couture, di rendere quei concept ancor più teatrali rimarcando quanto effettivamente la Moda sia Teatro. In questo caso i bellissimi “robe-manteaux”,  che si gonfiavano al minimo soffio di vento in versione nero, rosso e bianco, riprendevano una celeberrima collezione di Alexander McQueen utilizzata anche da Grace Jones (tuttora) on stage. Una eccezionale costumista che in maniera ancor più continuativa collabora con me da 25 anni è Flavia Cavalcanti, brasiliana trapiantata a Milano. Le dico sempre scherzando (ma non troppo) che verrà schiacciata dal peso del suo incredibile curriculum (ahahaha!)… Basta cercarla sul web per capire l’importanza e l’innovazione anche tecnica del suo incredibile lavoro, frutto di ricerca continua e genialità vera e propria. Un altro artigiano/artista che considero un po’ una mia scoperta e che ha più recentemente cominciato a collaborare ai miei costumi è Sascha Sgualdini “FreeFoolery”, lui è anche il mio assistente di scena. Attingo spesso anche da Sartorie Teatrali prestigiose (Nicolao e Atelier Pietro Longhi a Venezia, Francesca Serafini Antico Atelier a Padova, Arrigo e Lo Bosco a Milano, Tirelli a Roma e Cerratelli a Firenze, per esempio), ma sempre contaminando con accessori e acconciature create ad hoc. Credo tu sappia, comunque, che ho una discreta collezione personale con pezzi unici sia antichi che vintage che provenienti da sfilate di alta moda (soprattutto di Miyake, Gaultier, Westwood, Mugler, Margiela..). Effettivamente la Couture e la Culture sono mie grandi passioni approfondite e implementate dalla condivisione con il mio compagno di una vita, stilista e costumista di grandissimo talento e autore dei primi mitici look del Principe MauricePierluigi Voltolina, prematuramente scomparso dieci anni fa.

 

 

Il Principe con Cirillo al Numa Club di Bologna

L’ 8 Dicembre il tuo ritorno al “cocco” sarà effettivo, sancito dal Memorabilia in programma a Riccione…Cos’hai in programma per quella serata speciale? Potresti anticiparci qualche dettaglio in esclusiva?

Una mia caratteristica è quella, quando possibile, di decidere all’ultimo momento ed improvvisare. Diciamo che in questo periodo sono affascinato dalla potenza dei quattro elementi: Aria, Fuoco, Terra, Acqua…più, ovviamente, il quinto: l’Amore! Vedremo….

 

 

Il 15 Novembre scorso è stato il tuo compleanno. Non ti chiedo quanti anni hai compiuto perché il Principe Maurice, in quanto leggenda, è per definizione senza età e immortale, però ti chiedo: qual è il tuo bilancio di vita? Guardandoti indietro, c’è qualcosa che non rifaresti o che faresti in modo diverso?

Ahahah! Non ho difficoltà a fomentare il “mito” dichiarando un’età di circa 3725 anni… Credo di potermi definire una persona “realizzata” non tanto per il successo ottenuto attraverso il mio lavoro, che è anche la mia passione, ma proprio perché posso con cuore sereno ammettere di non avere rimpianti di sorta. Ho avuto l’istinto di anteporre a qualsiasi altra cosa nella vita l’Amore ed è stata la scelta più giusta. Nulla è più importante dell’Amore in ogni sua espressione e per ogni forma di vita. Ciò che predico con convinzione è ciò che ho sempre vissuto sulla mia pelle: Libertà, Dignità e Amore… Ora voglio aggiungere: Condivisione. In un’epoca di sempre più stridenti differenze sociali e di torpore emozionale credo sia importante condividere.

Come ti poni nei confronti dei ricordi? Preferisci il conforto del passato, il “qui e ora” rassicurante del presente o le sfide del futuro?

Per me la vita e il tempo sono un flusso senza soluzione di continuità e ricordi, presente e aspettative per il futuro si fondono in un’unica grandiosa esperienza emozionale. Non avendo rimpianti il passato è una dolce (a volte melanconica, come per tutti) culla nella quale si conforta il presente e si confronterà il futuro. Un crogiolo di sensazioni ed aspirazioni che si fondono tutte in quel meraviglioso gioiello che è la Vita in sé.

 

La locandina del Memorabilia dell’ 8 Dicembre al Cocoricò di Riccione

Mi giunge voce che ti sei recentemente esibito in un travolgente “dinner show” – una delle tue forme di intrattenimento preferite – all’ Odissea Fun City di Spresiano, vicino Treviso…Confermi?

Certo! E’ un progetto che stiamo condividendo, sponsorizzati dal patron del locale Giannino Venerandi, al ristorante “Atelier” uno degli spazi dell’Odissea Fun City di Spresiano (Treviso). Dico stiamo perché al mio fianco c’è Simone Fucci (Simon the Prince) che è garanzia di eleganza e professionalità per ciò che riguarda il Varietà e il Burlesque venendo da esperienze quale il Salone Margherita di Roma (sede pure del Bagaglino) e di respiro anche internazionale come me. Se ne vedranno e sentiranno delle belle. Ogni sabato ci alterniamo con altre Guest Star per intrattenere il pubblico a cena lì.

 

Il Principe durante il dinner show all’ Odissea Fun City

Facciamo un passo indietro: nella puntata scorsa di “Sulle tracce del Principe Maurice” hai accennato ad un progetto cinematografico ancora top secret. Cosa ci racconti, oggi, dei suoi sviluppi?

Finalmente possiamo in modo intrigante e graduale spiegare la trama, il cast e il work in progress di questo importante progetto. Bisogna andare sulla pagina Facebook Ca’ Moon per addentrarsi in questo magico mistero che riguarda un principe squinternato… Io! Ahahahah!

 

 

 

Ci avviciniamo al Natale. Che troverà sotto l’albero il Principe Maurice, e come concluderà in bellezza il 2018?

Il regalo più bello che mi faccio ogni anno è di passarlo in famiglia, in particolare mia sorella cui tengo particolarmente. Vigilia e pranzo con loro e poi la sera del 25 dicembre una edizione on tour del Memorabilia by Cocoricò all’ANIMA, sala discoteca sempre dell’Odissea Fun City. Una soddisfazione essere riusciti a portare anche lì questo progetto importante per me! Con immenso piacere ho accettato pure l’invito nella splendida casa di Milano della contessa Pinina Garavaglia  – un salotto prezioso per livello intellettuale e mondano – per la sua tradizionale ed esclusivissima festa prenatalizia che quest’anno avrà un titolo per me intrigante: “Rococò Folie”, a cui parteciperò ovviamente in costume a tema. Per ciò che riguarda la fine dell’anno, più che l’inizio, la mia iniziativa più particolare sarà una cena spettacolo l’ultimo sabato del 2018, il 29 dicembre, questa volta a Venezia in collaborazione con l’artista francese Florence Aseult presso il bellissimo Palazzetto Pisani sul Canal Grande.Titolo, SENSO, una notte veneziana. Per saperne di più basta andare sempre su Facebook e seguire gli sviluppi dell’evento dallo stesso titolo… Ma ci sentiremo prima delle Feste per gli auguri, promesso!

 

L’ immagine associatata al party natalizio “Rococò Folie” della contessa Pinina Garavaglia

 

 

La locandina di “Senso”, cena spettacolo in programma a Venezia

 

Photo courtesy of Maurice Agosti

 

Sulle tracce del Principe Maurice – Speciale Memorabilia on Tour: il ritorno del Principe

 

Il 23 Novembre sarà una data memorabile per tutti i fan del Principe Maurice e del Cocoricò: tra i due è pace fatta, e l’ icona della Piramide tornerà in grande stile in occasione del Memorabilia in programma al Numa di Bologna. Per chi volesse ripercorrere la genesi del divorzio, rimando alla seconda puntata della rubrica “Sulle tracce del Principe Maurice” che trovate qui. In breve, il Principe Maurice disse addio al Cocoricò quattro mesi fa, all’ indomani del trentennale del club di culto della riviera romagnola: un periodo di “crisi”, come lo definisce il Principe stesso, ormai giunto al termine. “La parola “crisi” non deve avere un’ accezione necessariamente negativa.”, ha spiegato a VALIUM. ” In realtà, etimologicamente è legata al concetto di crescita. Una crescita magari a volte un po’ dolorosa, ma pur sempre una crescita.”  La prima tappa di questo riavvicinamento sarà quindi sancita dal “Memorabilia on tour” che si terrà domani sera al Numa Club, locale trendy e dalle atmosfere fashion situato nella periferia bolognese. Lo show itinerante che celebra il Cocoricò e la sua leggenda vedrà protagonisti sul main stage Cirillo, i Datura, Ricci Jr., oltre che naturalmente il Principe Maurice con le sue “scenic performance”: tutti nomi che hanno fatto la storia del tempio della techno.

 

Ricci Jr Dj, il Principe Maurice e Cirillo

“Ritorno nella grande casa musicale ed emotiva del Memorabilia by Cocoricò. Sarà per me una gioia condividere col mio pubblico le mie visioni e il mio Teatro Notturno con la colonna sonora di Cirillo, Datura, Ricci Jr…Non vedo l’ora”, ha scritto il Principe Maurice su Instagram riguardo il grande evento del 23 Novembre. Per sapere quello che ha detto a VALIUM sul Memorabilia e su molto, molto altro ancora, non vi resta che attendere la prossima puntata di “Sulle tracce del Principe Maurice”: la rubrica dedicata alla star del Teatro Notturno. Stay tuned!

 

Il Principe durante una delle sue performance

 

MEMORABILIA COCORICO’ @ NUMA club
c/o: NUMA club – Via Maserati 9 – Bologna
Opening doors: 23:30

Per info: numaclub.com

 

Photo courtesy of Maurizio Agosti

 

 

L’arte come equivoco: conversazione con Carlo Cecchi

 

Incontro Carlo Cecchi a Fabriano, nella Sala Guelfo, lo spazio adibito alle mostre all’ interno del chiostro della Cattedrale di San Venanzio.  E’ qui che si è appena conclusa “Il passo del cielo”, un’ esposizione che concentra alcuni temi ricorrenti nell’opera dell’ artista jesino: nei 20 disegni realizzati a carboncino predominano un fiabesco bestiario, corpi celesti dispersi nell’ universo, scritte di matrice concettuale. Solo due colori: il bianco e il nero, alternati sullo sfondo giallognolo della carta da spolvero. A fare da leitmotiv è una visione del cosmo che il segno grafico di Cecchi rende fortemente onirica, evocativa. La sua surreale fauna fluttua in una galassia costellata di aloni neri, di volta in volta fitti o più radi. Le scritte sorprendono, confluiscono in uno spazio mentale dove si addensano gli interrogativi. “Questo lavoro”, scrive la storica d’arte Francesca Pietracci nel testo critico della mostra, “sembra condensare lo scibile umano, la sua evoluzione, la sua percezione, l’ incanto di una mano di talento guidata dagli occhi stupiti di un bambino. Quasi come di fronte ad un nuovo anno zero del cosmo…tutto rimane ancora da scoprire.” Le affascinanti suggestioni che questi motivi ispirano rappresentano solo uno degli spunti da cui è scaturita l’intervista che vi propongo oggi. L’ universo di Carlo Cecchi merita senz’ altro un approfondimento, e il Maestro risponde alle mie domande di buon grado: emozioni, frammenti di vita, memoria, paesaggi fisici e morali,  reminescenze di un’ umanità variopinta si fondono in un racconto dove tutto riconduce all’arte nella sua più profonda accezione.

Se dovessi presentarti ai lettori di VALIUM in poche righe, come esordiresti?

E’ sempre più difficile, credo, definirsi, perché questo è un mondo in cui tutti sembra che facciano e sappiano di tutto: sono tutti artisti, tutti allenatori di calcio, tutti d’avanguardia…Sono tutti molto belli, anche. Vanno tutti in palestra! Carlo Cecchi è un artista, un pittore soprattutto. Quando parlo di pittura parlo anche del disegno, che amo moltissimo. Forse amo più il disegno della pittura. Ma come diceva il mio amico Dino De Dominicis, “La pittura è la cosa più moderna che c’è proprio perché è la più antica.” Quindi sono un pittore, perché credo che il silenzio che contrassegna l’immagine fissa dia ai cosiddetti fruitori – un termine che mi fa pensare ai fruttivendoli, tra l’altro, per cui oserei dire “fruttitori” – possibilità il meno oggettivo possibili. Oggi si tende ad essere sempre più didascalici, addirittura a spiegare quello che si vede a occhio nudo. La pittura, e più che mai il disegno, invece, ha innanzitutto la possibilità di essere permeabile: attraverso il disegno si passa da un’altra parte, si va oltre. Non è mai descrittivo, perché in quel caso si rientrerebbe nell’ambito della didascalia, cioè dello spiegare. Più che “spiegare” mi ha sempre affascinato “piegare”. L’arte non va “spiegata”, va “piegata”. Come un fazzoletto…”Piegare” significa, in realtà, “nascondere”: la pittura deve nascondere, non evidenziare. La pittura è un luogo nascosto…non chiedermi di spiegare di più perché diventerei didascalico a mia volta. Durante una mia mostra scrissi una parola, “rivelazione”. La rivelazione, che per il vocabolario è uno “svelare”, a mio parere  è “velare ancora”: “ri-velare”, come “ri-vedere” cioè vedere due volte, significa moltiplicare i veli. Secondo la cultura araba, puoi vedere gli angeli solo se riesci a svelare 77 veli…Dunque a me piace molto rivelare, cioè nascondere.

 

“Il passo del cielo”, 2017

 

Quando e come è iniziata la tua liason con l’arte?

A scuola io sono sempre stato bocciato in disegno, forse perché non mi interessava. Che in realtà il disegno mi piacesse l’ho capito solo molto tempo dopo. Mia madre era una grandissima disegnatrice: quando io e i miei fratelli avevamo l’influenza, si metteva accanto al nostro letto e ci disegnava le storie degli inquilini del palazzo. C’era il bidello, c’era la nutrice…L’ infanzia l’ho vissuta in un quartiere nel cuore di Jesi, ero sempre in mezzo alla strada. La mia cultura si è forgiata tra gli artigiani, i negozianti, le prostitute…Ce n’erano ancora parecchie, in giro, nel dopoguerra. La sezione del Partito Comunista era attaccata alla chiesa, per cui eravamo trasversali: giocavamo a ping pong in parrocchia e dopo, magari, andavamo a vedere le partite a biliardo nella sezione. Indubbiamente, non mi sono mai interessato all’arte. Poi, dopo essere stato bocciato per tre anni di fila all’istituto tecnico industriale, ho seguito il consiglio di un mio amico batterista che mi ha suggerito di iscrivermi all’Istituto d’Arte di Ancona. Lì ho incontrato gente molto in gamba, in particolare due professori: il mio insegnante di Storia dell’Arte veniva da Roma ed era molto amico di Burri, di Guttuso, che andavano a trovarlo in albergo. Una volta me li ha anche presentati. E poi c’era il professore di Disegno dal Vero, che mi ha insegnato davvero tutto…Dopo il diploma mi sono iscritto all’ Accademia di Belle Arti, dove si faceva avanguardia. Erano gli anni dell’Arte Povera, dell’Arte Concettuale. Eravamo tutti un po’ concettuali…Alla fine dell’Accademia ho presentato la mia prima mostra a Bologna: concettuale, naturalmente. Sul muro, con una matita blu avevo tracciato una scritta che diceva “cielo mare cielo mare all’orizzonte”. Sempre a Bologna, ho gettato un drappo sul pavimento della Galleria e ho intitolato quella mostra “Raso al suolo”, con un significato doppio. Nel ’76, quando ancora non dipingeva nessuno, ho inaugurato la mia prima mostra di pittura. Ecco, ora vorrei raccontarti qualcosa di molto importante: vicino a Palazzo Ripanti, dove c’è il mio studio, quando ero ragazzino a Jesi c’era il cinema omonimo. I macchinisti tenevano la porta aperta, perché i proiettori dell’epoca riscaldavano moltissimo, e gettavano fuori i carboni che generavano l’arco voltaico. Io con questi carboni disegnavo sul pavè…Credo che l’amore per il disegno, in me, sia nato proprio allora. Tra mia madre e i carboni elettrici. Quello è stato un po’ il mio inizio.

 

“Senza Titolo”, 2013. Tempera su carta

 

Cosa rappresenta l’arte, per te?

Una bella domanda! Cos’è l’arte? Per me intanto è una possibilità esistenziale, mi ha aiutato e mi sta aiutando molto. E’ un anticorpo. E’ un modo per sporcarmi le mani e anche la mente. Argan ha detto forse la cosa più sensata che abbia mai sentito, per definire l’arte: l’arte è un fenomeno che diventa immagine. Poi, però, l’immagine diventa fenomeno a sua volta. Trovo abbastanza centrata la sua definizione. Su un piano personale, al contrario di quanto si pensi, credo che l’arte sia un linguaggio totalmente inespressivo. L’arte non ha il compito di comunicare, l’arte non comunica. L’arte sente, è una specie di alito…Come dicevo prima, l’arte non è didascalica. Non è mai stata didascalica, nemmeno in passato: c’è sempre qualcos’altro. Per citare non ricordo più chi, mi piace dire che “tutto avviene per altri motivi”. Quindi, l’arte avviene per altri motivi. Se io sono un pittore iconografico e dipingo un tavolino, come disse anche Magritte a suo tempo, “questo non è un tavolino”. L’arte è “un’altra cosa”…

 

“Il silenzio dei sassi”, 2012. Olio e tempera su legno

 

Molti critici hanno inserito le tue opere in un filone di stampo concettuale. Questa definizione ti trova concorde?

Una matrice concettuale c’è sicuramente: tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70 eravamo tutti un po’ concettuali. I nostri amori erano Kossuth, Pistoletto, l’Arte Povera…I punti di riferimento della nostra generazione. Direi che oggi, nel mio lavoro, quella matrice è molto lontana. Mi piace dire che la mia non è un’arte concettuale, ma ingloba un segno concettuale al suo interno. A differenza dei concettuali, però, che erano tutti così “pulitini”, a me piace sporcarmi. L’arte è sporcarsi. Quindi, l’arte concettuale nel mio lavoro è presente nella misura in cui ha coinciso con la mia origine. Mi diverte raccontarti di “raso al suolo”, che era un gioco di parole. Mi piace la pittura, ma anche sconfessare l’idea che esprimo: se disegno un cavalluccio marino, ci scrivo accanto qualcosa che lo sconfessa. Oppure, lo affianco ad un’immagine che ha lo stesso scopo.

Ne “Il passo del cielo”, la mostra che hai appena presentato a Fabriano, prevale un bestiario tratteggiato con carboncino su carta da spolvero. Perché la scelta di questa visionaria fauna, e come nascono le scritte che la affiancano?

Questa fauna viene fuori da certi sogni (che non sono i sogni che faccio di notte) e da certi desideri. Il primo animale di cui mi sono occupato è stato il pinguino, perché rappresenta un po’ quello che ho appena detto. E’ elegante, sembra che porti il frac, però in realtà è goffo: basta guardare come cammina. E’ un uccello? E’ un pesce? Vive in acqua? E’ ambiguo. E siccome l’arte è ambiguità…Non è una dichiarazione di intenti, l’arte è proprio ambiguità, un errore. Una parte di queste opere l’ho presentata alla Biblioteca Angelica di Roma l’anno scorso. In quell’ occasione presentai un grande disegno, di cinque metri per due, associato ad altri, più piccoli, che raffiguravano animali. La mostra era intitolata “Cosmo-Caos-Dissonanze”,  con me c’erano anche un musicista e un attore che recitava Galileo. Le mie sono immagini di animali circondati dalle stelle, quindi c’è una sorta di rimando astrologico. Ma l’astrologia non mi interessa per niente. Quelle stelle hanno un alone nero intorno, evidenziano un’idea un po’ curiosa dell’universo. Io non sono avulso dalla realtà, parlo del mio essere nel mondo. Per cui, quando penso al cielo, penso a tutto quello che può essere legato al cielo dal punto di vista critico, come l’inquinamento. Inoltre “cielo” significa etimologicamente antro, caverna, e dichiarandomi un artista tribale io utilizzo il disegno…Il disegno è tribale.

 

“Il passo del cielo”, 2017 (particolare)

 

Questa mostra ha un gran senso tribale, mi rappresenta. Per quanto riguarda la mia relazione con gli animali, diciamo che non mi affascinano moltissimo. Mi piace la loro forma, ma difficilmente li ritraggo dal vero: i miei disegni passano sempre attraverso un filtro che potrebbe essere una fotografia, gli animaletti che trovi nei negozi per bambini…Amo il gatto, i felini. Mi piace il gatto perché è silenzioso, ha una sua autonomia, questa cifra quasi di assenza…E poi c’è l’ippopotamo. La prima volta che l’ho ritratto è stato quando, a Jesi, mi hanno chiesto di creare una scultura per una rotatoria. L’ ho inserito immaginando che in quella zona li, che è una zona industriale, ci fosse il mare. C’è stato un periodo in cui ho dipinto molti coniglietti, perché mia nonna me li portava a vedere dai suoi amici agricoltori. Mi diceva che hanno paura dell’acqua, quindi a Milano, negli anni ’80, feci una mostra dove c’erano dei coniglietti minacciati da grosse gocce d’ acqua. Nelle mie opere non c’è mai il presente, c’è o il desiderio del futuro o la memoria. Parlando di animali, ti cito la giraffa…Nel mio progetto per una scultura davanti all’ interporto, c’è questa giraffa avvolta negli scatoloni. L’ interporto è collegato ai “colli”: mi piaceva l’idea del “collo” e il gioco di parole “collo-colli”, un lungo collo di giraffa che svetta da una montagna di scatoloni di acciaio. La giraffa guarda lontano, è come un faro, vede tutto. Ma i miei animali non sono simboli, semmai segni. Preferisco l’aspetto semantico a quello simbolico. Le scritte? Sono dissociative, confondono, tendono a scombinare. Amo l’idea della scomparsa. In fondo è come dichiarare una cosa e smentirla subito dopo o in quel preciso istante. Se usi una scritta che non accompagna, bensì contraddice, crei una situazione in cui, in un attimo, dichiari e smentisci. L’arte è anche equivoco, soprattutto equivoco: è molto più interessante l’equivoco dell’oggettività. E’ un po’ come le bugie che raccontavano quando, da piccolo, mi appoggiavo sulla sponda del biliardo e guardavo i grandi giocare a boccette. In quei momenti inventavano delle storie esagerate, incredibili, prodezze sessuali mai avvenute…La menzogna è più interessante della realtà. La bellezza è questa, l’arte è questa.

 

“Lucia”, 2013. Olio e tempera su carta

 

Quali sono i leitmotiv del tuo immaginario ispirativo?               

Il mio leitmotiv ispirativo è la vita, la vita di tutti i giorni dove si mescolano la cosiddetta cultura alta con la cultura popolare, alla quale sono ancora molto legato. Bisogna vivere in mezzo alla gente, finchè avrà qualcosa da raccontare. Giorni fa ho presentato la mostra di un mio amico alla Biblioteca Angelica e mi è tornato in mente un episodio: mentre eravamo a cena insieme, lo scorso Agosto, è scoppiato un forte temporale e in quell’ istante è affiorato il progetto della mostra. Ecco, l’avversità: anche questo è un momento fondante del mio lavoro. L’arte è avversità. Perché avversità significa discontinuità: tutte le avanguardie hanno lavorato sul tema dell’avversità, cioè la discontinuità rispetto a quel che c’era prima. La natura è tutta fatta di avversità. Se entri in un bosco, ad esempio, la tensione che provi è la stessa che ti dovrebbe dare l’arte.

 

“La testa francese”, 2009. Olio su tela

 

In un’ epoca in cui predominano i crossover artistici, c’è ancora spazio per la pittura tout court?

Certo, assolutamente, c’è un grande spazio. Io sono molto attratto da tutto quello che è lontano dai miei linguaggi. Tuttavia, trovo che la maggior parte di queste operazioni abbiano carattere commerciale, siano perlopiù marketing. Amo la sobrietà, credo nella sobrietà. Il disegno, sei ci pensi, è l’arte più elementare però ha più forza di tutte. Ti dà la temperatura dell’artista: quando disegni è come quando fai l’elettrocardiogramma…

Vivi tra Jesi e Roma. A livello di suggestioni, trovi più stimolante la provincia o la metropoli?

Roma è Roma, è sempre bella. Ma può essere addirittura meno stimolante della provincia. Perché in provincia ci sono ancora delle situazioni, delle storie vere. E’ tutto piuttosto concentrato e anche l’assenza di suggestioni, comunque, può essere uno stimolo. Roma è affascinante quando la vivi con distrazione, non da turista. Bellezza a parte mi colpisce per l’umanità delle persone, un’umanità che in provincia trovo sempre meno. Nella Roma dei quartieri, come a Prati o al Rione Monti, invece c’è ancora. Oggi il modello è Milano, ma il modello di Milano è Londra, è New York, e con l’Italia non c’entra nulla. Se tu vai a Roma, in via del Governo Vecchio, accanto alla boutique di lusso trovi l’officina della moto Guzzi.  E questa commistione, secondo me, è indice di grande cultura.

 

Roma, via di Panico

 

Anche nelle nostre città di provincia, un tempo, trovavi di tutto e tutto affiancato, ma è un aspetto ormai completamente inesistente. Jesi, ad esempio, a mio parere non ha più una sua identità specifica. Dagli anni ’80 si sono ispirati un po’ tutti a Milano…Ma Milano devi viverla, non puoi “replicarla” in provincia. Le radici sono importantissime. Diciamo che i luoghi più ricchi di umanità sono quelli in cui l’arcaico si mescola al contemporaneo: è qualcosa che mi affascina profondamente. Anni fa, in provincia, era molto forte il rapporto tra città e natura, tra un sapere cittadino e un sapere del bosco. Oggi non abbiamo più un rapporto col paesaggio, ma con la memoria del paesaggio. Il paesaggio lo vediamo al cinema, in TV. Andiamo nel bosco, ma non abbiamo l’idea del bosco. “Bosco” significa anche fantasmi, gnomi, tutto il retaggio di una certa mitologia nordica. Il bosco era un posto dove si celavano grandi pericoli e grandi gioie, ai miei tempi ci si andava a fare l’amore.

 

Jesi, Palazzo Ripanti

 

Per Carlo Cecchi, in che direzione sta andando l’arte e la sua arte in particolare?

La mia, non lo so. In che direzione va l’arte? Posso dirti che nell’arte attualmente predominano due binari, ma non so dove portano: da una parte c’è la cosiddetta arte sociale, focalizzata in maniera molto didascalica su ciò che accade. Per esempio, sul tema dei migranti. Altre operazioni hanno un carattere estetico tout court; in questo mondo, d’altronde, tutto diventa estetico. In TV, anche il delitto più efferato viene seguito in un nanosecondo dalla partita di calcio, e molto spesso la gente si emoziona di più per la partita di calcio. Il gioco vale più della tragedia. Da un lato, quindi, c’è l’arte sociale, dall’ altra la decorazione. Molti giovani artisti fanno decorazione: cose che piacciono, che devono piacere, accattivanti. L’arte, però, secondo me non deve “piacere”, bensì “dispiacere”. Che non significa addolorarti, ma creare dis-piacere. Qualcosa di diverso, cioè, dal piacere.

 

“A tre quarti di latte”, 2015. Olio su tela

 

 

Foto di Palazzo Ripanti by Parsifall [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], from Wikimedia Commons

 

Andy Warhol: in arrivo due mostre italiane che celebrano il re della Pop Art

BOLOGNA
Andy Warhol
Marylin, 1967
Serigrafia su carta, 91,40×91,40 cm
Eugenio Falcioni
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts
Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

Il 6 Agosto scorso, Andy Warhol avrebbe compiuto 90 anni. Quasi un secolo di genialità allo stato puro, eclettismo e visionarietà. Artista chiave del XX secolo, il re della Pop Art è un’ icona indiscussa: non stupisce, dunque, che le mostre a lui dedicate si susseguano. In Italia sono in procinto di inaugurarne due, finalizzate ad approfondire la sua opera e l’humus da cui prendeva vita. A Bologna, “Warhol & Friends. New York negli Anni ’80” esordirà il 29 Settembre ed avrà come location Palazzo Albergati: focalizzata su un contesto di gran fermento creativo, l’esposizione illustrerà attraverso 150 opere il decennio più esplosivamente edonistico del secolo scorso. A far da sfondo all’ iter sarà New York, culla di un’arte sorta in un roboante mix di mondanità, eccessi e trasgressione. Tutt’ altro che frivoli ad oltranza, gli anni ’80 hanno rappresentato l’ apice di un nuovo modo di creare: dal loro clima effervescente sono scaturite contaminazioni tra musica, cinema, arte e letteratura del tutto inedite, una filosofia “di rottura” che aveva come armi il colore e la sperimentazione. Protagonisti del milieu artistico dell’ epoca erano, oltre a Warhol, Jean-Michel Basquiat (del quale ricorre il trentennale della morte), Julian Schnabel, Keith Haring, Francesco Clemente e Jeff Koons, che a Bologna saranno presenti con alcune opere. Non potevano mancare, poi, i celebri scatti con cui Edo Bertoglio, fotografo della rivista warholiana “Interview”, ha immortalato le star più acclamate degli Eighties. Due nomi su tutti? Madonna e Grace Jones.

“Warhol&Friends. New York negli anni ‘80”
Dal 29 settembre 2018 al 24 febbraio 2019
Palazzo Albergati, Bologna

 

ROMA
Andy Warhol
Liz, 1964
Serigrafia su carta, 58,7×58,7 cm
Collezione privata, Milano
© The Andy Warhol Foundation for the Visual
Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

Dal 3 Ottobre, a Roma, prenderà invece il via “Andy Wharol”, una mostra interamente dedicata al padre della Pop Art che verrà ospitata nell’ Ala Brasini del Complesso del Vittoriano.  Curata da Matteo Bellenghi, l’ esposizione ripercorre l’iter artistico di Warhol dalle origini. Da quelle serigrafie della Campbell’s Soup, cioè, che riprodotte in serie nel 1962 diedero l’ imprinting a tutta l’ opera del Maestro. Altre memorabili serie riguardarono Marilyn, Elvis Presley, la Coca Cola, che prima l’ America e poi il mondo intero assursero a vere e proprie icone pop. Le 170 opere in mostra “racconteranno” le intuizioni di un artista che ha segnato un turning point basilare non solo nell’ espressione visiva: la musica, il cinema e la moda sono state ugualmente rivoluzionate da un’ estetica che, per la sua originalità, si differenzia da qualsiasi modello precedente.  Anche Roma si accinge quindi a celebrare l’ artista che il 12 Novembre verrà omaggiato con l’ attesissima mega-retrospettiva “Andy Warhol – From A to B and Back Again” del Whitney Museum di New York.

“ANDY WARHOL”
dal 3 ottobre 2018
Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, Roma

La mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Eugenio Falcioni & Art Motors srl

 

BOLOGNA
Andy Warhol – Campbell’s Soup, 1965
Serigrafia e polimeri, 91×61 cm
Museu Coleção Berardo, Lisbona
© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

Photo courtesy of Arthemisia Press Office

 

 

“Photography: 4 ICONS” da oggi in mostra a Bologna

Rajasthan, India, 1983 © Steve McCurry

 

Chi ama la fotografia d’Arte, e sottolineo Arte con la A maiuscola, non può lasciarsi sfuggire questo appuntamento imperdibile: a Bologna, negli spazi di ONO Arte Contemporanea in via Santa Margherita 10, è fissato alle 18,30 l’ opening della mostra Photography: 4 ICONS. Steve McCurry, Christian Cravo, Gian Paolo Barbieri, Eolo Perfido.  L’ esposizione, organizzata da ONO Arte in collaborazione con Sudest57, fino al 27 Maggio 2017 metterà a confronto 4 grandi Maestri della fotografia contemporanea evidenziando le concezioni e gli stili tramite cui si approcciano all’ espressione artistica.

Italy; 2012© Steve McCurry

STEVE MCCURRY, uno dei fotografi più autorevoli al mondo, è solito utilizzare forme e cromie quasi di stampo pittorico. Le sue foto raccontano storie: i suoi celebri ritratti, con i protagonisti che puntano immancabilmente lo sguardo verso l’ obiettivo, racchiudono un vero e proprio universo di eventi e di percorsi: spetta a McCurry il compito di indagarlo a fondo. La sintesi è il denominatore comune dei suoi paesaggi e dei suoi scatti di reportage, dove “natura” e “uomo” incarnano una dicotomia costante tra “naturale” versus “artificiale”.

Jodhpur, Rajasthan, India, 2007 © Steve McCurry

 

EOLO PERFIDO è ritrattista, fotografo pubblicitario e street phographer tra i più stimati e celebri. La sua serie Clownville ha come leitmotiv la maschera. Una maschera che più che coprire rivela, convoglia in superficie il lato più oscuro ed intimo dei soggetti immortalati. Il tema, lungi dal rimanere circoscritto all’ “individuale”, diviene “universale”: in quei personaggi potremmo identificarci, la loro perturbante realtà potrebbe essere la nostra. Il realismo sprigionato dagli scatti di Perfido è indiscutibilmente potente.

  Rocker © Eolo Perfido

GIAN PAOLO BARBIERI è il top name della fotografia di moda italiana, internazionalmente celebrato da icone del calibro di Diana Vreeland, Yves Saint-Laurent e Richard Avedon. Eleganti, raffinati, i suoi scatti sono un tripudio di immaginifica e scenografica compostezza formale. Nei ritratti di Barbieri il soggetto è il protagonista assoluto di una narrazione che l’ obiettivo riassume in un incipit, lasciando intravedere uno snodo più complesso.

Rainbow © Gian Paolo Barbieri

CHRISTIAN CRAVO, classe ’74, nato da madre danese e da padre brasiliano, vanta un upbringing nel più effervescente ambiente artistico di Salvador di Bahia. In Danimarca, dai 13 anni in poi, inizia la sua liason con la fotografia e con le sue tecniche. Le immagini di Cravo traducono in un bianco e nero incisivo tutta la possente forza insita nel dato naturale. La sua è una fotografia dalle linee pure, pervasa da un formalismo che traspone la realtà in un reportage dove l’ unicità e l’ eccezionalità dei soggetti emergono  con grande vigore espressivo.

Elephant and Calf, Kenya 2011© Christian Cravo

La mostra, patrocinata dal Comune di Bologna, si compone di 25 fotografie e di una collezione di Art Box che Anders Weinar ha disegnato e personalizzato per ciascun autore: ogni Art Box include 5 stampe fine art ed è prodotta in 7 edizioni.

Per saperne di più:

www.onoarte. com

www.icons57.com

www.sudest57.com

Photo courtesy of ONO Arte Bologna

“It’s only Rock’n Roll (but I like it)”: a Bologna una mostra dedicata ai Rolling Stones

©Iconic Images/Terry O’Neill

 

It’s only Rock’n Roll (but I like it): la celeberrima hit-manifesto dei Rolling Stones da oggi è anche il titolo di una mostra fotografica con cui, dal 16 giugno, ONO Arte Contemporanea omaggerà la leggendaria band. In esposizione, gli scatti di due prestigiosi fotografi della music scene come Terry O’ Neill e Michael Putland, che immortalano una carriera consolidata in piena Swingin’ London ed esplosa definitivamente nel decennio dei Settanta. E’ trascorso mezzo secolo da quando il TIME coniò l’ aggettivo che descriveva una Londra “dondolante”, frizzante, capitale assoluta dello “youthquake” citato da Diana Vreeland, quella stessa Swingin’ London che vede Terry O’ Neill muovere i primi passi come fotografo: nato nell’ East End, O’ Neill è un batterista jazz che sogna di volare negli USA e di unirsi alle più famose band. Per mantenersi scatta per la British Airways e diventa un fotoreporter, ma la sua passione per la musica non tarda a emergere ed è il primo a immortalare i Beatles nello studio di Abbey Road. Ben presto, però, la sua attenzione viene catturata da una band che in quegli anni inizia a spopolare, i Rolling Stones: il look del gruppo non è poi così diverso da quello dei Fab Four, ma musicalmente risalta un elemento “graffiante” e intriso di rimandi al rhythm and blues che li contraddistinguerà a titolo perenne. Le prime foto di O’Neill ritraggono la formazione di esordio della band – Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Bill Wyman e l’ indimenticato Brian Jones – per le strade di Londra, ancora alla ricerca di uno stile estetico identificativo, anticipando l’ evoluzione che li tramuterà in trasgressive rockstar anche nel modo di mostrarsi al pubblico.

 

 

©Iconic Images/Terry O’Neill

 

Il nuovo status coincide con una mutazione nel look che Michael Putland immortala egregiamente, congelando su pellicola una vera e propria svolta storica del gruppo.

 

 

©Michael Putland

 

Putland, fotografo ufficiale della band dai primi anni Settanta, è presente sul set del video di It’s only Rock ‘n Roll (but I like it) e documenta costantemente le performance live degli Stones. Ed è proprio nella dimensione del tour che si alimenta e si consacra il loro mito, rendendoli a tutt’ oggi esplosive leggende del rock: il ruolo privilegiato di Michel Putland fa sì che ci fornisca un dettagliato resoconto fotografico che, oltre alle esibizioni sul palco, include i backstage, gli studio recordings e i party che hanno descritto a tutto tondo un’ era. Queste immagini – unitamente a quelle in mostra – appaiono nel libro che ONO Arte cura per LullaBit, ROLLING STONES by PUTLAND. Il volume sarà nelle librerie a Settembre, ma verrà presentato in anteprima in galleria: i fan dei Rolling e di Michael Putland, infatti, il 18 Giugno (dalle ore 16) potranno farsi autografare copie del libro dal grande fotografo in persona. Un save the date decisamente da non perdere. Perchè sarà anche “only Rock’n Roll”…But We like it!

©Michael Putland

La mostra (16 Giugno – 23 Luglio), allestita a Bologna presso ONO Arte Contemporanea in via S. Margherita 10, è patrocinata dal Comune di Bologna ed è composta da circa 50 immagini in diversi formati.

Il catalogo ROLLING STONES by PUTLAND, edito da LullaBit, è il secondo titolo della collana realizzata in collaborazione con ONO Arte.

Rolling Stones cover

Photo courtesy of ONO Arte

“Bowie before Ziggy” da oggi in mostra a Bologna

©Michael Putland

A due mesi esatti dalla sua scomparsa, l’ interesse e le celebrazioni nei confronti di David Bowie si moltiplicano in modo esponenziale. Vero e proprio mito del nostro tempo, il Duca Bianco conferma l’assioma secondo il quale “le icone non muoiono mai”: talento, carisma, unicità e innovazione rappresentano un mix di doti talmente esplosivo da imprimere nell’ immaginario collettivo, a titolo perenne, chi lo possiede. Motivo per cui il genio e l’ istrionismo bowiano sono più che mai vivi presso il grande pubblico, alimentando tutta una serie di iniziative atte ad approfondirne i caratteri e le sfaccettature. Prende vita da questo concept Bowie before Ziggy. Fotografie di Michael Putland, la mostra che ONO Arte Contemporanea inaugura oggi a Bologna: un omaggio al David Bowie che, di lì a pochissimo, sarebbe diventato ufficialmente Ziggy Stardust lanciando il suo alter ego più iconografico e memorabile. Lo strumento privilegiato di questo viaggio a ritroso nel tempo sarà costituito dalle foto scattate a Bowie da Michael Putland, celebre fotografo inglese della music scene. Ventisette immagini nelle quali spicca un clou contraddistinto da precise coordinate spazio-temporali: lo shooting che ha ispirato il titolo dell’ esposizione ha come location Haddon Hall, la residenza londinese dell’ eclettica rockstar, ed è stato realizzato il 24 aprile del 1972. Una data che precede di soli quattro giorni l’ uscita di Starman, il singolo di lancio del leggendario The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, 24 ore di scatti all’ insegna di un mood tra il rilassato e il giocoso: Putland ritrae un Bowie perfettamente a suo agio tra le mura domestiche, alle prese con la tinteggiatura del soffitto e mentre flirta con l’obiettivo. E’ “la calma prima della tempesta”, il relax casalingo che precede il boom di straordinaria popolarità esploso con Ziggy, un Bowie a dimensione umana che si avvia a tramutarsi nel più famoso alieno della storia del rock. Gli indizi sono già presenti: l’ abito che indossa – creato in connubio con il designer Freddy Burretti – è lo stesso che sfoggerà sulla cover dell’ album, il suo percorso di ricerca musicale e sull’ immagine è pienamente avviato. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars vedrà la luce due mesi dopo e sarà un successo planetario, evidenziando a tutto tondo le sue doti camaleontiche innate. ONO Arte, attraverso il “racconto” fotografico di Michael Putland, celebra questo speciale periodo di transizione affiancandolo a scatti post-Ziggy e tratti dallo Station to Station Tour. La mostra – visitabile fino al 30 Aprile –  include  inoltre il lavoro grafico di Terry Pastor, designer delle copertine di Ziggy Stardust e Hunky Dory.

 

BOWIE BEFORE ZIGGY. Fotografie di Michael Putland

Dal 12 Marzo (Opening ore 18,30) al 30 Aprile 2016

presso ONO Arte Contemporanea, via Santa Margherita 10, Bologna

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Michael Putland

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Terry Pastor

 

Photo courtesy of ONO Arte