Carnival Portraits

 

La stagion del Carnevale
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
Carneval fa rallegrar.

(Carlo Goldoni, da “La stagion del Carnevale”, 1751)

Buon Martedì Grasso con la nuova photostory di MyVALIUM: un inno ai colori, all’euforia, alla baldoria e agli eccessi che accompagnano l’ultimo giorno di Carnevale.

 

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Le Frasi

 

Ogni persona merita di tornare bambino una volta all’anno
e volare tra coriandoli di cielo
e manciate di sogni,
a inseguire un cielo mai visto.
(Fabrizio Caramagna)

 

 

Giovedì Grasso con i dolci tipici del Carnevale di Venezia

 

Quando arriva Giovedì Grasso, parlare di dolci è quasi tassativo. Il giovedì e il martedì  di Carnevale, infatti, vengono detti “grassi” perchè ci si poteva abbandonare ad eccessi culinari (oltre che dolciari) di ogni tipo prima della frugalità della Quaresima. Non è un caso che la tradizione dei dolci carnevaleschi sia massicciamente diffusa in tutte le regioni italiane: ognuna ha il suo dolce tipico, o ha donato un nome e connotati ben precisi a dolci preparati nell’intera penisola. In questo articolo, però, dati gli ultimi approfondimenti di MyVALIUM, ci occuperemo esclusivamente dei dolci veneziani. Iniziamo subito a conoscere le delizie del Carnevale più famoso al mondo.

 

Le fritole

 

Sono il dolce più tipico: le fritole sono dei piccoli e deliziosi bomboloni fritti. Possono essere farcite con svariati ingredienti; esistono fritole ripiene di crema, cioccolata, uvetta e pinoli, pistacchio, gianduja, ricotta, zabaione, crema chantilly…in un crescendo di golosità davvero irresistibile. Le origini delle fritole affondano nientemeno che nella Serenissima Repubblica Veneta, della quale furono decretate il dolce ufficiale. Anticamente le vendevano gli ambulanti, i “fritoleri”, stazionati nei campi e lungo le calli. La ricetta delle fritole veniva tramandata di generazione in generazione, in quanto era considerata arte pasticcera a tutto tondo. Sebbene a partire dal XX secolo i fritoleri siano scomparsi, le fritole rimangono il dolce tradizionale più noto del Carnevale veneziano.

 

I mameluchi

 

Sono un dolce poco noto, ma non per questo meno squisito: i mameluchi si possono acquistare nella pasticceria Targa di Ruga Rialto e in pochissime altre pasticcerie selezionate. Il loro luogo di nascita, però, è Murano, e ad inventarli è stato il pasticciere Sergio Lotto. Lotto stava preparando un dolce tipico dell’Egitto, ma si accorse di aver confuso le dosi degli ingredienti. Ha quindi ripetuto l’impasto, arricchendolo di scorze d’arancia e uva passa. Poi gli ha dato la forma di un cannolo e ha pensato di cuocerlo fritto. Il suo esperimento ha avuto un incredibile successo: il dolce ottenuto era soffice, golosissimo e dava l’idea di essere farcito con la crema anche se di fatto non la conteneva. Sergio Lotto lo ha chiamato “mameluco”, “mammalucco”, in onore dello “strampalato” impasto con cui lo ha realizzato.

 

I galani

 

Sono la versione veneziana delle frappe, chiacchiere, bugie, dei crostoli o qualsivoglia nome li definisca nel resto d’Italia. Non hanno origini venete, ma nella città lagunare hanno assunto caratteristiche del tutto proprie: mentre le frappe esibiscono una forma rettangolare dai bordi seghettati, i galani vantano le sembianze di un nastro. Che, guarda caso, in veneto di traduce con “galan”.

 

Le castagnole

 

Il dolce carnevalesco italiano per eccellenza, a Venezia si impreziosisce di un gusto unico e prelibato: le castagnole, qui, sono piccoli dolcetti sferici cotti nell’olio bollente e cosparsi di zucchero. Ma il particolare più squisito è senz’altro la farcitura; può essere a base di crema, cioccolata, panna o rum. I veneziani le chiamano altresì “favette”. Anche in questo caso, dunque, Venezia è riuscita ad omaggiare un dolce tipico della tradizione italiana con una variante più golosa che mai.

Foto delle fritole: Massimo Telò, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, da Wikimedia Commons

 

Squarci di sole

 

Approfittare degli squarci di sole di Febbraio per ripristinare uno degli accessori più amati ed esibiti della bella stagione: gli occhiali da sole, meglio ancora se fuori dagli schemi e stravaganti quanto basta. Il Carnevale, d’altronde, impregna l’atmosfera di giocosità. E se, come dice un noto detto latino, “semel in anno licet insanire”…è consentito folleggiare un po’.

 

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Gli arancini, il delizioso dolce carnascialesco delle Marche

 

Sapevate che, a Carnevale, anche l’Italia ha i suoi kanelbullar? Non sono propriamente alla cannella come le note girelle svedesi, che riproducono però nella forma: sto parlando degli arancini, dei dolcetti carnascialeschi tipici delle Marche (la mia regione). Sono facili da preparare, e a Carnevale impazzano. La tradizione vuole che si realizzino in casa, sebbene sia ormai possibile comprarli in panetteria, in pasticceria e al supermercato. Ma che cos’hanno, gli arancini, di tanto speciale? Innanzitutto, ingolosiscono al primo sguardo: si tratta di girelle fritte a base di arancia e di limone; non c’è bisogno di aggiungere che siano irresistibili.

 

 

La loro preparazione richiede, complessivamente, poco più di mezz’ora. Secondo l’antica ricetta marchigiana, friggerli è fondamentale. Di recente, tuttavia, si è imposta anche la cottura al forno: rispetto a quelli fritti, soffici e gustosi, gli arancini al forno risultano molto più croccanti. Gli ingredienti essenziali per la preparazione dei dolcetti sono il latte, la farina, il burro, le uova, lo zucchero, il sale, il lievito di birra e la vanillina. Serviranno, poi, la scorza di due arance e quella di un limone. L’impasto viene steso creando un rettagolo, successivamente farcito con lo zucchero e le scorze di arancia e di limone. Dopo averlo tagliato a rondelle, il tutto va lasciato cuocere fritto oppure al forno. Spesso gli arancini fritti si imbevono nel miele affinchè  acquistino un tocco di delizia in più. La lievitazione dura 30 minuti circa. Il burro andrebbe preferibilmente estratto dal frigo qualche minuto prima di iniziare a preparare il dolce, per permettergli di ammorbidirsi. Anzichè essere passati nel miele, gli arancini possono essere spolverati con lo zucchero a velo dopo la cottura.

 

 

Queste girelle agli agrumi e allo zucchero fuso sono davvero irresistibili, qualcosa di unico nel panorama dei dolci  carnascialeschi italiani. Vi consiglio di provarli: potete trovare qui la ricetta completa.

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La maschera carnevalesca: storia, origini e tradizione marchigiana

 

Della maschera, elemento fondante del Carnevale e di tutti i riti alla sua origine, MyVALIUM ha già parlato; soffermandosi, però, sulle maschere del Carnevale veneziano (rileggi qui l’articolo). In questo post, invece, focalizzeremo la nostra attenzione sull’utilizzo della maschera nelle celebrazioni “carnascialesche” e nella tradizione marchigiana. Come nasce, innanzitutto, la maschera? Partiamo dall’etimologia: il  nome “maschera” contiene una radice indoeuropea, “masca”, la cui traduzione riconduce a “fuliggine” o a (in senso figurato) “fantasma nero”. Secondo alcuni studiosi, tuttavia, “masca” deriverebbe dal latino medievale e significherebbe “strega”: esistono svariate testimonianze scritte al riguardo, come l’editto di Rotari, dove quel termine viene citato. Non è un caso, inoltre, che nel dialetto ligure e piemontese il sostantivo “masca” identifichi proprio la strega (rileggi qui l’articolo che ho dedicato alle streghe delle regioni italiane). L’associazione tra maschera e magia, d’altronde, ha radici che affondano nella notte dei tempi; i riti che connettevano il mondo dei vivi con quello dei morti venivano eseguiti con il volto celato da una maschera sin dall’epoca preistorica. La maschera aveva la funzione di annullare l’identità di colui che la indossava, doveva riprodurre i lineamenti dello spirito evocato. Intorno al I secolo a.C., nell’antico Egitto e nell’antica Grecia apparvero le prime maschere funerarie: quella di Tutankhamon, interamente in oro e smalto, rimane celebre. Il teatro greco utilizzò le maschere sin dagli albori, affinchè i personaggi fossero caratterizzati, ben visibili e ben udibili durante le rappresentazioni. Nei culti misterici del mondo ellenico, la maschera divenne anche l’emblema della “morte iniziatica”; la Roma dell’età imperiale, al contrario, conferiva alla maschera un’accezione più che mai giocosa e caricaturiale.

 

 

Secoli orsono, le prime maschere di Carnevale erano a dir poco spaventose: nel periodo dell’anno dedicato al caos e all’inversione dei ruoli, raffiguravano gli spiriti che emergevano dagli Inferi per catapultarsi nel mondo dei vivi. C’erano quindi i demoni, che avevano la funzione di importunare e sbeffeggiare chiunque capitasse loro a tiro. Tra balli, baldorie e fustigazioni, l’atmosfera che aleggiava era assai angosciante. Nell’antica tradizione marchigiana ritroviamo la maschera del diavolo, spesso affiancata da quella della morte; sono figure esorcizzanti, dalla valenza apotropaica, alle quali si affiancavano altre maschere tipiche: la sposa, il dottore, il sacerdote, il gobbo e personaggi riferiti alla realtà locale. Si racconta che a Carnevale, nella valle del Metauro, un folto gruppo di maschere si spostasse di casa in casa per esibirsi al suon di fisarmonica in divertenti sketch. Subito dopo, partiva la questua di uova e carne di maiale. Esistono diverse testimonianze, inoltre, di maschere svanite nei meandri del tempo, come “lu Zaravaju” dei Monti Sibillini: chiassoso, simpatico, ribelle e spirito libero per definizione, si ispirava a una persona realmente esistita. I suoi segni distintivi erano i campanacci e le cravatte coloratissime che abbinava ad abiti molto a buon mercato. Ancora una volta ritornano il baccano, lo sberleffo e l’“anarchia”, probabilmente retaggi di riti arcaici dalla profonda valenza simbolica.

 

 

Nel XVI secolo, con la nascita della Commedia dell’Arte (da notare che la maschera che gli Zanni indossano si ispira, non a caso, al volto del demonio così com’era rappresentato tra il 1400 e il 1500), ogni maschera ha una sua connotazione ben precisa. C’è Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduja, Colombina, Gioppino, Pantalone, Rosaura, Giangurgolo…e ognuno vanta le proprie peculiarità estetiche e caratteriali. Anche nelle Marche, nel corso dei secoli, hanno preso vita personaggi che caratterizzano determinate province o città. A Pesaro abbiamo Rabachén (baccano) e Cagnèra (litigio), una coppia di coniugi apparsa per la prima volta nel 1874. Rabachén è il re del Carnevale: indossa un cappotto a coda di rondine rosso sgargiante, una tuba nera dall’altezza vertiginosa e una fusciacca bianca e rossa, i colori di Pesaro. Cagnèra è una donna tarchiata agghindata con nastri, pizzi, fiori e fiocchi. L’antichissimo Carnevale di Fano ha come protagonista El Vulòn, una maschera inventata nel 1951 da Rino Fucci (artista e dirigente della Società Carnevalesca cittadina). Il nome El Vulòn si riferisce probabilmente al “Nous voulons” con cui esordiva il banditore di editti durante la dominazione napoleonica, e inizialmente si associava a una maschera saccente, arrogante e con la puzza sotto il naso. Con il tempo, poi, El Vulòn passò ad impersonare in modo satirico le celebrità del momento.

 

 

Anche Ancona ha le sue maschere: Papagnoco e Burlandoto risalgono alla metà del 1800. Le creò un burattinaio locale rendendole protagoniste del suo teatrino, ma agli anconetani piacquero talmente tanto da diventare delle maschere del cosiddetto “Carnevalò”. Papagnoco è un campagnolo gretto e rissoso approdato in città, Burlandoto una guardia papalina che non brilla per sagacia. Nel 1999 è stato introdotto Mosciolino, inventato dal grafico Andrea Goroni. Il suo nome si ispira al “mosciolo”, le cozze selvatiche che abbondano lungo la Riviera del Conero, mentre il suo aspetto è quello di una sorta di elfo dei mari. A Macerata la maschera più popolare è Ciafrì, un contadino astuto e irruente che parla solo nel dialetto del suo villaggio. Nel fermano, invece, si è imposto Mengone Torcicolli: marionetta ideata da Andrea Longino Cardinali nel 1816, si tramutò in una maschera dopo mezzo secolo di esibizioni teatrali. Mengone è un personaggio bonario, astuto e dall’aspetto sgradevole a dir poco. Il suo punto di forza è la schiettezza, ed è probabilmente questa stessa dote ad avergli permesso di prender moglie: Lisetta, la sua sposa, lo conosce dopo una vita avventurosa e accetta subito di farsi impalmare. Mengone è ritornato a far parte del Carnevale fermano nel 2019, e non ha mancato di portare con sé la sua Lisetta.

 

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Carnevale 2025: qualche spunto per il make up

 

Il countdown a Carnevale sta per terminare: la festa più sfrenata dell’anno avrà inizio domenica 16 Febbraio (a Venezia il 14, in concomitanza di San Valentino, e vedremo in seguito il perchè). In attesa di approfondimenti dal punto di vista storico e delle tradizioni, ci soffermiamo sul make up; che è un dettaglio importante, perchè rimanda a un cardine delle cerimonie “carnascialesche”: il travestimento. Travestirsi, diventare altro da sè, a Carnevale è fondamentale. Perchè è un periodo in cui il caos, il sovvertimento delle regole, gli eccessi e le trasgressioni diventano catartici e favoriscono la rigenerazione della società. Carnevale, con i suoi travestimenti, cancella qualsiasi distinzione tra le classi sociali: si esce da sè stessi per abbracciare una nuova identità, quella che più si desidera. Questo livellamento sociale, seppur provvisorio, era guardato con diffidenza dai potenti. Basti pensare che a Venezia, tra il XVIII e il XIX secolo, i festeggiamenti carnevaleschi vennero proibiti sia da Napoleone che dagli Austriaci. Si temevano disordini, cospirazioni. Ma le maschere, nella Serenissima, erano state vietate molte altre volte: venivano indossate pressochè tutto l’anno incrementando il malcostume, i raggiri e il libertinaggio. Tornando all’epoca contemporanea, travestirsi è tornato ad essere un momento liberatorio e rigenerante: anche il make up, oltre alla maschera (di cui parleremo nei prossimi giorni), permette di forgiarsi un’identità a propria scelta. E se siete a corto di idee, guardate la gallery dove vi dò qualche spunto.

 

 

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February Mood

 

Fa ancora freddo, a Febbraio, ma una briosa leggerezza si libra nell’atmosfera. Manca poco alle follie del Carnevale, il cammino in direzione della Primavera è già iniziato…Un giro di giostra per volteggiare nei paraggi delle stelle, capelli sciolti perchè svolazzino nel vento. E la gioia, la spensieratezza che ti assale ogni volta che abbandoni i tuoi fardelli mentre vai incontro all’aria frizzante.

 

Foto: Olga Shenderova via Pexels

 

Febbraio

 

“Che ti mormora il sangue negli orecchi e alle tempie
quando è là di febbraio che nel bosco
ancora risecchito corre voce
d’una vita che ricomincia.”
(Mario Luzi)

 

Caratteristiche

Comincia Febbraio, e quest’anno conterà 28 giorni. E’ noto per essere il mese di San Valentino, del Carnevale, ed è l’ultimo mese interamente invernale. La natura è immersa nel torpore, ma manca poco al suo risveglio: le temperature si mitigano e il tramonto arriva sempre più tardi. Tuttavia, chi ama la Primavera farebbe meglio a non cantare vittoria troppo presto; Febbraio,  in tema di maltempo, può ancora riservarci delle brutte sorprese.

Storia

Fu l’ultimo mese, con Gennaio, ad essere annesso al Calendario Romano: per gli antichi romani, infatti, l’Inverno non aveva mesi. Dato che l’anno iniziava a Marzo, si chiudeva proprio con Febbraio. Spetta a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, l’aver inserito in calendario quelli che oggi rappresentano il primo e il secondo mese dell’anno. Febbraio proviene dal latino “februare”, “purificare”: in quel periodo avevano luogo i rituali di purificazione che onoravano il dio Februus e la dea Febris.

Segni zodiacali

Fino al 18 Febbraio il Sole si trova nel segno dell’Acquario, dal 19 in poi in quello dei Pesci.

Ricorrenze

Si comincia con la Candelora, il 2 Febbraio, commemorazione della presentazione di Gesù al Tempio, per proseguire con San Valentino, la festa degli innamorati celebrata il 14 Febbraio. Il Carnevale ha un inizio variabile interconnesso alla data della Pasqua; quest’anno, quello di Venezia comincerà il 14 Febbraio coincidendo con San Valentino. Il Mercoledì delle Ceneri, invece, precede la prima domenica di Quaresima.

Colore

Il viola, tonalità mistica e spirituale, viene considerato il colore di Febbraio: un omaggio al suo mistero, alla sua ambivalenza. Febbraio è un po’ sacro e un po’ profano: da un lato la Quaresima, il digiuno, la preghiera, la penitenza; dall’altro il Carnevale con i suoi bagordi, i balli sfrenati e le maschere irriverenti.

Pietra preziosa

La gemma del mese è una pregiatissima varietà di quarzo viola, l’ametista, molto amata sin dall’epoca di Alessandro Magno. Gli antichi Greci la associavano a Dioniso, il dio del vino, in virtù del suo colore; secoli orsono veniva reputata una pietra dai poteri magici, in grado di accrescere l’intuito e l’intelligenza di chiunque la indossasse.

 

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