Il cappello della strega: le origini, la storia e la contemporaneità

 

Il cappello a punta, nero e rigorosamente a falda, rimanda da sempre a una figura ben precisa: quella della strega. Altre creature, come le fate ad esempio, indossano un cappello dalla forma conica, ma privo di falda; lo stesso vale per gli stjärngossar, i “ragazzi stella” che prendono parte alla processione svedese di Santa Lucia. Come nasce, dunque, il tipico cappello della strega? Oggi lo scopriremo insieme.

Le origini

In tempi antichissimi, tra il IX e il I secolo a.C., i ministri del culto indossavano un cappello a punta quando celebravano gli uffici divini. Questo tipo di copricapo, alto e “svettante” verso il cielo, rappresentava senza dubbio un trait-d’union tra l’uomo e le divinità. Reperti archeologici significativi in tal senso sono stati rintracciati sia in Sardegna che nell’area corrispondente all’antica Etruria: si tratta di piccole sculture in bronzo che riproducono religiosi vestiti di tutto punto e con un cappello conico in testa. Ma le preziose decorazioni che ornano i loro abiti sono tutto fuorchè trecce; le statuette rappresentano infatti degli aruspici, i sacerdoti che, nell’antica Roma, praticavano la divinazione tramite le viscere degli animali sacrificati sull’ara. Va da sé che quelle che sembrano trecce sono, in realtà, le interiora che gli aruspici utilizzavano per le preveggenze. Queste sculture, molto simili tra loro, affondano le radici in epoca nuragica ed etrusca; ad accomunarle è un dettaglio importante: il cappello a punta che sfoggiano i sacerdoti. Anche nell’antica Persia i ministri del culto indossavano un cappello a punta, nello specifico il berretto frigio, in uso a partire nientemeno che dal VI secolo a.C. Tutte le testimonianze appena descritte, ci inducono a trarre conclusioni ben precise: il copricapo conico era associato al prestigio, a un profondo senso di reverenzialità.

 

 

Il Medioevo

La situazione cambiò completamente con l’avvento del Cristianesimo. Nel Medioevo, epoca che coincide con la sua massima diffusione, la Chiesa Cattolica dovette prendere atto che, soprattutto nei villaggi e nelle aree più isolate del Sacro Romano Impero, il paganesimo rimaneva il culto a cui aderiva gran parte della popolazione. Cominciò quindi a sostituire feste, tradizioni e rituali pagani con i loro corrispettivi cristiani, ma anche ad avviare una campagna anti-pagana che snaturava e distorceva i più importanti simboli del paganesimo: le corna, ad esempio, antico emblema di forza e fecondità, vennero indissolubilmente associate al demonio. In quest’operazione di ribaltamento generale rientrò anche il cappello a punta, la cui storica autorevolezza fu soppiantata da una valenza di disonore e derisione. Prova ne è il fatto che nel 1215, durante il Concilio Lateranense, Papa Innocenzo III decretò che gli Ebrei dovessero indossare il cappello giudaico, o “pileus cornutus” (l’evoluzione del berretto frigio), per distinguersi dai cristiani. Tale imposizione, lungi dall’essere una semplice regola, cominciò ben presto ad apparire una sorta di discriminazione. Sempre nel Medioevo, tuttavia, il cappello a punta si tramutò in un accessorio di tendenza che, con il nome di hennin, tra il 1300 e il 1400 spopolò tra le dame europee. L’hennin derivava quasi certamente dal tipico copricapo delle donne mongole, che grazie a Marco Polo approdò nel Vecchio Continente. La moda dell’hennin esplose nelle Fiandre; era un cappello a cono alto circa 90 cm ornato di un velo che spesso arrivava a sfiorare il suolo. Avete presente il cappello indossato dalle fate nelle fiabe? Bene, si tratta proprio dell’hennin.

 

L’hennin di Isabella di Francia in un’opera anonima conservata nella Bibliothèque Nationale de France

In Europa veniva sfoggiato dalle donne aristocratiche, benestanti e acculturate. Ma a quei tempi, nel Regno Unito, si impose una nuova tipologia femminile: la alewife. Intorno alla metà del 1300, le vedove e tutte le donne in difficoltà economica avevano la facoltà di produrre e commercializzare birra artigianale. Le birraie gestivano le ale house, locande contraddistinte da una scopa di saggina a mò di insegna, oppure organizzavano banchetti ambulanti. Le alewife, però, non godevano di buona reputazione: a consumare birra erano più che altro gli uomini, inoltre l’alcol veniva considerato un potente afrodisiaco, una bevanda che eliminava i freni inibitori. Nell’immaginario collettivo, di conseguenza, le ale house vennero ben presto percepite come covi di stregoneria e prostituzione. E’ molto importante dire che le alewife vestivano rigorosamente di nero e indossavano un cappello (sempre nero) a punta che serviva a renderle riconoscibili: era una sorta di divisa, insomma. Ma anche il fatto che fossero vedove, ancor peggio nubili, ed economicamente autonome era mal visto: tutti elementi imperdonabili, per l’oscurantismo dell’epoca.

La caccia alle streghe

 

Era il 1484 quando Papa Innocenzo VIII, promulgando la bolla “Summis Desiderantes”, ordinò di inquisire e uccidere, dopo una serie di torture, tutte le streghe d’Europa. La caccia alle streghe raggiunse l’apice nel 1500 e perdurò fino alla metà del Settecento. Naturalmente, le alewife vennero bersagliate fin da subito. Molte di loro erano guaritrici, e utilizzavano le erbe a scopo terapeutico, ma furono accusate di servirsi dell’erboristeria per adulterare, o avvelenare, la birra che loro stesse producevano. Anche l’abbigliamento che caratterizzava le alewife venne assimilato a quello, tipico, delle streghe: gli abiti neri e il copricapo a punta entrarono a far parte dell’iconografia della perfida adoratrice del demonio, consolidandosi in particolar modo nell’età vittoriana, e forgiarono l’immagine della strega rimasta perennemente impressa nell’immaginario collettivo.

 

Francisco Goya, “Il tribunale dell’Inquisizione”, olio su tela (1812-1819 ca)

In un suo dipinto, “Il tribunale dell’Inquisizione”, Francisco Goya riprende il tema del carattere punitivo legato al cappello a punta e lo inserisce in un contesto che raffigura un processo per stregoneria: le presunte streghe, dopo la sentenza, erano tenute ad indossare un copricapo conico che fungesse da “segno di riconoscimento”. Il cappello, sul quale era scritta e disegnata la condanna, doveva renderle identificabili presso il popolo e contribuire alla loro emarginazione. In secoli più recenti, il motivo del cappello a punta come umiliazione e penitenza è riapparso sotto forma di punizione scolastica: gli alunni più svogliati esibivano il cosiddetto “cappello da asino” mentre erano in castigo dietro la lavagna.

Oggi

 

La Pop Culture contemporanea ha sdoganato la figura della strega, rendendola un’icona del nostro tempo. A questo hanno contribuito in gran parte i cartoon, i film (basti pensare a pellicole come “Ho sposato una strega” di René Clair, del 1942), i libri, le serie televisive. La strega non viene più dipinta come una creatura tenebrosa e legata al demonio; mantiene i suoi poteri magici, ma ha perso l’allure oscura. Un esempio? La strega Nocciola, all’anagrafe Nocciola Vildibranda Crapomena, che la Disney lanciò nei suoi fumetti e cartoni animati. Nocciola ha esordito nel cartoon “La notte di Halloween” del 1952; la sua unica malvagità? Prendere di mira Paperino per aiutare Qui, Quo e Qua a impossessarsi dei suoi dolcetti. Il cappello a punta rimane, ma a differenza del passato viene guardato con ironia e giocosità.

 

Foto via Pexels, Unsplash e Wikimedia Commons

 

Un universo surreale e variopinto come realtà parallela: intervista con Sasha Frolova, icona della Inflatable Art

 

Se dovesse descrivere la propria arte con un aggettivo,  la definirebbe (come dichiara in questa intervista) “miracolosa/affascinante”. Io aggiungerei “ipnotica”, in omaggio all’ assoluto magnetismo delle sue opere: utilizzando il latex gonfiabile, Sasha Frolova realizza sculture spettacolari e avveniristiche, giocose e al tempo stesso surreali, concepite sia per l’ esposizione che come leitmotiv di performance mozzafiato. Classe 1984, nata a Mosca, Sasha ha conquistato il pubblico internazionale con la sua “inflatable art”. Il fashion system, poi, la adora. Per fare solo qualche esempio, non è sfuggita all’ attenzione di VOGUE, Dolce & Gabbana hanno concluso la sfilata di Alta Sartoria a Villa Olmo con una delle sue performance e W Magazine, la patinata rivista statunitense, ha pubblicato un photoshoot di Tim Walker dove celebri star hollywoodiane (inclusa Nicole Kidman) posano tra le creazioni dell’ artista moscovita. Scultura e performance art, nell’ opera di Sasha Frolova, si fondono in un meraviglioso amalgama che le sovrappone e le identifica. Le perfomance prendono vita da sculture in movimento (gli “inflatable costume”, una volta indossati, possono essere definiti tali), mentre queste ultime danno vita alle performance in un gioco di reciprocità continua, con le imponenti e variopinte forme del latex gonfiabile a fare da fil rouge.  E proprio il latex evidenzia un contrasto che suscita stupore: associato per eccellenza al Fetish, ma anche ai giocattoli per bambini, è un materiale controverso. L’uso che Sasha ne fa nelle sue opere contribuisce a spiazzare lo spettatore, incerto se collocarle in un contesto erotico o prettamente naïf. Questo dualismo, con tutte le interrogazioni che esso suscita, rappresenta un elemento di spicco nei lavori della performer russa. Si è più propensi, tuttavia, a scongiurare qualsiasi valenza ambigua a favore del fiabesco, dell’ onirico e del fumettistico, considerati anche i molti riferimenti ai comics ed all’ intento, sottolineato da Sasha Frolova stessa, di creare una realtà parallela priva di ombre, orientata alla positività: da qui, un’arte disseminata di accenti pop che le permette di calarsi in svariati personaggi, dalla Cyberprincess Marie-Antoinette – esibitasi lo scorso Agosto al Castello di Gradara – alla sgargiante music star Aquaaerobika, che sfoggia sul palco la sua lunga chioma in latex ed utilizza enormi lollipop come microfono.  Affascinata da questa artista straordinaria, innovativa e pluripremiata (finalista, tra gli altri, del Premio Arte Laguna 12.13 e vincitrice del premio speciale “Personal Exhibition”, è stata incoronata The Alternative Miss World 2014 al contest di Londra), ho fortissimamente voluto incontrarla per un’ intervista incentrata sul suo iter e sulle sue sbalorditive opere.

Qual è stato il tuo percorso prima di diventare un’artista?

Fin da bambina, il mio sogno era quello di diventare un’artista. Anche mia madre era un’artista, ma non è mai riuscita a trovare lavoro in Unione Sovietica e si preoccupava per me: non voleva che mi toccasse la stessa sorte. All’inizio l’ho accontentata, e dalla scuola d’Arte sono mi sono trasferita al college di Medicina. Ma dopo la laurea ho capito che l’unica cosa che volevo era essere un’ artista. Forse non sarebbe stato possibile capire cosa volevo davvero, cosa mi piaceva, se non avessi provato a capire cosa non mi piaceva. A volte, per capire cosa vuoi, devi prima capire cos’è che non vuoi. E oggi sono grata a mia madre per quella esperienza.

Quando e come hai deciso di dedicarti all’arte?

Pochi mesi prima della laurea in Medicina ho incontrato il mio insegnante, Andrey Bartenev, un famoso artista russo. Da quel giorno la mia vita è cambiata. Ho iniziato ad aiutarlo nelle sue esibizioni e a dedicarmi all’arte a mia volta. Volevo sperimentare. Mi è sempre piaciuto improvvisare, mi piace il risultato imprevedibile che ne scaturisce. A un certo punto mi sono resa conto che volevo dedicarmi all’arte e che non potevo vivere senza. Ho realizzato di essere un’artista quando sono diventata l’assistente di Bartenev. Mi sono cimentata in qualsiasi campo creativo, in diversi generi: creavo scenografie, inviti e illustrazioni, facevo la costumista per il cinema, mi esibivo in folli performance, lavoravo come stylist, make up artist e molte altre cose ancora. Alla fine, mi sono separata da Andrey e ho trovato la mia strada, diramandola in due direzioni: la scultura e la performance.

 

 

Cosa rappresenta l’arte, per te?

Il futuro dell’arte lo vedo nella sintesi. Mi piace lavorare su generi diversi, combinarli, per realizzare un compendio di qualcosa di nuovo. Credo che gli artisti incentivino il progresso umano, inventino e creino il futuro. E l’obiettivo dell’artista è la creazione del nuovo – nuove forme, nuove idee, nuovi generi, la creazione di ciò che non è mai esistito prima. Per “artista” intendo non tanto una persona munita di un cavalletto e di una tela, ma piuttosto un sognatore e un visionario, con delle idee audaci e in anticipo sui tempi. È interessante dare vita al nuovo, creare qualcosa che non esiste e che nessuno ha mai fatto prima di te, essere unici. Penso che l’arte dovrebbe essere positiva e bella. È molto più facile diventare popolari quando ti appelli ad un contesto negativo, ai problemi politici e sociali, ma tutto questo non mi interessa. Penso che l’arte dovrebbe essere “gentile”. Tutte le mie sculture veicolano un messaggio positivo e si mantengono in bilico tra l’infantilità e il naif, ma in modo consapevole. L’arte che fa appello alla positività è ancora rara, però ultimamente questa tendenza sta guadagnando popolarità ed è sempre più richiesta. Al giorno d’oggi, l’informazione è satura di negatività e lo spettatore ha bisogno di un’arte infantilmente semplice e comprensibile, che causi gioia ed emozioni vivide, che sferzi la coscienza sia attraverso l’apparenza che l’interazione e il gioco. Lavorando nella direzione del linguaggio visivo post-pop, sto cercando di trovare il mio personale approccio alla creazione della forma utilizzando astrazioni geometriche biomorfiche, liquide e semplificate. Voglio che la mia arte sia il più possibile astratta, non collegata a nulla. Meno è connessa con la realtà, meglio è: secondo me, l’arte è una negazione delle leggi fisiche e delle leggi della realtà. E’ il loro rovesciamento. In questo senso, l’arte è un miracolo, la manifestazione della presenza del miracoloso nell’universo. Quindi, cerco di dare allo spettatore l’opportunità di dimenticare almeno per mezz’ora che di trova ad una mostra, di dimenticare la realtà di quel momento e di offrirgliene un’altra, parallela, fatta di altre forme e di diversi colori; una realtà a sé stante e con le proprie leggi, le leggi della fantasia. Penso che l’arte debba essere bella come durante l’epoca Rinascimentale. La bellezza è l’obiettivo principale e la funzione dell’arte, è il canale per connettersi con Dio. La bellezza restituisce pezzi di paradiso al nostro pianeta, come i tasselli di un enorme puzzle perduto. Il senso della bellezza è qualcosa di molto gentile, puro e innocente. La bellezza è immortale, e l’arte è un modo per raggiungere l’immortalità attraverso la bellezza: l’arte è una nuova religione, è il modo di salvare il nostro mondo.

 

Performance a Villa Olmo (Como)  in occasione della sfilata Alta Sartoria di Dolce & Gabbana (2018)

Come nascono le tue opere di “inflatable art”?

Mi sono sempre piaciuti gli oggetti gonfiabili, cercavo un modo per utilizzarli artisticamente. Ho visitato diverse fabbriche di giocattoli gonfiabili, ho approfondito l’argomento tramite lo studio. Dapprima ho cominciato a creare sculture e costumi, stupefacenti giocattoli gonfiabili assemblati in svariate, enormi strutture con del nastro adesivo e del cartone, inoltre ho scritto versi e mi sono esibita in performance di poesia … Ho sperimentato molto. Poi, un giorno, sono stata invitata ad esibirmi a MTV Russia, dove ho visto una conduttrice che indossava un abito in latex e mi sono innamorata di questo materiale. Ha un’estetica visuale potente, è impressionante, lucente. Quindi, insieme a un’ azienda che produce abiti in latex, ho iniziato a realizzare costumi e sculture e la mia idea ha poco a poco preso forma. La mia prima scultura in latex si chiama Lyubolet. L’ho creata nel 2008 per una mostra dedicata agli alieni e tutto ciò che è extraterrestre. Lyubolet è una fantasia sul tema di come un’astronave sarebbe apparsa se l’energia dell’amore fosse diventata il suo combustibile. L’astronave è progettata per due astronauti e può volare solo con l’assoluta reciprocità e simmetria dei loro sentimenti. Insieme alla scultura, ho creato due tute spaziali e una performance. Non sono ancora riuscita a decollare, ma continuo a cercare un partner e credo che in futuro ci riuscirò! Questa scultura ha dato origine ad una serie di oggetti chiamati Psionics – sculture pseudo-macchine che utilizzano l’energia della coscienza e la psiche umana come motore. I miei lavori sono concentrati principalmente sulla forma, la forma è molto importante per me. E mi piace moltissimo il modo di modellare che l’aria offre, è assolutamente diverso dal tagliare il marmo o dallo scolpire il gesso. L’aria allunga la forma, adoro il suo linguaggio. E’ il materiale stesso a creare la forma e sono affascinata da questa co-creazione: non sai mai come si svilupperà il rigonfiamento del latex, provi sempre ad intuirlo…è un processo molto interessante.

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Seduta sulla sua scultura boudoir-trampoline a Les Jardins d’Etretat, in Normandia (2018)

Quali materiali sei solita utilizzare per le tue opere?

Ho scelto due direzioni principali, per la mia arte: la scultura e la performance. Ma definisco le mie performance “sculture in movimento” e i miei costumi “sculture indossabili dal vivo”. Lavoro con diversi materiali e tecniche, ma sono nota soprattutto perché lavoro – da circa 11 anni – con il latex. Il latex è il mio materiale preferito. Lo uso per creare costumi, sculture e installazioni su larga scala. Il latex è un materiale molto delicato, difficile da manipolare: si altera con i raggi UVA e teme il passar del tempo. Ma mi piacciono la sua natura effimera, la sua ariosità, la sua morbidezza, la sua levigatezza. Le sculture in latex sembrano vive, però purtroppo sono temporanee come tutte le cose viventi. Il latex può rimanere intatto al massimo sei mesi, un anno. Tratto le mie sculture con cura e non le espongo per più di due mesi, ma anche in questo modo non sopravvivono oltre cinque-dieci anni. I miei oggetti in latex sono spesso costituiti da moduli gonfiabili separati, incollati insieme in una sola forma oppure fissati ad un telaio di metallo o di plastica. Un’altra cosa importante, per me, è la collisione tra il contesto naif e il contesto sessuale che evoca il latex. Questo conflitto sortisce un effetto disturbante sullo spettatore, che non sa come percepirlo e inizia a interrogarsi su ciò che sta vedendo. E’ quello che voglio ottenere: coinvolgere lo spettatore emotivamente, ipnotizzarlo ed eccitarlo. Oggi faccio sculture non solo di latex; è un materiale adatto per gli interni, però non funziona all’aria aperta in quanto è molto fragile e sensibile alle condizioni esterne. Ma voglio andare avanti e progredire verso un nuovo livello. Voglio muovermi nella direzione dell’architettura gonfiabile, dell’architettura tessile, per realizzare progetti di arte gonfiabile pubblica su larga scala. L’estate scorsa ho realizzato delle vibranti sculture su larga scala, Air Island (13 m di lunghezza e 8 m di larghezza), le più grandi della mia carriera. E vorrei proseguire in questa direzione.

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Mi colpisce molto questo uso del colore, che al bianco e al nero alterna tonalità vivacissime, luminose o trasparenti grazie al PVC. C’è un filo conduttore, dietro alla tua ricerca cromatica?

Il colore è uno strumento potente e una parte importante del mio linguaggio visivo: una chiave per raggiungere i miei obiettivi artistici. La mia arte è incentrata sulla ricerca di ciò che è perfetto, ideale, lucido, luminoso, soprannaturale, fantastico, qualcosa di estremamente raro nella nostra realtà; su un certo super-mondo, dove tutte le proprietà e le sensazioni sono iperboliche, i colori più luminosi. Ogni artista, secondo me, crea il suo mondo parallelo, la sua realtà, secondo le leggi del proprio linguaggio visivo. E attraverso la sua arte, invita gli spettatori ad addentrarsi in questa realtà. Io voglio creare una mia realtà artistica parallela, voglio invitare gli spettatori in una sorta di spazio ideale che esiste secondo leggi diverse e del tutto proprie. Vorrei che le persone fossero deliziate e affascinate dalla mia arte, e l’uso del colore in questo senso mi aiuta. Voglio che la mia arte dia gioia e ispirazione quando la si guarda, come se si guardasse a qualcosa di incredibile. Voglio che la mia arte sposti la prospettiva, sproni lo spettatore a guardare alle cose ordinarie in modo nuovo.

 

 

A proposito di colore, alla Biennale di Venezia ti sei esibita nella variopinta performance Aquaaerobika, dove le tue sculture viventi hanno danzato al ritmo della musica elettronica ed inneggiato a un mood avveniristico. Cosa puoi raccontarci di questo spettacolare show?

Per me scultura e performance sono un tutt’uno. Il mio progetto di musica pop Aquaaerobika è una sintesi di musica elettronica e performance, uno show musicale di pop art con costumi gonfiabili e decorazioni. In realtà, considero questo spettacolo come una scultura dal vivo in movimento. Questo è il filone del mio insegnante Andrey Bartenev, che l’ ha percorso negli anni Novanta ed ha creato performance incredibili con i suoi costumi scultorei in cartapesta. Poiché sono stata una sua studente, vado anch’ io in questa direzione ma in modo diverso. Aquaaerobika è una performance dal format pop grazie al quale posso lavorare per un pubblico più ampio, esibirmi non solo nei musei e nelle gallerie d’arte ma anche nei club, ai festival, negli spazi pubblici. E’ uno show con musica originale, tutti i brani sono scritti appositamente per lo spettacolo e io canto dal vivo; cantare avvolta nel latex non è facile, ma l’impatto visivo giustifica tutte le difficoltà. I costumi e le scenografie si ispirano ai simboli della pop art, dell’op art, dell’estetica fantascientifica, alle anime giapponesi ed ai costumi di Oskar Schlemmer per “The Triadic Ballet”. Puoi riconoscere Betty Boop, Barbarella ed i protagonisti di un fumetto, nel mio personaggio. Mi sforzo di creare un’immagine universale super femminile e di giocare con immagini di donne di epoche e stili diversi, mescolandoli e creando qualcosa di nuovo. Mi attrae anche giocare con il bidimensionale e il tridimensionale, come dimostrano i miei costumi e i miei scenari. A un certo punto, lo show diventa una sorta di cartone animato. Mi piace immaginarmi al suo interno, è sempre divertente: la neve cade in un modo così favoloso e irrealistico, i colori sono così luminosi e le ombre così grafiche che sembra di essere entrati in un film d’animazione di Miyazaki o in un vecchio cartoon sovietico. Natura e arte spesso competono tra loro in straordinarietà e non si è in grado di distinguere dove finisce la natura e dove inizia l’arte … A volte, è difficile capire cosa ti emoziona di più.

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Sasha e uno scorcio della sua installazione Air Island

Non era la prima volta che venivi a Venezia. Tra l’altro, lo scorso Carnevale hai fatto una entrée trionfale, insieme al Principe Maurice, in total look “inflatable” settecentesco. Come ricordi quell’ esperienza?

L’ingresso in costume in Piazza San Marco è una delle suggestioni più ineguagliabili che io abbia mai provato in vita mia! Prova a immaginare: una folla di persone, la magica Cattedrale di San Marco davanti a te, il sole splende, fa freddo, l’atmosfera è eccitante, sei circondata da creature meravigliose in incantevoli costumi … In quel momento ho sentito un’incredibile connessione con l’anima di Venezia, ho sentito Venezia dentro di me, avevo la pelle d’oca! Sebbene sia stata un’apparizione molto breve, di fatto pochi secondi, quei momenti sono ancora vividi nella mia mente, ed emanano uno splendore tale da farmi provare un’immensa gratitudine nei confronti della vita e del Principe Maurice (rileggi qui la puntata di “Sulle tracce del Principe Maurice” dedicata al Carnevale di Venezia) che mi ha permesso di vivere questa esperienza. Conserverò tra i miei ricordi quei preziosi brividi per tutta la vita.

 

L’ ingresso in piazza San Marco con il Principe Maurice al Carnevale di Venezia 2019

Quale aggettivo adopereresti, solo uno, per definire la tua arte?

Miracolosa / affascinante?

 

Photo by Ermakov Roman

A quali progetti ti stai dedicando, al momento? E’ possibile avere qualche anticipazione?

Spero di lavorare di più per il teatro e per l’opera, mi piace lavorare con del materiale classico e ripensarlo. L’anno scorso ho realizzato i costumi per il “Flauto magico” di Mozart messo in scena al Teatro dell’Opera Helikon di Mosca, è stata un’esperienza straordinaria che mi è piaciuta molto. Tra i miei progetti c’è una grande personale a Mosca il prossimo anno, al Museo d’Arte Moderna, ed ho intenzione di concentrarmi su questo.

 

Nicole Kidman nel photoshoot che inneggia all’ inflatable art di Sasha Frolova scattato da Tim Walker per W Magazine (styling by Sarah Moonves)

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Come descriveresti l’attuale panorama artistico russo?

Abbiamo molti artisti di talento, davvero unici. La scena artistica in Russia si sviluppa rapidamente, ci sono stati tanti cambiamenti positivi e c’è una potente energia. Forse non è un panorama molto vario, ma è davvero interessante ed ha del potenziale.

Vorrei concludere questa intervista chiedendoti quali sono gli artisti contemporanei che, al momento, consideri maggiormente interessanti e innovativi.

Ad esempio, c’è l’artista e scultrice giapponese Mariko Mori, che crea progetti molto interessanti legati allo spazio. Mi piace anche Anish Kapoor, soprattutto il modo in cui lavora con la forma, con le dimensioni. Sono sempre deliziata dal suo lavoro, dal livello tecnologico delle sue opere: le guardi e semplicemente non capisci come abbiano potuto essere realizzate.  Allo stesso tempo, le sue forme appaiono come metafore poetiche. Mi piacciono anche gli artisti che lavorano con l’inflatable. C’è un collettivo, il FriendsWithYou di Miami. Sono una grande fan delle loro opere intrise di felicità e di positività. Realizzano enormi installazioni gonfiabili e mercatini di oggetti gonfiabili sulle spiagge di Miami. Sono degli artisti fantastici! Sono davvero ispirata dagli artisti superproduttivi e polistrumentali che lavorano su una vasta varietà di media, così come dagli artisti che fanno delle loro stesse vite un’opera d’arte. Considero miei mentori diversi artisti – prima di tutto Andrey Bartenev, ma anche lo scultore Andrew Logan ed il famoso clown Slava Polunin: è molto importante incontrare persone che ti ispirano ed acquisire da loro la conoscenza e l’esperienza.

 

 

Altri due momenti della performance a Villa Olmo realizzata per la sfilata di Alta Sartoria di Dolce & Gabbana (2018)

ICECREAMIZER, inflatable sculpture (2010)

SPECULUM, inflatable sculpture (2016)

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

TWIRL, Pink edition (2016). Inflatable latex sculpture

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

 

 

Photo courtesy of Sasha Frolova