Il luogo: Gotland, il fascino nordico dell’isola vichinga delle rose

 

Abbiamo già esplorato le isole del Mediterraneo (rileggi qui l’articolo), adesso è tempo di ritornare nel Grande Nord. Precisamente a Gotland, un’isola situata nel mar Baltico, al largo delle coste svedesi sud-orientali: appartenente alla Svezia, dista quaranta minuti di aereo da Stoccolma ed è ricca di storia, cultura, bellezze architettoniche e naturali. Le sue origini antichissime (risalgono al 5000 a.C.) sono circondate da affascinanti leggende; una di queste descrive Gotland come una terra che, generata dal mar Baltico, torna negli abissi ogni sera al tramonto. L’alone mitico che la ammanta si intreccia a doppio filo con la storia dell’isola, che vede protagoniste svariate popolazioni vichinghe: Gotland fu abitata dai Gotlandi, dai Geati e dai Goti, che poi si spinsero a Sud abbandonando la Scandinavia. L’isola ebbe un ruolo molto importante nel commercio tra il Nord Europa e l’Oriente. La sua posizione strategica sul mar Baltico, infatti, la fece entrare di diritto nella Lega Anseatica, che dal 1358 al 1862 detenne il predominio commerciale nell’ Europa Settentrionale e nel mare collocato tra la penisola scandinava e il continente. Non è un caso che il Medioevo, epoca in cui si costituì la storica alleanza, sia uno dei periodi che ha lasciato maggiori tracce architettoniche sull’isola: ne è un esempio Visby, la capitale di Gotland, circondata da imponenti mura fortificate e decretata Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ma lasciando da parte il passato, che cosa rappresenta Gotland oggi? Alcuni la chiamano la “Capri del Nord”: le sue spiagge, le scogliere rocciose della sua costa, gli splendidi paesaggi e gli edifici di design, un connubio di stile tipicamente hygge e pura raffinatezza, la rendono oltremodo speciale. Ma Gotland non è solo questo. E’un’isola verdeggiante, ricca di reperti archeologici, e, su tutto, la patria di un’ottima cucina. Viene considerata, non senza una ragione, la capitale culinaria della Svezia.

 

 

Un altro dei suoi punti di forza è il clima mite. Qui, le rose fioriscono anche in Inverno: un particolare che è valso a Gotland l’appellativo di “isola delle rose”. La secolare isola vichinga appartiene a un arcipelago che comprende isolette come Fårö (dove il regista Ingmar Bergman visse e ambientò molti suoi capolavori),  Karlsö e Gotska Sandön. Vantando una superficie di 2994 km quadri, Gotland è la più grande isola svedese situata nel mar Baltico e la seconda isola, in quanto a estensione, dopo la danese Selandia. Abitata da circa 60.000 persone in tutto, l'”isola delle rose” è rimasta splendidamente selvaggia: alberi in via di estinzione come gli abeti rossi e l’antichissima specie equina dei Pony Gotland, che risale all’Età della Pietra, sopravvivono ancora nelle sue lande incontaminate.

 

 

Dal momento che ha radici così remote nel tempo, ospita numerosi resti archeologici che spaziano dal Paleolitico all’Età del Bronzo, dall’Era dei Vichinghi al Medioevo. Cosa visitare, dunque, in questa suggestiva località del mar Baltico? Non si può che iniziare con il capoluogo, Visby, raggiungibile dalla Svezia (partendo da Oskarshamn) in circa tre ore di traghetto. Visby è una città medievale fortificata che, come vi ho già detto, venne inclusa nella Lega Anseatica: la sua appartenenza a quell’importante alleanza commerciale è compresa tra il XII e il XIV secolo. Nel 1995, omaggiando la sua pittoresca bellezza, l’Unesco ha dichiarato Visby Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il centro storico è percorso da un intrico di viuzze fiancheggiate da case in colori pastello e dai tetti a punta; risaltano le guglie della cattedrale, le chiese e gli edifici sorti all’epoca dei Vichinghi, le torri che intramezzano le mura. Potete visitare la città in tutta calma, a piedi, o decidere – in puro stile nordico – di effettuare i vostri spostamenti in bicicletta.

 

 

Un giro turistico non può prescindere dalle mura della città. Innalzate tra il XIII e il XIV secolo, sono lunghe 3,44 km e completamente edificate in pietra calcarea. Le intervallano trenta torri che oltrepassano i venti metri di altezza; torri ammantate, peraltro, di una potente aura di leggenda: in una di esse, la Torre della Fanciulla, si narra che fu murata viva la figlia di un orefice innamoratasi del re danese Valdemar Atterdag; ciò fu considerato un tradimento nei confronti della città; nella feritoia di un’altra torre, la Sankt Goransporten, è rimasta incastrata una pietra risalente alla guerra civile duecentesca. Dopo la costruzione delle mura, Vilby fu suddivisa in due aree ben distinte. All’interno delle fortificazioni si trovavano gli artigiani e i mercanti, che potevano commerciare con l’estero, all’esterno i pescatori e gli agricoltori, abilitati solamente al commercio interno. Alcuni spazi delle mura, oggi, sono stati adibiti a punti panoramici da cui ammirare lo splendore di Vilby e dei suoi dintorni.

 

 

Il Gotlands Museum è un altro must see: una vera meraviglia per tutti gli appassionati della civiltà vichinga. La fondazione della struttura risale al 1875. Al suo interno, il Museo ospita permanentemente reperti archeologici compresi in un arco di tempo che va dall’Età della Pietra all’Era dei Vichinghi. Accanto ad essi spiccano fossili rinvenuti nel mar Baltico, pietre runiche, e nella sezione dedicata ai secoli più recenti la ricostruzione di una fattoria settecentesca fa bella mostra di sè. Nel Museo viene anche custodito il tesoro vichingo più vasto del mondo: una ricchissima collezione di manufatti e monete in argento e bronzo.

 

 

La Cattedrale è famosa per le sue guglie, un dettaglio inconfondibile e iconico che simboleggia la città di Visby. Destinata ai mercanti tedeschi della Lega Anseatica, la chiesa fu inaugurata nel 1190. Nel 1125 venne dedicata a due tipologie di fedeli, gli abitanti di Gotland e i forestieri; a officiare la messa erano ministri di culto differenti. Nel 1500 le fu conferito lo status di Cattedrale. Questa maestosa chiesa medievale, che nel tempo ha conosciuto molte modifiche, viene tuttora utilizzata. Gli stili predominanti nella sua architettura sono il romanico e il gotico. A Visby esiste circa una decina di ulteriori chiese medievali, ma di esse rimangono solo le rovine. Le più rappresentative sono quelle delle chiese di San Nicola, San Clemente e Santa Caterina.

 

 

Nel Botaniska Tradgarden, il giardino botanico, è possibile effettuare una full immersion nella natura. Sorto nel 1855, si trova nei paraggi del mare; lo contraddistingue un vero e proprio tripudio di verde, piante e fiori esotici, prati tenuti in modo impeccabile. All’interno del giardino sono situate le suggestive rovine della chiesa di Sankt Olof.

 

 

Se siete appassionati del senso del mistero e della cultura ancestrale di quest’isola svedese, non mancate di visitare i suoi labirinti. Si trovano nei pressi della città di Vilby, e nella riserva naturale di Galberget è collocato il più celebre. I labirinti, denominati Trojaborg, sono stati costruiti in tempi remotissimi formando linee quasi circoncentriche con una serie di massi e pietre posati sulla terra. Ma a cosa servivano questi labirinti di sassi? Lo scopo era quello di farvi rimanere intrappolate la sfortuna e le entità malvagie. La maggior parte dei Trojaborg risale al Medioevo, e un buon numero di essi venne realizzato in prossimità delle aree costiere: i pescatori avevano l’abitudine di entrare in un labirinto poco prima di salpare, per propiziarsi una pesca fruttuosa e le migliori condizioni di navigazione; appena finivano di percorrerlo, correvano in tutta fretta sulla loro barca affinchè i troll, le entità malvagie e la malasorte rimanessero imprigionati nel labirinto. Il Trojaborg della riserva naturale di Galberget è stato scoperto nel 1740 e si pensa che sia stato realizzato nel Tardo Medioevo.

 

 

Accanto ai labirinti, a Gotland troviamo anche le navi di pietra, monumenti funerari tipicamente scandinavi dell’Età del Bronzo. All’interno di questi spazi composti da pietre conficcate nel terreno che riproducono la forma di una nave, si seppellivano i notabili della comunità. La forma del monumento serviva a garantire una buona traversata verso l’altra dimensione. Sull’isola, potrete ammirare le navi di pietra nei dintorni di Gnisvärd: una quarantina di case, tradizionali e coloratissime, abitate dai pescatori. Gnisvärd, villaggio estremamente suggestivo, è diventato celebre anche per la prosperosa pesca di aringhe.

 

 

Spostandoci verso la costa, incontriamo un altro tipo di roccia: i raukar, formazioni calcaree dalle forme alquanto bizzarre. Sull’isola di Fårö, di cui vi ho già accennato, si trovano le più spettacolari. Somigliano a colossi di pietra, e la leggenda vuole che il loro sguardo sia costantemente rivolto a Thor, figlio di Odino, divinità norrena del tuono e del fulmine. Fårö conta solo cinquecento abitanti, ma possiede un fascino unico: è selvaggia, incontaminata, vanta un mare cristallino, spiagge con dune di sabbia e un’esplosione di verde rigoglioso. Qui vivono le tipiche pecore di Gotland, che sfoggiano un riccioluto pelo grigio, e i rami degli alberi sembrano torcersi con il vento. Non è un caso che questa sorprendente isoletta sia stata scelta da Ingmar Bergman come location di molti suoi film: ricordiamo ad esempio “Persona” (1966), “L’ora del lupo” (1968) e il famosissimo “Scene da un matrimonio” (1973). Innamorato di Fårö, Bergman decise di viverci fino alla sua morte. Sull’ isola, in suo onore, è sorto il Bergman Center. La struttura include un cinema, una biblioteca interamente incentrata su Ingmar Bergman, e al regista svedese vengono dedicate mostre che celebrano il suo rapporto con Fårö. Esiste anche la possibilità di svolgere dei workshop creativi.

 

 

Tornando a Gotland, vale la pena di fare una visita a Villa Villacolle: è la casa dove venne ambientato il celebre telefilm “Pippi Calzelunghe”, ispirato al personaggio creato negli anni ’40 dalla scrittrice svedese Astrid Lindgren. Villa Villacolle si trova a una manciata di chilometri da Visby, precisamente all’interno del Kneippbyn Resort, un parco dei divertimenti per bambini che comprende un campeggio, un parco acquatico, piscine, scivoli d’acqua e giochi vari. C’è anche la possibilità di praticare windsurf, dato che il mare è a pochi passi dal Resort. Pippi Calzelunghe, in questo luogo, viene omaggiata con numerose e costanti pièce teatrali.

 

 

Veniamo ora a una delle eccellenze di Gotland: la buona cucina. Gotland straripa di ristoranti e bistrot, e nel 2013 è stata addirittura nominata Capitale Culinaria della Svezia. Il clima temperato dell’isola, infatti, rende il suolo particolarmente fertile. Proliferano la verdura, la frutta, le mele in particolare: il maggior produttore di sidro di tutta la Svezia, Halfvede Musteri, non a caso si trova proprio a Gotland. Ma soprattutto, Gotland è un autentico paradiso dei tartufi. Tutti gli anni ne vengono raccolti tra i sette e gli otto quintali, e pare che a Stoccolma siano richiestissimi. Sull’isola sono presenti anche diversi vigneti, e si produce il vino più a nord del mondo. Ma anche la birra non scherza: Gotland vanta la maggior densità di birrifici per abitanti di tutta l’Europa. E siccome in Svezia le bevande contenenti alcol in una percentuale maggiore al 3,5% sono proibite, un birrificio ha lanciato la Sleepy Bulldog, birra analcolica dal gusto squisito. Se adorate i dolci non perdetevi la saffranspannkaka, una torta-pancake allo zafferano tipica dell’isola: viene servita con panna montata e marmellata di more, ed è a dir poco irresistibile.

 

Foto via Unsplash

Foto del Trojaborg di Arkland, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto della nave di pietra di Jürgen Howaldt, CC BY-SA 2.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/de/deed.en>, da Wikimedia Commons

Foto della Saffranspannkaka di Toyah, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

I viaggi, i luoghi e le emozioni

 

” Non è dimostrabile, però io ci credo: nel mondo ci sono luoghi in cui l’arrivarci o il ripartire viene misteriosamente amplificato dalle emozioni di quanti in passato da lì sono partiti o lì sono giunti. Chiunque abbia un’anima abbastanza leggera avverte una lieve resistenza nell’aria attorno allo Schreierstoren di Amsterdam – la Torre del pianto – che promana dal cumulo di dolore di coloro che lì si dissero addio, un dolore che oggi non conosciamo più. Ormai i viaggi non durano anni, sappiamo esattamente dove siamo diretti, e le probabilità di fare ritorno sono molto più alte. Sotto il portico d’ingresso della cattedrale di Santiago de Compostela si erge una colonna di marmo che reca l’impronta di profondi solchi; una sorta di “zampata” espressionistica di grande impatto emotivo prodotta da milioni di mani, tra cui la mia. Ma se dico “tra cui la mia” è già una forzatura, perchè io non ho certo mai afferrato quella colonna con tanta emozione dopo un viaggio a piedi durato più di un anno. Non ero un uomo del Medioevo, non ero un credente, e ci arrivavo in automobile. Ma anche a prescindere dalla mia mano, anche se non ci fossi mai stato, il solco resta, scavato nel duro marmo dalle dita di tutti quei morti. Eppure anch’io, appoggiando la mia mano su quel negativo di mano, sono entrato misteriosamente a far parte  di un’opera d’arte collettiva. Il pensiero diventa visibile nella materia: questo è sempre prodigioso. La forza di un’idea spinse re, contadini e monaci ad appoggiare la mano proprio in quel punto della colonna, e ogni singola mano ha consumato una parte infinitesima del marmo durissimo, e in questo modo, proprio nell’assenza del marmo, risultò visibile una mano. Penso a queste cose un giorno di luglio; è mattina presto e sto per imbarcarmi per Barcellona. Lì noleggerò un’automobile e per vie traverse, o forse addirittura dopo avere percorso tutta la Spagna, per la terza volta nella mia vita andrò a Santiago de Compostela. Non in pellegrinaggio, come gli altri, ma sulle orme di un io remoto che ormai è quasi un fantasma, riallacciandomi a un viaggio del passato. In cerca di che cosa? Una delle poche costanti della mia vita è l’amore – perchè sarebbe riduttivo definirlo diversamente – per la Spagna. “

Cees Nooteboom, da “Verso Santiago. Disgressioni sulle strade di Spagna”

 

 

Il luogo: Lisbona, un fascino potente in bilico tra passato e contemporaneità

 

Per me non esistono fiori in grado di reggere il confronto con la varietà dei colori che assume Lisbona alla luce del sole.
(Fernando Pessoa)

 

A raccontarcela, oltre che le guide turistiche cartacee, gli opuscoli di viaggio e i siti web, è stato Fernando Pessoa: il grande poeta e scrittore portoghese era letteralmente innamorato di Lisbona, la sua città natale, e nel 1925 le dedicò uno scritto poi pubblicato postumo, nel 1988, con il titolo di “Lisbona. Quello che il turista deve vedere.” La capitale del Portogallo, in effetti, emana un fascino incomparabile. E’ tutto fuorchè una metropoli, potremo definirla la più “a misura d’uomo” tra le grandi città europee (si estende per circa 100 km quadrati), ma uno dei suoi punti di forza è proprio questo. Affacciata sull’ Oceano Atlantico e situata sulla foce del fiume Tago, Lisboa (così si chiama in portoghese) si adagia su sette colli da cui si gode di uno straordinario panorama: i loro nomi sono São Jorge, São Vicente, Sant’Ana, Santo André, Das Chagas, Santa Catarina e São Roque. “Per il viaggiatore che arriva dal mare, Lisbona, anche da lontano, si erge come un’affascinante visione di sogno, contro l’azzurro vivo del cielo che il sole colora del suo oro.”, scrive Fernando Pessoa nel libro che ho citato poc’anzi. Il mare è una costante nell’ iconografia della città, tant’è che compare anche nel suo stemma (sette onde solcate da un vascello sormontato da due corvi laterali), ma il fiume lo è altrettanto: il 25 Aprile, uno dei due ponti che collega le sponde del Tago (l’altro è il Vasco da Gama), è pressochè identico al Golden Gate Bridge di San Francisco. Sui sette colli si erge una moltitudine di case colorate, e poi “cupole, monumenti, vecchi castelli”, riprendendo sempre le parole di Pessoa. Le vie della città sono strette e lastricate di ciottoli; i tetti, dall’alto, appaiono come una smisurata distesa di tegole rosse.

 

 

Ma una delle caratteristiche della città lusitana è la sua atmosfera: multiculturale, cosmopolita, intrisa di tracce che ha assorbito dai popoli che nel corso dei secoli l’hanno dominata. Nella penisola iberica si sono succeduti gli antichi romani, gli arabi, gli spagnoli. Durante la sua epoca d’oro, tra il XV e il XVI secolo, Lisbona divenne il centro nevralgico del commercio via mare e, di conseguenza, un crocevia di culture. Il Portogallo intratteneva scambi commerciali con l’Africa, l’ India, l’ Estremo Oriente e il Brasile, che nel 1500 aveva colonizzato. Attraverso il porto della capitale portoghese, cruciale trait d’union tra Oriente e Occidente, passavano merci come tessuti pregiati, una grande varietà di spezie (la celebre “rotta delle spezie”, grazie a Vasco da Gama che fu il primo europeo a raggiungere l’India, partiva proprio da Lisbona), e poi ancora lo zucchero, il sale, il corallo (detto significativamente “oro rosso”), la carta e i drappi provenienti dalla Toscana. Nel 1755, tuttavia, un terribile terremoto interruppe bruscamente il periodo di floridezza e di continua crescita sperimentato da Lisbona. Alla distruzione sopravvissero pochi monumenti edificati in stile manuelino e il quartiere dell’ Alfama; il centro storico medievale, completamente devastato, fu ricostruito secondo i dettami urbanistici dell’ epoca. Al mix di culture, dunque, andarono ad aggiungersi contaminazioni architettoniche che ancora oggi fanno di Lisbona una città costantemente in bilico tra il passato e la contemporaneità.

 

Il ponte 25 Aprile

Conoscere Lisbona vuol dire, innanzitutto, assaporare la sua irresistibile atmosfera. Il clima è mite, la vastità del Tago e dell’ Oceano Atlantico donano un alito di infinito; il sole invade i sette colli con una luminosità sfolgorante e crea innumerevoli giochi di luce. L’eco degli antichi esploratori e avventurieri risuona ad ogni passo: Lisbona regala la sensazione di poter salpare, da un momento all’altro, alla scoperta del mondo intero. Godetevi i suoi splendidi monumenti, inoltratevi nel labirinto dei suoi vicoli e nelle sue viuzze tortuose, inerpicatevi sulle sue alture. Innamoratevi della sua squisita cucina di pesce, dei golosissimi pastéis de nata (pasticcini di pasta sfoglia farciti di crema cotta), della cordialità dei suoi abitanti. Lasciatevi stupire dal suo patrimonio storico, artistico e culturale, respirate la suggestività delle sue locande. Rimanete senza fiato davanti ai panorami che ammirate dal Tram 28, il caratteristico tram giallo che si snoda tra i quartieri della capitale, e non mancate di emozionarvi ascoltando le melodie struggenti del fado, la tradizionale musica portoghese che l’UNESCO ha decretato, nel 2011, Patrimonio intangibile dell’ umanità.

 

 

Percorrendo le vie di Lisbona, vi colpiranno le facciate delle case ricoperte di azulejos: sono piastrelle di ceramica smaltata che, a metà dell’ 800, iniziarono a decorare gli edifici cittadini. Ogni quartiere è un piccolo gioiello, ricco di una storia propria e di proprie tradizioni. Esplorateli a piedi se volete penetrarne l’anima, ammiratene i dettagli e non scoraggiatevi per i continui “sali e scendi” a cui vi obbligheranno le salite e le discese. Il più antico, e senza dubbio il più famoso, è Alfama. Le sue case coloratissime, o interamente rivestite di azulejos, sono celebri; le viuzze lastricate di ciottoli sfociano in sorprendenti piazzette e sono fiancheggiate da locali e pasticcerie. Alfama è un quartiere che sprigiona magia, in molti lo definiscono il “cuore” di Lisbona. Se volete ascoltare il fado dal vivo, non c’è che l’imbarazzo della scelta: sono tantissime le locande che offrono l’opzione “cena abbinata a un live”. Ad Alfama potete visitare il Castello di São Jorge, una fortezza risalente al I secolo a.C. che nel 1255  si tramutò nella sede del Palazzo Reale. Il Castello domina tutto il quartiere, regala una vista mozzafiato sulla città. Non perdetevi, poi, la Cattedrale patriarcale di Santa Maria Maggiore (iniziata nel 1150 e terminata nel 1755) , dalla facciata in stile romanico impreziosita da due torri campanarie gemelle; l’interno, a croce latina, presenta residui di decorazioni barocche risalenti al XVIII secolo.  Tornando tra le viuzze, approfittate dei miradouro (angoli panoramici) per godere di uno scorcio dall’alto della capitale. Ad Alfama trovate il Miradouro de Santa Luzia e il Miradouro Portas do Sol: di pomeriggio sono affollati da musicisti e artisti di strada.

 

 

E’ sempre ad Alfama che sono situati, inoltre, il Museu de Artes Decorativas Portugueses, un’ antico palazzo gentilizio che ospita una collezione di arredi e decori datati dal XVI al XVIII secolo, e la settecentesca Chiesa di Sant’Antonio: il Santo, infatti, morì a Padova ma nacque a Lisbona. Parlando di quartieri, una visita a Baixa non può mancare. Se Alfama rappresenta la città vecchia, Baixa è quella nuova: fortissimamente voluto dal marchese di Pombal, il quartiere fu costruito dopo il tremendo terremoto del 1755. Baixa vanta un’ampia piazza quadrata in stile neoclassico, Praça do Comércio. La circondano palazzi signorili e una grande quantità di ristoranti, hotel, boutique e bed & breakfast, il che rende la zona tipicamente turistica. Al centro della piazza campeggia una statua raffigurante re José I, mentre a nord spicca l’ Arco della Rua Augusta, un arco di trionfo completato nel 1873. Situato in prossimità del Tago, Baixa offre la possibilità di raggiungere facilmente il lungofiume. Il centro pulsante del quartiere è Praça Rossio, dove potete ammirare anche la bellissima stazione ferroviaria di Lisbona, in stile manuelino, e l’ Elevador de Santa Justa, un ascensore Art Nouveau che collega Baixa con Alfama e permette di godersi la città dall’ alto. Se poi cercate una location iconica che vi porti sulle tracce di Pessoa, tornate in Praça do Comércio ed entrate nel Caffè Martinho da Arcada, storico punto di ritrovo degli intellettuali lisbonesi di cui lo scrittore era un habitué.

 

L’Arco della Rua Augusta

Praça Rossio

La stazione di Lisbona Rossio

Nei paraggi della Praça Rossio, proprio di fronte al Castello di São Jorge, si erge il Convento do Carmo, anche se dopo il terremoto del 1755 ne rimase semplicemente il suo scheletro: la catastrofe lasciò intatte solo le altissime arcate, qualche finestra e le navate imponenti, tutte rigorosamente in stile gotico. Eppure, l’edificio emana un fascino potente; non è un caso che, dopo alcuni tentativi di restauro, nell’ ‘800 fu deciso che sarebbe rimasto così com’era. Secondo i principi del Romanticismo, il Convento risultava altamente suggestivo proprio grazie al suo aspetto devastato.

 

Il Convento do Carmo

Situata sulla riva del fiume Tago, la Torre di Belém è il monumento più iconico ed emblematico di Lisbona. Il re Giovanni II la fece edificare a scopo difensivo; fu ultimata intorno al 1521, quando già regnava Manuele d’Aviz. Il suo stile architettonico è straordinario: un connubio di manuelino, bizantino e gotico. La costruzione, Patrimonio dell’ Umanità UNESCO, comprende un bastione e una torre alta circa 30 metri suddivisa in quattro piani. All’ inizio fu dedicata a San Vincenzo, santo patrono della capitale portoghese, tant’è che il suo nome originario è Torre di São Vicente. Ormai viene però comunemente chiamata Torre di Belém, “Betlemme” in portoghese. Per visitare la Torre si oltrepassa un ponte levatoio, accedendo poi a una passerella collocata sul fiume. All’interno dell’edificio sono presenti le sale del re, del governatore e delle udienze, mentre all’esterno è possibile esplorare le mura difensive e ammirare il panorama dalla spaziosa terrazza sul tetto.

 

La Torre di Belém

A poca distanza dalla Torre di Belém si trova il Monastero dos Jerònimos, da visitare assolutamente. Re Manuele I, nel 1502, lo fece costruire in omaggio a Vasco da Gama, l’esploratore portoghese che scoprì la rotta marittima verso l’ India. Il Monastero, donato dal re all’ ordine di San Gerolamo, è un edificio emblematico dell’età delle scoperte, compresa tra il XV e il XVI secolo: l’epoca in cui il Portogallo primeggiava nell’esplorazione dell’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. Maestoso e opulento, il Monastero dos Jerònimos combina lo stile manuelino con elementi rinascimentali e del tardo gotico. Al suo interno sono ospitati i sepolcri commemorativi di Vasco da Gama, del poeta  Luís Vaz de Camões e le spoglie di Fernando Pessoa. Nelle cappelle della chiesa sono invece collocate le tombe di diversi sovrani portoghesi. Il monumento funebre del re Manuele I, di suo figlio Giovanni III e delle loro rispettive famiglie si trovano nella cappella maggiore. Il Monastero dos Jerònimos è stato decretato Patrimonio dell’ Umanità UNESCO nel 1983.

 

Il Monastero dos Jerònimos

Rimanendo nel quartiere di Belèm è impossibile non rimanere senza fiato davanti all’imponente Monumento alle Scoperte, che i portoghesi chiamano Padrão dos Descobrimentos. E’ una celebrazione dell’ età delle scoperte e venne costruito nel 1940 in occasione dell’ Expo, ma venti anni dopo, nel 1960, fu edificato ex novo per commemorare il 500mo anniversario dalla scomparsa di Dom Henrique, ovvero Enrico Il Navigatore. L’opera è situata in una posizione strategica sulle rive del Tago: pare che da qui salpò un gran numero di esploratori. Per raggiungere il Monumento si percorre un ampio piazzale che riproduce una rosa dei venti dal diametro di 50 metri sul suo pavimento. Al centro, la rosa riporta le principali rotte dell’ età delle scoperte. Il Padrão dos Descobrimentos consta in una caravella in pietra bianca che sfiora un’altezza di 56 metri; sulla prua è scolpita la figura di Enrico Il Navigatore, mentre i due gruppi scultorei laterali discendenti rappresentano gli eroi che determinarono la grandezza dell’ Impero Portoghese: esploratori, sovrani, cartografi, navigatori, scrittori, colonizzatori e via dicendo. Tra i personaggi omaggiati figurano Vasco da Gama, Ferdinando Magellano, il re Alfonso V, Bartolomeu Dias e Diogo Cão. E’ possibile raggiungere la sommità del monumento tramite un ascensore interno; da lì, si gode di una meravigliosa visuale che sconfina nell’immensità dell’ Oceano.

 

Il Padrão dos Descobrimentos

Per concludere, una dritta che vi aiuterà a visitare la città avvalendovi del maggior comfort possibile: se non ve la sentite di affrontare le sue ripidissime salite e discese, salite a bordo del Tram 28! Non si tratta di un mezzo di trasporto turistico, bensì di un tram iconico e riconoscibilissimo. I suoi colori sono il giallo e il bianco. Le sue carrozze risalgono ai primi anni del ‘900, ma funziona a meraviglia. E’ il modo ideale per vedere Lisbona e tutti i suoi angoli nascosti senza alcuno sforzo. In più, potrete godere di scorci panoramici indimenticabili: mi raccomando, smartphone sempre a portata di mano per immortalarli. Il tragitto del Tram 28 include i quartieri di Baixa, Graça, Alfama, Campo de Ourique, Praça Martim Moniz. Durante il percorso, non perdetevi i fantastici murales che decorano la città. Una dritta aggiuntiva a prescindere dal Tram 28? Provate la Ginjinha, una bevanda tipica di Lisbona: è un liquore di amarene servito con delle ciliege e una tazza di cioccolata. Golosità pura che potrete facilmente gustare in un chiosco apposito di Praça Rossio, nel quartiere Baixa.

 

Il Tram 28

La Cattedrale

Alfama

 

 

Il luogo: la Feria de Abril di Siviglia, per catturare lo spirito della cultura andalusa

 

Siviglia è speciale perché emoziona e commuove, perché dà corpo alla bellezza e alla grazia dei sogni. Perché è Musa e Artista al tempo stesso, perché vive nel presente proiettando la sua Storia nel futuro”

(Plácido Domingo)

 

La Primavera inoltrata è il periodo migliore per visitare Siviglia, una città dove si respira la quintessenza dello spirito della Spagna. E quale occasione migliore della Feria de Abril, per volare nella capitale dell’ Andalusia? Fondata nell’ VIII secolo a.C., Siviglia è attraversata dal fiume Guadalquivir e abbonda di edifici, piazze, giardini e monumenti che recano le impronte dell’antica dominazione araba. In città il flamenco si balla ad ogni angolo di strada, i “bailaores” proliferano; nelle taverne le “tapas” si degustano con celeberrimi vini locali quali il Fino, la Manzanilla e lo Jerez. La movida è alle stelle, e lo splendore di opere architettoniche del calibro degli Alcazar, l’ Archivio delle Indie, la Cattedrale e la Giralda è valso loro il titolo di Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Ma che cos’è la Feria de Abril, e quando si tiene esattamente?

 

Il manifesto della Feria de Abril del 1961

Questa straordinaria settimana di festa, la più eclatante manifestazione folclorica dell’ intera Andalusia, si svolge ogni anno dopo circa 15 giorni dalla Settimana Santa. Quindi, nel pieno della Primavera: il periodo ideale per ritrovarsi tutti insieme nel “recinto ferial” (collocato tra i quartieri di Los Remedios e Tablada) e mangiare, bere Rebujito (una bevanda a base di vino Fino o Manzanilla mescolato alla gazzosa), divertirsi e ballare flamenco da mattina a sera. Quest’ anno, la Feria inizierà il 23 e terminerà il 29 Aprile. A partire dal 2017, tuttavia, i festeggiamenti cominciano il sabato sera per poi protrarsi fino alla notte del sabato successivo, quando si chiudono con uno strabiliante show di fuochi d’artificio sulle rive del Guadalquivir. Perciò l’inaugurazione vera e propria, imperdibile, si terrà sabato 22 Aprile: quella sera si potrà assistere alla cerimonia dell’ “alumbrao de la Portada”, l’accensione della spettacolare porta d’ingresso al cosiddetto Real de la Feria (lo spazio che la Feria occupa), e si svolgeranno le “cene del pescaito”, a base di pesce fritto, che vengono preparate in ogni stand. L’ inaugurazione è un momento importante, ma non è necessario indossare il classico “traje de flamenca”. Dal giorno dopo in poi, invece, via libera all’ abbigliamento tradizionale!

 

La Portada del 2013 in tutto il suo splendore

L’area adibita alla Feria, che occupa oltre 450.000 metri quadrati, è ricoperta di “albero”, un terriccio arancione simile alla sabbia proveniente da Alcalà de Guadaira, ed è solcata da 15 vie che prendono il nome da altrettanti storici toreri sivigliani. Ogni “calle” è illuminata da miriadi di “farolillos“, lampadine racchiuse in scenografiche sfere cartacee, e i 1051 stand sono denominati “casetas”, casette, perchè quel che riproduce la Feria è un’autentica città in miniatura: un microcosmo dove, per una settimana, ci si può immergere nella cultura andalusa più verace. E’ importante dire che la struttura della “portada”, la gigantesca porta d’ingresso, varia di anno in anno, ispirandosi ogni volta a un monumento o a una caratteristica del luogo. L’accensione della porta rappresenta un momento cruciale: per molti è come un Capodanno, il preludio ad istanti che traboccano di gioia e di emozioni. La Feria de Abril concentra in sé tutto il sentire di un popolo, le sue tradizioni, i segni distintivi della sua storia…Lungo le calles ci si sposta a cavallo oppure in carrozza (le distanze sono notevoli), le casette sono in gran parte private proprio per evocare l’idea di una mini-città. Solitamente, quindi, è possibile visitarle su invito, a parte le casette del Comune, quelle che rappresentano i quartieri di Siviglia e quelle dei partiti politici. I colori, gli addobbi e gli ornamenti, non c’è bisogno di dirlo, sono incredibili e riprendono cromie ed elementi tipici dell’ Andalusia. Lo stesso discorso vale per i “farolillos”, 237.000 in totale, che illuminano suggestivamente ogni calle. All’ interno delle casette predominano i fiori, affiancati a tavoli e sedie variopinte per lasciar spazio alla convivialità. Nel Real de la Feria è anche presente un immenso parco giochi chiamato Calle del Inferno. Qui si trovano attrazioni come una ruota panoramica e un centinaio di “cacharritos”, le giostre per i più piccoli.

 

 

L’aria di Aprile, a Siviglia, è mite anche di notte; veicola il fermento e l’entusiasmo al pari dell’aroma del pesce fritto e delle note di chitarra che accompagnano il flamenco. La gente è ospitale, allegra, cordialissima. Non è difficile, per i turisti, essere invitati a bere o a mangiare nelle casette: la socializzazione è uno dei punti cardine della festa. Potrete scoprire le delizie gastronomiche ed enologiche locali in un clima assolutamente unico, improvvisarvi “bailaores”, lasciarvi contagiare dall’ amore che i sivigliani nutrono per la propria cultura.

 

 

Tutto grazie alla Feria de Abril, una Feria dove è d’obbligo, per gli uomini, indossare il tradizionale “traje corto” (composto da un giacchino che termina all’ altezza della vita, pantaloni aderenti e stivali) abbinato al “cordobés”, un cappello a falda larga con calotta piatta, mentre alle donne è richiesto di sfoggiare le “faralaes”, i caratteristici abiti da flamenca ricchi di balze, colorati e tempestati di grossi pois. Questo look viene impreziosito da fiori tra i capelli, enormi orecchini a cerchio, mantillas o grandi scialli ornati di frange.

 

 

La Feria de Abril nacque come fiera del bestiame nel 1847. Ad organizzarla furono il catalano Narciso Bonaplata e il basco José Maria Ybarra. La prima edizione si svolse il 18 Aprile nel Prado di San Sebastiàn con il benestare della Regina Isabella II. Nel 1848, la Feria aveva già cambiato volto: a contribuire alla metamorfosi fu la presenza delle casette del Comune di Siviglia, del Casinò cittadino e del Duca e la Duchessa di Montpensier. L’evento esplose nel pieno degli “anni ruggenti”, gli anni ’20 del ‘900, e da allora il suo successo fu costantemente in ascesa. Basti pensare che oggi, ogni giorno, vanta 500.000 visitatori! Se avete intenzione di viaggiare a Siviglia in occasione della Feria de Abril, non mancate di ammirare le innumerevoli meraviglie cittadine: la Cattedrale con la torre campanaria della Giralda, appartenente a un’antica moschea, la stupefacente Plaza de Espana, solcata da un canale che è possibile percorrere in barca, l’Alcazar, fortezza reale araba dall’architettura sbalorditiva e corredata di splendidi giardini interni, la Torre del Oro, una torre di sorveglianza duecentesca edificata sulle rive del Guadalquivir, i suggestivi quartieri moreschi con le loro viuzze strette e le numerose piazzette…In questo caso, vi consiglio il Barrio de Santa Cruz. Ho citato solo alcune delle principali attrazioni situate nella capitale andalusa. Lascio a voi il compito di scoprire Siviglia a poco a poco, compresi gli angoli meno battuti dai turisti: l’ intera città è intrisa di un fascino tale da mozzare il fiato.

 

 

Foto della Feria de Abril, dall’ alto verso il basso:

Manifesto Feria de Abril 1961 di Halloween HJB, CC0, via Wikimedia Commons. Portada del 2013 di Agustín Macías, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons. Gruppo di donne in abito flamenco fotografate di spalle di Sevilla Congress & Convention Bureau, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons. Donne in abito flamenco davanti a casetta con strisce bianche e rosse di Tom Raftery via Flickr CC BY-NC-SA 2.0. Panorama della Feria serale dall’alto di Zifra Ra, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons. Gruppo di donne in abito flamenco con fiori tra i capelli di Sevilla Congress & Convention Bureau from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette in pieno giorno con farolillos via Joaquin O.C. from Flickr CC BY-NC 2.0. Casetta con strisce bianche e rosse di Radio Sevilla  di Frobles, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons. Carrozza via Julie Raccuglia from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette fila a sinistra con farolillos di Sandra Vallaure, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons. Feria de Abril di notte panorama con Portada di Sevilla Congress & Convention Bureau from Flickr CC BY-SA 2.0. Casette sullo sfondo a destra con donne in abito flamenco e farolillos di EdTarwinski, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons. Tutte le altre foto via Piqsels, Unsplash, Pixabay e Pexels.

 

Nel cielo color di rose

 

” Quando risuonarono le sette alla cattedrale, c’era una stella sola e limpida nel cielo color di rose, un battello lanciò un addio sconsolato, e sentii in gola il nodo gordiano di tutti gli amori che avrebbero potuto essere e non erano stati. Non sopportai oltre. Presi il telefono col cuore in gola, composi i quattro numeri molto lentamente per non sbagliarmi, e al terzo squillo riconobbi la voce. “

Gabriel Garcìa Màrquez, da “Memoria delle mie puttane tristi”