Fillus de anima

 

“Fillus de anima. E’ così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai. Quando la vecchia si era fermata sotto la pianta del limone a parlare con sua madre Anna Teresa Listru, Maria aveva sei anni ed era l’errore dopo tre cose giuste. Le sue sorelle erano già signorine e lei giocava da sola per terra a fare una torta di fango impastata di formiche vive, con la cura di una piccola donna. Muovevano le zampe rossastre nell’impasto, morendo lente sotto i decori di fiori di campo e lo zucchero di sabbia. Nel sole violento di luglio il dolce le cresceva in mano, bello come lo sono a volte le cose cattive. Quando la bambina sollevò la testa dal fango, vide accanto a sé Tzia Bonaria Urrai in controluce che sorrideva con le mani appoggiate sul ventre magro, sazia di qualcosa che le aveva appena dato Anna Teresa Listru. Cosa fosse con esattezza, Maria lo capì solo poco tempo dopo. Andò via con Tzia Bonaria quel giorno stesso, tenendo la torta di fango in una mano, e nell’altra una sporta piena di uova fresche e prezzemolo, miserabile viatico di ringraziamento. Maria sorridendo intuiva che da qualche parte avrebbe dovuto esserci un motivo per piangere, ma non riuscì a farselo venire in mente. Si perse anche i ricordi della faccia di sua madre mentre lei si allontanava, quasi se la fosse scordata già da tempo, nel momento misterioso in cui le figlie bambine decidono da sole cosa è meglio impastare dentro il fango delle torte. Per anni ricordò invece il cielo caldo e i piedi di Tzia Bonaria nei sandali, uno che usciva e uno che si nascondeva sotto l’orlo della gonna nera, in un ballo muto di cui a fatica le gambe seguivano il ritmo.”

Michela Murgia, da “Accabadora” (Giulio Einaudi Editore)

 

 

Buon Ferragosto

 

“Nessuna vacanza è così stranamente gremita di questa che spopola le città, più chiassosa di questa che rende silenzioso il Tritone a mezzogiorno. Non è una festa, è un incantesimo, una malìa, una fattura. Irretisce le folle, ispira programmi insensati, o immerge in una torva e diffidente sonnolenza.”

(Giorgio Manganelli, da “Improvvisi per macchina da scrivere”)

 

Picnic di Ferragosto. Ma anche barbecue, grigliata, pranzo all’aria aperta…L’importante è festeggiare in mezzo alla natura. Celebrare questa ricorrenza, metà sacra (coincide con l’Assunzione in cielo della Vergine Maria) e metà profana (iniziano il relax, le vacanze tanto agognate), è celebrare l’apogeo dell’estate. Fateci caso: dopo Ferragosto le giornate si accorciano, l’entusiamo comincia a sfumare…alla fine del mese mancano solo due settimane. Non è un caso che il 15 Agosto, per molti, sia uno spartiacque tra il fulgore estivo e i preludi settembrini. Ma oggi non pensiamoci: cogliamo l’attimo, godiamoci questa giornata con il suo sole, il suo caos, i suoi eccessi, la sua afa. Dopotutto, l’estate è folle e spensierata per natura!

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

10 Agosto, notte di San Lorenzo: la magia delle stelle cadenti tra astronomia e leggenda

 

A volte, di notte, dormivo con gli occhi aperti sotto un cielo gocciolante di stelle. Vivevo, allora.
(Albert Camus)

 

Avete già pensato ai desideri da esprimere stasera? Il grande momento è arrivato. 10 Agosto, notte di San Lorenzo: la notte delle stelle cadenti, uno degli appuntamenti più magici dell’estate. Quest’ anno potremo ammirare lo sciame delle meteore Perseidi tra il 10 e il 14 Agosto, anche se si prevede un picco tra il 12 e il 13 dalle ore 22 in poi. Pare che quella notte pioveranno dal cielo oltre 50 Perseidi l’ora! Conviene pensare immediatamente a una location per osservarle al meglio, e per calarsi appieno nella meraviglia di uno spettacolo cosmico che si rinnova di anno in anno. L’orario segnalato dagli esperti va dalle 22 alle 4 del mattino: in quel lasso di tempo, le stelle cadenti raggiungeranno l’apice della visibilità. L’evento si preannuncia persino più straordinario del solito. La pioggia di Perseidi incrocierà infatti lo sciame di altre meteore, le Delta Acquaridi, che vagano nel cielo già dal 12 Luglio. Ci aspettano, insomma, notti sfavillanti di stelle cadenti, un’autentica gioia per gli occhi e per lo spirito. Ma cosa sono le Perseidi, dette appunto “stelle cadenti” o anche “lacrime di San Lorenzo” in virtù di un’antica leggenda?  Lo scopriremo subito.

 

 

Bisogna innanzitutto partire dal fenomeno delle comete, corpi celesti composti di ghiaccio, polvere e gas che orbitano intorno al Sole seguendo interminabili percorsi. La cometa Swift-Tuttle è una di queste: nel tragitto che compie ogni 133 anni intorno al Sole, arriva a raggiungere la minima distanza (detta Perielio) dall’ astro infuocato. Ciò fa sì che il calore riversato dal Sole sulla sua superficie provochi il disgelo del ghiaccio di cui la cometa è composta. I detriti originati dallo scioglimento, di conseguenza, vanno ad allinearsi sulla sua orbita formando un’infinita scia. Quando il nostro pianeta la attraversa (un evento annuale che si verifica dal 17 Luglio al 24 Agosto), l’impatto dei detriti con l’atmosfera terrestre dà vita a uno spettacolo mozzafiato: i detriti, che viaggiano alla velocità lampo di 200.000 km/h, si frantumano in scie infuocate risplendenti nella notte. Queste meteore, le Perseidi, sfrecciano nel cielo l’una dopo l’altra, e si infittiscono in modo direttamente proporzionale al numero dei detriti con cui la Terra viene a contatto. Se i detriti sono abbondanti, si avrà una vera e propria pioggia di meteore. Ma attenzione: esiste anche la possibilità di osservare la discesa dei bolidi, lunghe scie incandescenti che solcano il cielo con suggestiva lentezza.

 

 

E’ davvero meraviglioso che il cosmo continui a offrirci dei simili spettacoli: in un mondo sempre più avaro di bellezza, la natura rimane l’unica vera dispensatrice di tale dono. Dove ammirare, quindi, la magia delle stelle cadenti? In primis, è essenziale individuare un’ampia “porzione” di cielo buio e non invaso da alcun tipo di luce artificiale. No ai lampioni, all’illuminazione metropolitana, alle insegne al neon. L’ideale sarebbe spostarsi in aperta campagna, in montagna, davanti al mare, oppure – dovendo rimanere in città – in un grande parco. Dopo aver individuato la location, bisogna attendere una ventina di minuti affinchè gli occhi si abituino all’oscurità; in questo modo, le stelle cadenti saranno perfettamente visibili. E’ essenziale, poi, munirsi di pazienza e abbandonarsi a un completo relax: potrebbe passare un buon lasso di tempo tra la discesa di un gruppo di meteore e quello successivo. Per individuare l’esatto punto da cui “piovono” le Perseidi, basta volgere lo sguardo a Nord-Est. Tale punto (detto Radiante) è identificabile nella Costellazione di Perseo, ben nitida nel cielo a partire da mezzanotte. La si può rintracciare proprio sotto la Costellazione di Cassiopea, contraddistinta dalla forma di una “W”.

 

 

Al di là dell’ aspetto scientifico, il fascino delle stelle cadenti è sempre stato alimentato da una nota leggenda: il fatto che appaiano il 10 Agosto, data del martirio di San Lorenzo, non è casuale. Nel 258, l’imperatore Valeriano emanò un editto che decretava la condanna a morte di tutti i vescovi, i diaconi e i presbiteri. San Lorenzo, allora Arcidiacono della Chiesa di Roma, subì uno dei supplizi più terribili: quello dei carboni ardenti. Alcune testimonianze dell’ epoca riportano che fu martirizzato su una graticola, uno strumento messo successivamente in dubbio ma rimasto, a tutt’oggi, a simboleggiare il Santo. La leggenda vuole che le Perseidi, con il loro sciame infuocato, rappresentino l’ emblema dei carboni ardenti o le lacrime versate dal cielo per il martirio di San Lorenzo: Giovanni Pascoli avvalorò questa tesi nei versi di una sua celebre poesia, “X Agosto”, che pubblicò nel 1896.

(Immagini via Pixabay )

 

Il cancello del tempo

 

“Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c’è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo.  Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l’impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell’ orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l’una sull’altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. Chiudono a un certo punto alle nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa tempo a tornare. Ma Giovanni Drogo in quel momento dormiva ignaro e sorrideva nel sonno come fanno i bambini. “

Dino Buzzati, da “Il deserto dei Tartari” (Rizzoli)

 

 

(Foto: Dmitriy Zub via Pexels)

 

Un sorso di estate

 

” La marea gialla – essenza di un mese bellissimo – veniva versata nella macina e usciva dal becco di sotto per essere travasata nei recipienti di terracotta, fatta fermentare e racchiusa nelle bottiglie lavate per l’occasione. Poi veniva sistemata in file ordinate, dorate, negli scaffali bui della cantina. Vino di dente di leone. Parole che significavano estate. Il vino era l’estate catturata e messa in bottiglia. E adesso che Douglas sapeva di essere veramente vivo, e si muoveva fra le cose del mondo per vederle e toccarle tutte, pareva appropriato che un po’ di quella nuova coscienza, di quel giorno di vendemmia così speciale venisse conservato e tappato in cantina, per essere aperto magari in gennaio, durante una nevicata, quando il sole fosse dimenticato da settimane oppure mesi, e il miracolo della coscienza avesse bisogno di una rinfrescatina. Dato che quella sarebbe stata un’estate di inattese meraviglie, Douglas voleva conservarne e imbottigliarne il più possibile, in modo che gli bastasse scendere nel buio della cantina, in punta di piedi, e allungare la mano. E là, fila su fila, col delicato splendore dei fiori che sbocciano di primo mattino, con la luce di giugno che brilla sotto uno strato di polvere, avrebbe ritrovato il vino del dente di leone. Guardalo attraverso quel vino il giorno di inverno e la neve si scioglierà sull’erba e gli alberi saranno ripopolati di uccelli, e foglie e fiori si apriranno di nuovo come un continente di farfalle che volano nel vento. Guardaci attraverso e il cielo, da plumbeo, diventerà azzurro. Tieni l’estate in una mano, versala in un bicchiere (…); cambia stagione, nelle tue vene, portandoti un bicchiere alle labbra e mandando giù un sorso di estate. “

Ray Bradbury, da “L’estate incantata”

 

 

Estate

 

Ardono i seminati,
scricchiola il grano,
insetti azzurri cercano ombra,
toccano il fresco.
E a sera
salgono mille stelle fresche
verso il cielo cupo.
Son lucciole vagabonde.
crepita senza bruciare
la notte dell’estate.

(Pablo Neruda)

 

 

La notte di San Giovanni

 

“Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull’orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s’avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po’ obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava strisce di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d’asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali ed amuleti. D’altronde Olì pensava che anche non segnando i cespugli che voleva cogliere, nessuno glieli avrebbe toccati: i campi intorno alla cantoniera dove ella viveva col padre ed i fratellini, erano completamente deserti. Solo in lontananza una casa campestre in rovina emergeva da un campo di grano, come uno scoglio in un lago verde. Nella campagna intorno moriva la selvaggia primavera sarda: si sfogliavano i fiori dell’asfodelo e i grappoli d’oro della ginestra; le rose impallidivano nelle macchie, l’erba ingialliva, un caldo odore di fieno profumava l’aria grave. La via lattea e l’ultimo splendore dell’ orizzonte, fasciato da una striscia verdastra e rosea che pareva il mare lontano, rendevano la notte chiara come un crepuscolo. Vicino al fiume, la cui acqua scarsissima rifletteva le stelle e il cielo violaceo, Olì trovò due dei suoi fratellini che cercavano grilli. (…) Olì andò oltre: oltre l’alveo del fiume, oltre il sentiero, oltre le macchie di olivastro: qua e là si curvava e legava con un nastro le cime di qualche cespuglio, poi si rizzava e scrutava la notte con lo sguardo acuto dei suoi occhi felini. “

Grazia Deledda, da “Cenere”

 

 

21 Giugno, Solstizio d’Estate

 

Solstizio d’estate.
Giornate che non finiscono mai,
interrotte per poche ore dalla notte,
e gli occhi spalancati per lo stupore di tanta luce.
(Fabrizio Caramagna)

 

Buon Solstizio d’Estate! Oggi, alle 16.58, la bella stagione entrerà ufficialmente. In quegli istanti il Sole raggiungerà il punto più alto del suo moto apparente lungo l’eclittica. E’ il giorno più lungo dell’ anno, le ore di luce prevalgono e il buio arretra. Nel Circolo Polare Artico il Sole non tramonta mai. Ma da domani in poi, le giornate cominceranno ad accorciarsi impercettibilmente: un ciclo perenne che va avanti dagli albori del Mondo, direttamente connesso con il ciclo della natura. Derivante dal latino “Solstitium”, un connubio tra “sol” (sole) e “sistere” (fermarsi), il Solstizio d’Estate inneggia al trionfo della potenza solare. I riti che lo celebrano sono affascinanti e remotissimi. I falò rappresentano uno dei più famosi: secondo la tradizione, simboleggiano ed esaltano il vigore del Sole. E poi purificano, allontanano le entità malvagie, scongiurano i malanni; tutte doti non casuali, se pensiamo che la notte del Solstizio il velo che separa il mondo visibile da quello invisibile si squarcia e viene attraversato anche da spiriti malefici. Le erbe acquisiscono virtù portentose, quelle aromatiche si bruciano nei falò ed altre piante, come il vischio, il sambuco, il seme di felce, la verbena, l’artemisia, regalano poteri soprannaturali o auspicano prosperità e fortuna. Fiori quali la calendula e l’iperico (detta anche “erba di San Giovanni”), invece, hanno il privilegio di concetrare in sè tutta l’energia solare. Ma anche la luna riveste una grande importanza, nei festeggiamenti solstiziali: collegata all’ elemento dell’acqua, è simboleggiata dalla rinomata “guazza di San Giovanni”. A questa rugiada vengono attribuiti dei poteri magici, tra cui quello di propiziare la fertilità femminile. Un antico rituale prevedeva che, nottetempo, le giovani donne si rotolassero nude tra l’ erba bagnata per favorire il concepimento. Per i popoli Pagani il Solstizio d’Estate era Litha (il nome della dea sassone del grano), la festa di Mezza Estate. Cielo e Terra si univano in un mistico connubio; al trionfo della luce del Sole, il visibile, facevano da contrappeso le invisibili potenze notturne sancendo un’armonia quasi cosmica, un decisivo equilibrio. Se volete approfondire l’argomento, cliccate qui. E non dimenticate di celebrare con gioia, e in tutti i modi possibili, il giorno più lungo dell’anno.

 

 

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Le Frasi

 

” Mare al mattino, cielo senza nubi
d’un viola splendido, riva gialla; tutto
grande e bello, fulgido nella luce.
Mi fermerò qui.”
(Costantino Kavafis)

 

 

Un abito bianco, il cielo di Giugno, la natura

 

“Il bianco è un mondo così alto rispetto a noi che quasi non ne avvertiamo il suono, è un nulla prima dell’origine.”
(Vassili Kandinsky)

 

Un abito bianco, le sfumature incredibili del cielo di Giugno, i colori straordinari della natura nei giorni che precedono il Solstizio d’Estate. Il bianco sprigiona luminosità, risalta in qualsiasi scenario, fa tabula rasa del passato e simbolizza la rinascita associata alla bella stagione. E’ questo il tema della photostory che oggi vi propongo. Il bianco come un foglio tutto da riempire, per voltar pagina ed iniziare a scrivere un nuovo capitolo.

 

(Foto via Pexels e Unsplash)