Drip cake: la torta sgocciolante ad alto tasso di golosità

 

Nella classifica delle torte di compleanno più gettonate occupa il secondo posto: la drip cake, letteralmente “torta gocciolante”, rimane uno dei dolci preferiti per festeggiare eventi e date importanti. Il suo nome deriva dalle gocce di ganache (spesso a base di cioccolato fondente) che le colano lungo i bordi, rendendola ancora più invitante e golosa. Altre caratteristiche? E’ una punta di diamante del cake design: coloratissima, decorata con un tripudio di macarons, biscotti, cioccolatini, zuccherini e meringhe posizionati in cima, offre infiniti spunti creativi e permette di spaziare in quanto al gusto. Nasce nel Regno Unito, dove riveste il ruolo di dolce tradizionale soprattutto nel Galles, nello Yorkshire e nel Gloucestershire. Ma quali sono i requisiti fondamentali di una drip cake?

 

 

Innanzitutto l’altezza. Una drip cake, infatti, deve facilitare la colata della ganache lungo i suoi lati. E poi, la morbidezza: più soffice è, meglio è, dato che così alta potrebbe non reggere dopo essere stata imbevuta di liquore a bassa gradazione alcolica. La chiffon cake e il pan di spagna, ad esempio, hanno una consistenza perfetta per questo tipo di torta. E si prestano ad essere farciti con la crema pasticcera o chantilly. Per quanto riguarda la stoccatura, che sia impeccabile è un must. I suoi segni particolari? La compattezza, la levigatezza, l’uniformità. Senza dimenticare una dote non da poco: la squisitezza. Solitamente vengono utilizzate la ganache (un delizioso mix di cioccolata, burro e panna fresca), la panna, la crema al burro, spalmate sulla torta a partire dai bordi e subito dopo sulla cima. Affinchè la stoccatura diventi compatta e si indurisca, il dolce va conservato in frigo per qualche ora.

 

 

Creare l’effetto “sgocciolato” rappresenta lo step più importante. La ganache può essere realizzata con molteplici ingredienti. Il cioccolato fondente è il più diffuso, ma utilizzando il cioccolato bianco è possibile tingerla di svariati colori: basta munirsi di un colorante alimentare e il gioco è fatto! Alcuni la preparano anche con il liquore, con i frutti di bosco…Ciò che conta è che sia golosa e, possibilmente, variopinta. La sgocciolatura va fatta con un cucchiaio, prestando attenzione a distanziare in modo omogeneo le colature. Una volta che anche la parte superiore della torta è ricoperta di ganache, il dolce viene fatto raffreddare e successivamente si orna con un nutrito gruppo di decorazioni.

 

 

A questo punto, ci si può decisamente sbizzarrire: via libera (come accennavo a inizio articolo) a biscotti di ogni tipo, cioccolatini, marshmallows, macarons, meringhe, coni gelato rovesciati, frutti di bosco, mini bignè, barrette di cioccolato, zuccherini, mandorle tritate e via dicendo. Il risultato finale dev’essere tassativamente scenografico, di forte impatto e il più goloso possibile.

 

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I bignè di San Giuseppe, il dolce tipico delle Marche per la Festa del Papà

 

Il 19 Marzo, a San Giuseppe, ogni regione d’Italia ha un proprio dolce tradizionale da proporre. Nella mia, le Marche, si usa preparare i bignè di San Giuseppe, comunemente detti “migné”. Di che si tratta? Innanzitutto, di una golosità unica: sono bignè farciti di deliziosa crema pasticcera, cosparsi di zucchero a velo oppure alchermes. Li ritroviamo anche in altre regioni dell’ Italia centrale, ad esempio il Lazio, dove generalmente vengono fritti e riempiti di crema chantilly; una variante della farcitura (ma non in quella zona) può essere costituita dalla ricotta. I bignè di San Giuseppe sono soprattutto noti come dolce per la Festa del Papà di Roma. Nella capitale, in effetti, il 19 Marzo era una ricorrenza molto sentita, soprattutto intorno al 1500: la Confraternita dei Falegnami soleva organizzare svariate celebrazioni in onore del padre putativo di Gesù, concentrandole nella Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano. Proprio in questa chiesa, costruita sopra il Carcere Mamertino nel 1546, la Confraternita era solita riunirsi durante l’anno.

 

 

Ma che c’entra San Giuseppe con i bignè? Tutto, a quanto pare, nacque con la fuga della Sacra Famiglia in Egitto. In quel periodo, Giuseppe avrebbe lavorato come friggitore itinerante per provvedere ai bisogni della moglie e del figlio. Non è un caso che il 19 Marzo, a Roma, si festeggiasse in un travolgente connubio di sacro e profano, tra miriadi di bancarelle di dolci fritti e funzioni liturgiche che celebravano la solennità dedicata al falegname di Nazareth. Tornando nelle Marche e al dolce tipico della mia regione, va detto che siamo soliti cuocere in forno gli squisiti “mignè”.

 

 

Per prepararli, è necessario procurarsi un bicchiere pieno d’acqua, 100 g di strutto,  quattro uova, una quantità di farina corrispondente a 300 g, e poi dello zucchero, l’alchermes, un po’ di sale e dell’ ottima crema pasticcera.  L’acqua va portata a ebollizione in una pentola insieme allo strutto, dopodichè l’impasto viene mescolato insieme alla farina per dieci minuti circa. Dopo averlo lasciato raffreddare si aggiungono le uova, che erano state sbattute precedentemente. A questo punto è possibile dar forma ai bignè, modellando tante piccole sfere che verranno riposte in una teglia imburrata. I dolcetti dovranno cuocere in forno per mezz’ora a 180°; appena sfornati, si lasceranno raffreddare e la crema pasticcera potrà essere inserita in dosi massicce attraverso un’apertura praticata nella parte superiore dei dolcetti. Per concludere, l’apertura andrà richiusa e si potrà procedere a cospargere i bignè di zucchero a velo (o di alchermes).

 

 

La torta di mele: origini e varianti nel mondo di un dolce senza tempo

 

La torta di mele è un dolce senza tempo, una delizia consumata principalmente nei mesi freddi. Non ha bisogno di presentazioni.  In Italia la prepariamo includendo dei pezzi di mela a un impasto contenente uova, lievito, burro, olio d’oliva, farina, latte, una buccia grattugiata di limone e un po’ di sale; a volte aggiungiamo delle noci, la cannella e qualche uvetta. Nel caso in cui le mele rappresentino solo una guarnizione, la torta viene definita “crostata” senza nulla da invidiarle in quanto a golosità. Ma come si prepara la torta di mele negli altri paesi del mondo e soprattutto, dove nasce questa intramontabile ricetta? Lo scopriremo subito.

 

 

In Inghilterra

E’ qui che è stata rinvenuta la ricetta di torta di mele più antica del mondo: risale nientemeno che al 1381, quando Geoffrey Chaucer (il padre della letteratura inglese) era ancora vivo e vegeto. L’ “apple pie” inglese era ricoperta di pasta e includeva ingredienti, oltre alle mele, come le pere, i fichi, il ricino, le spezie e lo zafferano per la colorazione del dolce. Oggi, nel Regno Unito è in auge una versione doppiamente golosa della torta: è possibile servirla con il gelato, la panna montata e la crema pasticcera. Generalmente assume la forma di una ciambella spruzzata di zucchero a velo con il buco ripieno di mele a cubetti, oppure somiglia a una crostata.

 

 

In Francia

Ideata dalle sorelle Stéphanie e Caroline Tatin nella seconda metà dell’800, la tarte Tatin è una torta di mele tipicamente francese. Pare che una delle sorelle Tatin, che gestivano un ristorante a Lamotte-Beuvron (nei Paesi della Loira), fece caramellare le mele in burro e zucchero per errore e così le ricoprì con l’impasto prima di capovolgere la torta in un piatto. Il risultato fu un dolce “capovolto” tuttora molto in voga: il suo carattere distintivo sono, appunto, le mele caramellate a parte precedentemente alla cottura.

 

 

In Olanda

La torta di mele nasce nel Medioevo. Le ricette più antiche evidenziano l’utilizzo di numerose spezie: le principali erano costituite dal cardamomo, la noce moscata, i chiodi di garofano, la cannella, lo zenzero. Solitamente, la torta presentava un foro centrale dove venivano inserite le mele. Ai nostri giorni, in Olanda esistono due varianti di torte di mele: una decisamente soffice, l’altra più simile alla crostata. La cannella, il succo di limone, lo zucchero e la pasta di mandorle sono gli ingredienti maggiormente usati per insaporire il dolce, che viene servito con del gelato alla vaniglia; la torta di mele olandese, infatti, può essere degustata calda ma anche fredda.

 

 

Negli Stati Uniti

La torta di mele, oggi un emblema dell’ americanità, tra il 1600 e il 1700 era il dolce “d’importazione” più comune: gli immigrati svedesi, inglesi e olandesi lo preparavano abitualmente nelle rispettive colonie.  All’inizio, essendo la varietà di mele diffusa in America eccessivamente aspra, questo frutto veniva utilizzato sotto forma di sidro. Tempo dopo, tra innesti e meli d’importazione, le varietà cominciarono a moltiplicarsi permettendo la creazione di svariate versioni del famoso dolce. Nel 1700, non a caso, le ricette delle torte di mele “made in USA” erano già numerosissime. Il primo paese in cui la torta divenne celebre fu il Delaware; la possibilità di poter consumare il dessert in ogni stagione dell’ anno costituiva il suo principale punto di forza. Un secolo dopo, a partire dal 1800 e per tutto il 1900, la torta di mele si tramutò in una vera e propria icona, l’incarnazione del benessere a stelle e strisce. Veniva arricchita, e viene tuttora, di ingredienti quali il succo di limone, la noce moscata, la cannella, e servita con il gelato o il cheddar, un tipico formaggio anglosassone dalla consistenza dura e dal colore che spazia dal giallo all’arancio: nel New England, la torta di mele con il cheddar è diventata una specialità nazionale.

 

 

In Svezia

La ricetta si discosta molto da quella della torta di mele classica: nell’ impasto sono inclusi ingredienti come l’avena o pane grattugiato in abbondanza. Il sapore viene esaltato dalla cannella e per servirla si utilizzano il gelato o la crema pasticcera. Esiste poi una variante, la äppelkaka, dalla pasta estremamente soffice che somiglia al pan di Spagna. Insaporita con pasta di mandorle, noci, limone, vaniglia, cardamomo, cannella e pane grattugiato, si accompagna alla panna montata o alla crema alla vaniglia: può essere considerata una versione nordica (ma non meno golosa) dello storico dolce.

 

 

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La colazione di oggi: bomboloni alla crema all’alba, nel baretto sulla spiaggia

 

Lasciamo da parte, per una volta, proprietà e benefici: la prima colazione di oggi non è particolarmente salutare per l’organismo, ma lo è per il palato e per il morale. Dopotutto, a Ferragosto è cosa buona e giusta fare un’ eccezione! E quale eccezione più ghiotta del bombolone? Colazione vacanziera per eccellenza, rimanda a notti di divertimento totale che culminano nella classica abbuffata di krapfen sulla spiaggia al sorgere del sole. In pochi, credo in pochissimi, riescono a resistere all’ appeal dei bomboloni. Pensate di affondare i denti nella loro pasta soffice, gonfiata a dovere, e subito dopo di immergerli in un delizioso ripieno di crema…Chiamatela coccola o gratificazione, ma per celebrare l’ apogeo dell’ estate il bombolone è l’ideale. Anche la location dove solitamente si consuma, trasuda fascino. Perchè il baretto sulla spiaggia è uno dei luoghi “fronte mare” che VALIUM adora e a cui sta lasciando sempre più spazio. Attraversare la notte senza chiuder occhio per godere della magia estiva è un’ esperienza che merita di essere conclusa con una colazione del genere. Significa estasiarsi davanti all’ alba assaporando un alimento dalla dolcezza smisurata, mai scontata e sempre invitante.

 

 

Descriverlo è superfluo: il bombolone è un dolce fritto tondeggiante e soffice, ricoperto di zucchero a velo e ripieno (almeno in Italia) di crema pasticcera. Gli ingredienti utilizzati per prepararlo sono il latte intero, l’uovo, i torli d’uovo, la farina di grano tenero, lo zucchero granulare, lo zucchero a velo, il lievito di birra, il burro, lo strutto e una buccia di limone grattugiata. Per inserire il ripieno, dopo la cottura, ci si serve di una siringa o di una tasca da pasticcere. Il risultato finale? Una vera e propria bomba di energia e golosità.

 

 

Come ho già accennato, il bombolone non è il top a livello nutrizionale. E’ energetico e contiene molti nutrienti, certo, ma i grassi saturi e il colesterolo di cui è ricco, le uova e i carboidrati presenti nella crema pasticcera, il saccarosio in dosi massicce e il procedimento di frittura innalzano moltissimo i suoi valori calorici. Evitatelo se soffrite di colesterolemia, diabete, patologie del metabolismo o siete in sovrappeso. Per il resto, via libera all’ ingordigia sfrenata, con la consapevolezza che possiamo concederci uno sfizio una tantum senza troppi sensi di colpa. In particolare a Ferragosto.

 

 

Siamo arrivati, come di consueto, alle curiosità e ai cenni storici. Il bombolone nasce in Austria con il nome di “krapfen”. Il Congresso di Vienna del 1815 è alle porte quando la pasticcera  Cäcilie Krapf decide di commercializzare un nuovo dolce: la forma che richiama una frittella fa sì che venga battezzato “krafo” (“frittella” in tedesco antico), ma a tutt’oggi non è chiaro se il termine “krapfen” derivi da quest’ ultimo o dal cognome della sua inventrice. A Vienna, in occasione del Congresso, il krapfen riscuote un successo enorme: ne vengono divorati oltre dieci milioni. Al tempo stesso, in Austria diventa un must della pasticceria carnascialesca; dire “krapfen” equivale a dire “dolce tipico del Carnevale“. Eppure, pare che le sue reali origini risalgano a tempi molto più remoti. Gli antichi romani lo chiamano “Globuli” e lo guarniscono con miele e semi di papavero. Il Globuli trionfa durante i baccanali, quando viene festeggiato l’ Equinozio di Primavera. Nel 150 a.C. già furoreggia e si guadagna la nomea di dolce afrodisiaco. Se a Roma è legato ai dissoluti riti dionisiaci, secoli dopo, a Vienna, il krapfen rimanda a situazioni più romantiche. Agli inizi del ‘900 una tradizione contempla che si chieda la mano di una donna invitandola a condividere uno di questi tondeggianti dolci. Se accetta, il suo gesto ha la valenza di un fidanzamento ufficiale. Ma chi rinuncerebbe mai, d’altronde, alla delizia di un bombolone ripieno?