La versatilità culinaria della zucca, frutto-emblema della spooky season

 

La zucca è il frutto-emblema della spooky season. E non solo sotto forma di Jack-o’-lantern! La ritroviamo protagonista anche in cucina, declinata in piatti gustosi e saporitissimi. L’anno scorso abbiamo dedicato la nostra attenzione ai dolci (rileggi qui l’articolo), stavolta punteremo i riflettori sulle pietanze salate. Che non sono poche, perchè è un frutto estremamente versatile: può essere gustata al forno, in padella, fritta, ma è possibile anche consumarla cruda o utilizzarla per la preparazione di zuppe, vellutate e puré deliziosi. La zucca, inoltre, è ricca di proprietà benefiche per il nostro organismo: contiene sali minerali, vitamine, favorisce la digestione ed è rinomata per le sue virtù depurative, che la portano ad espellere sia i liquidi che le tossine. In più, il che non guasta, svolge una potente azione antiossidante. In Italia esistono molteplici varietà di zucca, dalle forme e dai sapori più disparati: la zucca Mantovana, Americana (o Zucca Tonda Padana), Berrettina Piacentina, Delica, Trombetta d’Albenga; e poi, ancora, la zucca Lunga di Napoli, di Castellazzo Bormida…La Butternut è una delle varianti più particolari: ha la polpa di un arancio vibrante e una buccia beige sottilissima, liscia e molto facile da pelare. Viene detta anche Violina, perchè tagliata a metà prende la forma di un violino. La sua consistenza soffice fa sì che sia perfetta per le vellutate e i minestroni. La zucca è un vero e proprio passepartout con cui è possibile realizzare antipasti, primi e secondi piatti, contorni; si abbina mirabilmente ai funghi, ai formaggi, alla polenta, al pesce. Per esaltare il suo sapore, l’ideale è unirla alla frutta secca o alle spezie (soprattutto la cannella, lo zenzero e la noce moscata). In rete troverete innumerevoli ricette a base di questo frutto delle Cucurbitaceae: prendete nota per realizzare dei golosissimi piatti autunnali.

 

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Il luogo: Gotland, il fascino nordico dell’isola vichinga delle rose

 

Abbiamo già esplorato le isole del Mediterraneo (rileggi qui l’articolo), adesso è tempo di ritornare nel Grande Nord. Precisamente a Gotland, un’isola situata nel mar Baltico, al largo delle coste svedesi sud-orientali: appartenente alla Svezia, dista quaranta minuti di aereo da Stoccolma ed è ricca di storia, cultura, bellezze architettoniche e naturali. Le sue origini antichissime (risalgono al 5000 a.C.) sono circondate da affascinanti leggende; una di queste descrive Gotland come una terra che, generata dal mar Baltico, torna negli abissi ogni sera al tramonto. L’alone mitico che la ammanta si intreccia a doppio filo con la storia dell’isola, che vede protagoniste svariate popolazioni vichinghe: Gotland fu abitata dai Gotlandi, dai Geati e dai Goti, che poi si spinsero a Sud abbandonando la Scandinavia. L’isola ebbe un ruolo molto importante nel commercio tra il Nord Europa e l’Oriente. La sua posizione strategica sul mar Baltico, infatti, la fece entrare di diritto nella Lega Anseatica, che dal 1358 al 1862 detenne il predominio commerciale nell’ Europa Settentrionale e nel mare collocato tra la penisola scandinava e il continente. Non è un caso che il Medioevo, epoca in cui si costituì la storica alleanza, sia uno dei periodi che ha lasciato maggiori tracce architettoniche sull’isola: ne è un esempio Visby, la capitale di Gotland, circondata da imponenti mura fortificate e decretata Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ma lasciando da parte il passato, che cosa rappresenta Gotland oggi? Alcuni la chiamano la “Capri del Nord”: le sue spiagge, le scogliere rocciose della sua costa, gli splendidi paesaggi e gli edifici di design, un connubio di stile tipicamente hygge e pura raffinatezza, la rendono oltremodo speciale. Ma Gotland non è solo questo. E’un’isola verdeggiante, ricca di reperti archeologici, e, su tutto, la patria di un’ottima cucina. Viene considerata, non senza una ragione, la capitale culinaria della Svezia.

 

 

Un altro dei suoi punti di forza è il clima mite. Qui, le rose fioriscono anche in Inverno: un particolare che è valso a Gotland l’appellativo di “isola delle rose”. La secolare isola vichinga appartiene a un arcipelago che comprende isolette come Fårö (dove il regista Ingmar Bergman visse e ambientò molti suoi capolavori),  Karlsö e Gotska Sandön. Vantando una superficie di 2994 km quadri, Gotland è la più grande isola svedese situata nel mar Baltico e la seconda isola, in quanto a estensione, dopo la danese Selandia. Abitata da circa 60.000 persone in tutto, l'”isola delle rose” è rimasta splendidamente selvaggia: alberi in via di estinzione come gli abeti rossi e l’antichissima specie equina dei Pony Gotland, che risale all’Età della Pietra, sopravvivono ancora nelle sue lande incontaminate.

 

 

Dal momento che ha radici così remote nel tempo, ospita numerosi resti archeologici che spaziano dal Paleolitico all’Età del Bronzo, dall’Era dei Vichinghi al Medioevo. Cosa visitare, dunque, in questa suggestiva località del mar Baltico? Non si può che iniziare con il capoluogo, Visby, raggiungibile dalla Svezia (partendo da Oskarshamn) in circa tre ore di traghetto. Visby è una città medievale fortificata che, come vi ho già detto, venne inclusa nella Lega Anseatica: la sua appartenenza a quell’importante alleanza commerciale è compresa tra il XII e il XIV secolo. Nel 1995, omaggiando la sua pittoresca bellezza, l’Unesco ha dichiarato Visby Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il centro storico è percorso da un intrico di viuzze fiancheggiate da case in colori pastello e dai tetti a punta; risaltano le guglie della cattedrale, le chiese e gli edifici sorti all’epoca dei Vichinghi, le torri che intramezzano le mura. Potete visitare la città in tutta calma, a piedi, o decidere – in puro stile nordico – di effettuare i vostri spostamenti in bicicletta.

 

 

Un giro turistico non può prescindere dalle mura della città. Innalzate tra il XIII e il XIV secolo, sono lunghe 3,44 km e completamente edificate in pietra calcarea. Le intervallano trenta torri che oltrepassano i venti metri di altezza; torri ammantate, peraltro, di una potente aura di leggenda: in una di esse, la Torre della Fanciulla, si narra che fu murata viva la figlia di un orefice innamoratasi del re danese Valdemar Atterdag; ciò fu considerato un tradimento nei confronti della città; nella feritoia di un’altra torre, la Sankt Goransporten, è rimasta incastrata una pietra risalente alla guerra civile duecentesca. Dopo la costruzione delle mura, Vilby fu suddivisa in due aree ben distinte. All’interno delle fortificazioni si trovavano gli artigiani e i mercanti, che potevano commerciare con l’estero, all’esterno i pescatori e gli agricoltori, abilitati solamente al commercio interno. Alcuni spazi delle mura, oggi, sono stati adibiti a punti panoramici da cui ammirare lo splendore di Vilby e dei suoi dintorni.

 

 

Il Gotlands Museum è un altro must see: una vera meraviglia per tutti gli appassionati della civiltà vichinga. La fondazione della struttura risale al 1875. Al suo interno, il Museo ospita permanentemente reperti archeologici compresi in un arco di tempo che va dall’Età della Pietra all’Era dei Vichinghi. Accanto ad essi spiccano fossili rinvenuti nel mar Baltico, pietre runiche, e nella sezione dedicata ai secoli più recenti la ricostruzione di una fattoria settecentesca fa bella mostra di sè. Nel Museo viene anche custodito il tesoro vichingo più vasto del mondo: una ricchissima collezione di manufatti e monete in argento e bronzo.

 

 

La Cattedrale è famosa per le sue guglie, un dettaglio inconfondibile e iconico che simboleggia la città di Visby. Destinata ai mercanti tedeschi della Lega Anseatica, la chiesa fu inaugurata nel 1190. Nel 1125 venne dedicata a due tipologie di fedeli, gli abitanti di Gotland e i forestieri; a officiare la messa erano ministri di culto differenti. Nel 1500 le fu conferito lo status di Cattedrale. Questa maestosa chiesa medievale, che nel tempo ha conosciuto molte modifiche, viene tuttora utilizzata. Gli stili predominanti nella sua architettura sono il romanico e il gotico. A Visby esiste circa una decina di ulteriori chiese medievali, ma di esse rimangono solo le rovine. Le più rappresentative sono quelle delle chiese di San Nicola, San Clemente e Santa Caterina.

 

 

Nel Botaniska Tradgarden, il giardino botanico, è possibile effettuare una full immersion nella natura. Sorto nel 1855, si trova nei paraggi del mare; lo contraddistingue un vero e proprio tripudio di verde, piante e fiori esotici, prati tenuti in modo impeccabile. All’interno del giardino sono situate le suggestive rovine della chiesa di Sankt Olof.

 

 

Se siete appassionati del senso del mistero e della cultura ancestrale di quest’isola svedese, non mancate di visitare i suoi labirinti. Si trovano nei pressi della città di Vilby, e nella riserva naturale di Galberget è collocato il più celebre. I labirinti, denominati Trojaborg, sono stati costruiti in tempi remotissimi formando linee quasi circoncentriche con una serie di massi e pietre posati sulla terra. Ma a cosa servivano questi labirinti di sassi? Lo scopo era quello di farvi rimanere intrappolate la sfortuna e le entità malvagie. La maggior parte dei Trojaborg risale al Medioevo, e un buon numero di essi venne realizzato in prossimità delle aree costiere: i pescatori avevano l’abitudine di entrare in un labirinto poco prima di salpare, per propiziarsi una pesca fruttuosa e le migliori condizioni di navigazione; appena finivano di percorrerlo, correvano in tutta fretta sulla loro barca affinchè i troll, le entità malvagie e la malasorte rimanessero imprigionati nel labirinto. Il Trojaborg della riserva naturale di Galberget è stato scoperto nel 1740 e si pensa che sia stato realizzato nel Tardo Medioevo.

 

 

Accanto ai labirinti, a Gotland troviamo anche le navi di pietra, monumenti funerari tipicamente scandinavi dell’Età del Bronzo. All’interno di questi spazi composti da pietre conficcate nel terreno che riproducono la forma di una nave, si seppellivano i notabili della comunità. La forma del monumento serviva a garantire una buona traversata verso l’altra dimensione. Sull’isola, potrete ammirare le navi di pietra nei dintorni di Gnisvärd: una quarantina di case, tradizionali e coloratissime, abitate dai pescatori. Gnisvärd, villaggio estremamente suggestivo, è diventato celebre anche per la prosperosa pesca di aringhe.

 

 

Spostandoci verso la costa, incontriamo un altro tipo di roccia: i raukar, formazioni calcaree dalle forme alquanto bizzarre. Sull’isola di Fårö, di cui vi ho già accennato, si trovano le più spettacolari. Somigliano a colossi di pietra, e la leggenda vuole che il loro sguardo sia costantemente rivolto a Thor, figlio di Odino, divinità norrena del tuono e del fulmine. Fårö conta solo cinquecento abitanti, ma possiede un fascino unico: è selvaggia, incontaminata, vanta un mare cristallino, spiagge con dune di sabbia e un’esplosione di verde rigoglioso. Qui vivono le tipiche pecore di Gotland, che sfoggiano un riccioluto pelo grigio, e i rami degli alberi sembrano torcersi con il vento. Non è un caso che questa sorprendente isoletta sia stata scelta da Ingmar Bergman come location di molti suoi film: ricordiamo ad esempio “Persona” (1966), “L’ora del lupo” (1968) e il famosissimo “Scene da un matrimonio” (1973). Innamorato di Fårö, Bergman decise di viverci fino alla sua morte. Sull’ isola, in suo onore, è sorto il Bergman Center. La struttura include un cinema, una biblioteca interamente incentrata su Ingmar Bergman, e al regista svedese vengono dedicate mostre che celebrano il suo rapporto con Fårö. Esiste anche la possibilità di svolgere dei workshop creativi.

 

 

Tornando a Gotland, vale la pena di fare una visita a Villa Villacolle: è la casa dove venne ambientato il celebre telefilm “Pippi Calzelunghe”, ispirato al personaggio creato negli anni ’40 dalla scrittrice svedese Astrid Lindgren. Villa Villacolle si trova a una manciata di chilometri da Visby, precisamente all’interno del Kneippbyn Resort, un parco dei divertimenti per bambini che comprende un campeggio, un parco acquatico, piscine, scivoli d’acqua e giochi vari. C’è anche la possibilità di praticare windsurf, dato che il mare è a pochi passi dal Resort. Pippi Calzelunghe, in questo luogo, viene omaggiata con numerose e costanti pièce teatrali.

 

 

Veniamo ora a una delle eccellenze di Gotland: la buona cucina. Gotland straripa di ristoranti e bistrot, e nel 2013 è stata addirittura nominata Capitale Culinaria della Svezia. Il clima temperato dell’isola, infatti, rende il suolo particolarmente fertile. Proliferano la verdura, la frutta, le mele in particolare: il maggior produttore di sidro di tutta la Svezia, Halfvede Musteri, non a caso si trova proprio a Gotland. Ma soprattutto, Gotland è un autentico paradiso dei tartufi. Tutti gli anni ne vengono raccolti tra i sette e gli otto quintali, e pare che a Stoccolma siano richiestissimi. Sull’isola sono presenti anche diversi vigneti, e si produce il vino più a nord del mondo. Ma anche la birra non scherza: Gotland vanta la maggior densità di birrifici per abitanti di tutta l’Europa. E siccome in Svezia le bevande contenenti alcol in una percentuale maggiore al 3,5% sono proibite, un birrificio ha lanciato la Sleepy Bulldog, birra analcolica dal gusto squisito. Se adorate i dolci non perdetevi la saffranspannkaka, una torta-pancake allo zafferano tipica dell’isola: viene servita con panna montata e marmellata di more, ed è a dir poco irresistibile.

 

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Foto del Trojaborg di Arkland, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto della nave di pietra di Jürgen Howaldt, CC BY-SA 2.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/de/deed.en>, da Wikimedia Commons

Foto della Saffranspannkaka di Toyah, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Castagne e marroni: quali differenze?

 

 

Castagne e marroni sono lo stesso frutto? La risposta è no, ma bisogna conoscerli bene per cogliere loro differenze. Vi ricordo innanzitutto che VALIUM ha già parlato approfonditamente della castagna: potete cliccare qui per rileggere l’articolo. Proseguo poi col dirvi che, nel 1939, venne addirittura emesso un regio decreto per sancire la diversità tra castagne e marroni. Le distinzioni riguardano principalmente l’origine, l’involucro, la forma e le dimensioni, ma anche il gusto. Scopritele tutte leggendo qui di seguito.

L’ORIGINE

La castagna proviene da un albero selvatico, il castagno (Castanea sativa è il suo nome botanico), che cresce spontaneamente nelle aree montane e submontane. I ceti indigenti del Medioevo, impossibilitati a sfamarsi, si cibavano dei suoi frutti ricchi di nutrienti e lo ribattezzarono “albero del pane”. La pianta del marrone, invece, è una pianta coltivata ottenuta tramite incroci e innesti.

L’INVOLUCRO

Il riccio delle castagne, o “cupola”, può racchiudere fino a sette frutti, quello del marrone non ne contiene più di tre.

 

 

IL PERICARPO, OVVERO LA BUCCIA

Il pericarpo della castagna è liscio, duro, di color marrone scuro. I marroni hanno la buccia di una tonalità più chiara, un marrone che vira al rossiccio e presenta delle venature beige.

L’EPISPERMA, OVVERO LA PELLICOLA

E’ la sottile pellicina che avvolge il seme, separando buccia e frutto. Le castagne possiedono un episperma spesso, che aderisce fortemente al frutto e in molti casi penetra nella sua polpa: per questi motivi non è raro che rimuoverlo sia un’operazione complicata. L’ episperma dei marroni è vellutato e compatto, perciò spellarli risulta molto più semplice.

 

 

L’ILO, OVVERO LA BASE DEL FRUTTO

Anche detta Cicatrice Ilare, è la parte più chiara delle castagne e dei marroni, quella posizionata alla loro base. Le dimensioni sono variabili, la superficie esibisce una serie di raggi a forma di stella, residui di peluria e granuli puntiformi. Le castagne hanno un ilo tondeggiante, i marroni vagamente rettangolare.

LA FORMA

La castagna, costretta a convivere con molti altri esemplari all’interno del riccio, esibisce una caratteristica parte piatta, come schiacciata. Il marrone ha una forma più tonda, non di rado paragonata a un cuore: ciò è particolarmente evidente nei marron glacés.

 

 

LE DIMENSIONI

La castagna, racchiusa nel riccio in numerosi esemplari, si presenta più piccola rispetto al marrone. Quest’ultimo è facilmente distinguibile per le sue grandi dimensioni.

IL SAPORE

Quello dei marroni è più dolce, più “croccante” e profumato. Ciò non toglie che anche la castagna abbia un gusto gradevole, tuttavia risulta meno intenso. Entrambe ricche di proprietà nutrizionali, queste due eccellenze italiane sono molto utilizzate in cucina. Ma mentre le castagne si degustano principalmente arrosto, per insaporire piatti tradizionali come le zuppe e gli arrosti o sotto forma di farine per prodotti da forno, i marroni proliferano in pasticceria: con essi si preparano i marron glacés, per fare un esempio, e moltissimi altri dolci. Anche la cucina tipica si avvale di frequente dei marroni e delle castagne, basti pensare a ricette quali il castagnaccio, le frittelle e la polenta. Le due tipologie del frutto trovano inoltre un vasto impiego nella preparazione di creme e deliziose marmellate.

 

 

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Il girasole e le sue leggende

 

Botanicamente è l’Helianthus Annuus, un nome che fonde i termini greci “helios”, ovvero “sole”, e “anthos”, “fiore”. Ma anche la sua denominazione più nota, “girasole”, cita l’astro infuocato. Ciò perchè, in base ai principi dell’ eliotropismo, ha una corolla sempre orientata verso il sole. In realtà, ciò avviene quando è ancora nello stadio di bocciolo; dopo la fioritura punta laddove il sole sorge, ovvero ad est. Il girasole si associa al sole persino nell’aspetto: la forma tonda e i petali gialli disposti a raggiera fanno subito pensare alla stella più vicina alla Terra. Qualche mese dopo la semina, fissata tra Marzo e Aprile, i campi si tramutano in spettacolari distese color oro che ispirano gioia e buonumore. La particolarità che cattura immediatamente l’attenzione è l’imponenza dei girasoli: il loro stelo può raggiungere i due metri di altezza. La tonalità vibrante e la bellezza unica li annoverano tra i più richiesti fiori ornamentali, mentre i semi, ricchi di nutrienti, sono molto utilizzati in cucina.

 

 

Ma quali sono le origini del girasole? L’ Helianthus Annuus nasce nell’ America Meridionale, precisamente in Perù. Gli Incas lo coltivavano già nel 1000 a.C., e identificavano in questo fiore il loro dio del Sole: l’essere rivolto costantemente verso l’astro era un indizio del dialogo che intratteneva con lui. Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro, che conquistò l’Impero Inca e fondò in seguito la città di Lima, fu il primo a scoprire la valenza divina assunta dal girasole  presso gli Incas. In Europa il fiore approdò nel XVI secolo, sia sotto forma di semi che delle innumerevoli riproduzioni in oro che la popolazione andina era solita dedicargli.

 

 

Gli antichi popoli, in generale, consideravano il girasole un emblema di immortalità. L’identificazione con il dio Sole, e quindi con la vita, era presente in un gran numero di culture, favorita anche dal fatto che questo fiore offriva semi commestibili e olio in abbondanza. Esistono leggende molto suggestive, sul girasole; la più celebre lo ricollega alla mitologia greca: Clizia, una giovane ninfa, era perdutamente innamorata di Apollo, il dio del Sole. Non poteva fare a meno di tenere gli occhi incollati al cielo, ogni volta che passava con il suo carro. Apollo, lusingato da tanta attenzione, riuscì a sedurla, ma poco tempo dopo la abbandonò. Clizia, disperata, pianse per nove giorni di seguito in un campo, fissando continuamente il sole. Secondo la leggenda, il suo corpo si immobilizzò fino a diventare uno stelo; i piedi presero le sembianze di radici, i capelli formarono una corolla di petali color giallo brillante: si era tramutata in un girasole, e ammirava il sole da mattina a sera. La leggenda è citata ne “Le metamorfosi” di Ovidio, ma non essendo il girasole ancora sbarcato dall’ America si pensa che possa riferirsi all’ eliotropio.

 

 

Un’ altra leggenda narra di un fiore molto solitario e malinconico. Aveva un aspetto particolare; non era considerato bello e tutti, nel campo in cui sorgeva, evitavano di stargli accanto. Così, il fiore passava le giornate ad ammirare il sole. Lo adorava a tal punto che il suo stelo, a furia di guardarlo, era cresciuto in altezza. Il fiore seguiva il percorso del sole con la sua corolla, e il sole non potè fare a meno di notarlo. Un giorno, incuriosito, l’astro chiese al fiore come mai era sempre solo e costui gli raccontò la sua triste storia. Il sole rimase molto impressionato da quel racconto e decise di aiutarlo: lo confortò e lo trasformò in un fiore alto, splendido e completamente tinto di giallo. Adesso era il fiore più bello di tutto il campo, e prese il nome di Girasole in onore della sua amicizia con l’astro.

 

 

 

Gli odori del Natale

 

” Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato un’altra volta, siano di nuovo reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero “IO”, che talvolta sembrava morto, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto. “

(Marcel Proust)

Già oltre un secolo orsono, Proust parlava di potenza evocativa degli odori. Senza entrare in dettagli scientifici, conosciamo ormai bene la valenza che ricoprono i cinque sensi nel far riaffiorare ricordi e sensazioni: l’olfatto gioca un ruolo chiave. Alcuni studi hanno dimostrato che profumi e odori stimolano il riemergere delle memorie che custodiamo da maggior tempo “coordinandole”, inoltre, con ulteriori memorie associate ai sensi. Prendete ad esempio il Natale. E’ un periodo magico che ognuno di noi collega a svariati odori, indimenticabili proprio perchè legati a giorni (e notti) tanto speciali. Vagando per i mercatini natalizi, il profumo “ricco” e corposo del croccante, dello zucchero filato elargito in soffici nuvole agli avventori costituiscono – o meglio costituivano, prima dell’era del Covid – degli indelebili imprinting olfattivi. E come non pensare al Natale della nostra infanzia? Quando gli abeti non erano ancora stati soppiantati dagli alberi sintetici, i loro aghi emanavano un profumo di bosco inconfondibile. Immaginate poi il fuoco che ardeva nel camino: quelle fiamme e le scintille che sprigionavano rappresentavano uno spettacolo per gli occhi, mentre danzavano nel vano del focolare. L’ odore della legna che brucia è quasi indissolubilmente connesso alle festività natalizie, quando aspettavamo con ansia l’arrivo di Babbo Natale e giocavamo a tombola con i genitori e i parenti riunitisi per l’ occasione. Altri profumi memorabili provengono dalla cucina. Alcuni esempi? L’ aroma avvolgente, dolciastro e intenso della cannella, quello aspro delle arance e dei mandarini di stagione o, ancora, quello invitante dello zucchero a velo, delle uvette dei panettoni. Il Natale, insomma, rimanda ad un archivio olfattivo ricco di sentori. Grazie ad essi riviviamo gli attimi più belli, spensierati e felici di feste che, da bambini, attendevamo per un anno intero (con la vana speranza di cogliere in flagrante Babbo Natale o la Befana mentre si introducevano nei nostri camini). I profumi più evocativi delle mie festività rimangono quello dell’ abete – che i miei acquistavano ogni anno al Vivaio Forestale e sceglievano di un’ altezza che sfiorava quasi il soffitto – e quello del focolare acceso: entrambi, emblemi di momenti vissuti all’ insegna di un calore familiare straordinario e irripetibile. Quali sono, invece, i vostri odori del Natale?