Le streghe d’Italia, regione per regione: alla scoperta di una figura chiave del nostro folklore

 

C’è un’apertura tra i due mondi: il mondo degli stregoni e quello degli uomini viventi. C’è un luogo dove i due mondi si incontrano: l’apertura è lì. Si apre e si chiude come una porta al vento…

(Carlo Castellaneta)

Halloween, come ben saprete, viene anche detta “La notte delle streghe”. Ma chi era, realmente, la strega? Basta citare l’origine di questo nome per percepire l’alone sinistro che ha sempre circondato la sua figura: “strega” deriva dal latino “strix”, ovvero “strige”, un rapace notturno appartenente alla specie degli strigiformi; nella Roma antica si diceva che attirasse la sfortuna e che si nutrisse degli esseri umani e del loro sangue. Con il passar del tempo, su tali suggestioni si forgiò l’immagine della strega così come la conosciamo ora: una vecchia orripilante, perfida e dotata di poteri magici che la rendono in grado di compiere le più crudeli nefandezze. Rappresentata spesso a cavallo di una scopa, la strega poteva assumere innumerevoli sembianze; durante il Medioevo, quando il Cristianesimo si diffuse in tutta Europa, la si considerava un’adoratrice del demonio; da ciò prese vita il fenomeno di isteria di massa della “caccia alle streghe”, iniziata nel 1480. Per approfondire le caratteristiche di questo personaggio del folklore, rileggete qui l’articolo che le ho dedicato. Oggi, invece, parleremo di come viene vista la strega, regione per regione, nella cultura popolare e nella tradizione magica italiana.

 

 

La figura della strega nelle regioni italiane

Cominciamo dal PIEMONTE e dalla VALLE D’AOSTA, dove la strega e lo stregone sono conosciuti, rispettivamente, con il nome di Masca e Mascone. Si pensa che questi termini abbiano origine dal longobardo, che chiamava “maska” l’anima dei defunti, oppure da “mascar”, che in provenzale significava “borbottare”: la strega borbotta incantesimi o maledizioni indifferentemente. La condizione di Masca si eredita dai propri antenati. E insieme ai poteri soprannaturali si riceve in eredità il Grimorio, un libro magico che impazzò tra il tardo Medioevo e il Settecento: le sue pagine contengono calcoli astrologici, formule per gli incantesimi e le evocazioni, ricette per realizzare pozioni (non sempre curative), vademecum per la preparazione dei talismani. E’ stata rinvenuta una matrice celtica, nell’origine delle Masche. Le radici di queste streghe, non a caso, vengono collocate nelle aree colonizzate dai Celti in Italia.

Strie è il nome che viene assegnato alle streghe in LOMBARDIA; da qui il termine striaria per indicare la stregoneria. Alcuni studi, poi, hanno rinvenuto similitudini tra la figura di Arlecchino e quella del dio Pan, il cui culto, nel XIX secolo, venne equiparato dai cristiani a quello per il demonio. Pare infatti che i costumi e il tipico volto imbrattato dei sacerdoti pagani durante i rituali in onore di Pan fossero stati d’ispirazione nella creazione della celebre maschera bergamasca. Anche il Badalisc, personaggio mitologico della Val Camonica, viene storicamente accostato a Pan: le piccole corna issate sulla testa di legno, i capelli di pelo di capra, gli occhi di fuoco e la bocca smisurata evidenziano una certa somiglianza con la divinità greca della vita agreste. Badalisc, inoltre, dimora nei boschi proprio come Pan.

Le Anguane, streghe del TRENTINO, sono spiriti dell’acqua molto avvenenti. Il loro nome deriverebbe da “Adganae”, un termine che designava le matrone celtiche, e la leggenda vuole che si celebrino molti matrimoni tra le Anguane e gli umani. Non si tratta di streghe temibili: ad esse vengono fatte offerte per ingraziarsi i loro favori, oppure si omaggiano tramite rituali in cui abbondano i falò e pietanze di ogni tipo.

 

 

Le streghe del VENETO, chiamate Bele Butèle, non di rado vengono presentate come fate o ninfe dell’acqua. Le loro dimore sono le cavità calcaree dei Colli Berici o altre insenature di montagna. Appaiono nottetempo, quando in cielo splende la luna piena, e si dileguano allo spuntar dell’alba. Sono estremamente astute, delle abili ingannatrici: si presentano come donne attraenti in modo da imbrogliare chi prendono di mira, ma in realtà hanno un aspetto orribile. Esibiscono orecchie lunghissime, zampe di capra al posto delle gambe, braccia come quelle di una scimmia. Incontrarle è certamente un pericolo per chiunque. A Belluno, poi, esiste la “stria della diassa”, la “strega del ghiaccio”. Si dice che abbia il potere di far esplodere bufere e tempeste, ma nessuno sa come sia fatta.

Le Bagiue, o Bazure, sono le streghe della LIGURIA. Secondo le credenze popolari, si danno appuntamento nelle notti tra il mercoledì e il giovedì e tra il venerdì e il sabato per organizzare i loro convegni esoterici, che raggiungono munite di scope a cui agganciano delle candele.

Scendendo verso il centro-sud, giungiamo in ABRUZZO. La festa di San Domenico di Sora Abate, celebrata a Cocullo i primi di Maggio, contiene molti indizi che si rifanno ad antichissime divinità locali. Una ventina di serpenti viene avvolta attorno alla statua di San Domenico, portata in processione mentre la accompagna il suono della banda del paese. La devozione a San Domenico di Sora Abate, sancita dalla cosiddetta “festa dei serpari”, sarebbe una versione cristianizzata del culto di Angizia (il cui nome deriva da “angius”, “serpente” in latino), dea dei Marsi: questo antico popolo si era stanziato nei pressi del lago Fucino nel I millennio a.C. Angizia, divinità associata al culto dei serpenti, veniva considerata una maga, una sorta di strega che utilizzava sapientemente le piante medicinali ed era in grado di curare i morsi di serpente. Essendo dotata di poteri soprannaturali, governava le leggi della natura e si serviva dei veleni per scopi terapeutici; inoltre, riusciva a uccidere i serpenti con un semplice tocco.

 

 

La Janara è una nota strega della CAMPANIA. Originaria di Benevento, la figura della Janara è molto diffusa anche a Napoli e in diverse zone della regione. Secondo le leggende è nata la notte di Natale, sotto il chiarore della luna piena, oppure si è consacrata alla magia in quella stessa notte. La Janara è una strega ambivalente: da un lato viene rappresentata come una solerte guaritrice, dall’altro provoca dolore, inquietudine e malasorte. In particolare, la Janara ha il potere di minare irrimediabilmente la fertilità. Il popolo la considera un’adoratrice del demonio, e per tenerla a debita distanza si serve di stratagemmi ben precisi: davanti al proprio portone versa un pugno di sale, in alternativa mette una scopa capovolta. La strega, impegnata a contare i granelli del sale o le setole della scopa, rimarrà sulla soglia per la notte intera e all’alba, con l’arrivo della luce del sole, dovrà fuggire suo malgrado. Se la Janara è riuscita a entrare in casa, invece, la si deve cacciare prendendola per i capelli. Il nome Janara potrebbe derivare da “Dianara”, un termine che designava le seguaci della dea Diana (molto numerose localmente) ai tempi della Roma antica.

Le Magàre CALABRESI sono esperte conoscitrici delle arti magiche. Guariscono attraverso le erbe e i rimedi naturali, tolgono il malocchio, realizzano filtri d’amore. Ma con la stessa facilità con cui liberano il prossimo dalle iettature, sono in grado di eseguire sortilegi potentissimi. A San Fili, in provincia di Cosenza, è stata istituita una “Notte delle Magàre” che le fa rivivere ogni estate: ci si maschera da streghe in un tripudio di spettacoli e degustazioni.

 

 

Le streghe della PUGLIA si suddividono in due versioni, che occasionalmente si sovrappongono l’una all’altra: ci sono le Stiare, malvagie e dannosissime, capaci di provocare persino la morte. Di notte diventano gatti e si riuniscono  sotto un noce per divertirsi e stare in compagnia. Le Masciare hanno gli stessi poteri, ma sono più benefiche: guariscono servendosi delle erbe, aiutano il prossimo, tolgono il malocchio e le fatture. Però non è una regola, quindi bisogna stare attenti. La facoltà di trasformarsi in gatti  è valso loro il soprannome di Gatte Masciare. In Puglia, anche al ballo della pizzica sono sempre stati attribuiti accenti quasi soprannaturali. Chi veniva morso dalla tarantola, se voleva guarire doveva danzare; pare che tutto ciò derivi da antichi riti dionisiaci, che con l’avvento del Cristianesimo furono opportunamente modificati: San Paolo sostituì Dioniso e divenne il Santo protettore dei tarantati.

Arrivando in SICILIA, troviamo le Animulari: sono streghe che hanno come unico fine il male. Si ritrovano di notte con un intento comune, danneggiare il prossimo. Amano nascondersi in buchi e cavità come quelli dei camini e delle serrature, ed è possibile scorgerle mentre vagano per la casa quando cala il buio; le riconoscerete, perchè portano un arcolaio sempre con sè. Leggenda vuole che siano state loro a generare il diavolo, vendendogli l’anima per ottenere i poteri soprannaturali.

 

 

Concludiamo con le streghe vampire della SARDEGNA, chiamate Cogas. Affamate di sangue umano, sono anche note con il nome di Surtoras o Surbiles; provengono da Villacidro, un comune della Sardegna del Sud. E’ difficile accorgersi di loro, poichè hanno la facoltà di tramutarsi in animali o di diventare del tutto invisibili, ma possono essere smascherate grazie alla minuscola coda che sfoggiano o alla croce pelosa che decora la loro schiena. Per una Cogas, la condizione di strega è impressa nel DNA: si diventa Cogas, infatti, se quando si nasce si è la settima di sei sorelle nate precedentemente.

 

Il noce di Benevento: l’albero delle streghe tra leggenda, realtà e superstizione

 

Attorno al noce, l’albero che i Romani consacrarono a Giove (il nome botanico della pianta, Juglans regia, deriva da “Jovis glans”, in latino “la ghianda di Giove”), sono sorte innumerevoli leggende. Cominciamo col dire che, anticamente, alle noci si attribuivano delle portentose virtù curative: venivano considerate afrodisiache per la loro somiglianza con le gonadi dell’uomo, e benefiche per le emicranie in quanto la parte interna del frutto ricorda la forma di un cervello. L’albero della noce, tuttavia, nel corso dei secoli non si guadagnò lo stesso tipo di reputazione. Le sue radici contengono juglandina, una sostanza potentemente tossica che provoca il deperimento di tutte le specie vegetali sorte nelle vicinanze: ecco perchè il noce è una pianta così solitaria, raramente immersa nel fitto verde. Il Juglans regia, inoltre, veniva definito “maledetto” poichè con il suo legno era stata costruita la croce su cui venne crocifisso Gesù Cristo. La nomea negativa del noce era alla base di molte credenze, in particolare nell’ ambito della cultura agreste. Si pensava che addormentarsi sotto un noce avrebbe portato a soffrire delle forti emicranie, o che se le radici del noce si fossero sviluppate sotto una stalla avrebbero fatto soccombere il bestiame. Ma questa reputazione “maledetta” deriva soprattutto dal noce di Benevento e dalla sua associazione con le streghe, dal momento che si diceva che proprio ai piedi di quell’albero celebrassero il loro sabba.

 

Illustrazione tratta da “Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894” di Enrico Isernia, Benevento, Stabilimento Tipografico A. D’Alessandro e Figlio, 1895.

Le leggende riguardo al noce di Benevento presero vita in epoche remotissime, ma si consolidarono nel 1200. Prima di recarsi al sabba, le streghe si sfregavano il petto con un unguento e pronunciavano una formula magica; dopodichè, si libravano in volo a cavallo di una scopa. Grazie all’ unguento diventavano invisibili, puro spirito che fluttuava nel vento, tant’è che adoravano volare nella tempesta. L’ appuntamento era fissato per tutte sotto il noce di Benevento, dove si riuniva una moltitudine di streghe provenienti dalle località più disparate. Lì, durante il sabba, praticavano riti magici e blasfemi, danzavano, si lanciavano in orge sfrenate con i demoni e gli spiriti infernali…il tutto alla presenza del Demonio che sfoggiava le sembianze di un caprone. A Benevento le streghe venivano chiamate “janare”: prima della Seconda Guerra Mondiale, quando fu bombardato, esisteva un ponte dal quale si diceva che spiccassero il volo.

 

“Il grande caprone”, Francisco Goya (1795)

Una volta terminato il sabba, le streghe si dedicavano ai malefici e ad azioni terribili nei confronti degli abitanti del luogo. Si introducevano nelle case attraverso la fessura del portone, il che non era difficile data la loro consistenza incorporea, e infastidivano le famiglie addormentate: le sferzavano con una raffica di vento, oppure le opprimevano provocando un senso di soffocamento scaturito da una forte pressione sul petto. Ma non si limitavano certo a questo: le streghe erano in grado di far abortire le partorienti con un semplice incantesimo, storpiavano i neonati infliggendo loro un insopportabile dolore e a volte li rapivano per lanciarseli l’un l’altra sopra le fiamme del fuoco. Si diceva anche che, quando si intrufolavano nelle stalle, riempivano di trecce la criniera dei cavalli e che li riconsegnassero provatissimi dopo averli cavalcati per l’intera notte. Secondo antiche superstizioni, per tenere le streghe a distanza bisognava mettere una scopa e una ciotola di sale dietro la porta principale della propria casa: la strega non sarebbe potuta entrare senza aver contato, prima, tutte le setole della scopa e tutti i granelli di sale, ma a quel punto la luce del giorno l’avrebbe obbligata a fuggire.

 

“Départ pour le Sabbat”, cartolina di Albert Joseph Pénot (1910)

Ma dove si trovava, esattamente, il noce di Benevento? A dire di alcuni, nei paraggi del fiume Sabato (Sabatus in latino), da lì l’associazione con il sabba. Questa ubicazione fu detta Ripa delle Janare, però esistono molte altre ipotesi sulla collocazione dell’albero. Considero più importante sapere da dove ha preso vita la leggenda del noce delle streghe: nel VII secolo, Benevento era la città principale di un ducato longobardo, e il popolo germanico usava praticare dei raccapriccianti rituali pagani. All’epoca, sotto la reggenza del duca Romualdo I, i longobardi erano soliti onorare Odino con un rito piuttosto inquietante: il luogo in cui si svolgeva, guarda caso, si trovava proprio accanto al fiume Sabato. Dopo aver appeso la pelle di un caprone al ramo di un noce, i longobardi galoppavano sfrenatamente intorno all’albero tentando di strappare lembi della pelle con le loro lance. Poi, si cibavano dei brandelli come prevedeva il rituale. I cristiani di Benevento, sconvolti da quella pratica ai loro occhi barbara, cominciarono ad accostarla al sabba. Le urla dei guerrieri, la pelle di caprone, il trambusto provocato dal rito vennero associati, dai beneventani, a una riunione orgiastica organizzata dal Demonio e dalle streghe.

 

“Il noce di Benevento”, Giuseppe Pietro Bagetti (1816)

Barbato, un sacerdote di Benevento, espresse più volte la sua avversione per quella pratica pagana. Così, quando nel 663 la città fu assediata dai Bizantini, promise al duca Romualdo che gli invasori sarebbero arretrati grazie all’ intervento divino ma ad una condizione: il suo popolo avrebbe dovuto abbandonare il Paganesimo. Il duca acconsentì e, miracolosamente, i Bizantini batterono in ritirata. Secondo la leggenda, il duca Romualdo nominò Barbato vescovo di Benevento e quest’ ultimo corse subito a sradicare il famigerato noce. Nella località in cui sorgeva l’albero fece poi costruire una chiesa che chiamò Santa Maria in Voto. Nel Medioevo, tuttavia, a Benevento si ricominciò a parlare dei convegni delle janare. Due secoli dopo, queste voci vennero avvalorate da una donna accusata di stregoneria: secondo la sua testimonianza, le streghe erano solite riunirsi attorno a un noce. Lo scalpore suscitato dalla notizia fu immenso. Il Demonio aveva fatto sicuramente ricrescere l’albero che Barbato aveva abbattuto! Nel 1500, il ritrovamento di un mucchio di ossa sotto un noce riaccese i riflettori sulla vicenda. Tra le ipotesi sull’ origine della leggenda del noce di Benevento, quella relativa a Barbato (poi diventato Santo e Santo Patrono di Benevento) e ai riti dei Longobardi rimane, senza dubbio, la più accreditata. A tutt’oggi il mito del noce di Benevento continua ad affascinare, e le adunanze delle streghe hanno contribuito a creare un’aura magica su tutta la città campana e i suoi dintorni.

 

“El Alquelarre”, Leonardo Alenza y Nieto (1830-1845)

“La sorcière allant au Sabbat”, Luis Ricardo Falero (1880)

“Il Sabbath delle streghe”, Francisco Goya (1819-1823)

“La leçon avant le sabbat”, Louis-Maurice Boutet de Monvel (1880)

“Le Sabbat des sorcières”, Hans Baldung Grien (1508-1510)

 

Immagini

Foto di copertina di Моходу Хеу, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, da Wikimedia Commons

Dipinti, cartoline e incisioni Public Domain via Wikimedia Commons

 

La strega: storia di una figura arcaica e della sua evoluzione

 

“Sì, faccio parte di una strana famiglia. Dormiamo di giorno e voliamo di notte, come aquiloni neri portati dal vento.”
(Ray Bradbury, da “La strega di aprile”)

 

“Strega”, dal latino “striga” e dal greco “stryx”, ovvero uccello notturno. Nel corso dei secoli, il termine assunse l’accezione odierna: la strega era colei che utilizzava la magia e ricorreva ai propri poteri soprannaturali per danneggiare gli esseri animati, inanimati o un’ intera comunità. Si riteneva che fosse in stretti rapporti con il demonio,  e che solesse venerarlo durante raduni detti “sabba”. La figura della strega, ricorrente nel folclore popolare occidentale, ha origini secolari. Tracce che testimoniano la sua esistenza risalgono addirittura al periodo antecedente al Cristianesimo: nell’ antico Egitto, in Assiria e in Babilonia, a quell’ epoca, sono presenti pratiche e riti magici sviscerati in libri come il Codice di Hammurabi. Nella mitologia greca e in quella romana proliferano le incantatrici, che amano succhiare il sangue degli infanti e portare gli uomini alla perdizione; vengono raffigurate per metà donne e per metà animali, basti pensare alle lamiae greche originate dal mito della dea-uccello (probabilmente Lilith, divinità della Mesopotamia che nell’ ebraismo assume le sembianze di una civetta). La Bibbia parla della strega di Endor, che oggi definiremmo una medium, la Grecia antica “colloca” le sue streghe nella regione della Tessaglia. In Italia, nelle isole Eolie, la leggenda vuole che esistano donne capaci di volare nottetempo. Nel Medioevo, un periodo in cui la cultura popolare è intrisa di elementi magici e di superstizione, la strega entra a far parte dei fabliaux (racconti in versi nati in Francia), delle novelle e persino delle prediche dei sacerdoti. Tra il 1000 e il 1100, con lo sviluppo della demonologia, le “strigae” vengono accostate per la prima volta alla figura del demonio. La tipologia della “lamia”(“strega” nel latino medievale) viene ben definita, e nel 1233 Papa Gregorio IX descrive la stregoneria nella sua bolla Vox in Rama. Non molti anni dopo, precisamente nel 1250, l’ inquisitore domenicano Stefano di Borbone racconta in modo dettagliato la pratica del sabba. E’ il 1275 quando a Tolosa viene appiccato il primo rogo; sono passati diciassette anni dal primo processo per stregoneria.

 

 

Nell’ epoca compresa tra il Tardo Medioevo e il primo Rinascimento, quando la Chiesa Cattolica si scaglia contro gli eretici, inizia un’ autentica campagna persecutoria nei confronti delle streghe. Sono accusate di essere delle eretiche, di adorare il demonio e di nuocere gravemente alla società. La strega costituisce un pericolo per la comunità e va eliminata con una violenza esemplare. Dal 1450 al 1750 si diffonde il fenomeno della “caccia alle streghe”: le presunte streghe vengono catturate, torturate allo scopo di estorcere loro una confessione, mandate sotto processo e condannate al rogo. La situazione peggiora con l’uscita del “Malleus Maleficarum” nel 1486. Questo trattato, redatto dal domenicano d’Alsazia Heinrich Kramer e dal teologo svizzero Jacob Sprenger, è una sorta di opus magnum della stregoneria. La strega, i suoi strumenti e i suoi malefici vengono descritti con dovizia di particolari, passando poi a una rassegna sui più efficaci metodi di cattura e ad argomenti come il processo e la condanna. L’ oscurantismo dilaga, l’ ossessione per le streghe cresce in maniera esponenziale. In un secolo, dal 1450 fino al 1550, più di centomila donne trovano la morte sul rogo. La tipica descrizione di una strega la vede far parte di una setta, a capo della quale c’è la cosidetta “strea mastra”: costei trasmette il suo sapere alle adepte, che prima di aderire alla congrega si sottopongono a un rituale di iniziazione. Non è raro che sia Satana in persona ad iniziarle ufficialmente, di solito al noce di Benevento: lì, le streghe si riuniscono per sei mesi tre volte alla settimana. Attorno all’ albero di noce ha luogo il sabba, un susseguirsi di riti orgiastici, balli sfrenati, pratiche magiche e blasfeme organizzato alla presenza del diavolo. Per raggiungere Benevento, non c’è problema: ogni strega può volare grazie a uno speciale unguento.

 

 

Nell’ ‘800, l’archetipo della strega malefica inizia a vacillare. La “striga”, in diverse opere letterarie, si dà semplicemente a pratiche di matrice pagana: riti remotissimi (e diffusisi prevalentemente nelle campagne) finalizzati alla guarigione tramite le erbe, all’ incremento della fertilità, al contatto con gli spiriti dei defunti. Tutti intenti benefici, insomma, o perlomeno associati a buone intenzioni. Nei primi anni del XX secolo, l’ antropologa britannica Margaret Murray porta avanti una tesi che identifica la stregoneria con un’antica tradizione misterica ed equipara la strega alla figura dello sciamano. Le vecchie convinzioni vengono completamente scardinate, la natura assume un ruolo di spicco nei rituali, nasce il Neopaganesimo e, negli anni ’50 del ‘900, la Wicca (detta anche “antica religione”) fa la sua comparsa. La strega non ha nulla che fare con il diavolo, non viene più rappresentata come una megera: crede nel divino immanente, inneggia ai cicli naturali, non fa distinzione tra magia e religione. La notte di Halloween, tuttavia, è l’iconografia convenzionale della strega a trionfare; quella di una donna “brutta e cattiva”, che cavalca la scopa e viene accompagnata dal tradizionale “famiglio”, l’animale diabolico che le fa da consigliere (può essere il classico gatto nero, ma anche un rospo, un gufo o una civetta). Grazie al cielo, come tutti ben sappiamo, si tratta di un’ immagine rivisitata con estro e con una buona dose di ironia.