La colazione di oggi: il torrone, tra storia e leggenda

 

 

Il torrone è un altro cult natalizio che va tassativamente approfondito. Anche perchè pare che il suo consumo, durante le feste, raggiunga la ragguardevole proporzione del 74% rispetto agli altri dolci del periodo. Parlando di torrone, tuttavia, in molti tendono a soffermarsi solo sul suo alto contenuto calorico; ma questo alimento è anche estremamente ricco di proprietà e benefici. Innanzitutto, il torrone è una vera e propria miniera di proteine: basti pensare alle mandorle e alle uova che include tra i suoi ingredienti. Le mandorle sono dei potenti energizzanti e abbondano di minerali quali il potassio, il ferro e il magnesio. Ma non solo. Contribuiscono a diminuire i livelli del colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”) incrementando quelli degli antiossidanti, fondamentali nei contrastare i danni dei radicali liberi. La presenza dei carboidrati, degli acidi grassi essenziali e di sette amminoacidi essenziali costituisce un ulteriore punto di forza del torrone. Un gran numero di benefici si associa a tutte le versioni del dolce. Il torrone alle noci o alle nocciole, ad esempio, protegge dalle patologie cardiovascolari; il torrone al cioccolato, grazie alla massiccia presenza di polifenoli antiossidanti, svolge la stessa funzione limitando l’ ossidazione del colesterolo “cattivo”.

 

 

Va ricordato che il torrone viene preparato con uno squisito impasto di mandorle tostate, zucchero, miele e albume d’uovo; le differenti tipologie del dolce includono l’aggiunta di frutta secca come le noci, i pistacchi, le nocciole…Due, invece, sono le sue versioni classiche: il torrone bianco alle mandorle, friabile o duro, e quello alle nocciole, a base di cioccolato o cioccolato gianduia, solitamente dalla consistenza morbida. Esiste poi anche un mix dei due, il torrone bianco completamente ricoperto di cioccolato fondente. Il tasso di golosità, insomma, rimane inviariato. Non variano neppure i due strati di ostia applicati sopra e sotto il prodotto, un’ altra caratteristica di questo amatissimo dolce. Per godere appieno delle sue proprietà, l’ ideale sarebbe gustare un buon torrone artigianale: gli ingredienti naturali e l’assenza di prodotti chimici sono le sue principali virtù, un binomio che esalta le doti nutrienti dell’ alimento senza alterarne il gusto e mantenendolo salutare. Consumare il torrone a colazione è un ottimo modo per affrontare la giornata con una sferzata di energia, ma non esagerare nelle porzioni (una regola applicabile a tutti i dolci) rimane un must fondamentale. 

 

 

Ma qual è la storia del torrone? A quali leggende rimandano le sue origini? Tanto per cominciare, il nome “torrone” proviene dal latino “torrēre”, ovvero “abbrustolire”; questo verbo, com’è facilmente intuibile, si riferisce alla tostatura della frutta secca che troviamo tra i suoi ingredienti. Alcuni ipotizzano anche una derivazione dallo spagnolo “turròn”, da “turrar” che significa “arrostire”. Quel che è certo è che il torrone ha radici antichissime e che molte regioni italiane se lo contendono in qualità di “dolce tipico”. Il fatto che fosse diffuso in tutta la penisola ha dato adito alla tesi secondo cui gli antichi romani ne avessero divulgato la ricetta: in effetti, Marco Terenzio Varrone detto “Il Reatino” citò il “cuppedo” in uno dei suoi scritti  (e “cupeto” è il nome dato al torrone nella zona tra Benevento e Avellino) già nel 116 a.C.. Il letterato sosteneva che i creatori del dolce fossero i Sanniti, e che i Romani avessero appreso proprio durante le guerre sannitiche della sua esistenza; quella leccornia a base di miele, albume e semi oleosi li conquistò immediatamente. Il gastronomo Apicio, non a caso, descrisse un dolce romano chiamato “nucatum” poco tempo dopo. I suoi ingredienti? Miele, albume d’uovo e noci, una delle tipiche ricette del torrone odierno. Ma c’è chi sostiene che il torrone, in realtà, abbia radici arabe. A Baghdad e nella Spagna Islamica medievale, illustri studiosi solevano menzionare un dolce di frutta secca molto simile al torrone. Il celebre torrone siciliano potrebbe derivare da quel tipo di dolce, che senza dubbio approdò sull’ isola ai tempi del dominio arabo. Nei primi anni del 1100, Gherardo da Cremona tradusse il libro “De medicinis et cibis semplicibus” di Abenguefith Abdul Mutarrif, medico e farmacista ismaelita residente a Cordova. Nel libro si parlava del “turun”, un prelibato dessert arabo, e venivano lodate le proprietà del miele da cui era composto. In molti attribuiscono a Gherardo da Cremona il merito di aver reso celebre il torrone nell’ Italia del Nord, mentre secondo altri fu Giambonino da Cremona a scrivere per primo del dolce: quest’ ultimo era infatti descritto in due testi bagadesi che stava traducendo. Verosimilmente, però, colui che divulgò la ricetta del torrone nel settentrione fu Federico II di Svevia. L’ Imperatore aveva assimilato la cultura araba nella sua corte palermitana, e durante le lotte contro i Comuni dell’ Italia del Nord aveva stabilito il suo quartier generale a Cremona. La leggenda, invece, narra che il torrone giunse a Cremona in occasione delle nozze tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Era il 25 Ottobre del 1441, e i cuochi pensarono di omaggiare gli sposi con un delizioso dolce a base di mandorle, albume e miele che raffigurava il Torrazzo cremonese. Il dessert riscosse un successo tale da diventare una tipicità di Cremona; veniva impastato durante le feste e offerto in dono alle autorità che arrivavano in città. Testimonianze varie, tuttavia, fissano la nascita del torrone a una data anteriore al XV secolo: è quasi certo, quindi, che fu Federico II di Svevia a diffondere la ricetta. Tra i torroni più famosi d’Italia rientrano, oltre a quello di Cremona, la “cubbaita” di Caltanisetta, il torrone sardo di Tonara, il torrone prodotto tra Avellino e Benevento, il torrone tenero aquilano, il torrone di Bagnara Calabra IGP e il mandorlato di Cologna Veneta.

 

 

La colazione di oggi: la cannella, spezia dei Re e dolce aroma del grande freddo

 

Il suo aroma è inconfondibile, piccante ma dolcissimo al tempo stesso, e viene considerato tipicamente invernale. La cannella, infatti, è una delle spezie più utilizzate con l’arrivo della stagione fredda. Per assaporarne il profumo basta bruciare l’ incenso che lo emana, ma se si punta al palato…beh, non c’è che l’ imbarazzo della scelta! La cannella rende più ricco il sapore dei dolci, dei pietanze, delle bibite, persino del caffè. Da dove proviene, questa spezia dal colore tra il marrone e il giallo? La specie più pregiata, denominata Cinnamomum Zeylanicum, è originaria dello Sri Lanka. Si ricava dalla corteccia e dai ramoscelli del suo albero (appartenente alla famiglia delle Lauraceae), che vengono prelevati e privati del sughero esterno. Dopo essere stato suddiviso in parti molteplici, arrotolate su se stesse come piccole pergamene, il materiale è pronto per l’essiccatura. Il Cinnamomum Zeylanicum vanta caratteristiche che lo differenziano da tutte le altre tipologie di cannella: il suo colore ha sfumature più chiare e il suo sapore è molto più dolce. Altri segni particolari di questa varietà sono i cannelli (ovvero i rotoli cilindrici in cui viene plasmata), che raggiungono una lunghezza di 20-80 cm e un diametro di circa 10 cm, e il fatto che venga raccolta due volte l’ anno (Autunno e Primavera). La celebre spezia Srilankese possiede, poi, virtù terapeutiche da non trascurare: battericida e antisettica, si rivela ottima per combattere i malanni stagionali, le patologie delle vie respiratorie e dell’ apparato intestinale; la sua funzione disinfettante la rende efficace anche per la cicatrizzazione delle ferite. Inoltre, il consumo di cannella mantiene sotto controllo gli sbalzi glicemici con effetti benefici per tutti coloro che sono affetti dal diabete di tipo 2.

 

 

Ma l’ elenco delle proprietà non finisce qui. Innanzitutto, la cannella è un eccellente energizzante: 100 g di prodotto contengono 247 calorie, 1, 24 g di grassi, 55 g di carboidrati (circa 2 g di zuccheri inclusi), proteine e una dose di fibre quantificata in ben 53 g. Sotto l’ aspetto nutrizionale, questa spezia si avvale di un buon numero di vitamine del gruppo B,C,E e K. Può contare, in più, su un significativo apporto di sali minerali quali il potassio, il ferro, il magnesio, il calcio, il fosforo, lo zinco e il selenio. In cucina è possibile utilizzarla in polvere o declinata nelle classiche stecche. Vi accorgerete che il suo aroma si sposa alla perfezione con, per fare solo un paio di esempi, il miele e il cioccolato: è facile intuire l’ alto tasso di golosità di simili abbinamenti. Durante la prima colazione, specialmente in prossimità del Solstizio d’Inverno, è frequente assaporarla in qualità di aromatizzante di torte, crostate, creme, dolci e dolcetti tradizionali, ma anche di prelibati biscotti natalizi…Un esempio? I ghiottissimi Zimstern, stelle di cannella provenienti dalla Svizzera Tedesca. Nei mercatini di Natale nordeuropei, soprattutto in Germania e in Austria, sono un must. Anche perchè il sapore delizioso e dolciastro della cannella viene arricchito da quello di una glassa di zucchero squisita…La cannella dà vita, inoltre, a gustosi connubi con le tisane, i frullati e molti tipi di bevande, una su tutte il vin brulé. Una curiosità: sapevate che nel caffè, in Portogallo, non manca mai il classico bastoncino di cannella? E’ così che ve lo servono, nei bar. L’ utilizzo del Cinnamomum Zeylanicum, dunque, è vastissimo.

 

Gli Zimstern

A proposito di Nord Europa e di periodo natalizio: il Grog, la tipica bevanda svedese a base di rum, vino rosso e zucchero, viene immancabilmente impreziosito da 3-4 bastoncini di cannella oltre che da svariate spezie (come l’anice, i chiodi di garofano e il cardamomo).

 

 

A livello di tradizioni e di leggende, senza dubbio, la cannella ne vanta un numero pari ai suoi utilizzi. E’ una spezia dalle origini remotissime: la Bibbia la menziona nel Libro dell’ Esodo, e gli antichi Egizi, gli Arabi (che la chiamavano Kin Anomon), i Greci e i Romani ne facevano ampio uso. Nel Medioevo, le sue virtù aromatizzanti e terapeutiche erano talmente apprezzate che cominciò ad essere importata dall’ Oriente tramite un flusso ininterrotto di carovane. I sovrani occidentali la adoravano letteralmente, tant’è che venne soprannominata “la spezia dei re”. All’ inizio del XVII secolo, visto il gradimento che riscuoteva in Europa, gli olandesi implementarono una solida attività di importazione tra i Paesi Bassi e lo Sri Lanka, diffondendo la cannella in modo massiccio nel Vecchio Continente. Questa spezia fu introdotta anche in paesi come il Madagascar, la Malesia, le Antille, mentre la cannella cinese (Cinnamomum Aromaticum) ha una storia a parte: le testimonianze che ne attestano l’ uso prevalentemente terapeutico in Cina risalgono, addirittura, al 2700 a.C.  Ben presto, intorno alla cannella cominciarono a forgiarsi molte leggende. Una di queste era incentrata sulla sua sacralità: si narrava che il Cinnamomum Zeylanicum fosse una delle sostanze depositate nel nido dell’ Araba Fenice, e che da tale condizione attingesse i suoi poteri curativi.

 

 

Anche Ovidio, nelle “Metamorfosi”, cita la cannella in relazione al nido della Fenice, mentre fu nel Medioevo che si iniziò a definirla “spezia regale”. Nelle corti, di cannella si faceva un uso smisurato. Durante i banchetti era onnipresente e la si utilizzava proporzionalmente al potere degli invitati: più erano autorevoli, maggiore era la quantità che veniva loro offerta. La “spezia d’Oriente” per eccellenza divenne un vero e proprio emblema delle teste coronate, che erano soliti riceverla in dono. Il porto di Venezia, crocevia tra Oriente e Occidente, accrebbe progressivamente il suo prestigio grazie alla massiccia importazione di cannella. Tra il 1400 e il 1500, con l’ apertura della “rotta delle spezie”, da Lisbona partivano regolarmente navi che giungevano in Indonesia per procurarsi chiodi di garofano, cannella, pepe e noce moscata. In Europa avevano un valore enorme, giacchè all’ uso culinario di queste spezie veniva affiancato quello terapeutico. La rotta, nel 1600, passò sotto il controllo dell’ Olanda che divenne il principale importatore di spezie. Per concludere, una curiosità. Pare che Nostradamus, nel Rinascimento, esaltasse il cruciale ruolo della cannella nel prodigioso filtro d’amore che aveva creato: a suo dire, bastava berne un sorso per far capitolare la persona concupita!

 

La colazione di oggi: la zucca, supremo emblema di Halloween

 

 

Halloween è dietro l’ angolo: manca solo una manciata di giorni alla notte più stregata dell’ anno. E qual è il suo supremo emblema, se non la zucca? Un frutto tipicamente autunnale che si presta a un’ infinita varietà di ricette. Nei paesi anglosassoni, in particolare, viene utilizzata per preparare dolci deliziosi: torte, crostate, ciambelle, biscotti, e classiche leccornie Made in USA come i brownie, i pancake, i muffin e la pumpkin pie (tradizionale torta del Thanksgiving Day). Proporla per la colazione di oggi, quindi, mi sembra un’ idea ottima. Anche perchè la zucca, tra pochi giorni, spopolerà persino come elemento decorativo. Il 31 Ottobre la ritroveremo davanti ai portoni, sui balconi e nei giardini; sarà intagliata per riprodurre un volto terrificante ed emanerà una fioca luce dall’ interno, assumendo le sembianze di una Jack-o’-Lantern altamente simbolica. Ma il suo legame con Halloween (o Samhain, se preferite la denominazione celtica) intendo approfondirlo più avanti. Intanto, accendiamo i riflettori sulle proprietà e sui benefici della zucca. Vi assicuro che non sono pochi! Innanzitutto c’è da dire che il colore di questo frutto, un arancio vivace, è una delle nuance identificative dell’ Autunno. All’ appeal cromatico si combinano, poi, delle virtù notevoli: povera di calorie, la zucca è ricca invece di fibre e di antiossidanti, un vero toccasana per l’ apparato cardiovascolare e contro le malattie degenerative.

 

 

Abbondando di acqua, la zucca è un alimento digeribilissimo e dalle spiccate proprietà diuretiche; tra i suoi componenti risaltano la vitamina A, un potente antiossidante (oltre che antinfiammatorio) prodotto dal carotene che contiene in gran quantità, le vitamine B1 e C, ma anche minerali come il potassio, il sodio, il fosforo e il calcio. I flavonodi racchiusi nella zucca contribuiscono a mantenere giovani le cellule, mentre la cucurbitina, un aminoacido di cui i suoi semi sono ricchi, si rivela ideale per il benessere dell’ apparato urinario e in qualità di antiparassitario. Nei semi del frutto sono presenti, inoltre, acidi grassi essenziali quali Omega-3 e Omega-6, che giocano un ruolo fondamentale per l’ organismo. Vi cito solo alcune delle loro virtù: possiedono virtù antinfiammatorie, ripristinano i valori ottimali del metabolismo, della colesterolemia e della pressione sanguigna, contrastano le patologie vascolari e la degenerazione del sistema nervoso. Ulteriori proprietà degli acidi grassi essenziali includono effetti benefici sulla vista e sull’ umore, il che li rende perfetti nella lotta contro la depressione.

 

 

Icona dell’ Autunno, dunque, ma non solo: la zucca è un’ autentica miniera di benessere. Alla voce “curiosità, menzionare Halloween è tassativo. La tradizione di intagliare i più disparati tipi di verdura pare che risalisse, a tal proposito, all’800 irlandese. Questa usanza mirava a esorcizzare le forze sovrannaturali, mantenendole lontane dal mondo dei vivi. E’ in quel contesto che entrò in scena la leggenda di Jack-O’-Lantern, a cui la zucca di Halloween si ispira direttamente. Si narra che il fabbro irlandese Jack, astuto e gran bevitore, la notte del 31 Ottobre incontrò il Diavolo mentre era diretto al pub che soleva frequentare. Satana manifestò la sua intenzione di rubargli l’ anima, ma Jack ci pensò su e gli chiese un favore: trasformarsi in una moneta da sei pence per permettegli di pagare la sua ultima bevuta. Il Diavolo acconsentì, pentendosene subito dopo. Jack, infatti, si infilò la moneta in tasca, e la vicinanza a una croce d’argento impedì al demonio di tornare alle sue sembianze originarie. Così, i due scesero a patti: Jack lo avrebbe lasciato andare se gli avesse donato dieci anni di vita e in quel decennio non fosse più ricomparso. Il Diavolo, suo malgrado, fu costretto ad accettare. Dieci anni dopo, però, il 31 Ottobre tornò a pretendere l’ anima di Jack. Il fabbro si finse d’accordo, ma chiese al Diavolo di poter cogliere per lui una mela: sarebbe stato il suo ultimo pasto prima di morire. Il Principe delle Tenebre si arrampicò su un melo, e poco dopo si accorse che il fabbro aveva inciso una croce sul tronco per impedirgli di scendere. Tra i due scoppiò un litigio poi sfociato in discussione, e infine in un nuovo patto. Satana si disse disposto a salvare Jack dalla dannazione eterna a condizione che non si facesse vedere mai più. Quando il fabbro morì, fu condannato all’ Inferno per la vita dissoluta e furfantesca che aveva condotto. Il Diavolo, però, si rifiutò di farlo entrare. Tuttavia, gli donò un tizzone ardente affinchè illuminasse il suo vagare tra le anime perdute del limbo. L’ uomo riflettè a lungo su dove sistemare il tizzone, decidendo infine di riporlo in una rapa intagliata. Ne ricavò una lanterna che ispirò il suo celebre soprannome: Jack-O’-Lantern (“la lanterna di Jack”). Da allora, ogni notte del 31 Ottobre si può scorgere nel buio la fiammella di Jack, il cui spirito è destinato a errare per l’ eternità.

 

 

Gli irlandesi, la notte del 31 Ottobre, erano soliti rievocare la leggenda di Jack attraverso un tripudio di rape intagliate e illuminate dall’ interno. Ma dopo il 1845, quando si diressero in America in massa a causa di una carestia, dovettero sostituire le rape con le zucche, più diffuse e facilmente reperibili. Se vi state chiedendo quale volto riproduca la zucca di Halloween, la risposta è molto semplice: quello di Jack il fabbro. In un mix tra lo sgangherato e l’orrorifico che coniuga l’ ebbrezza alcolica con l’ oscurità in cui vaga la sua anima.

 

 

 

Dolci d’Autunno

 

 

Dolci d’ Autunno: la scelta è illimitata. I sapori intensi, la qualità e la varietà dei frutti di questa stagione fanno sì che ci si possa sbizzarrire nella realizzazione (o nell’ assaggio) di torte, biscotti e dolcetti di ogni tipo. Accanto alle zucche, alle castagne, ai fichi, all’uva, alle noci, alle mandorle, alle more e ai melograni fa la sua ricomparsa il cioccolato, che con i primi freddi si tramuta in una bomba di energia, e il miele spadroneggia insieme alle marmellate; ma quelli appena citati rappresentano solo alcuni degli ingredienti ricorrenti nei mesi che seguono all’ Estate e precedono il Natale. Autunno e dolci sono un binomio inscindibile. Perchè le temperature che calano incentivano il consumo degli zuccheri, ma anche perchè c’è più voglia sia di prepararli, che di consumarli. Dedicare un pomeriggio di pioggia all’ impasto di una torta è un’ occupazione allettante, così come gustare un delizioso dessert davanti al camino. Date un’ occhiata a questa gallery e fatevi venire qualche spunto…ne varrà la pena! Buon weekend a tutti.

 

 

 

 

 

La colazione di oggi: le castagne, il “pane” dell’ Autunno

Ottobre = castagne: un’equazione che viene spontanea. Insieme alla zucca, infatti (che tratteremo a tempo debito), i frutti del castagno rappresentano un emblema dell’arrivo dell’ Autunno. E dell’ Autunno incarnano la suggestività più profonda. Pensate solo alle caldarroste degustate insieme al vino, meglio ancora se davanti al focolare…un’ immagine ricorrente, quando si vaga con la mente all’ inizio della stagione fredda. Ma oltre ad evocare tutta un’ atmosfera, le castagne sono ricche di proprietà benefiche. Comincio subito col dire che – ebbene sì – contengono parecchie calorie: gli zuccheri, declinati in amido, compongono l’ 84% del frutto della “Castanea Sativa” (questo il nome dell’ albero da cui ha origine). In compenso, però, le castagne racchiudono un’ alta quantità di fibre e di vitamina E, B2 e PP, accompagnate da minerali quali il potassio, il fosforo, il ferro, il magnesio, il calcio e lo zinco. Da questo mix scaturisce vigore puro, una vera e proprio bomba di energia. Ecco perchè i “marroni” sono spesso utilizzati per combattere la stanchezza, durante la convalescenza e dagli sportivi quando devono fare il pieno di sprint. Per contrastare gli effetti della copiosa dose di amidi, però, c’è un trucco: bisognerebbe diminuire (o addirittura eliminare del tutto) la quantità di pane che si ingerisce insieme a un pasto a base di castagne. Tanto per farvi un’idea, considerate che una decina di castagne contengono amidi in un numero pari a quello di 50 g di pane integrale. In più, le castagne sono prive di glutine e le fibre, di cui al contrario abbondano, diminuiscono drasticamente il quantitativo dei grassi compresi nel frutto. Riassumendo il concetto, dunque, dovrebbero essere sempre degustate evitando l’ abbinamento con cibi come appunto il pane, ma anche la pasta e le patate, ricche di amidi parimenti. 

 

 

Bisogna aggiungere che, proprio in virtù dell’ elevato contenuto di amidi racchiusi nelle castagne, l’ideale sarebbe consumarle durante i pasti brevi o gli spuntini. La prima colazione o la merenda, per esempio, oppure a pranzo o a cena, ma combinandole preferibilmente con le verdure. A noi, però, interessa la prima colazione: come inserire le castagne nel menu di inizio giornata? In modi innumerevoli. Torte, biscotti, budini, creme spalmabili (utilizzate anche per guarnire i dolci), mousse di castagne, sono solo alcune delle delizie a cui dà vita questo frutto tipicamente autunnale. Oppure, gustatele sotto forma di caldarroste: se le abbinate alla vaniglia o alla cannella in polvere otterrete, garantito, un connubio irresistibile.

 

 

Le ricette, comunque, sono numerose e tutte da leccarsi i baffi. Basti pensare che la farina di castagne viene utilizzata per preparare delle succulente crepes! Tramite una ricerca mirata sul web, potrete trovare una miriade di spunti. Accantonando l’ aspetto culinario per esplorare quello delle tradizioni e delle leggende associate al frutto ottobrino, scopriamo notizie estremamente interessanti. Le sue radici pare che risiedano nell’ antica Grecia: lì, in Tessaglia (una regione centrale del paese), sorgeva una città nel bel mezzo di vasti castagneti. I Romani, ghiotti di castagne a tal punto da decantarle nei componimenti poetici, non esitarono nel diffondere il castagno non solo in Italia, bensì in tutta Europa. Grazie alle loro proprietà nutrienti, le castagne vennero subito utilizzate dai poveri come pasto principale; abbiamo già visto, infatti, che la ricchezza di amidi del frutto fa sì che possa sostituire il pane (lo storico Senofonte, vissuto tra il 400 e 300 a.C., non a caso aveva battezzato il castagno “albero del pane”). Dal 1770 in poi, tuttavia, anche l’aristocrazia cominciò ad apprezzarle sotto forma di marron glacé. Con il passar del tempo, le castagne spopolarono soprattutto in versione “dessert”: in Francia era ricercatissima la crema di cioccolata e farina di castagne preparata dal dottor Bonneau, un farmacista parigino. Da allora, cucinate in modi incalcolabili, quei frutti divennero un “basic” della gastronomia europea.

 

 

Esistono moltissime leggende sulle castagne, sia correlate al loro aspetto che alla loro valenza di “pane dei poveri”. Una di queste, ad esempio, narra che le castagne, stanche di patire il freddo dell’ Inverno, chiesero al castagno che le aveva generate se avesse qualche consiglio da fornire al riguardo. L’ albero suggerì ai suoi frutti di convocare i ricci del bosco: avrebbero avuto, per caso, amici non più in vita a cui sottrarre il manto spinoso? Le castagne seguirono il suggerimento e i ricci le aiutarono di buon grado. Consegnarono loro una serie di manti ispidi e, da quel momento, le castagne rimasero per sempre al riparo dai rigori dell’ Inverno. Sapete, invece, perchè il guscio delle castagne si apre a croce? Racconta una leggenda che il popolo medievale, attanagliato dalla fame, avrebbe voluto nutrirsi di castagne, ma non poteva a causa delle spine dei loro ricci. Supplicò quindi San Benedetto affinchè venisse in suo aiuto; al che, il Santo benedisse i frutti e questi si aprirono formando una croce per onorare il sacrificio di Cristo. Sempre riguardo le spine dei ricci, esiste un’ altra leggenda: Dio aveva creato le castagne perchè potessero sfamare le popolazioni della montagna. Il loro guscio era liscio, apribilissimo. Ma il Diavolo, per impedire che la povera gente raccogliesse quei frutti, lo cosparse di spine. Non appena se ne accorse, Dio benedisse le castagne e il guscio, apertosi a forma di croce dopo il suo gesto, cadde a terra in modo che tutti i bisognosi potessero coglierlo facilmente.

 

 

 

 

La colazione di oggi: le ciliegie, dalla mitologia al gusto

 

In Primavera, i suoi fiori ci lasciano senza fiato: fitti e vaporosi, si addensano in nuvole candide o tinte di un rosa delicato. Il ciliegio, non a caso, è uno degli alberi più venerati, leggendari ed emblematici sin dalla notte dei tempi. Quando il fiore diventa frutto, poi, ci attrae con la sua forma sferica color rosso fuoco, con la sua consistenza polposa e con un gusto dolcissimo. Se amate le ciliegie, e adorate degustarle anche a colazione, il post che state leggendo fa al caso vostro: scopriremo quali sono i loro benefici e qual è il ruolo che rivestono in diverse tradizioni mitologiche. Esiste un proverbio che recita: “una ciliegia tira l’altra”. Non potrebbe essere più azzeccato! Questi frutti solleticano il palato in modo tale che smettere di piluccarli sembra impossibile. Oltre ad essere deliziose, le ciliegie sono altamente salutari: abbondano di nutrienti, di vitamina C (quindi rinforzano il sistema immunitario e si rivelano un toccasana per la pelle), contengono grandi quantità di potassio (svolgendo un effetto salutare per l’ apparato muscolare, il sistema nervoso e la pressione arteriosa) e un buon numero di antiossidanti (dalle potenti virtù antietà ed antinfiammatorie). Grazie all’ azione combinata degli antiossidanti e del potassio, inoltre, contribuiscono a scongiurare le patologie cardiache. Ma le proprietà delle ciliegie ci accompagnano persino nel mondo dei sogni: ottimizzando la quantità di melatonina, infatti, favoriscono un sonno regolare e rigenerante. Ah, dimenticavo…sono povere di calorie, se ne contano solo 38 ogni 100 grammi. Per cui, via libera alle scorpacciate anche in vista della prova costume!

 

 

Grazie alla sua bontà e alle sue doti, il succoso frutto del ciliegio viene utilizzato per la preparazione di innumerevoli drink e alimenti. Per fare solo alcuni esempi: lo cherry, il maraschino, lo yogurt, la marmellata, moltissimi tipi di torte (come la crostata e la golosissima “cherry pie”) e di dessert (dai cupcakes ai croissants, passando per i cheesecakes) si avvalgono delle ciliegie sia sotto forma di ingredienti che di guarnizioni. Riguardo ai miti e alle curiosità che le riguardano, potremmo dire che sono incalcolabili almeno quanto il loro impiego culinario. Il nome “ciliegia” deriva innanzitutto dal greco “kérasos”, differenziatosi successivamente nei termini “cerasa” (in italiano), “cereza” (in spagnolo), “cherry” (in inglese) e “cerise” (in francese). Per i Greci, il ciliegio era la pianta sacra di Venere ed i suoi frutti risultavano di buon auspicio per le coppie di innamorati. Anche in Sicilia si rinviene il tema della fortuna; pare che dichiararsi sotto le fronde di un ciliegio fosse altamente beneaugurante. Secondo alcune antiche leggende Sassoni, in effetti, i tronchi dei ciliegi erano abitati da creature divine dedite alla salvaguardia dei campi. Presso altri popoli, tuttavia, alla ciliegia viene associata una valenza completamente opposta: nel folklore finlandese rappresentava un frutto peccaminoso a causa della sua nuance di rosso, mentre si narra che gli inglesi considerassero foriero di mala sorte un ciliegio visto in sogno. In Oriente, al contrario, il ciliegio assume connotazioni di meraviglia e di estrema bellezza. Se in Giappone il suo fiore è diventato addirittura un emblema nazionale, omaggiato con il rito dell’ “Hanami” (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato) nel periodo dello sboccio, la Cina lo equipara alla sensualità della donna ed alla sua beltà.

 

 

 

 

La colazione di oggi: il tempo delle fragole

 

Ricordate “Il tempo delle mele”, la pellicola che lanciò Sophie Marceau? Bene: parafrasando quel titolo, Aprile potrebbe essere definito “il tempo delle fragole”. E’ in questo periodo, infatti, che il “falso frutto” più goloso della Primavera matura al punto giusto. “Falso frutto” perchè si origina da un fiore con molteplici pistilli; ognuno di essi dà vita agli acheni, i semini sparsi sulla superficie della fragola. Sono gli acheni i frutti veri e propri, mentre la parte rossa e succosa che tanto ci attira non è che il ricettacolo del fiore. Ciò che conta, comunque, è che a livello nutrizionale la fragola possieda tutti i requisiti per essere definita “frutto” a pieno titolo. Anche il suo aspetto è altamente invogliante: rutilante, polposa e soffice, la protagonista della nostra colazione di oggi sprigiona delizia al solo sguardo. Sfido chiunque a non aver desiderato di comprare un cestino di fragole quando il fruttivendolo comincia a metterle in mostra! Se le acquistasse farebbe benissimo, perchè la Fragaria vesca (questo il suo nome botanico) è iper versatile e salutare.

 

 

Con le fragole si possono decorare dolci e dessert, preparare marmellate, sciroppi, macedonie…Come gusto di gelato o dello yogurt sono richiestissime. Ma anche assaporate da sole, con zucchero e limone, in una coppetta, risultano squisite. Andiamo a scoprire le loro proprietà e i loro benefici: c’è da dire, innanzitutto, che vantano un gran numero di elementi nutritivi. Minerali quali il calcio, il potassio e il magnesio, insieme alla vitamina C e ai flavonoidi, compongono un connubio dalle plurime virtù. Non è un caso che l’ USDA (United States Department of Agriculture) abbia collocato le fragole al top della classifica degli alimenti antietà proprio per l’ alto contenuto di antiossidanti. Oltre a ritardare l’ invecchiamento, la Fragaria vesca favorisce la perdita di peso. Gli antiossidanti di cui è ricca, infatti, stimolano il rilascio dell’ ormone adiponectina che a sua volta accelera il metabolismo e tiene a bada l’ appetito. Questo succosissimo “frutto/non frutto”, inoltre, ha la capacità di equilibrare il livello di glucosio nel sangue contrastando l’ insorgenza del diabete. Ma non finisce qui. Un regolare consumo di fragole incentiva l’ eliminazione di scorie e tossine che intaccano pericolosamente le funzioni cerebrali. Contribuisce, cioè, a “purificare” il cervello prevenendo malattie degenerative come il Parkinson e l’ Alzheimer. La vitamina C racchiusa nel frutto è un’ altra miniera di benefici. Oltre a rinforzare il sistema immunitario, a combattere l’ anemia e lo stress, incrementa la produzione di collagene mantenendo elastici i tessuti connettivi – vale a dire la pelle, le ossa, i denti e le cartilagini. A proposito di denti, pare che lo xilitolo contenuto nelle fragole sia un potente antidoto contro la formazione della placca. In più, la Fragaria vesca riduce la ritenzione idrica: una dote che la presenza di potassio accentua in modo ottimale. Le fragole, insomma, si rivelano un concentrato di proprietà salutari.

 

 

Elenco dei benefici a parte, c’è qualcos’ altro che le rende molto intriganti. Il patrimonio di leggende che le circonda è notevole: secondo gli antichi Romani, le fragole erano state originate dalle lacrime, tramutatesi in cuori rossi, che Venere versò dopo la morte di Adone. Durante le celebrazioni in onore del bellissimo dio, quindi, a Roma se ne consumavano in abbondanza. Nel Medioevo, sul rutilante frutto si diffusero le dicerie più svariate. Se per alcuni aveva il potere di trasformare l’ uomo in un mostro, altri lo associavano alla tentazione ed altri ancora, la notte di San Giovanni, raccoglievano cesti interi di fragole per poi cucirle insieme in una cintura che – a loro dire – proteggeva dal veleno dei serpenti. A partire dal 1600 si cominciò ad attribuire alla Fragaria vesca delle virtù terapeutiche: si pensava che curasse la lebbra, le ferite (il suo colore rosso era, in un modo o nell’altro, il motivo di queste convinzioni). Madame Tallien, un’ affascinante aristocratica che visse a cavallo tra il ‘700 e l’800, era invece solita utilizzare ben dieci chili di fragole ogni volta che faceva il bagno: asseriva che fossero fondamentali per il benessere della pelle, e come abbiamo visto…non aveva tutti i torti.

 

 

La colazione di oggi: i “panettoni” di Pasqua, una delizia di inizio Primavera

 

“La colazione di oggi” non è una rubrica salutista. Almeno, non solo. E non è neppure una rubrica che propone dritte per dimagrire. Una precisazione d’obbligo per chiarire che, in questo spazio, ci occuperemo di colazioni sane ma golose al tempo stesso. E il periodo che precede la Pasqua, senza dubbio,  ci rende il compito ancora più facile! La Primavera appena iniziata stimola la voglia di affondare i denti in un impasto soffice, zuccherato al punto giusto. Come quello di certe pizze al formaggio che sembrano piccoli panettoni. Sono dolci tipicamente pasquali venduti in panetteria e preparati anche in versione salata. La forma cilindrica, sormontata da un’ invitante glassa, li rende inconfondibili. Il loro valore aggiunto, comunque, lo scoprirete soltanto assaggiandoli: sono ricchi di uvette e di frutta candita che li dotano di incalcolabili proprietà benefiche. L’ uva sultanina (o uvetta, appunto) contiene una triade di sali minerali irrinunciabili quali il potassio, il calcio e il ferro. Il potassio regola la pressione sanguigna, tonifica i muscoli e ottimizza l’ impulso nervoso, mentre il ferro permette ai globuli rossi di trasportare ossigeno nel sangue. Il calcio, infine, è un toccasana per le ossa, i denti e le unghie. Ma i benefici dell’ uvetta non terminano qui.  L’arginina, presente in abbondanza nei suoi piccoli chicchi essiccati, svolge un’ azione protettiva nei confronti del sistema cardiocircolatorio e i fenoli, grazie alle loro proprietà antiossidanti, contrastano i radicali liberi prevenendo l’invecchiamento cellulare. Tra le virtù dell’uvetta, last but not least, ne spiccano alcune decisamente fondamentali: è energizzante, antinfiammatoria, antibatterica e favorisce la metabolizzazione dei glucidi. Tutti benefici non da poco, insomma.

 

 

Alle doti dell’ uvetta si aggiungono quelle dei canditi. Il termine “canditura” (derivante dall’ arabo “qandat”) designa una pratica di conservazione della frutta divulgata dagli islamici nel X secolo. Ricchi di vitamina A e C, i canditi abbondano anche di acqua, sali minerali (nello specifico, di potassio), fibre e antiossidanti. Il fruttosio è presente in quantità elevate, ma non intacca il livello calorico significativamente: appartenente al gruppo dei macronutrienti energetici, ha un alto potere dolcificante e dona vigore all’ organismo. Oltre a vantare numerosi benefici al loro interno, questi “panettoni” di Pasqua hanno il potere di ingolosire al solo sguardo. La glassa che li ricopre copiosamente può essere arricchita, a sua volta, di frutta candita, zuccherini e svariate decorazioni dolciarie; la forma cilindrica con parte superiore a cupola li differenzia dalla classica colomba e dal classico ciambellone. Per concludere, l’ aspetto accattivante, la ghiottezza e le proprietà salutari dei suoi ingredienti rappresentano il tris vincente del dolce più sfizioso con cui iniziare la Primavera.

 

 

Un”grazie” a Loredana de “La Casa del Pane” di Fabriano per la preziosa collaborazione.

 

 

Le banane, eclettiche (ed energetiche) protagoniste della colazione di oggi

 

Un frutto per la prima colazione? In attesa delle più ghiotte primizie di stagione e dopo i frutti di bosco, che abbiamo già assaggiato, eccone uno ottimo tutto l’anno e benefico a 360 gradi: la banana. E’ super versatile, perchè può essere mangiata al volo per uno spuntino o inclusa in un ricco breakfast nelle versioni più disparate. Ad esempio, tagliandola a fette si preparano dei deliziosi frullati (mescolate le fette di banana con il latte, lo zucchero e il cacao per ottenere un sapore davvero unico).  Gustata invece con il muesli, i dolci, lo yogurt, le tartine, dota il loro sapore di dolcezza aggiuntiva e di un tocco salutare non trascurabile. Ma quali sono i punti di forza di questo frutto proveniente dai Tropici? Innanzitutto, la ricchezza di potassio: un toccasana per l’ apparato cardiovascolare, ma anche per la tonicità dei muscoli e la salute delle ossa. Il potassio riduce l’ ipertensione, di conseguenza tiene lontani gli ictus e gli attacchi cardiaci, in più protegge i reni e l’ apparato urinario.

 

 

Altri minerali che la banana contiene in quantità significative sono il ferro, che incrementa la produzione di emoglobina, e il magnesio, che insieme alle vitamine del gruppo B è un efficace rinforzante per il sistema nervoso. La presenza di vitamine del gruppo B è copiosa, con tutti i benefici che ciò comporta: la vitamina B2 depura il corpo dalle tossine e mantiene in ottimo stato capelli, pelle e unghie; la vitamina B6 contribuisce all’ equlibrio ormonale. La banana abbonda inoltre di fibre, fondamentali per il benessere dell’ intestino, e di antiossidanti, eccellenti difese contro i radicali liberi (e quindi contro l’ invecchiamento). Il fatto che sia una vera e propria miniera di amido, poi, la rende una fonte di energia potente. Le virtù della banana, insomma, spaziano ad ampio spettro. Sapevate che è il frutto più mangiato al mondo? Il suo nome è probabile che derivi da “banan”, “dito” in arabo, oppure dal termine “banaana” della lingua Wolof, parlata nell’ Africa occidentale subsahariana. In Sudamerica ha una doppia denominazione, viene chiamata sia “platano” che “cambur”. Torniamo adesso alla nostra colazione. E’ importante che le banane ingerite siano mature al punto giusto, saranno più digeribili e manterranno intatte le loro proprietà. Sempre allo scopo di digerirle meglio, è preferibile riservarle alla prima colazione e, soprattutto, non eccedere: basta una sola banana per assumere tutti i nutrienti fondamentali.

 

 

La festa di Santa Lucia in Svezia: il trionfo della luce sul profondo buio del Nord

 

In Svezia, prima dell’ avvento del calendario gregoriano, la festa di Santa Lucia coincideva con il Solstizio d’Inverno: era una ricorrenza significativa, che preannunciava il trionfo della luce sul buio imperante. Ma se le celebrazioni furono anticipate al 13 Dicembre, la loro valenza è rimasta inviariata. L’ oscuro e interminabile inverno scandinavo, quella notte, viene squarciato da un tripudio di bagliori. Una giovane donna che impersona Santa Lucia, sfoggiando una corona di candele fiammeggianti, capeggia una processione composta da un gruppo di sue coetanee. Indossano tutte un abito bianco stretto in vita da una fascia rossa, ognuna regge in mano una candela accesa. L’ effetto che sortisce la parata è irresistibile, altamente suggestivo: miriadi di fiammelle baluginano nel buio e i dolci canti delle donne trasportano in un’ atmosfera incantata. La canzone trainante è “Santa Lucia”, l’ antico brano (risale al 1849) scritto a Napoli da Teodoro Cottrau, ma il testo è differente, incentrato sulla vittoria della luce sulle tenebre invernali. Man mano che la processione avanza, il magnetismo che  sprigiona raggiunge il suo apice. Si rimane letteralmente ipnotizzati da quella visione magica, da quel connubio onirico di cori e luci che invade ogni città della Svezia. A Stoccolma la processione attraversa la metropoli fino a raggiungere lo Skansen, il museo all’ aperto, mentre nel Duomo, nello Storkyrkan e nelle chiese del Gamla Stan (la città vecchia) si tengono concerti di Santa Lucia da mattino a sera.

 

 

Ogni particolare della sfilata possiede una forte valenza emblematica: l’abito bianco simboleggia la purezza di Santa Lucia, la fascia rossa il sangue del suo martirio, le candele il fuoco che si rifiutò di divorarla con le sue fiamme, quando fu condannata al rogo. Le stesse candele, tuttavia, rimandano a significati molteplici e sono anche una metafora della luce che sconfigge il buio. Secondo la tradizione svedese, la Santa viaggiava di città in città regalando leccornie ai bimbi. Un’ usanza che non si è persa, a giudicare dalle celebrazioni che hanno preso piede nel 1927: da allora in poi, si è sempre fatto riferimento a queste ultime. Proprio quell’ anno ebbe inizio la consuetudine di eleggere una “Lucia” in ogni centro urbano e una “Lucia” nazionale, selezionata oggi tramite la TV di Stato. Le giovani donne scelte, durante le processioni del 13 Dicembre,  visitano svariati luoghi (piazze, teatri, ospedali, centri commerciali, residenze per anziani, chiese e via dicendo) distribuendo i tipici dolcetti allo zenzero – i Pepparkakor – e intonando i canti tradizionali del Luciadagen.

 

 

Le parate non sono ad appannaggio esclusivo del gentil sesso: anche i ragazzi partecipano, interpretando vari ruoli. Ci sono gli stjärngossar (ragazzi stella), che indossano un cappello conico adornato di stelle color oro, i tomtenissar (gli elfi di Babbo Natale), che illuminano il cammino con le loro lanterne, altri ancora indossano costumi che li tramutano in omini al pan di zenzero viventi.  Ai cori di Sankta Lucia, i “maschietti” alternano canzoni imperniate sulla storia di Santo Stefano (il primo martire cristiano). Ma quando e come nascono, queste tradizioni? Alcuni le fanno risalire ad un’ antica usanza in vigore presso le famiglie protestanti tedesche: il rito del Christkind prevedeva che i doni di Natale venissero distribuiti da eteree donne-angelo. Nel 1700, tra le classi abbienti svedesi cominciò ad imporsi  il Kinken Jesus, probabilmente un’evoluzione di quella consuetudine; la vigilia di Natale, ragazze con il capo incoronato di candele visitavano le case e donavano dolcetti ai più piccoli. Altri studi individuano l’ origine delle celebrazioni di Santa Lucia nei Cantori della Stella, un’ antichissima tradizione svedese: a Natale e nei giorni dell’ Avvento, giovani angeli biancovestiti si esibivano in gorgheggi natalizi nel corso di svariati eventi. Donne in candide vesti e con corone di candele pare che abbiano fatto la loro apparizione, a Santa Lucia, nei dintorni del lago di Vänern alla fine del ‘700. Un secolo dopo, questa usanza si diffuse in molteplici zone della Svezia.

 

 

I festeggiamenti di Santa Lucia, nelle “lande delle nevi” scandinave,  continuano ad esercitare un fascino immenso. La tradizione della Santa che reca in dono luce e bonbon viene perpetrata anche in famiglia, dove la figlia maggiore è solita dare il buongiorno ai propri cari con caffè e dolci caratteristici indossando un abito bianco, una sciarpa rossa e una corona di candele. A proposito di tipicità dolciarie, non si può tralasciare di citare i Lussekatter: queste deliziose focaccine a forma di “S” esaltano il gusto delle uvette e dello zafferano e si accompagnano alla perfezione con del buon Glögg caldo, un vino speziato che ricorda il nostro vin brulé.

 

 

 

 

 

 

 

Foto della processione di Fredrik Magnusson, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons