Il lato oscuro del Natale: gli aiutanti di San Nicola e altre figure orrorifiche

 

“Molte sono le tradizioni popolari sorte attorno al periodo natalizio: i mesi più oscuri dell’anno, che vanno dal tardo autunno fino a inverno inoltrato, e in particolare le Dodici Notti, tra Natale e l’Epifania, sono teatro di leggende e apparizioni numinose che hanno impressionato i popoli europei, tanto da dare luogo a usanze probabilmente di origine antichissima, risalenti al periodo pre-cristiano. Non possiamo parlare tuttavia di una continuità che attraversi così tanti secoli, quanto piuttosto di un continuo scomparire e riapparire di motivi che si ripropongono sempre concettualmente simili, e che hanno dato luogo ad espressioni riconoscibili nel corso delle varie epoche storiche.”

(Alberto Paganini, da “Yule. Riti, tradizioni e spiriti del Natale”, a cura di Davide Marré, di Alessandro Azzoni et al., Phanes Publishing)

 

Il Natale ha anche un lato oscuro? La risposta è sì. Ed è facilmente comprensibile: nel giorno del Solstizio d’Inverno, buio e luce coesistono immancabilmente. Il buio, che coincide con la “morte” temporanea della natura, il gelo e il riposo stagionale, torna a lasciar spazio alla luce, quindi alla fertilità e alla rinascita, a poco a poco. Ma il predominio delle tenebre, sebbene sia in procinto di cedere innanzi al ritorno della luce, persiste ancora, e nel corso dei secoli si è incarnato in figure cupe e altamente simboliche la cui origine affonda nella notte dei tempi. Molti di questi personaggi sono legati a San Nicola, il Santo che ispirò il mito di Babbo Natale (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), rappresentando una sorta di dualismo tra il bene e il male. Se San Nicola era un protettore dei fanciulli, e nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre si prodigava a distribuire doni ai bimbi buoni, i suoi aiutanti impersonavano la sua controparte oscura: si incaricavano di castigare i bambini che non si erano comportati bene e lo facevano in modo cruento, servendosi di punizioni corporali e fustigazioni. Lo stesso aspetto di questi aiutanti era assai inquietante. Le leggende li descrivono come demoni spaventosi, flagellatori incappucciati, briganti infidi e malvagi. Tali personaggi prendono vita prevalentemente nella tradizione germanica, scandinava e mitteleuropea, passando per la Francia orientale e i paesi dell’area alpina. Oggi andremo a conoscerne qualcuno, ma scopriremo anche figure che non hanno nulla a che vedere con San Nicola.

 

Krampus

 

In Trentino Alto-Adige, Austria e nel sud della Germania, lo conoscono molto bene: in quelle zone, la notte tra il 5 e il 6 Dicembre, si organizza ancora oggi la corsa dei Krampus (Krampuslauf), durante la quale un branco di questi terrificanti personaggi sfila tra il pubblico minacciandolo e reagendo aggressivamente alle provocazioni. Il Krampus ha l’aspetto orripilante di un demone; è munito di lunghe corna, zampe caprine e ricoperto di un vello abbondante. Il suo volto è spaventoso, contratto in un eterno ghigno, gli abiti laceri che indossa sono assemblaggi di pelli animali. C’è un’antica leggenda che lo riguarda. Si narra che, secoli orsono, dei giovani avessero escogitato un metodo per combattere la carestia che affliggeva l’area alpina: organizzavano scorribande di gruppo cammuffati da demoni. Pellicce, corna, piume e quant’altro servivano a renderli irriconoscibili durante le loro incursioni nelle case dei villaggi, che saccheggiavano per nutrirsi. Il diavolo in persona, anche lui alla ricerca di cibo, cominciò a unirsi alle scorribande, ma un bel giorno il suo stratagemma fu scoperto. I giovani si accorsero degli zoccoli caprini che esibiva e chiamarono in soccorso San Nicola. Il Santo, dopo aver sconfitto il Diavolo, decise di relegarlo al ruolo di suo aiutante: l’avrebbe accompagnato nella consegna dei doni ai bambini buoni. Krampus approfittò subito dell’occasione per punire i bimbi cattivi fustigandoli con dei fasci di rami di betulla. La leggenda di Krampus, come abbiamo già visto, ha attraversato indenne i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni.

 

Krampus e San Nicola in un’illustrazione austriaca del 1896

 

Knecht Ruprecht

Ruprecht in un’illustrazione tedesca risalente al 1863

L’immagine che vedete qui sopra, evidentemente, è una libera interpretazione del personaggio: in realtà Knecht Ruprecht (“servo Ruprecht” tradotto dal tedesco), un altro aiutante di San Nicola, viene raffigurato come un monaco incappucciato che sfoggia un lungo mantello e una barba interminabile. Non è raro che cammini zoppicando; inoltre, non dimentica mai di portare con sè una frusta con cui castiga i bambini che si sono comportati male. Esistono diverse credenze sull’impietoso Knecht Ruprecht, una figura ricorrente nel folklore di Natale della Germania centro-nord: a volte, pare che chieda ai bambini di recitare preghiere per espiare i loro peccati. Se acconsentono, li premia con doni a base di dolci e frutti succosi; se rifiutano, li fustiga o scaglia loro addosso il suo sacco ricolmo di cenere.

 

Père Fouettard

Lo abbiamo già incontrato, ricordate? E’ il macellaio citato nell’articolo che ho dedicato a San Nicola. Père Fouettard proviene dalla Lorena, una regione della Francia orientale che confina con il Belgio, il Lussemburgo e la Germania. Fisicamente è alto e sottile, ha il viso cupo e una barba incolta. Indossa un lungo abito nero corredato di cappuccio, e agita continuamente le catene e i campanelli con cui sottolinea le sue minacce. Secondo la leggenda, Père Fouettard (dal francese “fouet”, frusta, e “fouetter”, frustare) è il macellaio che, nel 1150, attirò nella sua casa tre bambini di una vicina scuola e li fece a pezzi prima di metterli sotto sale: si proponeva di vendere la loro carne ai clienti della sua macelleria. Ma quando San Nicola venne a conoscenza di questa atrocità, resuscitò i bambini e costrinse Père Fouettard a diventare il suo aiutante. Da allora, l’ex macellaio lo segue eternamente ed è una sorta di suo alter ego oscuro. Punisce i bambini cattivi fustigandoli, ma si vocifera anche che lanci contro di loro una raffica di arance.

 

Frau Perchta

La rappresentazione di un perchtenlauf tirolese del 1892, una caccia agli spiriti maligni dell’inverno

Perchta, ovvero “La Splendente”, è una delle divinità da cui ha origine il mito della Befana (rileggi qui il mio articolo). La sua figura è ricorrente nelle tradizioni della regione alpina, dove viene rappresentata con un duplice aspetto: può essere una donna giovane, avvenente e luminosa come la neve, ma anche una terrificante strega con molti anni sulle spalle. Perchta, così come la dea germanica Holda, è detta “la Signora delle Bestie” poichè svolge una funzione protettrice sul mondo animale. Fa la sua apparizione nelle dodici notti, il periodo compreso tra il 25 Dicembre e il 6 Gennaio. Dicono che bussi di porta in porta per accertarsi che le famiglie si riuniscano come vuole la tradizione, ma è tassativo che le abitazioni risultino perfettamente in ordine: in tal caso, Perchta dona monete d’argento ai servitori. In caso contrario, invece, squarcia il loro ventre con un coltello molto affilato e al posto delle viscere inserisce una buona quantità di paglia, cavoli, pietre o spazzatura. La stessa sorte tocca ai membri della famiglia che non si sono comportati bene. In più, Perchta non è mai sola: un folto gruppo di demoni la accompagna nelle sue incursioni. A costoro spetta il compito di torturare le persone cattive, mentre la dea si incarica di salvaguardare dagli stessi le persone buone. A queste ultime, così come ai bambini diligenti, lascia sonanti monete d’argento nelle calzature. Per propiziarsi i favori di Perchta, le famiglie sono solite offrirle il porridge che hanno preparato in occasione della sua visita.

 

 

Belsnickel

Quella di Belsnickel è una figura medievale diffusasi nella Germania sud-occidentale (e successivamente in Pennsylvania, dove si è verificata una massiccia immigrazione tedesca). Belsnickel comincia ad apparire circa dieci giorni prima di Natale, e chi lo ha visto non potrà mai dimenticarlo: indossa abiti consunti, composti da toppe di pelliccia a cui sono cuciti innumerevoli campanellini, e ha il volto celato da una maschera. Porta con sè un sacco pieno zeppo di giocattoli e dolcetti per i bambini buoni e una frusta per castigare quelli cattivi. Il suo arrivo è tutto fuorchè silenzioso: Belsnickel viene preannunciato dai campanelli che tintinnano a ogni passo, poi bussa rumorosamente alle finestre e ai portoni per non passare inosservato. La leggenda vuole che imponga ai bambini di recitare alcuni versi, risolvere problemi matematici o citare determinati passi biblici. Se lo fanno correttamente, versa i dolci e i giocattoli sul pavimento, ma esiste una regola anche per raccoglierli: i bambini non devono dimostrarsi troppo bramosi di impossessarsene, o verranno puniti con la sua frusta.

Grýla

 

Appartiene al folklore natalizio islandese ed è una mostruosa donna troll: ha tredici code e zampe bestiali che sostituiscono le gambe. Tra i personaggi oscuri del Natale, è senza dubbio il più agghiacciante. Si dice che il 25 Dicembre esca dalla sua caverna alla ricerca di bambini che non si sono comportati bene durante l’anno; dopo averli attirati nelle sue grinfie, li utilizza per preparare lo stufato di carne. La dimora di Grýla, chiamata Fortezza Oscura perchè composta da una serie di grotte laviche, è situata nel nord dell’Islanda. Lì la gigantessa vive con tredici figli simili a gnomi dispettosi: ciascuno di loro è contraddistinto da una peculiarità ben precisa. A partire dal 12 Dicembre fino al 6 Gennaio, i figli di Grýla, uno dopo l’altro, raggiungono i villaggi dei dintorni per portare il caos. E’ anche possibile che vadano a trovare dei bambini; in questo caso, premieranno quelli buoni con un regalino mentre ai cattivi destineranno una patata andata a male. La famiglia di Grýla possiede un gatto, ma non pensate a qualche similitudine con i nostri dolcissimi amici felini: il ciclopico Jólakötturinn, questo il suo nome, nel periodo natalizio vaga per strada in cerca di umani da divorare.In Islanda, la gigantessa Grýla è talmente famosa da essere stata inclusa persino nell’“Edda”, i due importanti volumi di mitologia norrena che Snorri Sturluson scrisse nel XIII secolo.

Immagini: Public Domain via Pixels, Unsplash e Wikimedia Commons.

Père Fouettard via Etienne Mahler from Flickr, CC0 1.0 Universal

Grýla: illustrazione dell’artista islandese Tryggvi Magnússon pubblicata da Thorsteinn1996, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

L’Avvento in Europa: miti, credenze e tradizioni

La corona dell’Avvento

L’Avvento (dal latino “adventus”, “venuta”) è un periodo incantato che, giorno dopo giorno, ci accompagna verso la Natività. Rappresenta l’inizio dell’anno liturgico nella Chiesa d’Occidente e prende il via la quarta domenica prima di Natale: quest’anno, di conseguenza, è cominciato proprio ieri. In Europa, le tradizioni dell’Avvento sono innumerevoli. La maggior parte di esse ha radici antiche, e viene tramandata di generazione in generazione. Tra le più note ricordiamo le ghirlande, la corona dell’Avvento, i mercatini natalizi, il calendario dell’Avvento, oltre a una serie di dolci e bevande tipici (come lo sono il glögg nei paesi scandinavi e il nostro vin brulé): queste usanze, impregnate di una forte valenza simbolica, fanno da denominatore comune alla quasi totalità delle nazioni del Vecchio Continente.

 

Un mercatino natalizio a Riga, in Lettonia

La corona dell’Avvento è diffusissima. Creata nel 1833 ad Amburgo da Johann Henrick Wichern, un pastore protestante, comprendeva 24 candele, una per ogni singolo giorno dell’Avvento; le candele dedicate alle domeniche avevano dimensioni più grandi. Con il passar del tempo, il suo utilizzo si propagò soprattutto nei paesi anglosassoni e di lingua tedesca. La struttura della corona dell’Avvento è caratteristica. La base è composta da rami di sempreverde disposti in modo circolare: il cerchio, con la sua continuità, sta a simboleggiare la vita eterna di cui Cristo ci fa dono. I sempreverdi sono un emblema di speranza, mentre le candele, quattro come le domeniche di Avvento, vanno accese una alla volta l’ultimo giorno della settimana. Di solito sono bianche, per rappresentare la purezza, oppure viola (simbolo di sacrificio), rosse o rosa (simbolo di gioia). Del calendario dell’Avvento parleremo in un post specifico; in questo articolo ci soffermeremo sulle principali tradizioni dell’Avvento in alcuni paesi europei.

 

Germania

La stella di Natale, il fiore dell’Avvento tedesco

La stella di Natale è il fiore per antonomasia dell’Avvento: i tedeschi lo utilizzano abbondantemente per le decorazioni natalizie e per i loro regali. Il calendario dell’Avvento è popolarissimo sia tra i bambini che gli adulti. In questo periodo si prepara lo Stollen, un pane dolce arricchito di frutta secca e canditi, e ci si riunisce attorno alla corona dell’Avvento cantando inni natalizi. Una celebrazione molto importante è costituita dalla festa di San Nicola, che ricorre il 6 Dicembre: la notte precedente i bambini lucidano accuratamente le proprie scarpe mentre recitano una poesia. Le poseranno poi sul davanzale, insieme a un piatto di carote e biscotti, in previsione del passaggio del Santo in groppa al suo asino. Nikolaus riempirà le scarpe di regali e si rifocillerà con i biscotti, lasciando le carote all’asino. Ad accompagnarli ci sarà Krampus, una figura demoniaca e mostruosa munita di corna, campanacci che suonano mentre avanza e vestita con abiti consunti. Krampus porta sempre con sè una frusta con cui punisce i bambini che si sono comportati male.

 

Lo Stollen, un tipico dolce natalizio

Austria

Salisburgo in una notte d’Avvento

I festeggiamenti iniziano la vigilia di San Nicola, il 6 Dicembre, quando un uomo che impersona il Santo bussa di porta in porta e lascia regali ai bambini; il suo seguito è composto da un drappello di angeli e dal terrificante Krampus: secondo la mitologia cristiana, costui sarebbe stato un demone che San Nicola riuscì a sconfiggere. Da allora, Krampus fu obbligato a seguirlo nel ruolo di devoto servitore. Le domeniche vengono trascorse in casa, alternando i racconti natalizi all’accensione delle candele della corona dell’Avvento.

 

Norvegia

Lo Julebrød, letteralmente “pane di Natale”

La prima domenica di Avvento, a Oslo, lo shopping impazza e vengono accesi l’albero di Natale e le luminarie natalizie. Proliferano i mercatini, si tengono i concerti tipici del periodo. Una tradizione molto diffusa è la Julebord, che potremmo tradurre più o meno come “tavolata natalizia”: ad organizzarla sono i datori di lavoro, gli amici, gli studenti, i colleghi di ufficio, gli appartenenti a determinate associazioni e così via. Durante la Julebord, che può essere una cena o un pranzo, si assaporano i piatti natalizi in compagnia. Uno dei dolci più preparati è lo Julebrød, un pane soffice farcito con uva passa e canditi che somiglia vagamente al nostro panettone.

 

Svezia

Le candele dell’Avvento

Il 1 Dicembre si accende la candela dell’Avvento, che viene fatta ardere qualche millimetro al giorno fino alla notte di Vigilia. Le grandi celebrazioni hanno inizio con la festa di Santa Lucia, il 13 Dicembre, collegata tematicamente al Solstizio d’Inverno: è il trionfo della luce sul buio. Processioni di ragazze vestite di bianco e con una corona di candele vengono organizzate da mattina a sera; le ragazze intonano i canti tradizionali di Santa Lucia per le strade, negli istituti scolastici, nelle case e nei luoghi di culto (per saperne di più sul giorno di Santa Lucia in Svezia, clicca qui). I dolci tipici dell’Avvento sono i pepparkakor, biscotti speziati con cannella e zenzero, e le casette al pan di zenzero.

 

Regno Unito

Un Christingle

L’accensione dell’albero di Natale e delle luminarie sono importanti eventi cittadini, corredati da fastosi spettacoli e fuochi di artificio. Il calendario dell’Avvento è una tradizione molto comune, ma lo è ancor più il Christingle, un simbolo natalizio il cui nome deriva da Christkindl, in tedesco “Cristo bambino”. Per prepararlo servono un’arancia, emblema del mondo; un nastro rosso che circondi l’arancia, emblema del sangue di Gesù; una candela da infilare nell’arancia, emblema della luce che Cristo ha portato nel mondo; quattro marshmallow o frutta secca in egual numero, da infilzare in altrettanti stecchini: sono gli emblemi dei quattro punti cardinali, delle quattro stagioni e dei doni che ci offre la natura. I Christkindl vengono conservati fino alla fine delle feste e sono utilizzati a mò di veri e propri oggetti devozionali.

 

Repubblica Ceca

Il ramo di ciliegio “dei desideri”

I mercatini natalizi, soprattutto il più grande, quello allestito in Piazza della Città Vecchia, sono una delle meraviglie di Praga. La tradizione della corona dell’Avvento è molto sentita, ma accanto ad essa ne spicca un’altra, decisamente singolare: il 4 Dicembre, festa di Santa Barbara, i cechi recidono un ramo di ciliegio e lo inseriscono in un vaso pieno d’acqua che conservano nella loro dimora. Attendono poi la fioritura del ramo, che se avviene entro il 24 Dicembre farà sì che i desideri del padrone di casa si realizzino nel nuovo anno. Quella del ramo di ciliegio è una tradizione precristiana che ha origini molto lontane del tempo. Anche nella Repubblica Ceca, così come in Austria e in Germania, si festeggia San Nicola: il Santo, accompagnato da un angelo e da Krampus, vaga di casa in casa per portare doni e dolci ai bambini. Attualmente, è possibile incontrare il terzetto anche nei mercatini natalizi. Se vi capita, cercate di non lasciarvi spaventare troppo dai Krampus!

 

Polonia

L’Avvento a Varsavia

In Polonia esiste una tradizione particolarissima che risale nientemeno che al XIII secolo: la roraty, una Messa che in periodo di Avvento si celebra alle 6.30 di ogni mattina in tutte le chiese nazionali. Il nome roraty deriva da un termine latino, “rorate”, con cui esordisce il canto che dà il via alla Messa. Se però pensate che alla roraty assistano solo donne anziane, vi sbagliate di grosso. A partecipare sono soprattutto bambini e giovanissimi che si alzano di buon’ora per recarsi nelle chiese quasi buie, illuminate soltanto dal chiarore delle candele, tenendo in mano una lanterna accesa. L’atmosfera è estremamente suggestiva: lanterne e candele rischiarano l’edificio religioso, che si illumina completamente con la recita del “Gloria in excelsis Deo”. Ai bambini viene consegnato ogni giorno il tassello di un bellissimo puzzle come ricompensa per la loro assiduità.

 

Ungheria

I Mezeskalacs, biscotti al pan di zenzero ornati come pizzo pregiato

La corona dell’Avvento è l’usanza principale. Poi ci sono i mercatini di Natale, che anno dopo anno si sono moltiplicati a dismisura: nella sola Budapest, oltre al celebre Vörösmarty tér, ce n’è un numero illimitato. I bambini ungheresi ricevono regali sia a Natale che la notte di San Nicola. La sera del 5 Dicembre, dopo averle ben lustrate, lasciano le loro scarpe sul davanzale della finestra; quando San Nicola, in ungherese Mikulàs, passerà, depositerà una calza di arance e mandarini nelle scarpe dei bambini buoni. Chi non si è comportato bene, invece, riceverà un regalo da Krampus: un mucchio di ramoscelli di betulla. In Ungheria, inoltre, l’albero di Natale si prepara la notte di Vigilia e viene decorato con miriadi di golosità al cioccolato e al marzapane. Accanto al Bejgli, un dolce tipicamente natalizio, risaltano i Mezeskalacs, biscotti al pan di zenzero e miele decorati con arabeschi di glassa talmente raffinati da sembrare ornamenti in pizzo.

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Foto del Christingle di Vincent Angler from Gods waiting-room, Angleterre, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

 

Cantare il Maggio: i maggerini e i loro canti rituali

 

Con il 1 Maggio ritorna la tradizione agreste dei “canti del Maggio”, diffusi prevalentemente in regioni come le Marche, l’Umbria, la Toscana, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Piemonte e alcune aree della Lombardia. I cantori, detti “maggerini” o “maggianti”, danno il via ai loro canti di questua nella notte del 30 Aprile e li concludono la sera successiva. Sono canti gioiosi, stornelli accompagnati dal suono dei violini, delle fisarmoniche, dei cembali e degli organetti; i termini e le espressioni dialettali la fanno da padrone, rendendo ancor più genuino il saluto alla Primavera che i maggerini intonano di porta in porta, inoltrandosi nei villaggi e percorrendo i sentieri campestri. Nelle Marche, la mia regione, i canti di questua si chiudono immancabilmente con un “saltarello” vivacissimo che sottolinea le richieste che i cantori rivolgono al “vergaro” e alla “vergara” (i proprietari della casa colonica). La tradizione, infatti, vuole che i maggerini ricevano una lauta ricompensa: di solito si tratta di salumi, uova, formaggi e pollame vario affiancati al classico bicchiere di vino. E’ molto raro, d’altronde, che le famiglie non soddisfino la questua; si dice che i doni elargiti ai cantori attirino la buona sorte, favoriscano il benessere fisico e garantiscano un abbondante raccolto.

 

 

Il numero dei maggerini può variare dai tre ai dieci, anche se gruppi così nutriti sono comuni più che altro nel fabrianese. Il Cantamaggio, come vi ho già accennato, inneggia alla Primavera e alla lietezza (ma anche all’ebbrezza) che si associa alla rinascita. L’allegria predomina, mescolata ad accenti dionisiaci e a una malizia scanzonata. Non mancano le odi alla fertilità di buon auspicio per il nuovo ciclo agricolo: è questo, sostanzialmente, l’augurio che i maggianti portano di casa in casa. Il Cantamaggio, non a caso, trae le sue origini dai riti di fecondità che i pagani eseguivano in epoche molto antiche.

 

 

I profondi mutamenti della società hanno fatto sì che, fino a qualche anno fa, la tradizione di “cantare il Maggio” si smarrisse nei meandri del tempo. L’omologazione ha a poco a poco distrutto la cultura agreste; le campagne si spopolano e solo un esiguo numero di famiglie potrebbe offrire ai maggianti salumi, formaggi e uova fresche. Negli anni ’80, eppure, come per miracolo qualcosa è cambiato. Mi riferisco sempre alle Marche: il Cantamaggio di Morro d’Alba festeggia questo mese la sua 42esima edizione, e anche in paesi come Montecarotto e Monsano è stata ripristinata l’antica usanza dei canti di questua. Nel fabrianese, poi, il rito del Cantamaggio ha ripreso gradualmente vigore. L’appuntamento con i maggerini è ormai immancabile sia nelle frazioni che per le strade di Fabriano, dove non è raro avvistarli mentre intonano i loro canti rituali.

 

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L’Epifania nel mondo: usanze e riti della ricorrenza che “tutte le feste porta via”

 

E’ arrivata l’Epifania, una solennità cristiana fortemente contaminata dal folklore. Derivante dal greco ἐπιϕάνεια, ovvero “manifestazione”, il termine Epifania designa appunto la manifestazione, la rivelazione di Cristo all’umanità. La Chiesa cattolica celebra anche l’arrivo a Betlemme dei tre Re Magi, che vollero rendere omaggio a Gesù Bambino donandogli oro, incenso e mirra, mentre per la Chiesa Ortodossa l’Epifania coincide con il battesimo di Gesù. Alla sacralità della festa si uniscono tradizioni che probabilmente affondano le origini nelle figure di antiche divinità pagane (rileggi qui l’articolo su Frau Holle, Berchta e Frigg), ed ecco apparire la Befana: secondo una leggenda, mentre i Re Magi si dirigevano a Betlemme chiesero indicazioni sul tragitto a una donna molto anziana, che però si rifiutò di seguirli nel loro percorso. Poco dopo, pentita, la donna riempì un cesto di dolciumi e andò in cerca dei Re Magi affinchè potessero consegnarlo a Gesù, ma non riuscì più a rintracciarli. Decise allora che sarebbe arrivata a Betlemme, bussando di casa in casa per lasciare doni ai bimbi con la speranza di imbattersi in Gesù Bambino. Nasce così il personaggio della Befana, che tuttora, nella notte tra il 5 e il 6 Gennaio, penetra nelle case attraverso i comignoli con un sacco ricolmo di regali. L’ Epifania non si festeggia solo in Italia, ma anche in molti paesi del mondo. Continuate a leggere per conoscere le usanze internazionali associate a questa ricorrenza.

Tutte le foto, raffiguranti la Festa Nazionale della Befana di Urbania, sono di Diego Baglieri, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0> via Wikimedia Commons

 

 

In Italia

Nel nostro paese, la Befana (una donna anziana che indossa abiti rattoppati e sorvola le case a cavallo di una scopa) consegna i suoi regali nottetempo. La mattina del 6 Gennaio, come per magia, i camini si riempiono di pacchi e pacchetti di ogni dimensione, ma anche delle tipiche calze, ricche di dolci per i bambini buoni e di carbone (sostituito oggi con il carbon dolce) per i bambini meno buoni. Dagli anni dell’infanzia riemergono ricordi di una notte passata in bianco, facendo capolino dalla porta per spiare l’arrivo della vecchietta, ma niente da fare: nessun curioso è mai riuscito a scorgere la Befana. I dolci tipici differiscono a seconda delle regioni. Tra i più famosi rientrano i Befanini, biscotti di pastafrolla dalle svariate forme decorati con zuccherini colorati.

In Spagna e in molti paesi dell’America Latina

Il 6 Gennaio è il Dìa de Reyes, il “giorno dei Re”. Sono i Re Magi a portare doni ai bimbi: la tradizione vuole che Melchiorre, Gaspare e Baldassarre siano arrivati a Betlemme in groppa, rispettivamente, a un cavallo, un cammello e un elefante che rappresentano i loro paesi di provenienza. La notte di vigilia dell’Epifania, i bambini non vanno a dormire senza aver prima lucidato le proprie scarpe: è lì che i Re Magi depositeranno i regali. Accanto alle scarpe sistemano bicchieri di latte o vin dolce, ciotole di frutta o uno spuntino per rifocillare i Re e i loro animali. Il dolce associato al 6 Gennaio è il Roscòn de Reyes, una ciambella ricoperta di frutta candita pressochè identica alla Rosca de Reyes, la torta degustata in Messico, Argentina, Paraguay e Uruguay.

 

 

In Francia

La torta dei Re la fa da padrone. Nel nord della Francia prende il nome di Galette des Rois, nel meridione è il Gâteau des Rois: in entrambi i casi si tratta di un dolce dalla forma rotonda e ripieno di frutta, sebbene la Galette possa contenere anche cioccolato o frangipane. Nell’ impasto viene nascosta una piccola statuetta, e la persona che la trova nella sua fetta di torta viene eletta Re oppure Regina. Il o la fortunata dovrà adornarsi il capo con la corona di carta abbinata al dolce e potrà, a sua scelta, offrire da bere ai presenti o invitarli nella propria abitazione per proseguire il rituale della torta dei Re fino alla fine di Gennaio.

Nei paesi europei di lingua tedesca

In buona parte della Germania cattolica, in Austria e nella Svizzera tedesca, l’Epifania viene incentrata sulle figure dei Re Magi. La tradizione più diffusa è quella degli Sternsinger, i Cantori della Stella, bambini e ragazzi travestiti da Re Magi (con grandi corone di carta sul capo e una stella di legno dorata unita ad un bastone) che vanno di casa in casa per esibirsi in canti a tema. I Cantori ricevono in cambio offerte in denaro che devolvono a cause benefiche, oppure dolcetti. L’usanza prevede anche che i giovani benedicano le case scrivendo l’anno in corso sopra una porta con un gessetto. Le offerte in denaro ricevute vengono raccolte durante la messa della domenica seguente all’Epifania: i Cantori, che indossano di nuovo i costumi dei Magi, formano veri e propri cortei. Il dolce del 6 Gennaio è la torta dei Tre Re; in Svizzera sono molto diffusi i Buchlten, focaccine unite l’una all’altra delineanti la sagoma di una corona. Come avviene in Francia, chi nel dolce trova un ciondolo o una mandorla viene proclamato Re, ma per un solo giorno.

 

 

In Inghilterra

L’Epifania, o meglio la sua vigilia, coincide con la dodicesima notte del periodo compreso tra Natale e il 6 Gennaio. In tempi molto antichi nei villaggi si esibivano i Mummers (attori dilettanti provenienti dal popolo), il ceppo di Yule ardeva per l’ultima volta nel camino (con il carbone si sarebbe acceso quello dell’anno successivo) e si beveva wassail (sidro di mele con spezie) a fiumi. Fu sulla falsariga di queste tradizioni che William Shakespeare scrisse “La dodicesima notte”, non a caso messa in scena per la prima volta durante la vigilia dell’Epifania del 1601. Riguardo ai dolci, c’è solo l’imbarazzo della scelta: la Twelfth Cake è una torta di frutta, affiancata ai biscotti di zenzero e alla crostata di marmellata a forma di stella. Tra le bevande vince la birra speziata, un richiamo ai doni dei Magi. La Twelfth Cake (dodicesima torta) è la protagonista di un divertente rituale: trovare un fagiolo nero arrosto nel suo impasto dà diritto ad essere eletto Re per un giorno, mentre un chiodo di garofano e un ramoscello indicano, rispettivamente, il cattivo e il beota della situazione.

In Irlanda

E’ una sorta di “Festa delle donne”, non per nulla l’ Epifania viene anche chiamata il “Natale delle donne”: dopo le fatiche e gli impegni culinari delle festività natalizie, le donne si rilassano e vanno a cena insieme al ristorante o al pub; i membri della famiglia le riempiono di regali in segno di amore e di riconoscenza.  Il 6 Gennaio, inoltre, vengono bruciati i rametti di agrifoglio che hanno ornato la casa durante le feste.

 

 

In Bulgaria

L’ Epifania è chiamata Bogoyavlenie, giorno in cui Dio si manifesta. Secondo la tradizione, un sacerdote lancia una croce di legno nell’acqua (di mare, di fiume o di lago) e spetta ai giovani il compito di correre a prenderla. Date le temperature polari del Gennaio bulgaro, colui che la recupera sarà ricoperto di tutti gli onori. Il gesto viene considerato di buon auspicio anche per la salute del nuotatore e di tutta la sua famiglia.

In Romania, Moldavia e Transilvania

La Boboteaza viene celebrata con diversi rituali. Nell’area sud-occidentale della Romania si tengono le corse dei cavalli dell’ Epifania: prima della gara è prevista una benedizione, a gara ultimata i festeggiamenti sono travolgenti; il vincitore si ammanta di un’aura di gran prestigio. I riti associati all’acqua, come in Bulgaria e negli altri paesi ortodossi, sono diffusissimi. Secondo un’antica credenza, se una giovane donna cade in un corso d’acqua il giorno dell’Epifania è destinata a maritarsi entro l’anno. In Transilvania ritroviamo la tradizione dei Cantori della Stella, anche se con differenze sostanziali rispetto ai paesi di lingua tedesca: al posto della stella, i cantori portano con sè una lanterna di vetro in cui è racchiusa un’icona ortodossa.

 

 

In Slovenia

Il 6 Gennaio la tradizione vuole che i bambini bussino di porta in porta e che le famiglie regalino loro noci, mandorle, fichi o dolcetti.

In Russia

L’ Epifania si festeggia il 19 Gennaio e commemora il Battesimo di Gesù. La Grande Benedizione delle Acque è il rito supremo dell’Epifania russa: ci si reca solitamente presso un lago o un fiume per prendere parte a un cerimoniale che risale al 1525. A quell’ epoca, era uno degli eventi più maestosi mai tenutosi alla corte dello Zar. Lo Zar e il Patriarca di Mosca (capo spirituale della Chiesa Ortodossa russa) capeggiavano la processione organizzata dopo la liturgia nella Cattedrale della Dormizione. La meta era il fiume Moscova, nelle cui acque ghiacciate veniva scavato un foro denominato Giordano in onore al fiume in cui fu battezzato Cristo. Un gazebo adornato di icone raffiguranti il suo battesimo si installava sopra la buca, dopodichè il Patriarca benediva lo Zar e i suoi dignitari con la croce che aveva precedentemente immerso nel Moscova. Oggi, durante l’ Epifania, i russi sono soliti ricavare fori che chiamano Giordano nelle acque ghiacciate dei laghi e dei fiumi; è una tradizione recente, inaugurata negli anni ’90, e affida alle acque ritenute sacre il potere di lavare i peccati di coloro che si immergono per tre volte nel Giordano. L’acqua del foro, prima del rito, viene benedetta dal sacerdote ortodosso. Il rituale della Grande Benedizione delle Acque ha luogo in tutte le chiese, dove l’acqua santa viene distribuita ai fedeli affinchè possano portarla nelle proprie case. In generale, per i russi, il giorno dell’Epifania ogni tipo di acqua diviene sacra.

 

 

 

Tomte e Nisse: i folletti del Natale scandinavo

 

Nell’articolo sul Natale a Copenaghen, che ho pubblicato lunedì scorso (rileggilo qui), ho parlato di una figura onnipresente nelle festività scandinave: il folletto. Questo personaggio, insieme ai suoi simili, prolifera ovunque. Tant’è che, come vi dicevo, è raro visitare un mercatino natalizio senza incontrarne almeno uno. Oggi scopriremo qualcosa in più su di lui, una creatura ricorrente nel folklore del Grande Nord. Il suo nome varia a seconda del paese di provenienza: in Danimarca e Norvegia il folletto è stato battezzato Nisse, in Svezia viene chiamato Tomte. Le origini del Nisse e del Tomte affondano nella cultura agreste, il tardo Medioevo è l’epoca in cui compaiono le prime illustrazioni e testimonianze che li riguardano. In quel periodo, il folletto è un’entità che ha la funzione di proteggere la tenuta agricola. Il nome svedese che lo designa è indicativo: “tomt” significa “terreno”, per cui viene considerato una sorta di “guardiano della fattoria” che ha il compito di aiutare l’agricoltore nelle incombenze giornaliere e nella gestione del bestiame. Il folletto ama gli animali e se ne prende cura; ha un debole per i cavalli, tantevvero che di notte è solito riempire la loro criniera di treccine talismaniche. Vive nascosto, generalmente nei camini e nelle soffitte. Ma che aspetto ha un Nisse o un Tomte che dir si voglia? Innanzittutto, è alto all’incirca due spanne. Fisicamente è simile a uno gnomo, sul volto da anziano spicca una lunga barba candida; indossa un cappuccio rosso a punta e i tipici abiti dei contadini scandinavi del 1600. In Danimarca e Norvegia svolge le medesime funzioni del Tomte svedese, anche se Nisse deriva dal nome proprio Niels, diminutivo di Nikolas. C’è da dire che il carattere del folletto non è esattamente accomodante. Nonostante sia laborioso, discreto (lavora durante la notte, in gran segreto, mentre gli abitanti della fattoria dormono placidamente), preciso e attento, se nota qualche negligenza o ritiene di essere trattato male va su tutte le furie: rompe, disfa, fa dispetti…minaccia di andarsene per sempre. Per evitare di scatenare la sua ira, e a mò di ringraziamento, l’agricoltore deve lasciare un pasto per lui ogni sera. La ciotola che rimane vuota dopo qualche ora è la prova della sua esistenza. A Natale, poi, il folletto ha diritto a un alimento speciale di cui è golosissimo: il tomtegröt, un tipico budino di riso svedese. Lo pretende con zucchero, burro e cannella abbondanti, altrimenti esplode in sonore arrabbiature.

 

 

Anticamente, la figura del folletto era molto controversa. C’era chi ringraziava il cielo per averne uno che badava alla fattoria e chi riduceva quest’atteggiamento positivo nei suoi confronti a una sorta di idolatria. Accudire un folletto, per alcuni, era come adorare il diavolo; non è un caso che il Tomte e il Nisse fossero spesso tirati in ballo durante i processi per stregoneria. I cristiani consideravano i folletti creature pagane e guardavano a loro con diffidenza. In più erano collerici, vendicativi, si diceva che rubassero persino…Solo intorno alla fine dell’800 l’immagine del Tomte e del Nisse venne riabilitata. Gli artisti e i letterati cominciarono a ricondurli alla figura di San Nicola, ma l’autentica svolta si ebbe quando l’illustratrice svedese Jenny Nyström li raffigurò come folletti bonari a corredo del componimento “Tomten” dello scrittore e filosofo Viktor Rydberg. Questo testo descrive un Tomte che trascorre la gelida notte di Natale completamente immerso in meditazioni filosofiche. Il folletto non è più l’entità dispettosa e irascibile del folkore: diventa un essere pensante, mansueto, che ama gli animali e ha a cuore il bene della fattoria. Ma cosa c’entrano il Tomte e il Nisse con il Natale?

 

 

Il legame tra il folletto e il Natale si instaurò nientemeno che in Italia, precisamente nel 1836. In quel periodo erano molti gli artisti e gli intellettuali scandinavi che si trasferivano nel nostro paese. A far conoscere il Nisse nella tiepida e assolata Roma fu il pittore danese Constantin Hansen, un esponente della corrente del Romanticismo. In molti notarono l’addobbo natalizio raffigurante un Nisse durante una festa che Hansen diede nella sua abitazione: da allora, il folletto scandinavo venne considerato una creatura del Natale e si moltiplicarono le sue rappresentazioni a tema. Anche l’artista Johan Thomas Lundbye (danese come Hansen) incluse un Nisse intento a mangiare il budino di riso in una sua illustrazione natalizia del 1845.

 

 

Non molto tempo dopo, l’apparizione della versione femminile del folletto gli diede addirittura la possibilità di metter su famiglia. Attualmente, la figura del Tomte e del Nisse ha raggiunto un giusto equilibrio tra l’irriverenza e la permalosità delle origini e la bonarietà rassicurante e pacifica che acquisì nel XIX secolo: d’altronde, un folletto che non sia dispettoso non si è mai visto! E il Tomte e il Nisse, appartenenti al mondo delle innumerevoli creature che animano i boschi, i monti, i mari e le tenute agricole delle innevate lande del Grande Nord, hanno fatto della loro “dispettosità” un tratto distintivo e inconfondibile. Concludo con un particolare che non può essere tralasciato: in Svezia, Babbo Natale si chiama Jultomte. Ma in comune con Santa Claus ha solo il cappello rosso, perchè lo Jultomte non è altro che il folletto “delle fattorie”. Lo Jultomte porta i doni ai bimbi e in questo ruolo ha preso il posto dello Julbock, ovvero la celebre capra di Natale del folklore scandinavo.

 

Tutte le illustrazioni sono di Jenny Nyström (Public Domain)

 

La leggenda di Santa Lucia: il 13 Dicembre del folklore

 

 

Santa Lucia diffondeva la luce dei suoi occhi sulla lunga notte del solstizio.
(Martirologio Romano)

 

Arriva Santa Lucia, la Santa della luce: una delle ricorrenze più importanti del periodo dell’Avvento. VALIUM ha sempre trattato questa festa approfonditamente, evidenziandone vari aspetti a partire dalle celebrazioni organizzate in Svezia (rileggi qui l’articolo). Oggi, invece, rimarremo in Italia e ci concentreremo sulla Lucia del folklore. Perchè la Santa, in certe zone del nostro Paese, è una sorta di precorritrice di Babbo Natale. Ma come nasce questa usanza? Le sue origini si radicano in una leggenda. Santa Lucia, dopo la sua morte, viveva una vita tranquilla nei paesaggi idilliaci del Paradiso. Da San Pietro e gli altri Santi venne accolta con tutti gli onori, fece subito molte amicizie. Però, a poco a poco, la sua serenità iniziale si tramutò in tristezza. Quando San Pietro le chiese quale fosse il problema, Lucia rispose che il pensiero dei bambini che vivevano sulla Terra, in particolare i più bisognosi, le dava tanta malinconia. Allora San Pietro le donò una chiave dorata e le disse che, aprendo una porticina, avrebbe potuto vedere tutti i bambini del mondo. Ma dopo averli guardati per un po’, Lucia scoppiò a piangere: sulla Terra c’erano troppi bambini affamati, che pativano il freddo e non avevano giocattoli con cui giocare. San Pietro, quindi, le diede un’altra chiave e le indicò una nuova porta da aprire. Quando la Santa la spalancò, vide un vero e proprio cumulo di giocattoli, dolciumi, coperte e caldi cappotti. San Pietro le spiegò che appartenevano a dei bambini ricchi e capricciosi: dopo un po’, si erano stancati di quei regali e se ne erano sbarazzati. Aggiunse poi che Lucia avrebbe potuto portare tutto ai bambini poveri, ma aveva a disposizione solo quella notte. Lei accettò con gioia, tuttavia raccogliere la roba accumulata nella stanza non era un compito semplice; San Pietro chiamò dunque Castaldo, un giovanotto robusto che aiutò la Santa di buon grado. Ben presto, il carretto di legno che San Pietro si era procurato si riempì di doni. Lucia era pronta, rimaneva da cercare chi avrebbe trainato il carretto. Insieme a Castaldo e a San Pietro, così, sondò gli animali suoi amici. Ma quando chiese se qualcuno di loro era disposto ad aiutarla, ricevette solo risposte negative. Il gatto disse che l’avrebbe aiutata volentieri, ma era troppo piccolo e gli era impossibile trainare il carretto; il cane che era il miglior amico dell’uomo e doveva rimanere al suo fianco, il bue che era troppo lento, il cavallo che il carretto pesava troppo…Lucia, disperata, si mise a piangere. Il tempo a sua disposizione si sarebbe esaurito velocemente e i bambini poveri avrebbero continuato a patire il freddo carichi di tristezza. Improvvisamente, però, si udì un lungo raglio: era arrivato un asinello, che dichiarandosi forte e veloce si offrì di trainare il carretto ricolmo di doni. Lucia ne fu felicissima, lo abbracciò e prese a battere le mani. Da allora, nella notte tra il 12 e il 13 Dicembre, Santa Lucia, Castaldo e l’asinello tornano ogni anno a portare regali ai bimbi buoni.

 

 

La tradizione di Santa Lucia portatrice di doni è diffusa in molte regioni e province dell’ Italia settentrionale: la ritroviamo in Trentino, a Udine e nella sua provincia; in Lombardia Santa Lucia si festeggia nelle province di Brescia, Bergamo, Lodi, Cremona e Mantova, mentre in Veneto il carretto della Santa “arriva” a Verona e nell’area Sud-Ovest della regione. In Emilia Romagna, invece, sono coinvolte le province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Secondo il folklore popolare, la sera del 12 Dicembre Lucia scende dal cielo vestita interamente di bianco, un chiaro emblema di luminosità (non dimentichiamo che, in questo periodo dell’anno, gli antichi popoli celebravano il graduale ritorno della luce). Il carretto ricolmo di doni viene trainato dall’asinello e accanto alla Santa c’è Castaldo, che l’aiuta nella consegna dei regali. L’usanza vuole che sul portone di casa o sul davanzale si lascino biscotti e vin santo per Lucia e fieno e carote, oppure latte, per l’asinello, un animale generoso e umile che aiuta l’uomo nei lavori più pesanti. Quando il carretto percorre le vie dei paesi, Santa Lucia suona un campanellino d’argento: in quel momento i bambini devono essere tutti a letto, altrimenti non riceveranno alcun dono. E a chi non dorme, o rimane sveglio per vederla entrare nella propria casa, la Santa lancerà cenere negli occhi per impedirgli di scorgerla e dimenticarla nel caso l’abbia vista. La conditio sine qua non per ricevere i regali, insomma, è essere un “bravo bambino”. E i bravi bambini vanno a letto presto, ma soprattutto non cercano di spiare il passaggio di Santa Lucia.

 

 

Anche perchè ai bambini che si comportano male, la Santa consegna del carbone anzichè i regali: un dettaglio che rievoca la figura della Befana. C’è un altro particolare importante, legato alla tradizione. La stesura, cioè, di una lettera dove i bambini scrivono l’elenco dei doni che vorrebbero ricevere, con la promessa di tenere, in cambio, un comportamento impeccabile in qualsiasi circostanza. La lettera (che ricorda quelle scritte a Babbo Natale) viene affiancata agli omaggi per la Santa e l’asinello la sera del 12 Dicembre. La mattina dopo, i bambini potranno ammirare i propri doni in tutta la loro magnificenza.

 

 

Le tradizioni che variano di zona in zona mirano a tener viva la leggenda di Santa Lucia, e la onorano in diversi modi. In provincia di Cremona, ad esempio, i bimbi preparano personalmente i biscotti che offrono alla Santa: si mettono al lavoro nel pomeriggio per averli già pronti per la sera. La “strozega”, invece, è una parata che i bambini effettuano in Trentino e nell’area del Garda; mentre avanzano, trascinano una corda a cui sono legati svariati barattoli di latta: un modo per farsi udire da Santa Lucia, che non può vederli essendo priva degli occhi. Questa sfilata viene organizzata ogni 12 Dicembre. Non mancano, poi, le fiere e i mercatini intitolati alla Santa. A Verona, dal 10 al 13 Dicembre si tiene una fiera composta da oltre 300 bancarelle: i Banchetti di Santa Lucia. Tra prodotti dolciari, tipicità gastronomiche, decorazioni natalizie e artigianato locale non mancano le caratteristiche  “frolle” di Santa Lucia, dei biscotti a base di farina, burro e zucchero a forma di stella, albero di Natale, cuore e così via. La sera del 12, tutta la famiglia è coinvolta dall’arrivo della Santa: dopo cena, ognuno mette a tavola un piatto vuoto cosicchè, durante la notte, Lucia lo possa riempire di dolciumi. Anche a Bergamo è in programma un mercatino, dove i profumi e i sapori del Natale danno vita a un appuntamento irrinunciabile; secondo la tradizione, inoltre, i bambini consegnano le loro lettere a Santa Lucia nella chiesa che le è stata dedicata. In molti paesi della provincia di Bergamo, la Santa distribuisce i suoi doni in piazza: i bambini, per riceverli, si riuniscono proprio lì. Questo tipo di evento è generalmente organizzato dai vari Comuni. Com’è ovvio, è impossibile citare qui tutte le iniziative dedicate alla festa del 13 Dicembre; ciò che conta, è cogliere il significato atavico insito nelle celebrazioni di Santa Lucia: la luce che trionfa, seppure impercettibilmente, sul buio; il bene che trionfa sul male. Perchè il giorno che segue alla cosiddetta “notte più lunga dell’anno” assume una profonda valenza simbolica. Da qui l’importanza rivestita dalle candele, emblemi di luminosità per eccellenza insieme alle fiaccole e i falò che si accendono, non a caso, durante il Solstizio d’Inverno.

 

 

Illustrazione di copertina di Jenny Nyström, immagini via Pixabay

 

I doni dell’Autunno

 

“In Natura tutto parla, nonostante il suo apparente silenzio.”

(Hazrat Inayat Khan)

 

Uva, fichi, mele, melograni, pere, susine, frutti di bosco, noci, castagne, cachi, zucche…I frutti autunnali che la Natura ci offre sono doni preziosi. Per non parlare della verdura, che include, tra l’altro, i deliziosi funghi che tanto allietano il nostro palato. Viene voglia di immortalare tutti in grande stile, con scatti che rievocano le celebri nature morte caravaggesche. Ma di  “morto” non hanno proprio nulla, anzi: semmai le composizioni, le disposizioni, le collocazioni che li vedono protagonisti esaltano a dovere le loro doti, inneggiano alla vita, riducono l’immobilità ad una sorta di fermo immagine. VALIUM dedicò già lo scorso anno un post (rileggilo qui) allo still life delle colture dei primi mesi freddi, e oggi decide di fare il bis. Anche perchè questo post, a proposito di frutta d’Autunno, avrà un sequel…Stay tuned per scoprire di che si tratta.

 

 

Foto via Unsplash

 

I Re Magi: tra leggenda e realtà

Giotto, “L’Adorazione dei Magi” (1303-1305 ca.)

 

Il 6 Gennaio non è solo la “festa della Befana”. Il Cristianesimo ricollega a questa data l’arrivo a Betlemme dei Re Magi, i forestieri che nel Vangelo di Matteo portano in dono oro, incenso e mirra a Gesù Bambino. Tradizionalmente vengono rappresentati come tre re originari dei continenti conosciuti all’ epoca, ovvero l’Asia, l’Africa e l’Europa. La carnagione e i tratti somatici di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare (questi i nomi attribuiti ai Magi), di conseguenza, sono indicativi della loro provenienza. I Bizantini privilegiavano l’aspetto simbolico dell’ età, che doveva rispecchiare le tre fasi della vita umana: solevano quindi raffigurarli come un giovane, un uomo nel pieno della maturità e un anziano. Nel suo Vangelo, tuttavia, Matteo non ci fornisce indizi sull’ identità dei Magi. Tutto quel che sappiamo è che venivano dall’ Oriente e che fecero tappa a Gerusalemme, dove incontrarono Erode e  (inconsapevoli dell’ avversione che nutriva per Gesù)  gli chiesero ragguagli sul luogo di nascita del Messia. Dopodichè la stella cometa li condusse fino a Betlemme e, grazie a un sogno rivelatore, cambiarono il tragitto di ritorno per non far parola con Erode di quanto avevano visto.

 

 

Matteo, definendo i visitatori “Magi”, svela che provenivano da una delle tribù dei Medi, un popolo anticamente stanziato nell’ attuale Iran, ma soprattutto che erano sacerdoti mazdei dediti all’ astronomia e all’ interpretazione delle visioni oniriche. Il fatto che avessero iniziato il loro viaggio guidati da una stella, dunque, è perfettamente plausibile. Un gran numero di particolari sulla reale identità dei Magi proviene dai Vangeli apocrifi, che tra l’ VIII e il XII secolo contribuirono a rimpolpare l’ immaginario della tradizione cristiana, e dalla “Legenda Aurea”, un testo che il domenicano Giacomo da Varazze redasse nella seconda metà del 1200. Sebbene Matteo non citi il numero dei Magi, si suppose che fossero tre in base ai doni che offrirono a Gesù Bambino. Altre interpretazioni riconducono il numero tre al simbolismo dei tre continenti, gli unici che l’umanità conoscesse allora: proveniendo i Magi da ognuno di essi, era come dire che il mondo intero aveva omaggiato la venuta del Messia. Ma come facciamo a sapere che Gaspare, Melchiorre e Baldassarre fossero dei re? La spiegazione viene fatta risalire all’ Antico Testamento, dove nei Salmi e nel Libro di Isaia si citano dei re che camminano nella luce del Salvatore, in procinto di porgergli doni, e si profetizza che ogni sovrano si sarebbe prostrato davanti a lui.

 

 

Anche i doni sono elementi dalla potente valenza simbolica: l’ oro, regale, rimanda al Cristo Re, l’incenso alla sua essenza divina, la mirra alla morte del Figlio di Dio. I nomi dei Magi sembrerebbero invece avere radici nell’area che comprendeva la Fenicia, la Babilonia e l’odierno Iran. Ulteriori indizi sull’identità di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre provengono dalle loro reliquie. Fu Sant’ Elena a rinvenire i resti dei tre re, che dopo essere stati trasferiti a Costantinopoli vennero donati a Eustorgio di Milano. Il vescovo li portò con sè nella città meneghina e fece erigere una basilica (oggi basilica di Sant’Eustorgio) dove furono collocati. Nel 1164 l’ imperatore Federico Barbarossa traslò le reliquie dei Magi a Colonia e le donò all’ Arcivescovo Rainaldo di Dassel. I resti sono stati sottoposti ad analisi scientifiche nel XIX e nel XX secolo; quest’ ultima indagine, svolta nel 1981, si è focalizzata sugli abiti dei Magi, e l’esito è stato sorprendente. L’esame ha rilevato la presenza di tre stoffe preziosissime, due damascati e un taffetà di seta provenienti dal Medio Oriente e datati intorno al 100 d.C.: un dettaglio che potrebbe confermare l’ipotesi della regalità di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

 

 

La stella cometa è parte integrante del “mistero” dei Re Magi. Giotto inserì la cometa nel celebre affresco “L’Adorazione dei Magi” che realizzò a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, tra il  1303 e il 1305 circa: un omaggio alla cometa di Halley che aveva potuto ammirare al suo passaggio nel 1301. Il realismo del corpo celeste dipinto da Giotto lascia tuttora senza fiato. Studi scientifici hanno dimostrato che simili spettacoli cosmici sono effettivamente avvenuti, all’ epoca della nascita di Gesù. In particolare, pare che determinati allineamenti planetari abbiano originato fenomeni contraddistinti da una luminosità sbalorditiva.

 

 

 

Immagine de “L’Adorazione dei Magi” via NASA Universe from Flickr, CC BY 2.0

 

Da Lussi a Santa Lucia: il 13 Dicembre in Scandinavia tra Paganesimo e Cristianesimo

 

“Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia.”
(Proverbio)

 

Oggi festeggiamo Santa Lucia, una delle ricorrenze più importanti dell’Avvento. VALIUM ne ha parlato spesso, focalizzando l’attenzione sulla sua celebrazione in Svezia e sulla storia della “Santa della Luce” (clicca sui due link per rileggere gli articoli). In questo post, invece, approfondirò la matrice pagana della festa. Le location sono ancora una volta le magiche, innevate lande del Nord Europa: in Scandinavia, anticamente, la notte del 13 Dicembre era dedicata a una suggestiva festività dell’ era pre-cristiana. Innanzitutto, va precisato lo scenario in cui tale data si andava a collocare. Per i popoli nordici, Dicembre è il mese più buio dell’anno; l’oscurità fagocita le distese di fitti boschi, i campi, i laghi, i villaggi. Le forme si fanno indistinte. Questo periodo, molti secoli orsono,  veniva identificato con il caos primordiale:  l’ indefinito, le tenebre antecedenti alla creazione. Quando arrivava l’ Inverno, era come se si regredisse a quella condizione. La notte del 13 Dicembre, con il suo buio interminabile, rivestiva una precisa valenza simbolica. Era la più lunga, e quindi la più oscura notte dell’ anno; poteva nascondere insidie e pericoli. In Scandinavia venne battezzata “Lussinatt” o “Langnatt”, ovvero “lunga notte”, e si riteneva che Lussi, una divinità pagana il cui nome significa “luce” poichè era considerata la “Madre del Sole Nuovo”, regnasse su di essa.

 

 

Lussi era anche la madre degli spiriti dell’ Altro Mondo, e la notte del 13 Dicembre soleva volare nelle tenebre con il suo corteo di gnomi, fate, elfi e troll: un seguito sinistro e fantasmatico denominato Lussiferda. Questo particolare connette la figura di Lussi con il mito della Oskoreia, la “Caccia Selvaggia” capeggiata da Odino; imbattersi in una simile processione soprannaturale non era certo di buon auspicio, si rischiava di essere rapiti e trascinati nel Regno dei Morti. Ma anche Lussi e il suo corteo non scherzavano. Quando arrivava la Lussinatt, sorvolavano le case castigando tutti coloro che non si comportavano a dovere. Lussi si calava nei camini per prelevare i bambini malvagi e portarli nel Regno dei Morti, e puniva le famiglie che non adempivano ai preparativi per la festa di Yule. La notte del 13 Dicembre, inoltre, anche gli animali erano dotati del dono della favella: si riteneva che conversassero tra loro e commentassero come venivano trattati dai rispettivi padroni. Ogni istante della Lussinatt, insomma, era intriso di magia. Il motivo è molto semplice. Nel mese di Yule, quando il buio imperversava, cadevano le barriere tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti e delle creature fatate. Un numero illimitato di ombre poteva celarsi nell’ oscurità; incantesimi e pericoli erano in agguato dietro l’angolo.

 

 

Potremmo considerare Lussi la controparte oscura di Santa Lucia. La divinità pagana portava un nome che inneggiava alla luce, eppure regnava sulla notte più lunga dell’ anno; era rappresentata come una vecchia, a metà tra la strega e la maga, ma aveva il compito di concepire l’astro solare, che immergeva in un caldaio e rigenerava grazie al bollore delle fiamme. Queste ambivalenze, in realtà, appaiono frequentemente nel Paganesimo. In quanto Madre del Sole Nuovo, Lussi era anch’essa, come Lucia, una “portatrice di luce”: il suo nome aveva una valenza potentemente simbolica.

 

 

Ma quando avvenne, esattamente, la transizione dal culto di Lussi a quello di Santa Lucia? In Scandinavia il passaggio non fu così rapido. Il Cristianesimo cominciò a diffondersi nell’ anno 1000 in quelle lande nordiche, e tuttavia svariate testimonianze dimostrano che, nel XIII secolo, la figura di Lussi era ancora saldamente ancorata nell’ immaginario collettivo. La venerazione di Santa Lucia, e i riti che a tutt’oggi la contraddistinguono, sono fenomeni che in Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia si affermarono dalla fine del 1800 in poi (in Norvegia, il culto di Lucia di Siracusa prese piede addirittura dopo il secondo conflitto mondiale): prova ne è il fatto che “Santa Lucia”, la celebre canzone napoletana che si accompagna alle celebrazioni nordiche, fu scritta da Teodoro Cottrau nel 1849. Solo nel XX secolo la devozione a Lucia, portatrice di luce e protettrice della vista, si consolidò nella penisola scandinava. Fino a quel momento, soprattutto nelle zone rurali, le tracce delle antiche tradizioni pagane non erano mai scomparse del tutto.

 

 

Lussi e Lucia: due figure agli antipodi accomunate, però, da più d’una caratteristica. La prima è l’essere entrambe “portatrici di luce”. Lussi in quanto artefice del rinnovamento del Sole, Lucia per il suo nome e poichè nel suo sguardo vibrava la luce spirituale del cambiamento e della speranza. Non è un caso che, secondo la leggenda, le furono cavati gli occhi. Ma gli elementi che Lussi e Lucia hanno in comune sono anche altri. Uno di questi è venato di accenti vagamente sinistri, e sembra riportare al clima oscuro della Lussinatt: gli antichi popoli sostenevano che guardare negli occhi le divinità femminili più “tenebrose” (e tra queste rientrava Lussi) portava a conseguenze terribili e irreversibili. Curiosamente, tutto ciò riporta a una credenza relativa a Santa Lucia. Ai bambini si raccomandava di non guardarla, quando passava di casa in casa per consegnare i doni, perchè avrebbe gettato cenere nei loro occhi accecandoli temporaneamente.

 

 

Gli stessi occhi che Lucia conserva in un piattino sono un’ immagine inquietante. Eppure, al tempo stesso, hanno una valenza positiva: emblema di luce, gli occhi giacciono inanimi così come il Sole soccombe all’ oscurità dell’ Inverno. Ma la luce e il Sole rinasceranno a Yule, il giorno del Solstizio, quando il buio comincerà ad arretrare progressivamente. In omaggio al Sole che rinasce, gli svedesi hanno ideato un dessert tipico della festa di Santa Lucia: i Lussekatter, ribattezzati in Italia “Gatti di Santa Lucia”. Si tratta di dolcetti soffici e di un giallo luminoso (come lo è, appunto, il Sole) ottenuto con lo zafferano. La loro forma ad “S” rimanda, non a caso, alla rinascita ciclica del Sole, anche se da molti viene associata alla coda del gatto protagonista di un’antica leggenda sui Lussekatter.

 

 

L’ illustrazione è dell’ artista svedese Gerda Tirén

 

Still Life d’Autunno

 

Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo.”
(Vincent van Gogh)

 

L’ Autunno è una stagione talmente intensa, ammaliante e suggestiva che è impossibile non celebrarla continuamente. La natura, in attesa di assopirsi, ci regala un tripudio di spettacolari frutti e fiori. Il loro fascino decadente si coniuga con le nuance tipiche della stagione: il giallo, il viola, l’arancio, il marrone, il verde, il rosso, colori per eccellenza dell’ Autunno, tinteggiano ogni suo paesaggio e prodotto. Anche lo stato d’animo si modula su quelle tonalità, incantevoli al punto tale da far da sfondo al nostro viaggio interiore. Questa nuova photostory nasce con l’intento di omaggiare i doni e le atmosfere che l’ Autunno porta con sé. Lo still life risulta, a tale scopo, il genere fotografico perfetto per esaltarli al meglio.

 

 

Foto via Unsplash e Pexels