Lo spirito del duende

 

“Chi si trova sulla pelle di toro che si stende tra lo Jùcar, il Guadalfeo, il Sil o il Pisuerga (non voglio menzionare grossi corsi d’acqua vicino alle onde color criniera di leone agitate dal Plata), sente dire con relativa frequenza: “Questo ha molto duende”. Manuel Torres, grande artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: “Hai voce, conosci gli stili, ma non avrai mai successo perchè non hai duende“. In tutta l’Andalusia, roccia di Jaén o conchiglia di Cadice, la gente parla costantemente del duende e lo riconosce con istinto efficace non appena compare. Il meraviglioso cantaor El Lebrijano, creatore della Debla, diceva: “I giorni in cui canto con duende, non mi supera nessuno”; un giorno sentendo Brailowsky che suonava un frammento di Bach, la vecchia ballerina gitana La Malena esclamò “Olé! Questo sì che ha duende“, e si annoiò con Gluck e con Brahams e con Darius Milhaud; e Manuel Torres, l’uomo con più cultura nel sangue che io abbia mai conosciuto, quando ascoltò Falla in persona che eseguiva il suo Nocturno de Generalife, disse questa splendida frase: “Tutto quel che ha suoni neri ha duende”. E non c’è verità più grande. Questi suoni neri sono il mistero, sono le radici che sprofondano nel limo che tutti conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da cui ci giunge quanto è sostanziale nell’arte. Suoni neri, disse l’uomo popolare di Spagna, e si trovò d’accordo con Goethe, che offre una definizione del duende quando parla di Paganini, e dice: “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”. Ebbene, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi”. Vale a dire, non è questione di capacità, ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura e, al contempo, di creazione in atto. Questo “potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega è, in definitiva, lo spirito della Terra, lo stesso duende che infiammò il cuore di Nietzsche, il quale lo cercava nelle sue forme esteriori sul ponte di Rialto o nella musica di Bizet, senza trovarlo e senza sapere che il duende che egli inseguiva aveva spiccato un salto dai misteri greci alle ballerine di Cadice o al dionisiaco grido sgozzato della siguiriya di Silverio. Ebbene, non voglio che nessuno confonda il duende con il demone teologico del dubbio, contro il quale Lutero, con sentimento bacchico, scagliò una boccetta di inchiostro a Norimberga, nè con il diavolo cattolico, distruttore e poco intelligente, che si traveste da cagna per entrare nei conventi, nè con la scimmia parlante che porta con sè il Malgesì di Cervantes nella Comedia de los celos y la selva de Ardenia. No. Il duende di cui parlo, oscuro e trepidante, è un discendente di quell’ allegrissimo demone di Socrate, marmo e sale, che lo graffiò indignato il giorno in cui bevve la cicuta, e dell’altro malinconico diavoletto di Cartesio, piccolo come una mandorla verde, il quale, stufo di cerchi e linee, andava sui canali per sentir cantare i grandi marinai indistinti.”

Federico Garcìa Lorca, da “Gioco e teoria del duende”

 

 

Che cos’è il “duende”, un termine che riecheggia costantemente nella cultura andalusa? Ho lasciato ampio spazio alla definizione di Federico Garcìa Lorca, esauriente e significativa. Perchè spiegare il duende a parole non è facile. Lo si associa di frequente al flamenco: un ballo che è puro pathos, una potente quanto autentica espressione di emozioni; in grado di suscitare stati d’animo molto intensi e una vibrante partecipazione. Il duende cattura lo spettatore con una travolgente miscela di passione, evocatività, carisma, feeling in dosi massicce. Un artista che ha duende tocca le corde della tua anima ed è capace di darti i brividi, di trascinarti nel vortice della sua straordinaria, innata abilità espressiva.

 

 

Il duende, per Garcìa Lorca, è lo spirito della terra: un potere misterioso e profondo che parte dalle viscere. E’ amore e morte, tragedia e commedia, scorre nel sangue ed ha radici antichissime. Il suo legame con il folklore andaluso è inscindibile. Basti pensare che se ne rinvengono le prime tracce nel “Cante Jondo”, lo straziante canto di matrice gitana accompagnato dalla chitarra. Le influenze arabe e persiane sono molteplici, affiancate a vocalizzi ancestrali e della tradizione liturgica bizantina. D’altronde, nel corso dei secoli, in Andalusia si sono avvicendate e fuse innumerevoli culture. “Tener duende” non ha nulla a che fare con i virtuosismi, con un’ esecuzione perfetta. E’ una passione che arde dentro, una dote quasi sacrale.

 

 

Ma perchè oggi pubblico queste riflessioni sul duende? E’ molto semplice: sono l’introduzione ad un articolo che vedrà protagonista l’Andalusia, in particolare un tema specifico inerente questa affascinante regione della Spagna del Sud. Stay tuned su VALIUM per saperne di più…

 

 

Foto della “bailaora” sotto il testo di Federico Garcia Lorca: Imbi24, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Momenti di Maggio

 

” Come non posso vedere un torrente limpido, senza bagnarvi perlomeno i piedi, così non posso pensare davanti a un prato a maggio senza fermarmi. Non c’è niente che attiri di più di questa terra profumata, su cui le fioriture del cerfoglio ondeggiano come una lieve spuma, mentre gli alberi da frutto tendono i loro rami coperti di fiori come se volessero emergere da questo mare di beatitudine. E io, io devo per forza lasciare la strada e addentrarmi in questa pienezza multiforme di vita. “

(Sophie Scholl)

Due amiche nella campagna assolata di Maggio. Borse e cappelli di paglia per esaltare un mood rustico, abiti bianchi per riflettere la luce. Momenti di gioia e di assoluto relax vissuti in mezzo alla natura, a piedi nudi, tra candidi fiori di campo e prati verdeggianti. Finchè un sentiero che scende verso il mare svela un nuovo panorama: orizzonti sconfinati e una spiaggia deserta da godersi in un tripudio di inebrianti emozioni. (Foto di Nataliya Vaitkevich via Pexels)

 

Tramonti di Primavera

 

” ll tramonto si diffonde tra le nuvole isolate, separate in tutto il cielo. Riflessi di ogni colore, riflessi tranquilli, riempiono le varietà dell’aria in alto, fluttuano assenti nelle grandi pene dell’altitudine.”
(Fernando Pessoa)

 

Esistono tramonti e tramonti. Quelli primaverili, però, sono speciali: innanzitutto, perchè coincidono con l’ allungarsi delle giornate. E poi, perchè sprigionano colori magici e una luminosità incredibile. L’ indaco, il rosa, il violetto, l’ arancio e l’ azzurro polvere si mescolano tra loro in cromatismi acquarellati, mentre i raggi solari lambiscono il paesaggio prima di essere inghiottiti dall’ orizzonte. L’ aumento delle ore di luce ci invita a trascorrere molto più tempo all’aria aperta: gli aperitivi e le cene si fanno in dehor, si va a correre nel parco o si porta a spasso il cane nei momenti che precedono il calar del buio. Ai tramonti tardivi si accompagna una miriade di sensazioni. La percezione di sconfinati orizzonti cosmici e di una rinnovata armonia con la natura predomina, esaltata dal suggestivo gioco di luci e ombre del sole che cala. Nella photostory di oggi, una serie di scatti cattura quegli istanti spettacolari: sono attimi intrisi di incanto, rigorosamente immortalati “into the wild”, da cui scaturisce un tripudio di potenti emozioni.

 

 

Foto via Unsplash, Pexels e Pixabay

Bold Colors

 

Il sole è arrivato, e anche se le previsioni meteo dicono che non durerà, nell’ aria aleggia un’ irresistibile atmosfera di Primavera. C’è voglia di uscire, di stare all’ aria aperta, di riscoprire la città. Di folleggiare, anche, per ritrovare una gioia di vivere che due anni di restrizioni hanno inesorabilmente smorzato. Ma soprattutto, c’è voglia di colore. Anzi, di colori: squillanti, potenti, audaci, seducenti, energizzanti. Un vorticoso caleidoscopio che riflette tutte le nostre emozioni. Il look diventa intrigante, calamita gli sguardi e mozza il fiato. Il mood è sfrontato. Le vie della metropoli si tramutano negli scenari di una danza sfrenata e inebriante, noncurante degli sguardi altrui. La Primavera, perennemente associata al ritorno alla vita, mantiene un legame fortissimo con il colore: lo sottolinea questa photostory, che fa da apripista a una serie di nuovi articoli inneggianti ai cromatismi. Stay tuned su VALIUM…e lasciati travolgere da un autentico turbinio in technicolor!

 

 

She comes in colours everywhere

She combs her hair

She’s like a rainbow

Coming, colours in the air

Oh, everywhere

She comes in colours “

(“She’s a Raimbow”, The Rolling Stones)

 

 

” We’re dreaming on and on, we’re dreaming on and on

The stars are all around, the stars are all around

I’m chasing all of the colors in my head, I wanna feel alive

I’m living high, high, high “

(“Chasing Colors”, Marshmello x Ookay ft. Noah Cyrus)

 

 

” All my life, one page at a time

I’ll show you my, my true colors

No-no, no-no, I won’t apologize

For the fire in my eyes

Let me show you my, my true colors

It ain’t your rainbow “

(“True Colors”, Zedd e Kesha)

 

 

” Now I don’t care what you dress like or what you wear

But please make sure, baby, you’ve got some colors in there

Now it’s all very well stepping out in black and white

But you’re no girlfriend of mine if you’re doing that right

Get some colors on

Get some colors on “

(“Colours”, Calvin Harris)

 

 

Now that the light is fading

Silver and purple at twilight

Scenes of the day remain with us

Bright as the fire is burning bright

Blue as the sky above the lake

And blue the water flowing

White birch drooping on the shore

Her leaves of emerald glowing

The night is robed in spangled black “

(“Colors Song”, Maggie Rogers)

 

 

Photos by Jace Oner via Pexels

Il luogo

 

La location più suggestiva dell’ autunno? Senza dubbio, un fuoco e i suoi dintorni. Che siano fiamme che ardono in un camino o quelle di un falò, magari acceso in giardino oppure nei boschi. Ottobre è appena iniziato, ma di notte le temperature calano a picco: non c’è niente di meglio che godersi un po’ di tepore accanto alla fonte di calore che, per prima, diede conforto all’ umanità ancestrale. Sebbene oggi tendiamo a trascurarlo, il fuoco ha rivestito una primaria importanza per lo sviluppo della civilizzazione. Non a caso incarna una valenza emblematica ben precisa in moltissime religioni, culture, persino filosofie. Innanzitutto, è uno dei quattro elementi di contatto tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale (gli altri tre elementi sono aria, acqua e terra). Da tempi immemorabili viene associato all’ energia, alla forza, alla passione, al maschile, quattro termini che per gli antichi equivalevano a un tutt’uno. Si contrappone alla frescura, all’ umidità dell’ acqua con il suo potente calore; tra i punti cardinali lo si identifica con il Sud. L’ esoterismo conferisce al fuoco una funzione purificatrice, vivificante, trasformatrice. Riflettendo la luminosità dello Spirito, è in grado di innalzare qualsiasi cosa a livelli di perfezione sublime. Per gli alchimisti rappresentava il numero 1 in quanto emblema dell’ Unità: dal fuoco si erano forgiati i restanti tre elementi e ciò favoriva la sua associazione con il creare, con il fervore inventivo. Anche le emozioni vissute al massimo, senza timori, rimandavano al fuoco. “Ardente” è un aggettivo in tal senso esemplare. Tornando alla vita di tutti i giorni, il fuoco possiede numerose valenze. E’ convivialità, intimità, calore, anche figurativamente parlando. Attorno al fuoco, in autunno, ci si riunisce per chiacchierare, mangiare caldarroste, bere un calice di buon vino. Oppure per danzare, ascoltare musica, celebrare i più disparati eventi. Da tempi remotissimi, fino al momento in cui è comparsa la televisione, nei casolari di campagna vigeva l’usanza di ritrovarsi la sera davanti al focolare. La cena era appena terminata: il momento giusto per lasciar spazio alle conversazioni, ai racconti, alle leggende, alle dicerie che correvano in paese. Il vino rappresentava una sorta di “pozione magica” inebriante che dava sapore a quelle riunioni. Ai bambini venivano narrate le fiabe, ma al tempo stesso aleggiava il gusto di procurarsi brividi a vicenda. Non è un caso che, di frequente, ci si intrattenesse nel tramandare storie e leggende dagli accenti macabri. Era uno dei modi prediletti per provare e per trasmettere emozioni, amplificandole attraverso la cassa di risonanza della paura; un modo che, al pari della convivialità delle chiacchiere e del vino sorseggiato tutti insieme, alimentava il piacere della condivisione. Proprio lì, di notte, come in una sorta di rituale…mentre ardevano le fiamme del focolare.

 

 

 

Il close-up della settimana

 

Oggi inizia ufficialmente il Carnevale di Venezia, ma una maschera come quella della foto la vedrete solo on line. Intanto, il colore bianco del suo abito non è casuale: rimanda al cambiamento, a un nuovo inizio, alla purificazione che precede una rinascita. E’ la tonalità ideale, quindi, per simboleggiare l’ edizione 2021 dell’ antica kermesse lagunare, che non si lascia intimidire dal Coronavirus e si mette in gioco tramite un’ inedita versione virtuale. “Tradizionale, emozionale, digitale”, così il Carnevale viene definito nel comunicato stampa di presentazione, e di emozioni ne elargirà senza dubbio. Perchè quest’ anno chiunque potrà partecipare alla più celebre festa veneziana: è sufficiente connettersi al sito ufficiale del Carnevale, ai suoi social o accedere a Televenezia, sul canale 71 del digitale terrestre.

 

 

La manifestazione carnascialesca, insomma, non rinuncia ad allietarci con la sua magia ma approda sul web per permettere al pubblico di fruirne in tutta sicurezza. Dal 6 al 7 Febbraio e dall’ 11 al 16 Febbraio, a partire dalle 17 fino alle 18,30 circa, gli streaming trasmessi da Ca’ Vendramin Calergi – il Casinò di Venezia, affacciato sul Canal Grande – ci condurranno tra i luoghi e i protagonisti del Carnevale in un vortice di euforia, spettacolari travestimenti, avvincenti interviste e suggestivi racconti. Ma per ora non vi dico altro: sono assolutamente intenzionata a non fare spoiler. Ad introdurci al perenne incanto del leggendario evento veneziano sarà un personaggio (o meglio, uno, nessuno e centomila) che chi segue VALIUM conosce molto bene. Chi altri se non lui, potrebbe raccontarvi con parole più intriganti il Carnevale di Venezia? Scommetto che avete già capito di chi si tratta…Stay tuned per non perdere questo straordinario appuntamento!

 

 

 

Un “Happy New Year” d’antan

 

” Il nuovo è molto antico, si può anzi dire che è sempre ciò che c’è di più antico.”
(Eugène Delacroix)

Chi segue VALIUM conosce bene la mia passione per le vintage cards. L’ arrivo del 2021, di conseguenza, non poteva che essere salutato da una gallery di preziose chicche d’antan: biglietti d’auguri raffiguranti antichi miti del periodo natalizio. Il nuovo anno viene sempre rappresentato come un bambino, un putto, un angioletto, l’ anno vecchio è un uomo vetusto dalla barba lunga. L’ infanzia fa da supremo leitmotiv, nelle card che celebrano il 1 Gennaio; rievoca l’ eterno ciclo di morte e nascita, paragonando lo scorrere dei dodici mesi alle fasi dell’ esistenza umana. Poi ci sono enormi orologi che segnano la mezzanotte, signore della Belle Epoque intente in un brindisi con dei cavalieri in frac, prototipi di automobile dove l’arrivo dell’ anno nuovo (una fanciulletta con tanto di corona sul capo) è salutato da un angioletto che dà fiato alle trombe, pattinatrici su ghiaccio accudite da paradisiache creature alate…Oggi, voglio augurarvi ancora un felice 2021 tramite una serie di piccoli capolavori artistici che risalgono al XIX secolo: i soggetti, con la loro naïveté, sono ricchi di pathos e risvegliano le emozioni, stendendo un velo di fatato stupore sulle ricorrenze a cui rimandano. E’ anche così, d’altronde, che si accresce l’ incanto delle feste più attese dell’anno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto (dall’alto): n. 1 e 5 via The Texas Collection, Baylor University, from Flickr, CC BY-NC 2.0

Le rimanenti, via Wikimedia Commons

 

 

Adèle H.

 

” Come potrei spiegare cosa accade in me da qualche tempo? Talvolta ho delle violente aspirazioni verso il grande ideale, una morte pura e grandiosa, altre volte verso una vita dolcemente fastosa, dove ho solamente Auguste. Talvolta sono una vita bruciata, ardente, violenta, viva, nella quale via via Clésinger, Delacroix, Arnould si susseguono, come amanti, nella quale mi vedono come la figlia di Victor Hugo, giovane, bella, radiosa, alla moda, supremamente intelligente, supremamente bella, radiosa, supremamente civetta, che schiaccia con tutto il suo splendore le sue rivali, passate, presenti e future; intellettuale, grande musicista, applicando e facendo applicare i miei paradossi, vivendo tutte le vite, la vita dell’ amore, la vita del mondo. Ma ahimè altre volte rimpiango anche il passato, la mia purezza, la bellezza della mia anima, il mio primo amore, le mie prime emozioni, l’organo, Place-Royale, Villequier, il suo bel giardino al chiaro di luna nel 1846 (già sei anni fa), Auguste e l’estasi dei nostri primi baci, quando amante e grandiosa sacrificavo la mia serenità alla sua felicità. (…) L’ amore è Spirito e Materia. Non do il mio corpo senza la mia anima, né la mia anima senza il mio corpo. L’ uno è imprescindibile dall’ altra. “

 

Adèle Hugo

da “Pazza d’Amore”, a cura di Manuela Maddamma

     

Nella foto: Isabelle Adjani nel film “L’ Histoire d’Adèle H.” (1975) di François Truffaut. Immagine via deepskyobject from Flickr, CC BY-SA 2.0

 

Le emozioni danzano sulle punte: incontro con l’ Étoile internazionale Petra Conti

(Photo by Joe Shalmoni – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

E’ eterea come una ninfa e ha sempre il sorriso sulle labbra: Petra Conti si muove leggera, sembra danzare persino quando cammina. Non riesco a immaginarla che su un palco, mentre si libra in un grand-jeté con la grazia di una farfalla. Eppure, la sua souplesse si coniuga con una straordinaria forza interiore. Questo connubio, a cui si aggiungono un talento innato, dosi massicce di saggezza e un ferreo senso della disciplina, sintetizza gli ingredienti che compongono la personalità di Petra, Étoile con un curriculm che annovera performance nei più prestigiosi teatri internazionali. Classe 1988, nata ad Anagni da padre italiano e madre polacca, a poco più di 20 anni viene nominata Prima Ballerina del Teatro alla Scala e da allora, per lei, inizia una carriera che la porta costantemente in giro per il mondo. Diplomatasi con lode all’ Accademia Nazionale di Danza e perfezionatasi al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, Petra è appena diciassettenne quando viene convocata all’ Arena di Verona per esibirsi come Étoile Ospite nel balletto “Cenerentola”, in cui interpreta la protagonista. Oggi, riapproda su quel palco di frequente. L’ultima volta risale al 2019, in occasione del 97° Festival Lirico, dove è stata invitata a danzare – sempre in qualità di Étoile Ospite – sia in “Aida” che ne “La Traviata”, l’ultima regia del Maestro Zeffirelli, trasmessa in mondovisione e presenziata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo l’ esperienza al Teatro alla Scala, Petra ha rivestito il ruolo di Prima Ballerina al Boston Ballet e, dal 2017, si è stabilita in California dove è Resident Principal Guest Dancer del Los Angeles Ballet. La sua carriera di Étoile Ospite, nel frattempo, si è consolidata stabilmente: le più celebri compagnie mondiali se la contendono e la sua fama è cresciuta al punto tale da elevarla al rango di stella internazionale del balletto. Pluripremiata per le sue doti tersicoree, nel 2014 Petra ha avuto l’ onore di essere insignita del titolo di Ambasciatrice della Danza Italiana nel Mondo. Ma il suo talento non si limita a una tecnica impeccabile: il pathos interpretativo che sprigiona sul palco le è valso la definizione di “Anna Magnani della Danza” (da un titolo che le dedicò il settimanale Panorama), e non sorprende. Petra Conti è così, cuore e determinazione, soavità e potenza, emozioni e ineccepibile rigore stilistico. Se la danza è “arte in movimento”, questa giovane Étoile italiana è un’ Artista con la A maiuscola. Ho voluto fortemente incontrarla per ospitarla nel mio blog.

Il tuo amore per la danza è scoccato come un colpo di fulmine o è maturato a poco a poco?

L’amore per la danza è sbocciato e cresciuto insieme a me. Mia mamma e mia sorella sono state entrambe ballerine, per cui sono nata in una famiglia dove la danza classica era la cosa più naturale del mondo.

 

(Photo by Joe Shalmoni)

Per molte bambine, la danza è “la favola”: tant’è che iniziano a prendere lezioni vedendosi già in tutù sul palco. Cosa ha rappresentato la danza, per te, sin da piccola?

In realtà io non ho iniziato danza da piccolissima, infatti ho preso le prime lezioni solo a 11 anni, quando sono entrata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Non ricordo di essermi mai immaginata sul palco con il tutù, forse perché ho sempre percepito la danza come qualcosa di naturale e intrinseco alla mia natura, un linguaggio perfetto. La danza è diventata ben presto il mio modo di esprimermi, di sfogare le emozioni che avevo dentro.

Il tuo percorso ha avuto inizio all’Accademia Nazionale di Danza di Roma, ma il tuo talento si è rivelato ben prima del diploma: avevi solo 15 anni quando hai avuto l’onore di danzare in TV con Roberto Bolle. Che cosa ricordi di quello straordinario evento?

Quell’evento mi ha cambiato la vita e mi ha decisamente incoraggiata a continuare a lavorare ancora di più. L’esperienza di ballare con Roberto Bolle a 15 anni è stata per me una grande conferma, che la danza era la mia strada e che il mio destino sarebbe stato quello di diventare una ballerina; ho sempre creduto che con tanto duro lavoro sarei potuta arrivare lontano.

 

 

Hai debuttato come Étoile Ospite all’Arena di Verona con il balletto “Cenerentola”. Eri appena diciassettenne. Da allora è iniziata, intervallata da prestigiose tappe (la nomina come Prima Ballerina della Scala nel 2011, l’invito al Boston Ballet dove hai ricoperto lo stesso ruolo fino al 2017), la tua carriera di Prima Ballerina ospite. Qual è il valore aggiunto – sia in termini professionali che di emozioni – dell’essere una “freelance” della danza?

Essere invitata come Étoile Ospite nei teatri di tutto il mondo è il traguardo più bello che potessi raggiungere: far combaciare la danza con il viaggiare e’, per me, davvero un sogno che si avvera, visto che sono uno spirito libero per natura. Essere una freelance della danza significa sia essere il “capo di se stessi”, sia assumersi una grandissima responsabilità per il ruolo che si ricopre e il nome che si rappresenta. Significa poi, in concreto, autogestirsi nell’organizzazione delle prove e dei viaggi, essere il manager di se stessi, doversi preoccupare di ogni minimo dettaglio, dallo stare in forma tra un ingaggio e l’altro ad ordinare per tempo la quantità di scarpe da punta che potrebbero servire e, poi, imparare la coreografia prima di arrivare nel teatro che mi ospita… Credo non tutti sopporterebbero un tale stress! A me, invece, tutto questo piace da matti, mi fa sentire viva e sempre sulla cresta dell’onda. E poi c’è il valore aggiunto di lavorare in diversi teatri e, quindi, di confrontarsi con primi ballerini di tutto il mondo, imparare anche da loro sempre qualcosa di nuovo per arricchire la mia carriera, farsi conoscere e apprezzare da un pubblico sempre diverso, essere continuamente ispirata dalla novità di un nuovo posto di lavoro…

 

Petra mentre si esibisce nell’ “Aida” al Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Ancora uno scatto tratto dal Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona: qui Petra è immortalata ne “La Traviata”, ultimo allestimento del Maestro Zeffirelli (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Come danzatrice hai dei modelli, delle figure di riferimento?

Sì, ovviamente, ho figure di riferimento sia nel campo della danza, sia nel campo dell’arte in generale. Credo sia indispensabile farsi ispirare dai modelli di ieri e di oggi; ma non solo, tutto, anche la natura può essere per me fonte di ispirazione! Da Anna Magnani a Michelangelo, da Bob Fosse al film “Joker”, dalle pantere ai cigni… Le parole di un libro, i colori del tramonto, una canzone, un profumo… E poi i video delle grandi ballerine del passato e del presente, eterni miti. Non voglio fare nomi perché per me ogni grande ballerina è, appunto, grande per qualcosa in particolare e ciascuna in maniera differente da un’altra. L’arte non si può paragonare, si può solo apprezzare!

 

 

Alla tua giovane età grazie alla danza hai girato il globo, lavorato con prestigiosi artisti, ricevuto premi ed onorificenze. Cosa provi, facendo un bilancio?

Sono estremamente grata per una carriera da sogno, ma non mi “siedo sugli allori”. A 31 anni sento di aver fatto tanto, mi sento una ballerina matura e con esperienza da vendere, ma non mi sento affatto arrivata! Ho ancora tanto da dare e tanto da imparare.

Come viene percepita la danza al di fuori dei confini italiani? Esistono Paesi che ti hanno colpito particolarmente riguardo l’attenzione rivolta al balletto e la formazione professionale?

Tra i tanti Paesi visitati mi ha particolarmente colpita Cuba! Ho ballato all’Havana nel 2018 ed è stata un’esperienza unica vedere la passione per il balletto fortemente impregnata in ogni angolo dell’isola. A Cuba il rispetto, l’ammirazione e la conoscenza della danza sono sconfinati, a mio avviso, al pari della Russia.

 

Petra Conti e Eris Nezha durante le prove de “Il Lago dei Cigni”

Una delle frasi che sei solita scrivere per motivarti recita: “Ho imparato che tutti vogliono vivere in cima alla montagna, ma tutta la felicità e la crescita avvengono mentre la scali”. La trovo bellissima. Potresti commentarcela?

È uno dei miei motti! In inglese si può riassumere semplicemente in “enjoy the journey” e, in effetti, rappresenta il mio modus vivendi. Apprezzare il viaggio e non pensare ossessivamente solo alla meta, godersi ogni piccola vittoria, imparare da ogni sconfitta, vivere nel momento. C‘è chi dice di non vedere l’ora di arrivare a destinazione, ma per me già il viaggio in sé è bellissimo e fondamentale!

 

 

La tua carriera ha subito una battuta d’arresto dopo che hai scoperto di essere affetta da un cancro al rene. Com’è stato ritornare alla danza, e alla vita in senso lato, dopo quella spiacevole esperienza?

Tutto quanto per me ha un valore diverso adesso: vivo ogni giorno e ogni spettacolo al massimo, con la consapevolezza di essere davvero fortunata ad aver avuto una seconda chance. Ogni giorno ringrazio Dio e sento profondamente la responsabilità di dover fare di più, di aiutare, di motivare… Non posso assolutamente sprecare questa seconda opportunità di vita che mi è stata regalata. E se sono ancora qui è perché ho ancora tanto da fare, ancora tanto da dare, perché devo contribuire di più, perché il mio destino non è ancora compiuto.

(Photo by Joe Shalmoni – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

Attualmente sei “Resident Principal Guest Dancer” del Los Angeles Ballet. Potremo rivederti in Italia a breve?

Da qualche anno a questa parte sta diventando un appuntamento fisso tornare in Italia d’estate: negli ultimi tre anni, infatti, sono stata Prima Ballerina ospite all’Arena di Verona in occasione del prestigioso Festival Lirico. Per ora non posso anticipare nulla, ma vi terrò aggiornati!

Viviamo nell’era digitale. Pensi che i social media possano essere efficaci per divulgare l’arte della danza, per stemperare l’alone eccessivamente “elitario” che a volte sembra circondarla?

Assolutamente sì! Io credo fortemente nell’efficacia dei social e mi sto impegnando molto per usare il mio account Instagram come “biglietto da visita”, come specchio della vita di un artista; una sorta di “diario di bordo di una ballerina”, per avvicinare e motivare giovani di tutto il mondo. Cerco infatti di condividere ogni aspetto di questa bellissima arte, dalle prove in sala al lavoro sul proprio corpo, dai dolori alle soddisfazioni, dalla vita di ogni giorno di una prima ballerina ai piccoli consigli e alle frasi motivazionali che possano ispirare i danzatori di domani. L’era del divismo è tramontata da un bel po’ e credo che rendersi più “umani” e raggiungibili, avvicinarsi quanto più possibile al proprio pubblico e ai propri fan sia assolutamente necessario oggi per mantenere viva la danza, per sempre.

 

Petra nell’ “Aida” durante il Festival Lirico 2019 dell’ Arena di Verona (photo Ennevi – Courtesy Fondazione Arena di Verona)

 

 

 

La magia immutabile della notte di San Giovanni

 

La notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 Giugno, è intrisa di simbologia esoterica e di magiche rivelazioni. Nella mia città – Fabriano – precede i festeggiamenti per il Santo Patrono (San Giovanni Battista, appunto), e forse anche per questo le ho sempre dedicato svariati post. Ma il profondo fascino che questa notte esercita, in ogni caso, rimane innegabile. Secoli orsono, la ricorrenza di San Giovanni fu fissata al 24 Giugno con il probabile scopo di sovrapporre le celebrazioni cattoliche in onore del Santo ai rituali pagani per il Solstizio d’Estate. Tradizioni comuni, credenze condivise da tutte le più antiche civiltà europee, hanno consacrato la notte di San Giovanni alle virtù propiziatorie e alla divinazione. Astrologicamente, l’ ingresso del sole nel segno del Cancro – segno d’acqua dominato dalla luna – sancisce l’ unione tra fuoco e acqua, tra maschile e femminile, tra luce e ombra: un connubio da cui non possono che scaturire energie benefiche, originate da una complementarietà che diviene principio vitale per eccellenza. Ripercorrere le usanze associate a questa notte fatata ci avvolge ogni volta in un turbinio di fascinazioni, perchè è proprio il loro incanto che contribuisce a rendere unico, caratteristico e del tutto suggestivo il nostro patrimonio ancestrale.

 

Gli antichi Celti usavano accendere grandi falò in cima alle colline e far rotolare ruote infuocate lungo i loro pendii. Il fuoco ha una valenza purificatrice e beneaugurante sin da tempi remotissimi: anche far transitare il bestiame tra due falò e scavalcare le fiamme saltando mentre si esprime un desiderio viene considerato di buon auspicio. Il fuoco, inoltre, ha la facoltà di allontanare le malattie e gli spiriti maligni. Non sorprende che la tradizione dei falò rimanga quindi una delle più diffuse in tutta Europa.

Si attribuiscono proprietà prodigiose alla rugiada, alla guazza che si stende sui prati, tanto che un’usanza vuole che una donna desiderosa di diventare madre si rotoli o si stenda, nuda, tra l’erba bagnata.

Ad alcune erbe sono attribuiti poteri incantati e vengono utilizzate con funzioni guaritrici, propiziatorie o per proteggersi dai malefici.

L’iperico – o erba di San Giovanni– è pianta “del  Solstizio” per eccellenza: anticamente, i viandanti erano soliti percorrere i loro tragitti nascondendone un mazzetto sotto la giacca per proteggersi dalle entità malefiche. Altre piante, invece, come la ruta, la verbena, il vischio, la lavanda, il timo, il finocchio, la piantaggine e l’artemisia, venivano bruciate nei falò del Solstizio per attirare buoni auspici.

Le erbe, insieme ai petali dei fiori (su tutti, quello della ginestra), costituiscono gli ingredienti fondamentali dell’ acqua di San Giovanni, una delle tradizioni più antiche sviluppatesi nel fabrianese: immerse in una bacinella piena d’acqua durante la notte, venivano utilizzate per lavarsi la mattina seguente ritenendo che rinvigorisse la pelle e l’ organismo.

Anche il noce, albero magico per le streghe che lo attorniavano appena calavano le tenebre del 23 giugno, ricopre un ruolo particolare: dalle noci raccolte nottetempo, infatti, si ricava il  Nocino, un liquore i cui eccipienti includono un mix di cannella, alcool, chiodi di garofano, acqua e zucchero.

Tra le pratiche divinatorie a cui maggiormente si ricorreva rientrano, nel territorio della “città della carta”, quella di predire il futuro tramite la forma assunta dal bianco di un uovo versato in un bicchiere e poi esposto alla rugiada notturna. In particolare, la “divinazione dell’uovo” dava indicazioni sul futuro sposo alle ragazze in età da marito.