Il girasole e le sue leggende

 

Botanicamente è l’Helianthus Annuus, un nome che fonde i termini greci “helios”, ovvero “sole”, e “anthos”, “fiore”. Ma anche la sua denominazione più nota, “girasole”, cita l’astro infuocato. Ciò perchè, in base ai principi dell’ eliotropismo, ha una corolla sempre orientata verso il sole. In realtà, ciò avviene quando è ancora nello stadio di bocciolo; dopo la fioritura punta laddove il sole sorge, ovvero ad est. Il girasole si associa al sole persino nell’aspetto: la forma tonda e i petali gialli disposti a raggiera fanno subito pensare alla stella più vicina alla Terra. Qualche mese dopo la semina, fissata tra Marzo e Aprile, i campi si tramutano in spettacolari distese color oro che ispirano gioia e buonumore. La particolarità che cattura immediatamente l’attenzione è l’imponenza dei girasoli: il loro stelo può raggiungere i due metri di altezza. La tonalità vibrante e la bellezza unica li annoverano tra i più richiesti fiori ornamentali, mentre i semi, ricchi di nutrienti, sono molto utilizzati in cucina.

 

 

Ma quali sono le origini del girasole? L’ Helianthus Annuus nasce nell’ America Meridionale, precisamente in Perù. Gli Incas lo coltivavano già nel 1000 a.C., e identificavano in questo fiore il loro dio del Sole: l’essere rivolto costantemente verso l’astro era un indizio del dialogo che intratteneva con lui. Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro, che conquistò l’Impero Inca e fondò in seguito la città di Lima, fu il primo a scoprire la valenza divina assunta dal girasole  presso gli Incas. In Europa il fiore approdò nel XVI secolo, sia sotto forma di semi che delle innumerevoli riproduzioni in oro che la popolazione andina era solita dedicargli.

 

 

Gli antichi popoli, in generale, consideravano il girasole un emblema di immortalità. L’identificazione con il dio Sole, e quindi con la vita, era presente in un gran numero di culture, favorita anche dal fatto che questo fiore offriva semi commestibili e olio in abbondanza. Esistono leggende molto suggestive, sul girasole; la più celebre lo ricollega alla mitologia greca: Clizia, una giovane ninfa, era perdutamente innamorata di Apollo, il dio del Sole. Non poteva fare a meno di tenere gli occhi incollati al cielo, ogni volta che passava con il suo carro. Apollo, lusingato da tanta attenzione, riuscì a sedurla, ma poco tempo dopo la abbandonò. Clizia, disperata, pianse per nove giorni di seguito in un campo, fissando continuamente il sole. Secondo la leggenda, il suo corpo si immobilizzò fino a diventare uno stelo; i piedi presero le sembianze di radici, i capelli formarono una corolla di petali color giallo brillante: si era tramutata in un girasole, e ammirava il sole da mattina a sera. La leggenda è citata ne “Le metamorfosi” di Ovidio, ma non essendo il girasole ancora sbarcato dall’ America si pensa che possa riferirsi all’ eliotropio.

 

 

Un’ altra leggenda narra di un fiore molto solitario e malinconico. Aveva un aspetto particolare; non era considerato bello e tutti, nel campo in cui sorgeva, evitavano di stargli accanto. Così, il fiore passava le giornate ad ammirare il sole. Lo adorava a tal punto che il suo stelo, a furia di guardarlo, era cresciuto in altezza. Il fiore seguiva il percorso del sole con la sua corolla, e il sole non potè fare a meno di notarlo. Un giorno, incuriosito, l’astro chiese al fiore come mai era sempre solo e costui gli raccontò la sua triste storia. Il sole rimase molto impressionato da quel racconto e decise di aiutarlo: lo confortò e lo trasformò in un fiore alto, splendido e completamente tinto di giallo. Adesso era il fiore più bello di tutto il campo, e prese il nome di Girasole in onore della sua amicizia con l’astro.

 

 

 

La colazione di oggi: le fragoline di bosco, un elisir di lunga vita

 

Maggio, come tutti ben sappiamo, è il tempo delle fragole. Ma anche delle fragoline di bosco! La Fragaria Vesca (questo il suo nome botanico), a differenza della Fragaria X ananassa che viene coltivata, nasce spontanea nel sottobosco ed è diffusa in Europa, nel Nord America e in Asia settentrionale. Le dissomiglianze tra le due tipologie sono evidenti: le fragoline, rispetto alle fragole da giardino, hanno dimensioni molto più piccole, una consistenza più soffice (“vesca”, in latino, significa “molle” non a caso) e un sapore decisamente più intenso. Quando passeggiamo nei boschi, la Fragaria Vesca è ben distinguibile. Cresce in mazzetti ornati da triadi di foglie dai bordi dentellati, ha fiori minuti e bianchissimi che sfoggiano un massimo di sei petali, fiorisce da Aprile fino a Luglio ma non è raro che sbocci anche in Autunno. La Fregaria Vesca predilige i terreni piuttosto ombreggiati, battuti dal sole quanto basta. Ma perchè dovremmo prenderla in considerazione, data l’ enorme diffusione della Fragaria X ananassa? E’ molto semplice: le fragoline sono oltremodo ricche di proprietà benefiche e curative.

 

 

Basti dire che vengono utilizzate come pianta medicinale sin da tempi remotissimi: tra le loro innumerevoli virtù, rientra quella di combattere i malanni gastrointestinali. Le fragoline di bosco depurano, svolgono un’efficace azione diuretica, tengono a bada gli sbalzi di pressione e contrastano l’ipertensione arteriosa. In Primavera, quando maturano i loro “falsi frutti” (i frutti veri e propri sono gli acheni, i semini che punteggiano la superficie rossa), sono un toccasana per azzerare lo stress tipico del cambio di stagione. La Fragaria Vesca abbonda di sali minerali come il ferro, il calcio, lo iodio, il fosforo e il magnesio, un ottimo drenante: grazie ad esso combatte eccellentemente la ritenzione idrica, favorisce la diuresi e depura l’organismo. Il frutto (lo chiameremo così), inoltre, è ricco di acido acetilsalicilico, noto per le sue virtù analgesiche e antinfiammatorie.

 

 

Anche la vitamina C contenuta nella Fragaria Vesca è di fondamentale importanza: le proprietà antiossidanti di questa vitamina contrastano la deleteria azione dei radicali liberi, causa prima della degenerazione dei tessuti. Grazie alle sostanze benefiche di cui abbonda, la fragolina di bosco può essere considerata un valido ricostituente, il che si rivela un toccasana anche per l’ ipertensione arteriosa di cui vi ho parlato poco fa. Ritemprare il sistema nervoso, combattere i radicali liberi e drenare i liquidi in eccesso, infatti, rappresentano tre azioni basilari per proteggere le arterie e rigenerare l’organismo.

 

 

Cosa potreste preparare, quindi, con le fragoline di bosco? A colazione, frappè e frullati sono l’ideale sia per dissetarsi che per drenare i liquidi.  Le fragoline possono essere anche gustate così come sono, magari condite con un po’ di limone, per godere appieno delle virtù antiossidanti di cui sono ricche. Altre idee? Inseritele nella macedonia, insieme ad altri tipi di frutta. Oppure consumatele nel porridge (la zuppa di avena). Quando viene inclusa nella farcitura o nella decorazione dei dolci, la Fragaria Vesca raggiunge il top della golosità. Se però volete sfruttare al meglio le proprietà salutari delle fragoline selvatiche, assaporatele al naturale dopo averle mescolate al miele: l’effetto ricostituente è assicurato.

 

 

 

La colazione di oggi: le frappe di Carnevale, un’ evoluzione dei frictilia dell’ antica Roma

 

A Carnevale ogni scherzo vale, ma vale anche la pena di assaporare i ghiotti dolci tradizionali del periodo. Prendiamo le frappe, ad esempio: se questo nome non vi dice nulla, probabilmente le chiamate “chiacchiere”, “bugie”, “cenci”, “crostoli”… L’ elenco è interminabile, le loro denominazioni variano in ogni regione italiana. La golosità, però rimane immutata: sono dei dolcetti fritti dai bordi zigzagati, a forma di nastri e spolverati di zucchero a velo. A conquistare subito è la loro consistenza, dolce e croccante a un tempo, leggera al punto tale da invogliare a gustarne sempre di più. Una frappa tira l’altra, perchè a Carnevale anche ogni sgarro alla dieta vale…e poi, la ricetta di questo dolce è semplicissima: un impasto di burro, farina, zucchero e grappa (in alternativa il marsala, il vinsanto, l’acquavite) viene suddiviso in lunghe strisce che successivamente prendono la forma di nastri. Dopo averli fritti in olio, si spolverano con lo zucchero a velo e il dessert è servito.

 

 

Le frappe sono un dolce internazionale: si preparano in tutto il mondo, dall’ Europa alla Russia, dall’ Ucraina al Brasile. Ma c’è un’altra curiosità che le riguarda, intrigante almeno quanto il loro sapore. Sapevate che le origini di queste frittelle risalgono nientemeno che all’ antica Roma? A quei tempi si chiamavano “frictilia” ed erano dolcetti fritti tipici dei Saturnali, i festeggiamenti in onore di Saturno che si svolgevano dal 17 al 23 Dicembre. In questo periodo, caratterizzato dal sovvertimento delle classi sociali e da fastosi banchetti, i frictilia venivano distribuiti ad ogni angolo di strada. I romani ne andavano ghiotti: con le frappe come le conosciamo oggi avevano poco a che fare, ma la frittura e molti altri particolari rendono simili i due dolci. I frictilia avevano una forma tondeggiante (non è un caso che fossero chiamati anche “globulos”), una consistenza soffice, e venivano fritti nello strutto; una volta cotti, si cospargevano di miele, sesamo (o pepe macinato) e semi di papavero per intensificare il loro sapore. Con il passar del tempo, comunque, la ricetta subì sostanziali variazioni. La cannella arricchì il gusto dei frictilia, consumati abbondantemente in occasione delle “feste dei folli” medievali (festeggiamenti in maschera organizzati dal clero europeo che presero il posto dei Saturnali). In seguito, le frittelle tondeggianti entrarono a far parte della tradizione carnevalesca. Ma a quel punto, la loro metamorfosi in frappe era già evidente…

 

 

Tornando alle frappe odierne, preparatele in diverse varianti se volete renderle più ghiotte per la vostra prima colazione: per esempio, anzichè utilizzare lo zucchero a velo, potreste cospargerle di miele o innaffiarle con l’archemes. Oppure, aggiungete del cacao all’ impasto e ricopritele di cioccolato fondente. In rete esistono ricette sfiziose per donare un nuovo twist al dolce. Le proposte spaziano dalle frappe ripiene alla frappe alla sambuca, passando per quelle al mandarino, al limone, allo zenzero e canella. Se queste versioni vi intrigano, cliccate qui

 

 

 

La colazione di oggi: i canditi, una tipica delizia natalizia

 

Nel periodo natalizio, i canditi sono gettonatissimi: arricchiscono innumerevoli dolci, su tutti il panettone (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), di un tocco di golosità irresistibile. Ma che cos’è esattamente la frutta candita, e quali benefici apporta? Lo scopriremo in questa nuova puntata de “La colazione di oggi”. La frutta candita è, innanzitutto, frutta che viene disidratata e conservata grazie allo zucchero. Per prepararla si utilizzano gli agrumi (cedro e arancia); lo zucchero favorisce l’ espulsione dell’acqua e si fa strada all’ interno del frutto, solidificandolo e rendendolo estremamente dolce. I procedimenti per ottenere la frutta candita, tuttavia, sono molteplici e differiscono l’ uno dall’ altro. Le variazioni riguardano soprattutto la canditura industriale e quella artigianale, due lavorazioni agli antipodi: la prima si avvale di un buon numero di additivi, aromi e conservanti chimici, per cui ci focalizzeremo solo sulla seconda, ovvero i canditi preparati artigianalmente. Il processo della canditura si perde nella notte dei tempi. L’obiettivo prioritario era quello di preservare la freschezza degli alimenti. Gli antichi Romani ed altri popoli solevano conservare i cibi sotto miele o servendosi dello sciroppo di palma. Oggi, la lavorazione ha luogo nelle pasticcerie artigianali: il mastro pasticcere esamina accuratamente la frutta a sua disposizione, la taglia a cubetti e la riveste di uno speciale sciroppo ricco di zucchero che ha preparato personalmente.

 

 

Va detto, comunque, che i procedimenti utilizzati per la canditura sono perlopiù mantenuti top secret. Ogni mastro pasticcere ha elaborato il proprio. Per far sì che la frutta cristallizzi velocemente, ad esempio, alcuni si servono del miele d’acacia, altri aggiungono qualche goccia di limone. Di base, gli ingredienti della frutta candita sono la frutta stessa, una buona dose di zucchero, del miele di acacia o, in alternativa, un po’ di succo di limone. Tutti componenti genuini, insomma, e ricchi di proprietà nutrizionali. Ma quali sono, virtù salutari a parte, i punti di forza dei canditi artigianali? Innanzitutto, il sapore caratteristico: intenso, profumatissimo. Degustarli è una vera e propria esperienza sensoriale, evocativa ed emozionale a un tempo.

 

 

Approfondiamo ora i benefici dei canditi a livello nutrizionale. Cominciamo col dire che abbondano di Vitamina A e Vitamina C, ma anche di fibre, acqua, minerali come il potassio e polifenoli, dei potenti antiossidanti. Il fruttosio non è presente in quantità troppo elevate, ma le alte dosi di zuccheri solubili rendono i canditi off-limits per chi ha dei problemi di linea, chi soffre di diabete o ha un eccesso di trigliceridi nel sangue.

 

 

A colazione, i canditi risultano perfetti perchè donano energia e tramutano in delizia qualsiasi alimento. Se li amate, le feste natalizie sono il periodo ideale per assaporarli appieno. I dolci che li contengono sono innumerevoli: iniziare con il panettone (che li affianca alle uvette) è d’obbligo, per poi procedere con l’ Angelica di Natale, il Christmas Cake, il Christmas Fruitcake (un caratteristico plumcake inglese), la Treccia di Natale, il tedesco Christstollen e, passando alle tipicità regionali italiane, il Pandolce ligure, il Panforte toscano, lo Zelten del Trentino, i Cannoli  e i Buccellati siciliani…mi fermo qui per motivi di spazio, ma la lista è pressochè infinita.

 

Il Christstollen

Concludo con qualche cenno storico sulla canditura, un termine che deriva dall’ arabo “qandat” probabilmente evoluto dal sanscrito “khandakah”. La conservazione degli alimenti sotto miele o nello sciroppo di palma era diffusa nell’ antica Roma, in Mesopotamia e nel territorio cinese; furono gli Arabi a portarla a livelli di eccellenza, propagando il suo utilizzo in Europa grazie ai rapporti mercantili con Venezia e poi con Genova. Nell’ Italia del Sud la canditura fu divulgata, invece, all’ epoca del dominio islamico sulla Sicilia, che durò per circa 250 anni: dall’ 827 al 1091.

 

 

 

Il Ceppo di Yule, un’ antica e suggestiva tradizione del Solstizio d’Inverno

 

” Solstizio d’inverno.
Sembra che il mondo voglia dare le spalle alla luce.
I colori nascondono il loro volto.
La terra coltiva l’ombra
come se fosse l’unica cosa che cresce.”
(Fabrizio Caramagna)

 

21 Dicembre, Solstizio d’Inverno: è il giorno più corto dell’ anno. Le ore di buio trionfano, fagocitando quelle di luce. Il Sole, giunto al punto di declinazione minima nel suo moto apparente lungo l’eclittica, sembra arrestarsi (non è un caso che il termine “Solstizio”, in latino “Solstitium”, derivi da “sol”, sole, e “sistere”, ovvero fermarsi). L’atmosfera è sospesa, la natura e il cosmo partecipano silenziosamente a questo importante momento di transizione. Perchè quando l’oscurità raggiungerà il suo apice, la luce ricomincerà ad avanzare a poco a poco. E il Sole rinascerà, si rinnoverà, tornerà a regnare sulla notte. Nell’ era pre-cristiana, i popoli germanici battezzarono “Yule” il giorno del Solstizio: “Hjòl” designava, in norreno, la ruota dell’ anno, che si trova nel suo punto più basso quando l’ Inverno entra ufficialmente. “Hjòl” si tramutò poi nel norreno Jòl e nel tedesco Jul. Tuttora è possibile rinvenire questi termini nelle lingue scandinave, dove indicano sia il Solstizio d’Inverno che il Natale“Jul” in svedese e danese, “Jol” in norvegese, “Joulu” in finlandese (con il significato, però, esclusivamente di “Natale”).

 

 

In un’ epoca in cui la sopravvivenza era legata a doppio filo ai cicli della natura, è facile intuire l’importanza che rivestiva Yule. La resurrezione della luce era un evento ricco di magia, di rituali associati a una simbologia antichissima. Per approfondire questi aspetti, vi rimando all’ articolo “Yule” che ho pubblicato su VALIUM l’anno scorso (rileggilo qui). Oggi ci concentreremo invece su un particolarissimo cerimoniale associato al Solstizio, il Ceppo di Yule o Yule Log.

 

 

I popoli nordici dell’ età pre-cristiana solevano celebrare il Solstizio d’Inverno con  un grosso tronco beneaugurale. La notte più lunga dell’ anno il ceppo si adornava di nastri, bacche e ramoscelli d’edera, poi veniva benedetto e fatto ardere per i dodici giorni dei festeggiamenti solstiziali. Secondo la tradizione, il fuoco precedente doveva essere spento dal capofamiglia e per riaccenderlo si doveva utilizzare un tizzone del tronco bruciato durante il Solstizio dell’ anno prima. Questo rituale aveva una potente valenza emblematica: il fuoco e il suo calore simboleggiavano la nuova luce, l’ardore del Sole che quella notte rinasceva e sarebbe tornato a splendere progressivamente. Ma il fuoco era anche una metafora della vita stessa. Nelle gelide lande del Nord Europa, i focolari erano sempre accesi; il caminetto riscaldava e risultava essenziale per il nutrimento, dal momento che il fuoco si utilizzava per cucinare. Il Ceppo di Yule, dunque, era un emblema di buon auspicio associato alla luce, alla rinascita della natura, alla prosperità: i fondamenti della sopravvivenza.

 

 

Quando il Cristianesimo sostituì le celebrazioni natalizie a quelle solstiziali, lo Yule Log divenne una costante della vigilia di Natale. Le prime testimonianze relative a questa tradizione risalgono alla Germania del XII secolo: un documento del 1184 cita un ceppo di Natale che, acceso la notte di vigilia, veniva fatto bruciare fino all’ Epifania. Alla ricerca del legno adatto si dedicavano giornate intere. I tronchi dovevano essere di albero secco, idonei alla combustione, e non essere stati eletti a tana da qualche animale. In Scozia, gli antichi Celti erano soliti scolpire una figura femminile nel ceppo: raffigurava la Cailleach Nollag, una dea dell’ Inverno, il cui aspetto sinistro veniva stemperato dalle fiamme. Era un emblema della ciclicità della natura; dopo la notte del Solstizio, ogni ora di luce in più equivaleva a un passo verso la Primavera. Con l’avvento del Cristianesimo, la valenza simbolica dello Yule Log mutò completamente: il ceppo aveva la funzione di scaldare Gesù Bambino, mentre il fuoco incarnava l’emblema della Redenzione.

 

 

Dalla Germania, la tradizione dello Yule Log si diffuse in Gran Bretagna, nella penisola scandinava, in tutta la zona alpina, in Spagna, nei paesi dei Balcani e, last but not least, in regioni italiane quali la Lombardia e la Toscana. Successivamente, l’usanza sbarcò persino negli Stati Uniti. Il cerimoniale era simile ovunque: la vigilia di Natale, il ceppo veniva decorato (bacche, pigne, aghi di pino, vischio e piante rampicanti erano gli elementi più usati) e bruciato nel camino con una solenne cerimonia beneaugurale. Lo Yule Log si lasciava ardere per dodici notti di fila, fino all’ Epifania, e i suoi rimasugli, considerati magici, venivano conservati con cura. Ad essi si attribuivano benefici per la fecondità femminile, il raccolto, gli animali da allevamento, il benessere fisico, ed era d’uso utilizzarli per accendere il ceppo del Natale successivo. Ogni paese ha donato la propria impronta a questo rituale. Anche la pianta scelta per il ceppo variava da nazione a nazione: in Gran Bretagna, dove l’ usanza dello Yule Log venne adottata massicciamente, si preferivano la quercia, il pino, la betulla; i serbi optavano per la quercia, mentre i francesi puntavano sugli alberi da frutto.

 

 

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la tradizione del Ceppo di Natale scomparve pressochè totalmente. L’ avvento delle stufe e il minor numero di camini presenti nelle case dell’ epoca fece sì che l’usanza, a poco a poco, si perdesse. Lo Yule Log, tuttavia, continua a esistere sotto un’altra forma: il tronchetto di Natale, uno dei dolci più golosi delle feste. Si tratta di un tronchetto di Pan di Spagna ricoperto di cioccolato e farcito con svariate creme. L’ aspetto è quello di un ceppo ornato di molteplici decorazioni: provate a prepararlo in casa per un Solstizio all’ insegna del gusto. Oppure, ripristinate la tradizione dello Yule Log. Procuratevi un ceppo su cui praticherete dei fori per inserirvi alcune candele. I colori di queste ultime potranno essere tipicamente natalizi, come ad esempio il rosso, il verde, l’oro. Decorate il ceppo con piante, fiori e bacche stagionali. Le candele andranno fatte bruciare durante la notte di Yule: è una variante contemporanea del Ceppo di Natale, ma risulta sempre di grand’effetto.

 

 

Foto del Ceppo di Yule con candele di Jeremy Fulton via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

La colazione di oggi: il mais, dalla civiltà Azteca ai nostri giorni

 

Si chiama mais, ma il suo nome scientifico è Zea Mays L. ed appartiene alla famiglia delle Graminacee. Cresce nei climi tropicali o temperati e in molte aree del globo, soprattutto in America Latina, costituisce l’alimento base dei pasti giornalieri: in Messico, dove affonda le sue radici, gli Aztechi lo elessero a ingrediente principale della loro cucina. Prende il nome dallo spagnolo “maiz”, ma è stato ribattezzato granturco – vale a dire “grano turco” – per conferirgli un tocco esotico e differenziarlo dal grano tenero. Come consumarlo a colazione? In svariati modi: sotto forma di torte, muffin, pannocchie alla griglia o arrostite, chicchi tostati, focacce di mais, corn flakes da mettere nel latte, popcorn… L’Autunno è la stagione migliore per gustarlo: la raccolta del mais avviene tra Agosto e Settembre, perciò rappresenta uno degli alimenti clou di questo periodo dell’ anno. Anche perchè è ricco di proprietà salutari; basti pensare che condivide la sua famiglia di appartenenza, le Graminacee, con cereali come l’ orzo, il riso, l’avena, il frumento e la segale, tutti alimenti decisamente benefici. Essendo una pianta monoica, il mais è composto da due distinte infiorescenze: quella femminile, conosciuta come “pannocchia”, in realtà è una spiga (botanicamente detta “spadice”) su cui sono fissate le cariossidi (ovvero i chicchi). Quella maschile è posizionata in cima al fusto e viene spesso indicata come “spiga” a causa del suo aspetto. La fecondazione ha luogo tramite il vento, che disperdendo il polline dà origine alle cariossidi; i chicchi del mais, fissati su un asso cilindrico centrale chiamato tutolo, hanno differenti colorazioni: la tipica tonalità giallo-arancione è dovuta alla produzione dei carotenoidi, mentre le antocianine determinano cromie che spaziano dal rosso al nero.

 

 

L’ appartenenza alle Graminacee e i semi abbondanti di amido rendono il mais un cereale a pieno titolo. Con il granturco si producono farine, olio, bevande alcoliche…è un alimento versatile e ottimo a livello nutrizionale. Innanzitutto, ha proprietà altamente energizzanti. Contiene macronutrienti come i carboidrati in gran quantità, fibre, minerali quali il potassio, il sodio, il calcio, il ferro, il magnesio, il selenio, vitamina A e vitamine del gruppo B in dosi massicce. Le virtù antiossidanti di molti dei suoi sali minerali, unite al betacarotene che l’organismo converte in vitamina A, contrastano i nefasti effetti dei radicali liberi prevenendo l’ invecchiamento cellulare e lo sviluppo di patologie neurologiche e tumorali. Anche l’acido ferulico contenuto nel mais svolge un’ efficace azione anticancro. Il granturco possiede poi spiccate virtù antinfiammatorie, regolarizza l’ intestino, è un buon antidiuretico e cicatrizzante. La presenza del ferro, unitamente a quella dell’ acido folico e delle vitamine del gruppo B, contribuisce a combattere l’anemia. Le antocianine che determinano la colorazione rossa, viola e nera del mais sono flavonoidi, quindi dei potenti antiossidanti: oltre a mettere KO i radicali liberi, svolgono un’azione protettiva nei confronti delle cellule, dei tessuti e di tutto l’organismo. I carboidrati forniscono energia, l’assenza di lipidi e colesterolo lo rendono un toccasana. Gli acidi fenolici calibrano il rilascio dell’ insulina e sono un valido aiuto per i diabetici. Il mais, inoltre, viene digerito molto facilmente. Essendo privo di glutine è un alimento perfetto per chi è affetto da celiachia; anche l’amido di mais, una farina detta maizena, risulta l’ideale per i celiaci e può sostituire la farina di grano. Il selenio contenuto nel granturco è benefico ad ampio spettro: protegge l’apparato cardiovascolare ed è un eccellente antiossidante, mentre l’acido folico è in grado di abbassare i livelli di colesterolo contrastando l’ arteriosclerosi e le patologie cardiache. Ultimo ma non ultimo, minerali quali il ferro e il fosforo sono efficacissimi per mantenere la mente e la memoria in costante allenamento.

 

 

Passiamo ora a qualche cenno sulla storia del mais. Il granturco vanta origini antichissime: nel Mesoamerica veniva coltivato da diversi millenni prima della nascita di Cristo. I Maya e gli Olmechi si dedicarono alla coltura di un gran numero di varietà, che dal 2500 a.C. in poi vennero diffuse nel continente americano. In Europa il mais arrivò nel 1493: era uno dei prodotti che Cristoforo Colombo portò con sè dopo aver scoperto l’America. Inizialmente fu coltivato soprattutto in Spagna, nella Francia del Sud, in Italia e nei Balcani, ma la massiccia espansione del cereale si verificò a partire dal 1700. A quell’ epoca, la crescita demografica e il proliferare delle carestie spinsero a considerare la coltivazione del mais più proficua rispetto a quella del miglio e dell’ orzo. Intorno alla metà del XVIII secolo, era già diventata la coltura principale. Nelle campagne la sua diffusione fu tale da tramurarsi nell’ alimento attorno al quale ruotava tutta la dieta. Ciò determinò conseguenze nefande: il popolo si nutriva esclusivamente di mais e di polenta (che si prepara con la farina del mais), ma diete di questo tipo, completamente prive di niacina assimilabile, causano una malattia chiamata pellagra. La pellagra continuò a imperversare fino ai primi anni del 1900 rimarcando quel grave deficit nutrizionale.

 

 

Ho già accennato a inizio articolo cosa potete preparare utilizzando il mais. Per la prima colazione il focus è sulla sua farina: con essa si realizza la polenta, ma anche il pane e innumerevoli tipologie di dolci, biscotti e dolcetti, addirittura delle speciali torte di polenta. Se volete celebrare le origini dell’ alimento, cercate in rete la ricetta del champurrado, la tipica cioccolata calda messicana. Oppure, sempre a colazione, potete degustare il granturco sotto forma di corn flakes, chicchi lessati o tostati da consumare da soli o insieme ad ogni genere di spuntino. Chi ama il salato a inizio giornata potrà concedersi dei tocchetti di pannocchia al forno insaporita di burro, sale e pepe: negli Stati Uniti, le pannocchie al burro sono la norma. Oggi si condiscono addirittura con il ketchup, la senape o la maionese; tutte idee che fanno gola, ma…attenzione a non esagerare!

 

 

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice – Halloween sotto la Piramide e i racconti di un’estate mozzafiato

Maurice nei panni del clown che lui stesso ha ideato

In un pomeriggio di questo assolato Ottobre, raggiungo il Principe telefonicamente in quel di Maiorca. Si gode il mare cristallino dell’ isola, ma non sta con le mani in mano: all’ indomani di questa intervista debutterà con un progetto a cui tiene moltissimo, il disco-show “Gloss’n’Glitter” che lo vedrà esibirsi insieme a Francesca Faggella. Maurice mi risponde dalla spiaggia; è euforico, appagato da un’ estate in cui ha alternato il relax a performance inedite e di assoluto prestigio. Adesso si appresta a trascorrere una notte di Halloween da mozzare il fiato. Il 31 Ottobre, infatti, sarà uno dei protagonisti (gli altri rispondono ai nomi di Cirillo, Saccoman e Ricci Jr.) del Memorabilia in programma al mitico Cocoricò di Riccione. In attesa di quel che si preannuncia un Memorabilia memorabile (il gioco di parole è intenzionale), ci racconta le tappe salienti della sua straordinaria stagione calda. Senza spoilerare, vi anticipo che partiremo dalla spiaggia di Rimini per poi raggiungere Venezia, dove Maurice ci ospiterà  in un “vanitosissimo” club color fucsia, e approderemo infine a Legnago, in provincia di Verona, per immergerci nelle magiche atmosfere circensi. Naturalmente, non finisce qui. Maurice è imprevedibile, irresistibile e soprattutto inesauribile: insieme a lui viaggeremo in molti altri luoghi ancora. Che siano ad alto tasso di splendore, e risultino ulteriormente suggestivi grazie al suo eloquio…beh, ça va sans dire! Ma rimarremo anche in Italia, dove il Principe dirà la sua sui giovani, sui valori e, dulcis in fundo, sul governo capitanato da Giorgia Meloni

 

 

Tra questo nostro appuntamento e l’ultimo, praticamente c’è di mezzo un’estate…La tua come è stata, come la definiresti in una manciata di aggettivi?

Una manciata non basterebbe, ce ne vorrebbe un grande cesto pieno! In buona sostanza la definirei soddisfacente, appagante sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello dell’espressione professionale e artistica. Ho cercato anche di stare il più possibile in mezzo alla natura: amo impegnarmi in ambito lavorativo così come immergermi negli ambienti naturali più svariati, sono sfaccettature che fanno entrambe parte della mia essenza. In me c’è il lato glamour e mondano ma anche quello, diciamo così, un po’ “selvaggio”.

Dopo le chiusure e le restrizioni degli ultimi due anni, sembriamo aver recuperato una buona percentuale di normalità. Nei mesi scorsi sei riuscito a trovare il perfetto equilibrio tra la vacanza, il relax, e progetti di lavoro forse più sporadici, ma decisamente prestigiosi…

E’ proprio così. Anche se a volte gli impegni di lavoro mi portano in luoghi un po’ più impegnativi dal punto di vista sociale, e la mia ricerca si svolge in località più solitarie e meno frequentate. Non mi è capitato ancora, purtroppo, di fare uno spettacolo in una location improbabile tipo, che so, una spiaggia, un bosco, oppure di esibirmi durante un concerto all’alba…Mi piacerebbe molto, ma finora non ne ho avuto l’occasione. Solo in quel caso riuscirei a far combaciare i due aspetti di me stesso. Gli eventi di massa mi gratificano, però desidererei mettermi in gioco in qualcosa di più intimo. Vorrei esprimere la mia personalità in tutte le sue sfaccettature, e adorerei farlo in scenari liberi da qualsiasi vincolo. Anche quello tecnologico…

 

Uno scorcio di Maiorca, buen retiro del Principe

Cominciamo dal relax: dove ti sei spostato, e con che spirito hai vissuto le torride giornate vacanziere?

In città, i 40 gradi all’ ombra erano veramente fastidiosi. Ma in location più gradevoli e meno impregnate dallo smog ho sopportato l’afa molto bene. Quello ho notato ovunque, a ogni modo, è che quel caldo insostenibile ha fatto proliferare un’incredibile quantità di insetti! Io che non venivo mai punto da zanzare e pappataci (un vantaggio dell’avere il poco appetibile sangue blu! ahahah!), sono stato invece perseguitato da loro. Per quanto  riguarda  i  momenti  di  relax,  di  solito  li  passo  in  Brianza  da  mia  sorella: l’ambiente è quieto, l’aria pulita e la casa è bellissima. Per il resto, ho spalmato le vacanze in luoghi molto interessanti: città d’arte, isole varie (dalle Canarie a quelle greche), in giro per il Mediterraneo e l’Adriatico. Il mio Grand Tour si è temporaneamente interrotto, perché richiede  tempo  e  concentrazione.  Ho  lavorato molto e le cose belle voglio gustarle appieno, non con il pensiero che il giorno dopo avrò uno  spettacolo!  Proseguirò  il  Tour  questo  inverno,  ho  già  in  mente  delle  tappe importanti. Le frontiere si sono riaperte e mi piacerebbe, per esempio, partire dalla Turchia per poi arrivare in India passando per l’Azerbaigian, è un desiderio forte… Prevedo di ritornare a Parigi, a Londra, perché comunque l’Europa ha un suo passato da esplorare, ma attualmente privilegerei l’Oriente: se Grand Tour significa andare alla ricerca di valori, storia e cultura, anche gli orientali hanno molto da insegnarci. Una delle mie prossime mete sarà  New York. Vorrei sondare cosa ha ispirato nell’ underground artistico lo strano periodo che stiamo vivendo. Se pensi che l’arte moderna ha più di 100 anni, diventerebbe una ricerca dei fermenti che hanno dato origine all’ arte contemporanea e alle avanguardie. Perciò sarebbe molto interessante anche sotto questo punto di vista. Quel che è certo, è che ho tanta voglia di girare! Dopo tutte le chiusure e le restrizioni anti-Covid voglio girare, girare e ancora girare…Il mio Grand Tour diventerà un “worldwide tour”!

 

 

Cosa ci racconti, invece, relativamente al lavoro e agli eventi più salienti a cui hai preso parte?

Tra gli eventi più interessanti e gratificanti c’è stato senz’altro il Memorabilia al Rimini Beach Arena. C’erano parecchi dubbi su come organizzare il format: il timore era che l’animazione si perdesse un po’ nell’ enormità di quel palco, perché era un palco da festival. Io ho accettato la sfida e non mi sono limitato a presentare, mi sono esibito nelle mie performances. Ho messo insieme una gran quantità di costumi, ho invitato artisti e acrobati…Il risultato è stato uno spettacolo dal forte impatto teatrale, ma soprattutto dalla carica emozionale travolgente. Con le 10.000 persone che hanno partecipato si è subito instaurato un contatto bellissimo, sublime, commovente. Alla fine dell’evento, quando ero già struccato e indossavo gli abiti della quotidianità, ho voluto ringraziare il pubblico non nei panni del Principe Maurice, bensì in quelli di Maurizio Agosti, per  l’energia  che  avevo ricevuto.  Aver  riunito  10.000 persone  è  stato incredibile, non è scontato che uno spazio si riempia…Anche i giovanissimi, che magari non mi hanno mai sentito nominare, sono accorsi in massa. Il fatto che siano affascinati da me mi entusiasma, perché mi considero un portatore di valori oltre che di immagine. Vedere che ascoltano le mie esortazioni a credere in qualcosa che va al di là del futile, del passeggero, e ti accompagna per tutta la vita, dà speranza…I giovani capiscono la sincerità del mio messaggio e la apprezzano, si commuovono. Io non li incito a essere belli, ricchi e famosi senza far niente. Parlo loro di passione, libertà, dignità e amore…Non è facile, eppure funziona e sono molto gratificato da tutto questo.

 

Qualche scatto dell’affollatissimo Memorabilia al Rimini Beach Arena

La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ti ha visto come sempre protagonista. Quest’anno ti sei esibito quotidianamente negli spazi color fucsia del VF Club (il disco club di Vanity Fair) all’ Hotel Bauer. Immagino che ne avrai di cose da raccontarci, su quell’ esperienza!

Ho ricevuto una chiamata da Sergio Tavelli, un straordinario dj milanese residente al Plastic, che è stato incaricato di creare la colonna sonora del Vanity Club.   Il club fa parte di un preciso progetto di Vanity Fair: essere presenti non solo su carta, non solo sul web, ma anche fisicamente con un concept di clubbling puro, dove c’è musica, ci si diverte e si incontra gente in tutta libertà. Sergio Tavelli mi ha chiesto se ero interessato a occuparmi dell’intrattenimento e ho risposto subito di sì. Con Simone Marchetti, il direttore di Vanity Fair, c’è stata un’intesa immediata. Tra l’altro, ho scoperto che era un mio fan da tempo! La cosa è reciproca, dato che trovo il nuovo Vanity Fair molto accattivante. Marchetti mi ha lasciato carta bianca riguardo l’organizzazione dell’entertainment,  però  bisognava  declinare  il  tutto  anche  secondo  il  gusto  dello sponsor delle prime tre serate, ossia Valentino; ma quando ho parlato di Ba-Rock, vale a dire rock con un tocco veneziano settecentesco, ho ricevuto un consenso unanime! Ho avuto piena libertà anche dal punto di vista dei costumi: Flavia Cavalcanti e l’Atelier La Bauta di Venezia hanno interpretato sublimemente l’immagine che intendevo dare di me. E’ stata un’esperienza straordinaria! Ho visto entrare nel V Bar del Bauer, uno degli hotel più sontuosi di Venezia, gente stupenda di ogni genere ed età, gente che ha colto alla perfezione lo spirito del Club così come era stato concepito da Simone Marchetti. L’ esperimento ha ottenuto un successo enorme grazie anche all’ organizzazione stratosferica del Gruppo Condè Nast e all’ efficienza dell’Hotel Bauer, che ha offerto un servizio super top sia riguardo al beverage che all’accoglienza. Durante la Mostra del Cinema ci sono state altre feste prestigiose, a Venezia, ma il Lido era piuttosto morto: vive ormai solo della proiezione dei film, non esiste più quel lato mondano che a me piaceva molto. Io sono riuscito a organizzare alcune cene deliziose alla Terrazza della Biennale avvalendomi della maestria di Tino Vettorello, lo chef ufficiale della kermesse. Ho avuto ospiti importanti come Fakhriya Khalafova, un’intellettuale ed attivista imparentata con il presidente dell’Azerbaigian che è anche stata ricevuta in Comune. Ma la cosa più bella della Mostra del Cinema 2022, secondo me, è stata la serie di feste del Vanity Club.

 

Maurice con un ospite all’ inaugurazione del VF Club di Vanity Fair

Il Ba-Rock del Principe al Vanity Club (tutti i look che ha sfoggiato sono firmati Atelier la Bauta e Flavia Cavalcanti Costumes Milano)

Foto di gruppo davanti alla chiesa di San Moisè: qui il mattatore del Vanity Club è con (da sinistra a destra) Valentina Corio, Organizzazione Eventi del Gruppo Condé Nast, la sua collaboratrice Serena Marchetti e il dj e direttore artistico milanese Sergio Tavelli. Sullo sfondo c’è il performer Luca Zanni

Parlaci dei Vip che hai incrociato al VF Club: impressioni, resoconti, aneddoti e quant’altro…Trovo che sia stato davvero molto divertente intrattenere le star del cinema in un’iniziativa patrocinata (per i primi tre giorni) anche dalla Maison Valentino.

Ogni  star  che  ha  sfilato  sul  red  carpet  è  passata  anche  al  Vanity  Club,  sarebbe impossibile fare un elenco!   Sono stati tutti molto carini e simpatici, abbiamo bevuto champagne a fiumi, ma la celebrity che mi ha fatto più piacere rincontrare dopo tanti anni è stata Amanda Lear. Abbiamo ricordato i tempi in cui veniva a trovarci al Cocoricò, in seguito ci siamo ritrovati a Parigi varie volte. Non la vedevo da diversi anni e l’ho trovata in splendida forma, più brillante e ironica che mai! Ci siamo divertiti un sacco. Ecco, con Amanda mi sono intrattenuto un po’ di più. Poi c’era un folto gruppo di attrici e attori giovanissimi che, grazie alla mia presenza, riusciva a immergersi in quella dimensione di club internazionale che normalmente a Venezia non esiste. L’ esperimento di Vanity Fair ha funzionato e questi ragazzi, cosmopoliti e abituati alla nightlife di Parigi e di New York, sono diventati la mia corte meravigliosa – peraltro, una corte bellissima da vedere. Uno degli ospiti più simpatici e interattivi è stato senz’altro Simone Marchetti, il direttore di Vanity Fair. Non è mai mancato, ha ballato con noi, ci presentavamo amici a vicenda…Tutto il gotha della Condè Nast ha gradito tantissimo il progetto del VF Club, che avrà sicuramente un seguito. Non solo a Venezia, ma in giro per il mondo.

 

Con Luca Zanni

Sul red carpet della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nella foto sotto insieme alla moglie Flavia Cavalcanti

Con Alberto Barbera, il direttore della Mostra del Cinema di Venezia

Il red carpet di Flavia Cavalcanti

Passando a giorni più recenti, dal 21 al 25 Settembre sei tornato ad animare il Salieri Circus Award. Immagino che questa seconda edizione abbia ottenuto un successo altrettanto esplosivo della precedente…

Ti dirò che ha avuto ancora più successo della precedente! La prima edizione era già diventata d’amblé un must internazionale nell’ ambito dei festival internazionali di arte circense. Quest’ anno, inoltre, abbiamo avuto un’orchestra di musica classica (l’anno scorso non era stato possibile a causa delle restrizioni anti-Covid), 36 elementi diretti dal maestro Diego Bosso, e poter godere della musica ritmo-sinfonica in sottofondo ha donato un tocco magico alle strabilianti esibizioni degli artisti. La giuria, prestigiosissima e tutta al femminile, si è trovata “costretta” a conferire due ori pari merito, due argenti pari merito e quattro bronzi pari merito grazie all’incredibile bravura dei performer circensi. Avrebbero tutti meritato il podio. Questa edizione ha potuto avvalersi anche della presenza di Silke Pan, un’ex trapezista che dopo un incidente occorsole durante le prove di uno spettacolo è diventata paraplegica: nonostante tutto, è riuscita a creare uno straordinario numero di equilibrismo dando un importante segnale di rinascita. Io che normalmente mi dedicavo alle mie performance, ho deciso di lasciar perdere. Quello che stava facendo lei era talmente toccante e significativo che affiancarlo a qualsiasi altra esibizione sarebbe risultato superfluo.

 

Foto di gruppo con gli artisti del Salieri Circus Award

Il Principe con David Larible, uno dei clown più celebri al mondo

 

Tenendo d’occhio i tuoi social, noto che stai volando a Maiorca con una certa regolarità. Buen retiro a parte, i tuoi viaggi hanno per caso qualcosa a che fare con il progetto Gloss’n’ Glitter insieme a Francesca Faggella?

Proprio così. Il 6 Ottobre, infatti, ci siamo esibiti in un evento Gloss’ n’ Glitter che diventerà un appuntamento fisso settimanale: si è tenuto al MOMOS, un club nuovo, coccolo ed esclusivo nella Cala Major di Maiorca. Ma ti dò una fantastica anteprima: presto Gloss’ n’ Glitter arriverà in Italia e debutterà il 19 novembre in uno dei più prestigiosi club della penisola: il leggendario TENAX di Firenze. Per quanto riguarda Maiorca, cominceremo in controtendenza: invece di proporre lo spettacolo in estate, quando è pieno di gente, lo porteremo avanti in inverno per gli aficionados dell’isola come me e per chi ama Maiorca al punto tale da raggiungerla anche al di fuori dei mesi caldi.

 

Maurice interpreta Andy Warhol in “Gloss’n’Glitter”, lo show che porta avanti insieme a Francesca Faggella

Maiorca by night

Cambiamo per un attimo argomento e passiamo all’ attualità. Il 25 Settembre ha sancito un netto cambio della guardia nella coalizione che guida il nostro Paese. Era un risultato che ti aspettavi? E cosa pensi al riguardo?

Era un risultato secondo me abbastanza scontato. Spero soltanto che chi ha l’enorme responsabilità di traghettare la nazione in un periodo duro come questo possa farlo nel migliore dei modi, ma nel rispetto di tutti. Mi auguro che Giorgia Meloni capisca che va a governare una nazione che l’ha votata, ma che è anche composta da tante altre persone che hanno i loro diritti e i loro doveri. Sarebbe bello che la prima donna premier, stravotata e quindi con tutto il diritto di governare, sentisse il dovere di farlo per tutti rispettando le conquiste sociali di chi la pensa diversamente da lei.

I drammi del caro bollette e la crisi economica che l’Italia sta attraversando, a tuo parere, riusciranno a mantenere intatta la voglia di evasione e di divertimento?

Intanto di crisi ne abbiamo avute anche di più gravi, ma è proprio nei momenti di crisi che c’è la voglia di evadere. E la filosofia del carpe diem, ormai insediatasi nella mia mente come nella mente di molti, ci dice “godiamoci l’attimo, divertiamoci, del doman non v’è certezza”. Anche la Repubblica di Weimar nacque in un momento drammatico. Poi è sfociata nel Nazismo e pensarci fa un po’ paura, ma ha dato vita al movimento del cabaret berlinese che ha fatto scuola sia a livello di entertainment che di denuncia sociopolitica virata sulla satira e sull’ ironia. Per cui no, non credo che in questo periodo la gente girerà senza un soldo in tasca. Non sono così pessimista! Il divertimento rimarrà sempre una via di fuga.

 

La facciata del Teatro Salieri di Legnago, dove ogni anno si tiene il Salieri Circus Award…

…e il Principe sul palco del Teatro

Con quale mood stai affrontando il giro di boa stagionale?

Non è facile fare progetti in questo momento storico, io però adoro l’autunno: lo trovo sontuoso con tutti i suoi ori, con tutti i suoi rossi. Mi piace, mi appartiene, è molto nelle mie corde. E’ il mio concerto preferito ne “Le quattro stagioni” di Vivaldi, quindi lo aspetto a braccia aperte anche se oggi mi sto godendo il sole sulla spiaggia di Maiorca. Qui è estate! Professionalmente sto sviluppando alcune idee, ma dopo la pandemia tutto è diventato last minute. Uno dei miei progetti, come ti dicevo, è girare, viaggiare molto, sia per volontà personale che per motivi di lavoro.

 

 

Potresti anticiparci qualche evento tra quelli a cui ti appresti a partecipare? Anche solo stuzzicando la nostra immaginazione, se non ti va di svelarne i particolari per filo e per segno…

C’è nell’aria di poter realizzare un dinner show molto prestigioso e molto bello in Italia per poi portarlo anche a Parigi. Andrò a Parigi la prima metà di Novembre: è una città che mi ha dato tantissimo nel periodo in cui ero legato a Grace Jones. Con Grace abbiamo abitato per un periodo sull’ Ile Saint-Louis (una bellissima isola in mezzo alla Senna), per cui anche solo l’idea di tornare nella Ville Lumière mi galvanizza. Prima però voglio sperimentare qui il nuovo spettacolo, perché questo é il mio “terreno”. Soltanto dopo lo proporrò alla grande in Francia (e altrove.)… Il dinner show è una dimensione che continuo a sviluppare con la famiglia Venerandi, proprietaria tra l’altro de l’Odissea di Treviso. E’ lì che realizzo e attualizzo le mie performance. A proposito dei Venerandi, verrà festeggiato a breve il 50esimo di attività di Renzo, il patriarca della famiglia. Il mio  progetto  più  importante  è  senz’altro  quello  di  realizzare  un  dinner  show  di prestigio,  indipendente,  che  possa  avvalersi  anche  di  alcuni  degli  artisti  che  ho incontrato  al  Salieri  Circus Award,  e  possibilmente  della  collaborazione  del  regista Antonio Giarola (il direttore artistico del festival). Vorrei cercare di chiudere il cerchio, poi, con il progetto teatrale incentrato sul rapporto con il mio fratello gemello. Ci tengo molto, ma oltre ai contenuti sarà importante il modo in cui mio fratello verrà materializzato. Ho optato per un ologramma tridimensionale: non vorrei che il mio gemello risultasse troppo etereo e fantasmatico, deve apparire come una persona in carne e ossa. Nel frattempo, i testi e la colonna sonora stanno delineandosi. Non appena l’aspetto tecnologico si sarà risolto, penso di poter mandare in scena la pièce. Forse la primavera prossima, magari in un importante festival teatrale. Ho tante ambizioni su questo progetto, perché è un lavoro che mi rappresenterà al 100 per cento.

 

Ancora un’ immagine del Salieri Circus Award

Concludo l’intervista chiedendoti di raccontarci cosa farai a Halloween, una festa che sia io che te sentiamo molto.

Il 31 Ottobre sarò al Cocoricò. A Halloween unirò le mie due grandi passioni: la festa in sé  e  il  fatto  di  poterla  festeggiare  alla  Piramide  con  una  magica  versione  del Memorabilia. Sarà un Memorabilia in salsa halloweeniana! Vi dò qualche anticipazione. Indosseremo outfit di Flavia Cavalcanti in total white, ma macchiati di sangue. Non dimentichiamo che il bianco in Oriente è il colore del lutto. Il sangue? Ne sputiamo tanto, quindi perché non rappresentarlo in questa notte di sofferenze e spiriti? Il mio look avrà un’impronta che fonde il Kabuki con il Buto e con i paramenti sacri della tradizione cattolica. Un funerale surreale…  La  vera  chicca  sarà  che  per  la  prima  volta  canterò  dal  vivo  la  famosa “Passacalli della Vita”, capolavoro rinascimentale dei Stefano Landi, nel remix techno realizzato con i Datura.

 

Al Vanity Club con uno dei costumi Ba-Rock creati da Flavia Cavalcanti

 

Photos courtesy of Maurizio Agosti

 

La colazione di oggi: frutti esotici per sentirsi ai Tropici

 

L’ Italia è stata invasa dall’ ennesima ondata di calore. Di giorno e di notte le temperature sono bollenti, afose, impregnate di umidità. In una parola, tropicali. Perchè non provare, quindi, ad applicare questo aggettivo anche alla prima colazione? E’ un’ ottima chance per stuzzicare il palato e sperimentare nuovi sapori. La frutta tropicale, ad esempio, rappresenta un must irresistibile. Ci inebria con i suoi colori, ci travolge con il suo gusto insolito, ma non solo: è un’ autentica miniera di benessere ed energia. Anni fa ho viaggiato in America Latina e sono tornata con la mente a quegli aromi dolcissimi, inebrianti al punto tale da sedurti all’ istante. La frutta tropicale, tutta, abbonda di proprietà salutari. E non è difficile reperirla, possiamo trovarla in qualsiasi supermercato. Pensiamo solo all’ ananas, al cocco, all’ avocado, al kiwi, al mango, al platano, alla papaya, al maracujà, al passion fruit e così via. Come gustarli a colazione, oltre che nel ruolo abituale? In innumerevoli modi: sotto forma di macedonie, succhi e frullati, mousse, deliziose marmellate…Oppure tagliati a fettine con cui farcire i toast. C’è solo l’ imbarazzo della scelta. Per darvi un’idea dei benefici dei frutti esotici, mi soffermerò su tre di loro in particolare.

 

 

Cominciamo con l’ avocado. Originario del Messico e del Guatemala, ha la polpa verde o gialla e una forma allungata simile a quella della pera. Al centro risalta un grande seme che può raggiungere anche i 5 cm di diametro. Una curiosità. Gli Aztechi battezzarono l’avocado “ahuacatl”, ossia “testicolo”, proprio per la sua conformazione. L’ avocado è ipercalorico, a 100 grammi di frutto corrispondono 160 calorie, ma contiene una quantità esigua di zuccheri. In compenso è un ottimo antidoto per combattere il colesterolo: abbonda di acidi grassi monoinsaturi, i cosiddetti “grassi buoni”, nello specifico di acido linoleico e di omega 3; riducendo i livelli di colesterolo, contrasta le patologie cardiache e si rivela un toccasana per l’intero organismo. L’ avocado, grazie a potenti antiossidanti come la vitamina A e la vitamina E, neutralizza l’azione dei radicali liberi e ritarda l’ invecchiamento cellulare; la pelle si mantiene liscia, levigata e ben nutrita. Questo frutto tropicale, inoltre, tiene sotto controllo il metabolismo: è sufficiente gustarne uno per sentirsi sazi e allontanare la fame. Last but not least, all’ avocado vengono attribuite delle speciali doti afrodisiache. Provare per credere!

 

 

La papaya, che in Venezuela chiamano “lechosa”, è un frutto dalla forma oblunga e dalla polpa di un inconfondibile color arancio; in una cavità centrale racchiude semi grandi quanto chicchi di caffè. La polpa, ultra soffice, vanta un sapore delizioso e ricco di dolcezza. Originaria del Messico e del Brasile, la papaya è diffusissima negli habitat tropicali: in America Latina, nell’ America Centrale e nell’Asia del Pacifico viene massicciamente coltivata, ma è ormai reperibile in moltissimi paesi del mondo. In Europa, piantagioni di papaya sono presenti in Spagna – soprattutto nelle Isole Canarie – in Sicilia e sulle coste calabre, dove generalmente si coltiva in serra. Per sondarne i benefici basta citare i suoi componenti: acqua in dosi massicce, vitamina C, A, E e K, flavonoidi, fibre, carotenoidi, sali minerali…I vantaggi che apporta questo frutto sono incalcolabili, perciò non mi resta che sintetizzarli. E’ un potente antinfiammatorio e antibiotico naturale, in particolare un ottimo mucolitico. La papaina, un enzima che si estrae dalla papaya, possiede una spiccata azione digestiva, antimicrobica e antiossidante: favorisce (tra l’altro) il processo di cicatrizzazione, rallenta la ricrescita dei peli e regolarizza il ciclo mestruale. La vitamina C e le fibre sono degli efficaci antidoti contro il colesterolo “cattivo”; contenendo poi arginina, un aminoacido essenziale, la papaya contribuisce a mantenere in salute l’apparato cardiovascolare, stimola l’ ormone della crescita e svolge una funzione immunomodulante. Le maschere a base di papaya combattono l’acne e levigano il viso. Gli impacchi alla papaya sui capelli, invece, li rendono splendenti eliminando ogni traccia di forfora. In questa stagione dell’ anno, da questo miracoloso frutto esotico si ricavano anche dei validi doposole.

 

 

Il mango è un frutto succosissimo, dal gusto dolce e ammaliante. Lo caratterizza un sapore simile a quelli dell’arancia, dell’ ananas e della pesca mixati insieme. Originario dell’ Asia meridionale, è diventato il frutto dei Tropici per eccellenza; la forma ovale, la buccia rossa e il giallo oro della polpa sono i suoi tratti distintivi. Riassumendo i benefici del mango (proclamato frutto nazionale dell’ India, del Pakistan e delle Filippine), possono essere adoperate due definizioni: è nutriente e super energizzante. Approfondendo le sue proprietà, notiamo che è una bomba di vitamine. Contiene vitamina C, A, B, D, E, K, e possiede, quindi, spiccate doti antiossidanti; gli oligominerali di cui abbonda neutralizzano la stanchezza, reintegrando anche i sali minerali che perdiamo con l’ afa estiva; il mango è ricco di lupeolo, una sostanza che svolge una potente azione antinfiammatoria e, in primis, antitumorale; favorisce il benessere del cuore, della cute, dei denti e delle ossa; incentiva la memoria e contrasta l’ anemia, poichè contiene un’ elevata quantità di ferro; è un efficace antidoto contro l’ insonnia; regolarizza l’ intestino grazie alle sue proprietà lassative e diuretiche. Come l’avocado, ha la capacità di saziare immediatamente e di annullare lo stimolo della fame. Alla buccia del mango, dulcis in fundo, vengono attribuite virtù dimagranti e anticellulite.

 

Il luogo: Tarifa, la “città del vento”

 

Oggi vi porto in un posto straordinario, decisamente mozzafiato: Tarifa. E’ situata in provincia di Cadice, in Andalusia, ed è la città più a sud non solo della Spagna, ma di tutta l’ Europa continentale. Affacciata sullo Stretto di Gibilterra, viene considerata un trait d’union tra l’ Europa e l’ Africa; di entrambi i continenti ha assorbito i colori, i paesaggi e le culture. La zona meridionale della città, Punta de Tarifa, è un promontorio poco distante dall’ Isola de Las Palomas, collegata con una strada apposita al centro urbano. Ma Tarifa non rappresenta solo un crocevia tra l’ Europa e l’ Africa. Punta de Tarifa, in particolare, è un meeting point di due importanti distese d’acqua, l’ Oceano Atlantico (a ovest) e il Mar Mediterraneo (a est). Potreste anche solo pensare a un’ area geografica più affascinante? Da Tarifa, il Marocco dista solo 14 chilometri: nel panorama che si gode dalla città, il monte Jabel Moussa è nettamente distinguibile al di là del mare.

 

Il monte Jabel Moussa, sulla costa del Marocco, visto da Tarifa.

Oltre alla sua posizione, all’ estremità meridionale della Costa de la Luz, Tarifa possiede moltissimi altri punti di forza. Uno su tutti? 10 chilometri di spiagge bianche e incontaminate: da segnalare Playa Chica, Playa de los Lances e Playa de Valdevaqueros, sempre battuta dal vento e brulicante di turisti che praticano sport come il kitesurfing e il windsurf (Tarifa, non a caso, viene soprannominata “la città del vento”). A Punta Paloma, più a nord, si possono ammirare i mulini a vento sulla cima delle colline, mentre Playa de la Caleta, dove si alternano sabbia e rocce, è circondata da una natura selvaggia. Il mare su cui si affaccia, di un turchese vibrante, è l’ideale per gli amanti dello snorkeling e delle immersioni subacquee. A Playa de los Lances, invece, si può cavalcare lungo la spiaggia e inoltrarsi nel verde grazie a dei tour a cavallo organizzati ad hoc. Trovandosi nello Stretto di Gibilterra, inoltre, Tarifa è una meta di riferimento per gli appassionati di whale e dolphin watching (l’ osservazione delle balene e dei delfini). Ma non è finita qui: le rotte di svariati uccelli migratori passano proprio per la “città del vento”. Esistono luoghi specifici per ammirarle, ad esempio il Mirador del Estrecho e il Centro Ornitologico Cig’ena.

 

 

Tornando alle spiagge, molte di quelle affacciate sull’ Atlantico presentano tratti tipicamente africani: sono movimentate da una serie di dune, come la Playa de Los Alemanes, e nella Playa de Bolonia una duna – la Duna de Bolonia – raggiunge la sbalorditiva altezza di 30 metri. Anche a Punta Paloma svetta un’ enorme duna di sabbia, che quando soffia il vento di Levante invade persino la strada asfaltata. Il panorama che si ammira dalla sua cima è strepitoso: combina l’azzurro dell’ Oceano con i toni dorati della sabbia e il verde intenso della pineta circostante.

 

 

Ma qual è la storia di questa magnifica “terra di mezzo”? A fondare Tarifa furono i Greci, poi divenne la prima colonia romana in territorio spagnolo. Nel luglio del 710 d.C. fu conquistata dal comandante berbero Tarif b.Malik, da cui prese il nome. Da quel momento,  la città sperimentò un lungo periodo di dominazione islamica. Gli Arabi la soprannominarono “l’ isola della tariffa” in quanto chiunque approdava nel suo porto era tenuto al pagamento di un pedaggio. Il re cristiano Alfonso VI, nel 1083, riuscì a penetrare nell’ agglomerato urbano, ma Tarifa venne riconquistata solo nel 1292 da Sancho IV re di Castiglia. La sua posizione, ovviamente, la rendeva uno sbarco perfetto per gli Arabi del Marocco, e fino ad allora si erano susseguite innumerevoli lotte che contrapponevano i Cristiani ai Musulmani. Nel 1340 spettò al re Alfonso XI di Castiglia difendere Tarifa dall’ invasione dei Mori. Il 20 Ottobre di quello stesso anno, il sultano Abu-l-Hasan fu sconfitto definitivamente durante la battaglia del “rio Salado”, un torrente nei paraggi della “città del vento”.

 

 

Cosa vedere a Tarifa? Innanzitutto, va precisato che è la meta ideale per chi sogna una vita di spiaggia unconventional: la natura incontaminata e selvaggia, i numerosi sport che è possibile praticare, i paesaggi e i panorami sorprendenti la rendono assolutamente speciale. C’è da aggiungere che ogni spiaggia include un gran numero di chiringuitos, i caratteristici chioschi-bar del litorale sud spagnolo. Lì potete trovare di tutto, dagli alimenti alle bibite, dai dolci al pesce fresco. Una particolarità, quest’ ultima, tipica della Costa de la Luz. Per quanto riguarda il territorio urbano di Tarifa, è tassativa una visita nella città vecchia. Noterete che il centro storico abbonda di vie e vicoli fiancheggiati da case completamente candide, punteggiate di tanto in tanto dai colori prorompenti dei vasi di fiori.

 

 

In Avenida Andalucia troverete la Puerta Jerez, ciò che rimane delle antiche mura della città, composta da due diverse parti. La prima comprende l’ unica porta superstite, la Puerta de la Almedina; è stata edificata in stile Mudéjar dopo la Reconquista, ed è intrisa di influenze arabe. Il resto delle mura è architettonicamente più classico e più tipicamente “spagnolo”. La Chiesa di San Matteo, in calle Sancho IV el Bravo, risale al XV secolo e il suo interno è impreziosito da tre navate con volte a vela gotica. Una curiosità: come molte chiese andaluse, è stata innalzata su un’antica moschea. Il Castillo de Guzmàn è un must-see assoluto: si trova a sud di Tarifa e dai suoi piani superiori si può godere di un panorama spettacolare, il mare e la costa del Marocco in lontananza. Il castello fu costruito dal califfo di Cordoba Abd ar-Rahman III nel 960, ma il suo nome è un omaggio ad Alonso Pérez de Guzmàn, detto Alonso el Bueno, un eroe della Spagna della Reconquista. La fortezza, dalla pianta a trapezio regolare, evidenzia uno stile impregnato di riferimenti romani e bizantini. A circa 8 chilometri da Tarifa e a 300 metri sul livello del mare risalta il Mirador del Estrecho, un osservatorio panoramico affacciato sullo Stretto di Gibilterra. Lo scenario che si apre ai vostri occhi è a dir poco straordinario: nelle giornate limpide è possibile ammirare lo Stretto e suggestive aree della costa africana, come la città di Ceuta (centro urbano autonomo spagnolo nel Nord Africa), il monte Jebel Moussa e il porto di Tangeri, Tanger Med, inaugurato nel 2019. Sull’ Isola de Las Palomas, invece, potrete spaziare con lo sguardo dal Mar Mediterraneo all’ Oceano Atlantico. Un edificio molto visitato nell’ isolotto è il Castillo de Santa Catalina, risalente al 1933. Architettonicamente è piuttosto particolare, ricco di torri e merli, e ricorda un palazzo del Rinascimento; tuttavia, le guerre e i bombardamenti hanno deteriorato il suo stile originale, modificato da svariati restauri.

 

Un particolare del Castillo di Guzmàn el Bueno

Il Castillo de Santa Catalina, sull’ isolotto di Las Palomas

Per chi ama fare shopping, Tarifa offre un’ ampia gamma di occasioni. La via da tenere d’occhio è calle Batalla del Salado: qui si alternano le boutique delle più prestigiose griffe internazionali, i negozietti di souvenir e i grandi esercizi commerciali specializzati nell’ abbigliamento e nell’ attrezzatura da surf. Gli appassionati di questo sport troveranno una scelta di brand da lasciare senza fiato! L’ anima europea-africana di Tarifa fa sì che proliferi il “fatto a mano” in stile etnico, sia che riguardi gli abiti che i tessuti e i gioielli: sbizzarritevi a curiosare e a fare acquisti nelle numerose botteghe a tema. Il mercato vecchio è un incantevole mercato coperto in pieno centro storico. Al suo interno vengono vendute la frutta, la verdura, al suo esterno pesce fresco in quantità. Ogni martedì mattina, inoltre, si tiene il classico mercato che propone, tra l’altro, splendide ceramiche, pregiate stoffe e dosi massicce di frutta secca (non dimentichiamo che il dattero è un tipico frutto dell’ Africa settentrionale). In quanto a locali, ristoranti, discoteche e nightlife in generale, Tarifa non vi lascerà delusi. Il divertimento aleggia nell’aria e sono svariati i club dove si balla sotto un tetto di stelle. Se poi avete bisogno di un consiglio su dove alloggiare, ecco un nome e un indirizzo: The Riad Tarifa, un meraviglioso hotel boutique al n.10 di calle Comendador. E’ stato allestito in un edificio del XVII secolo e vanta interni che riproducono quelli di un riad marocchino, ricco di cortili e di giardini con tanto di fontana. Sul rooftop ci si può estasiare di fronte alla stupenda vista dall’ alto di Tarifa

 

 

Tarifa è un luogo magico. Connette due distese acquose, due continenti e le rispettive culture. La mitologia, nella sua storia, gioca un ruolo importante. E’ in quella zona geografica che vennero collocate le Colonne di Ercole: una sorta di frontiera dello scibile, del mondo più evoluto culturalmente. La letteratura classica dell’ Occidente situa le leggendarie Colonne nello Stretto di Gibilterra. La prima sul promontorio della Rocca di Gibilterra (mitologicamente identificato come monte Calpe), la seconda sul monte Jebel Moussa (il mitologico monte Abila). Oltre a esplorare le entusiasmanti attrazioni che offre Tarifa, i suoi monumenti, i suoi locali, le sue spiagge, che cosa potreste fare per rendere il vostro soggiorno ancora più interessante? Una visita alla vicina città di Tangeri, per esempio, adorata da un folto novero di artisti ed intellettuali del secolo scorso. Personaggi del calibro di Henri Matisse, Albert Camus, William Burroughs, Paul Bowles, Jack Kerouac, Gore Vidal, Jean Genet, Ian Fleming e più recentemente Rudolf Nureyev, i Beatles e Mick Jagger la tramutarono in un vero e proprio paradiso decadente. Da Tarifa, Tangeri può essere raggiunta in traghetto in soli 35 minuti.

 

 

Foto, dall’alto:

Foto 2 “Estrecho de Gibraltar” di Gaspar Serrano via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

Foto 5 di César Comino García, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto 10 di Ziegler175, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Foto 12 di Luis Rogelio HM, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, attraverso Wikimedia Commons

Foto 13 di Benjamín Núñez González, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

Foto 14 di Jelger, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, attraverso Wikimedia Commons

Foto 18 di sunshinecity from Italy, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto 21 di Manfred Werner, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Foto 27 di Jelger, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, attraverso Wikimedia Commons

La colazione di oggi: il caffè, “bevanda stimolante” dalle portentose virtù

 

Una rubrica incentrata sulla prima colazione non può certo tralasciare il caffè, delizia e “motore” di ogni mattina. In Italia degustare un espresso è un rito, un piacere da assaporare – da soli o in compagnia – a tutte le ore del giorno. In questo articolo, però, verrà preso in considerazione il caffè del risveglio: quello che prepariamo ancora assonnati, che sentiamo borbottare nella caffettiera mentre la cucina si riempie del suo invitante aroma. Perchè berlo è come compiere un autentico incantesimo; il sonno se ne va lasciando il posto a un’ energia travolgente. Ma quali sono, esattamente, le proprietà del caffè, e quali benefici comporta il consumarlo? Lo scopriremo subito. Non è un caso, innanzitutto, che in arabo “caffè” significhi “bevanda stimolante”. I celebri chicchi non sono altro che i semi di una pianta tropicale del genere Coffea, appartenente alla famiglia delle Rubiaceae. Le specie più note sono l’ arabica e la robusta, anche se la prima vanta origini più remote. Prodotto anticamente a Caffa, in Etiopia, il caffè si è fatto a poco a poco conoscere in Medio Oriente e poi in tutto il mondo. Il suo punto di forza è senz’altro la caffeina, una componente nutrizionale dal potente effetto energizzante: quando viene assorbita, nel cervello rilascia neurotrasmettitori quali la dopamina e la noradrenalina, che stimolano i neuroni attivamente; ne conseguono benefici per la memoria, l’ umore e le funzioni cognitive. La caffeina ha proprietà digestive, poichè potenzia la secrezione gastrica. Svolge un’azione tonica sul cuore e sul sistema nervoso, e favorisce persino il dimagrimento: brucia infatti grassi e calorie per tramutarli in fonti di energia. Se consumato in quantità elevate, inoltre, il caffè riduce l’appetito drasticamente. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la caffeina possieda spiccate virtù antiossidanti e antinfiammatorie, ma le ricerche sono tuttora in corso.

 

 

Gli effetti collaterali della caffeina sono essenzialmente legati a un consumo massiccio di caffè. Nervosismo, eccitabilità e insonnia sono i rischi più noti associati all’ abuso della bevanda, a cui possono aggiungersi l’ ipertensione, la tachicardia e i disturbi all’ apparato digerente causati da un’ eccessiva stimolazione della secrezione gastrica. La funzione “dimagrante” del caffè, poi, viene completamente azzerata quando aggiungiamo lo zucchero o del latte, giacchè sono entrambi apportatori di calorie. La caffeina è controindicata per chi è affetto da osteoporosi o da anemia: riduce l’assorbimento del calcio e del ferro determinando un peggioramento di queste due patologie. Se bevuto nella giusta quantità, comunque, il caffè è una bevanda benefica che pare protegga anche dai disturbi cardiovascolari e dal diabete mellito di tipo 2. Ma a quante tazzine ammonterebbe un consumo moderato di caffè? Chi è in buona salute non dovrebbe oltrepassare i tre, massimo quattro, caffè al giorno.

 

 

In Europa il caffè apparve per la prima volta nel 1565, durante il Grande Assedio di Malta. I musulmani turchi, fatti prigionieri dai Cavalieri di San Giovanni, erano soliti preparare la bevanda più amata nel loro paese: a Istanbul il caffè veniva consumato in dei locali appositi, a mò di rito conviviale, e il Capo Caffettiere rivestiva un ruolo di spicco presso la Corte ottomana. A Malta, dove la bevanda divenne celebre soprattutto tra le classi abbienti, le caffetterie cominciarono a proliferare. Sempre nel XVI secolo, il caffè arrivò in Italia: Venezia, che intratteneva molti rapporti commerciali con l’ Oriente, fu la prima città a diffondere il suo consumo. Pare che alcuni religiosi fecero pressioni su Papa Clemente VIII affinchè bandisse “la bevanda del diavolo”, che così avevano ribattezzato per le sue proprietà eccitanti. Il Papa, però, dopo averlo assaggiato di persona, espresse un giudizio positivo sul caffè, che definì invece “bevanda cristiana”. Nel 1645, di conseguenza, la Serenissima ospitava più di una “bottega del caffè”.  Alla storia del caffè e all’ espansione della caffeicoltura, argomenti vastissimi e complessi, si affiancano numerose leggende.

 

 

Una di queste, ad esempio, racconta di un pastore etiope chiamato Kaldi. Costui si accorse che le sue capre, dopo aver mangiato le bacche di una pianta e averne masticato le foglie, erano rimaste sveglie e vivacissime tutta la notte. Il pastore attribuì la causa di ciò alle bacche, così raccolse i semi della pianta, li abbrustolì e macinò per sperimentare il loro effetto personalmente. Ottenne un infuso altamente energizzante, il caffè. Una differente versione della leggenda colloca il pastore in Arabia e cambia il suo nome in Kaddi: l’uomo sottopose le bacche che tanto avevano animato le sue capre all’ attenzione dell’ abate Yahia. Con quelle bacche, dunque, l’ abate preparò una bevanda scura che rinvigoriva il corpo e teneva lontano il sonno. Non c’è bisogno di specificare che fosse il caffè. Un’ altra leggenda ha come protagonisti Maometto e l’ Arcangelo Gabriele. Un giorno Maometto si ammalò gravemente e l’ Arcangelo accorse in suo aiuto; gli portò una bevanda dal colore della Sacra Pietra Nera della Mecca, consegnatagli da Allah personalmente, e quando Maometto la bevve guarì all’ istante. Secondo un’ ulteriore leggenda, invece, il monaco arabo Ali ben Omar si recò nella città di Mokha per curare, con l’ intercessione di Allah, i contagiati dalla peste che imperversava in zona. Riuscì a ridare la salute a un gran numero di malati, persino alla figlia del Re (della quale si era innamorato). Il Re, però, lo allontanò dalla città obbligandolo a vivere isolato sulle montagne. Sfinito dalla fame e dalla sete, un giorno Ali invocò il suo maestro deceduto poco tempo prima. Questi inviò da lui un meraviglioso uccello, canterino e dalle piume multicolori. Quando Ali si diresse verso il volatile,  si trovò davanti una pianta ricolma di bacche rosse. Era una Coffea. Con quelle bacche preparò un decotto per i pellegrini che erano soliti fargli visita, e quando nel Regno si sparse la voce delle portentose virtù della bevanda il monaco vi fu riammesso con tutti gli onori.