Il maggiociondolo, uno sfarzoso tripudio di fiori gialli tra leggende e tradizioni

 

Fiorisce a Maggio, come suggerisce il suo nome. E se vi è capitato di vederlo, potete star certi non lo dimenticherete: i suoi grappoli di fiori gialli pendono dai rami come una rigogliosa cascata. La somiglianza con quelli del glicine è evidente. A differenziarli è il colore, un giallo brillante che cattura lo sguardo e lo riempie di meraviglia. La pianta di cui sto parlando è il maggiociondolo (nome botanico Laburnum anagyroides), un piccolo albero che appartiene alla famiglia delle Fabacee. La sua altezza è compresa tra i 4 e i 6 metri e sfoggia grappoli del colore del sole che raggiungono i 25 cm di lunghezza. I fiori, profumatissimi, ciondolano dai rami ad ogni alito di vento: da qui il nome “maggiociondolo”.

 

 

Il legno del tronco è molto scuro e super resistente. I frutti dell’ albero si presentano come baccelli contenenti innumerevoli semi neri, ma nascondono un’insidia: sono ricchi di citisina (un alcaloide), il che significa che sono estremamente velenosi per l’uomo e per alcune specie animali. La brutta notizia è che del maggiociondolo non risultano velenosi solo i semi. Quest’ albero, infatti, è velenoso nella sua interezza. “Guardare e non toccare” potrebbe essere il motto che lo rappresenta. Gli animali a maggior rischio avvelenamento sono i cavalli, le capre, le mucche: se queste ultime brucano i rami della pianta, c’è il pericolo che la tossicità si trasmetta finanche nel loro latte. I semi sono particolarmente letali, soprattutto se non ancora maturi. Ci si può intossicare anche ingerendo un solo seme, e consumandone molti si mette a rischio la propria vita. Misteriosamente, tuttavia, animali selvatici quali le lepri, i cervi e i conigli si nutrono dei semi del maggiociondolo senza incorrere in spiacevoli conseguenze: è uno dei motivi per cui questa pianta viene considerata magica sin da tempi remotissimi. Ed è proprio in virtù di ciò che vi parlo del maggiociondolo, un albero altamente simbolico, associato a molteplici leggende e a secolari tradizioni, nello specifico quelle della notte di San Giovanni.

 

 

Il Laburnum cresce nelle zone temperate ed è diffuso principalmente nell’ Europa del Sud: l’area sudorientale della Francia, catene montuose come le Alpi e gli Appennini, i rilievi della Penisola Balcanica. L’habitat in cui si sviluppa è il bosco. Il legno scurissimo e solido del maggiociondolo, che negli esemplari anziani accentua queste sue caratteristiche, è valso alla pianta l’appellativo di “falso ebano”, poichè può sostituirlo perfettamente.  Antiche leggende ricollegano l’albero alla figura delle streghe: pare che, nel Medioevo, si servissero dei suoi semi per la preparazione di elisir e pozioni magiche, mentre durante i Sabba erano solite cavalcare bastoni ricavati dal suo legno. Ma il maggiociondolo non è un albero che rimanda unicamente a connotazioni “malefiche”. I riti della notte di San Giovanni, ad esempio, prevedevano che venissero accesi dei falò con i rami di sette alberi, tra cui, appunto, il maggiociondolo. I falò ardevano con valenza purificatoria, in omaggio al sole e per alimentare l’energia interiore. Tale usanza persiste in molte aree geografiche.

 

 

Tornando alle streghe, vale la pena di approfondire alcuni aspetti del loro utilizzo del maggiociondolo. Le pozioni che preparavano con i componenti dell’albero sortivano effetti psicotropi: “liberavano” dal peso del corpo, davano l’illusione di poter levitare nell’aria. Lo scopo era quello di alterare lo stato di coscienza per esplorare nuove dimensioni. Questa pratica, chiamato “volo della strega”, veniva effettuata nel corso dei raduni. Il bastone di maggiociondolo utilizzato durante il sabba, invece, era un palese simbolo fallico, ma anche una sorta di strumento di riconoscimento che decretava lo status di strega. Simboleggiava inoltre il volo, il trionfo nei confronti della materia e delle costrizioni corporali. Pare che proprio da tale tipo di verga nacque la leggenda della “scopa volante”: per sfuggire agli inquisitori, le streghe usavano cammuffare i loro bastoni tra mazzi di saggina. Davano così l’impressione di essere delle normalissime scope.

 

 

In tempi remoti, il maggiociondolo era chiamato anche “pioggia d’oro” per la teatralità dei suoi grappoli fioriti. La chioma dell’ albero, un tripudio sfarzoso di giallo, è stata celebrata da poeti e letterati. Il poeta inglese Francis Thompson, in un suo componimento, definisce il maggiociondolo “miele di fiamme selvagge”. J.R.R. Tolkien, l’autore de “Il Signore degli Anelli”, inserisce la pianta nell’ opera mitologica “Il Silmarillon” e lo identifica con Laurelin, l’Albero d’Oro della terra primordiale di Valinor. Anche Sylvia Plath cita spesso il maggiociondolo nei suoi versi; la poesia “The arrival of the bee box” recita: “C’è il laburno, con i suoi biondi colonnati,/E le gonnelle del ciliegio”. Persino Giovanni Pascoli lo nomina ne “La capinera”.

 

 

Per concludere, una leggenda che fa riferimento al territorio abruzzese. Si narra che la Frigia, una remota regione situata in Asia Minore, fosse popolata da guerriere gigantesse chiamate “Majellane”. Maja, una di loro, ebbe un figlio da Giove che partorì in Arcadia, sulle alture del Monte Cillene. Hermes – così fu battezzato il bambino – divenne un giovane di bellissimo aspetto e imponente come sua madre. Un giorno, dopo che rimase ferito durante una terribile battaglia, Maja lo condusse in un luogo dove proliferavano erbe officinali di ogni genere: il Monte Paleno, nell’attuale Abruzzo.  Purtroppo, però, quando raggiunsero il Monte si accorsero che era completamente ricoperto di neve e per Maja risultò impossibile procurarsi la pianta di cui era in cerca. Hermes morì e sua madre cadde nella disperazione più totale. Il pianto della gigantessa risuonò tra le valli del massiccio montuoso per un anno intero, dopodichè fu stroncata dal dolore. Sceso sul Monte, Giove provò un’enorme sofferenza nel constatare che Maja era morta. In suo ricordo, allora,  creò il maggiociondolo, un alberello che “esplodeva” di fiori gialli, e le dedicò il mese di Maggio (poichè era il mese della fioritura). Sebbene non fosse più in vita, Giove elevò la madre di Hermes a ninfa delle selve e delle sorgenti del Monte. Ordinò che il Paleno fosse ribattezzato Monte Majella, un nome che onorava la memoria di Maja, e stabilì che sarebbe diventato il tempio eterno della donna che aveva amato suo figlio di un amore così profondo.

 

 

 

1 Maggio, Beltane

 

1 Maggio. Se la tradizione, oltre che alla Festa del Lavoro, associa questa data al Calendimaggio (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), i Gaeli – un popolo celtico stanziatosi in Scozia e in Irlanda – celebravano Beltane, il giorno che coincideva con l’inizio dell’Estate. Il nome deriva dall’ irlandese antico “Beletene”, ovvero “fuoco luminoso”, e in Irlanda veniva usato anche per indicare il mese di Maggio. La collocazione di tale ricorrenza era fissata a metà tra l’ Equinozio di Primavera e il Solstizio d’Estate. Ma cosa si festeggiava, esattamente? Innanzitutto il ritorno della luce e della vita; accanto ad esse, la fertilità. Luce, vita e fertilità rappresentano una triade inscindibile, l’una è direttamente collegata all’altra. Il sole a Maggio torna a splendere, il clima è mite, si può godere dell’aria aperta. Ci si proietta verso l’esterno anche interiormente: la natura rigogliosa e le giornate sempre più lunghe diffondono un’atmosfera gioiosa. Si progettano picnic, scampagnate, si intrecciano amicizie e nuovi amori. E’ il periodo in cui il bestiame, dopo lo svernamento, viene condotto al pascolo. A Beltane, nel X secolo, i greggi e le mandrie erano sottoposti a pratiche di benedizione e purificazione da parte dei Druidi, che accendevano enormi falò sulle colline. Lì avevano luogo i rituali.

 

 

Questa tradizione sopravvisse persino dopo l’avvento del Cristianesimo e resistette fino agli anni ’50 del 1900. Non era, però, esclusivamente rivolta agli animali. Un gran numero di persone ardiva attraversare i falò saltando. Il rito aveva un carattere di buon auspicio e preveggenza: quanto più alto era il salto, tanto più alto sarebbe stato il raccolto. Molteplici usanze celebravano la fertilità tramite la formazione di nuove coppie. Il rito del Palo del Maggio, ad esempio, era comune presso i popoli Germanici e Anglosassoni. Prevedeva che un tronco di betulla, ontano, pioppo o maggiociondolo venisse privato dei rami e poi fissato nella terra. Alle donne del villaggio spettava il compito di attaccare al Palo ventiquattro nastri che misuravano il doppio della sua lunghezza; i colori erano innumerevoli, ma prevalevano il rosso, che simboleggiava il principio maschile, e il bianco, emblema di quello femminile. Le donne nubili erano tenute a realizzare una ghirlanda di fiori da porre attorno al Palo, in modo che potesse salire e scendere nel bel mezzo della danza rituale. Tre giorni prima dell’ inizio della festa, il Palo e la corona venivano consacrati. Erano rispettivamente il simbolo dell’ energia maschile e femminile.

 

 

Il giorno stesso delle celebrazioni, le donne scavavano una buca nel terreno laddove sarebbe stato collocato il Palo. La valenza emblematica di questo particolare è evidente: la buca rappresentava l’organo genitale femminile, mentre il Palo era un palese simbolo fallico. Nel momento in cui gli uomini si accingevano a sprofondare il Palo nella terra, avveniva un singolarissimo rituale. Le donne fingevano di allontanarli dalla buca per poi permettere loro di piantarvi il tronco. Infine, i nastri colorati venivano fissati sulla cima del Palo insieme alla ghirlanda. Attorno al Palo si effettuavano danze di corteggiamento: ogni uomo e ogni donna del villaggio dovevano tenere in mano l’estremità di un nastro. Le donne danzavano attorno al palo in senso antiorario, gli uomini in senso opposto. Quando l’uomo e la donna si incontravano, dovevano cambiare subito la direzione della loro danza. A segnare il ritmo, solitamente, era un tamburo detto “bodhran celtico”. Il rituale terminava nel momento in cui i nastri si intrecciavano attorno al tronco e la ghirlanda scendeva; a quel punto, la danza ricominciava in senso contrario e la ghirlanda doveva ritornare in cima al palo. L’ obiettivo, in sintesi, era che la corona di fiori scendesse e salisse senza difficoltà: raffigurava una metafora dell’ unione del Re e della Regina di Maggio, nominati quella sera stessa. Nei paesi anglosassoni, i componenti della giovane coppia venivano ribattezzati “John Thomas” e “Lady Jane”, il che riporta alla mente una celebre hit dei Rolling Stones (anche se alcuni identificano la “Lady Jane” del titolo con Jane Seymour, moglie di Enrico VIII Tudor).

 

 

I fiori assumevano un ruolo importante, nelle celebrazioni di Beltane. Oltre ad essere destinati alla ghirlanda del Palo del Maggio, adornavano il capo delle giovani donne e venivano raccolti dopo i rituali, prima di trascorrere la notte insieme sotto il cielo stellato. Il fiore è il perfetto emblema del risveglio primaverile, dell’ energia ritrovata. Al sorgere del sole, era come se esplodesse la fioritura. Il desiderio era sbocciato e avrebbe diffuso il suo profumo durante l’ intero giorno. Non dimentichiamo che per i Gaeli, appartenenti al gruppo dei Celti, la giornata iniziava al tramonto e terminava con il tramonto successivo. Incluso nei quattro festival gaelici associati ai cicli stagionali (gli altri sono Samhain, Imbolc e Lughnasadh), Beltane era una data ricca di tradizioni. I falò rimangono l’elemento principale, il più importante: con le loro fiamme altissime, rivestivano una valenza protettiva, purificatrice e beneaugurale. Un’usanza prevedeva che tutti i fuochi delle case venissero spenti e poi riaccesi con una torcia alimentata dal falò dei Druidi. Gli antichi sacerdoti celti, infatti, realizzavano grandi falò in onore di Bel (anche detto Belenus), il Dio della Luce e del Fuoco.

 

 

Nelle case, davanti al focolare, si banchettava in compagnia. I fiori, onnipresenti, decoravano le porte, le finestre, gli ingressi delle stalle e persino il bestiame: adornare una mucca era di buon auspicio per la produzione di latticini, all’ epoca una delle principali fonti di sostentamento. Si creavano i cespugli di Maggio, corposi bouquet composti da giunchi, rami, infiorescenze, nastri, conchiglie e spighe. I fiori più utilizzati erano le primule, il biancoscospino, il sorbo selvatico, il nocciolo, la ginestra, la calendula, che venivano affiancati plasmando le più disparate forme; abbondavano le ghirlande così come le croci. A Beltane erano d’obbligo le visite ai pozzi sacri, e a la rugiada incarnava un potente elisir di giovinezza.

 

 

I May Bush, cespugli di Maggio, erano alberelli riccamente adornati (si usavano finanche le candele, preziose palline d’oro e d’argento) che facevano bella mostra di sè nei giardini delle case. Non era raro che venissero banditi concorsi per il cespuglio più bello. Ciò, con il passar del tempo, diede adito a rivalità e ladrocini che in era vittoriana condussero alla messa al bando della tradizione. A Beltane, inoltre, tornavano alla ribalta i cosiddetti “Aos Sì”, l’antico popolo degli elfi e delle fate irlandesi. Si pensava che le fate avessero l’abitudine di rubare i latticini e per evitarlo venivano presi speciali accorgimenti: ad esempio, i prodotti caseari si legavano ai rami del Maggio. Gli ornamenti floreali delle mucche, oltre ad essere di buon auspicio, avevano un identico obiettivo. Proteggevano, cioè, i bovini dalle incursioni delle fate. Oppure, gli agricoltori effettuavano appositi riti per placare le incantate creature: si versava a terra una piccola quantità di sangue del bestiame, si organizzavano processioni…Ciò dimostra il carattere fondamentale che a livello nutritivo, a quei tempi, rivestivano i derivati del latte. La simbologia di Beltane include infatti anche la mucca, e accanto ad essa l’ape: il miele rientrava tra i portentosi alimenti che assicuravano il sostentamento dei Gaeli.

 

 

L’ amore e l’ innamoramento rappresentavano due punti cardine della festa. Il 1 Maggio si celebrava il sacro incontro tra il Dio e la Dea, lo sboccio del loro amore. Da questa unione scaturivano, copiosi, i germogli della vita. L’ Estate, a Beltane, è sempre più vicina e la terra riprende a donarci i suoi frutti; l’agricoltura fiorisce in vista dei prossimi raccolti. Spiritualmente, Beltane è il periodo dei traguardi raggiunti. Abbiamo consolidato le nostre potenzialità individuali e siamo pronti ad elevarci ulteriormente, raggiungendo livelli di autoconsapevolezza e propositività sempre maggiori.

Buon Beltane a tutti voi!

 

John Collier, “Queen Guinevere’s Maying”

 

 

Imbolc, la festività celtica del 1 Febbraio

 

Il freddo è polare, la neve spadroneggia in diverse regioni. Ma lo spiraglio di luce che ha iniziato a manifestarsi dal 21 Dicembre, ormai è evidente: le giornate si sono allungate, il sole comincia a fare capolino e i bucaneve fioriscono, generando un’ illusione di Primavera in mezzo al gelo. A livello temporale ed astronomico ci troviamo nel punto intermedio tra il Solstizio d’Inverno e l’Equinozio di Primavera. Non è un caso che il 1 Febbraio gli antichi Celti festeggiassero Imbolc, una ricorrenza che sanciva il culmine dell’ Inverno o, in paesi come l’Irlanda, il principio della Primavera. Il nome della festa ha molteplici varianti e significati: “Imbolc”, letteralmente “grande pioggia”, sta ad indicare il periodo di transizione stagionale, ma in senso figurato designa la purificazione dalle “scorie” invernali. “Oimelc”, un’altra denominazione della festa, è sinonimo di “lattazione degli ovini”. “Imbolg”, che testualmente si traduce con “nel sacco”, ha l’accezione di “in grembo”. La Natura, infatti, si prepara a rinascere nel grembo di Madre Terra, e con essa gli agnelli che vedono la luce all’ inizio della bella stagione. Il latte di pecora rappresentava all’ epoca un’ importante fonte nutrizionale: era (ed è) la materia prima per la produzione del burro, del siero di latte e di svariati formaggi, ma conteneva anche una grande quantità di calcio, proteine e vitamine. Dei dettagli di rilievo, ai tempi in cui il sostentamento costituiva la linea di confine che separava la vita dalla morte.

 

 

Un’ altra caratteristica di Imbolc è la sua valenza di “festa della Luce”. Era d’uso accendere lanterne, falò e candele per simboleggiare l’ allungamento delle giornate e propiziare un rapido arrivo della bella stagione. I Celti onoravano Brigid, dea della fertilità, della Primavera ma anche del triplice Fuoco che risplende sui poeti, sui fabbri e sui guaritori, categorie di cui la dea è la protettrice: esiste un fil rouge costante che connette il sacro fuoco dell’ ispirazione, la fucina del fabbro e l’ energia che purifica e guarisce. Il motivo della purificazione è legato al fuoco a doppio filo; per Brigid, il primo dei quattro elementi si associa inoltre alla propulsione vitale, una forza che dalle più profonde viscere della Terra si irradia alle entità naturali e interrompe il loro lungo sonno invernale. Brigid è la giovane dea, nell’ Irlanda celtica veniva considerata anche la patrona dei pozzi e delle sorgenti. La leggenda vuole che sia nata all’ alba di Imbolc (l’alba, collocata a metà tra notte e giorno, era uno dei “luoghi di mezzo” venerati dai Celti); una fiamma arde sulla sua fronte, il cigno è il suo animale totem poichè simboleggia il candore, la regalità e il mutamento. Quando arrivava Imbolc, all’aurora, i Celti accendevano falò in onore di Brigid, ed è sempre la dea del triplice Fuoco che invocavano le partorienti. Le celebrazioni del 1 Febbraio iniziavano immancabilmente al tramonto del giorno prima, perchè per il calendario celtico ogni giornata cominciava al calar del sole.

 

 

Con l’ avvento del Cristianesimo, la festività pagana di Imbolc venne sostituita dalla Candelora, che celebra la presentazione di Gesù Bambino al Tempio di Gerusalemme; durante la messa, la tradizionale benedizione delle candele omaggia la luce di Cristo. La ricorrenza di Santa Brigida, invece, prese il posto dell’adorazione della dea Brigid: la santa, una badessa irlandese, insieme a San Patrizio fu attivissima nell’ evangelizzazione del suo paese.

 

Brigid in un dipinto di John Duncan, “The coming of bride”, del 1917

 

 

Un Halloween da paura

 

“Halloween è il giorno in cui ci si ricorda che viviamo in un piccolo angolo di luce circondati dall’oscurità di ciò che non conosciamo. Un piccolo giro al di fuori della percezione abituata a vedere solo un certo percorso, una piccola occhiata verso quell’oscurità.”
(Stephen King)

 

Nel corso degli anni, VALIUM ha più o meno raccontato tutto su Halloween, che in origine era Samhain (in irlandese antico, “fine dell’estate”): le sue radici celtiche, la sua valenza di spartiacque tra il semestre della luce e il semestre oscuro. Per i Celti, l’anno iniziava con quest’ ultimo. A Samhain si festeggiava il Capodanno, un momento cruciale rispetto al ciclo delle stagioni; nel calendario agricolo, sanciva il passaggio dall’ ultimo raccolto alla preparazione alla semina. Ma perchè il 31 Ottobre viene da sempre associato alle tenebre, al funereo, all’ orrore? In realtà si tratta di caratteristiche che hanno enfatizzato, distorcendolo, lo spirito originale della festa. A Samhain, la mezzanotte era un’ ora fondamentale. Contrassegnando il termine di un ciclo e il principio di quello successivo, apparteneva a un livello atemporale: era un tempo che andava al di là del tempo. Il fatto che non avesse una collocazione cronologica ben definita, eliminava ogni barriera tra la realtà tangibile e le altre dimensioni. Lo scoccare della mezzanotte coincideva, quindi, con l’istante magico in cui il mondo dei vivi e il mondo dei morti si incontravano, entravano in comunicazione. L’ oltretomba, tuttavia, non era legata ad alcuna valenza orrorifica. I Celti celebravano la vita nella morte, perchè ogni morte è un nuovo inizio e una rinascita in un’altra dimensione. Il contatto con il soprannaturale si manifestava anche nella pratica della divinazione, che in questo periodo era diffusissima. Samhain veniva festeggiato con banchetti che andavano avanti per giorni: si brindava all’ultimo raccolto dell’anno, si mangiava la carne del bestiame macellato a causa della scarsità di foraggio. Il fuoco era un elemento molto importante. Simboleggiava la scintilla della nuova vita, della risurrezione primaverile. La sera del 30 Ottobre (Samhain, con ogni probabilità, si celebrava in una notte di luna piena della fine del mese) il fuoco doveva essere spento in tutte le case, dopodichè gli abitanti dei villaggi si recavano sulle colline dove attendevano che la stagione della luce lasciasse il posto alla stagione oscura. In quel preciso istante, nel silenzio generale, il buio veniva squarciato dalle fiamme del sacro fuoco che i Druidi avevano acceso.

 

 

I festeggiamenti avevano inizio, la gioia esplodeva e coinvolgeva tutti i partecipanti. Poi, all’ alba, ognuno scendeva dalla collina munito di una torcia che ardeva del sacro fuoco dei Druidi: con quella torcia avrebbe riacceso il focolare nella propria casa. Il fuoco della notte di Samhain rivestiva un ruolo specifico anche per gli spiriti dei defunti. Illuminava la strada alle anime smarrite, le aiutava a raggiungere o a ritrovare la dimora eterna. Parlando di spiriti entrano in scena i rituali, le antiche tradizioni. In Scozia, i giovani celebravano il Capodanno Celtico annerendosi il volto, velandolo o celandolo tramite maschere per impersonare i defunti. La barriera tra il regno dei vivi e quello dei morti crollava generando scompiglio, confusione: i ragazzi si vestivano da ragazze e viceversa, si ordivano scherzi come lo scambio dei cavalli o la sparizione degli aratri. Riemerge costantemente l’ambivalenza tra vita e morte, luce e oscurità. La stessa dea della Terra incarnava una forza oscura, che versa lacrime perchè il suo amante, il dio della Vegetazione, è sparito nell’ oltretomba, ma porta in grembo il seme della vita futura che fiorirà in primavera. Una delle tradizioni più note della notte di Samhain era quella di apparecchiare la tavola anche per i defunti: si lasciava loro del cibo, si sistemavano le sedie davanti al focolare in previsione di una loro visita. Le finestre e le vie venivano illuminate per guidare gli spiriti lungo il percorso, ma a questa funzione adempiva altresì la luna piena.

 

 

I falò che si accendevano su tutte le colline della Britannia e dell’ Irlanda avevano lo scopo di ridar vigore al dio morente, di portare nel nuovo anno la sua luce. L’usanza di indossare una maschera, di dipingersi il volto o vestirsi di nero, invece, era tipica delle streghe ai tempi dell’Inquisizione: quei travestimenti le aiutavano a mimetizzarsi nella notte e a terrorizzare gli inquisitori quando si spostavano da una congrega all’altra. La paura e i cammuffamenti, con il passar del tempo, sono diventati parte integrante della festa di Samhain. E a tutt’oggi rimangono intatti: dopotutto, come dice lo sceriffo Brackett nel film “Halloween – La notte delle streghe” di John Carpenter, “E’ Halloween: tutti hanno diritto a un bello spavento!”

 

 

 

Solstizio d’Estate, il trionfo del Sole

 

Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che ‘l sole.
(Dante Alighieri)

 

Mancano solo 13 minuti all’ arrivo dell’ Estate. Il Sole, oggi, sancisce il suo trionfo: è il giorno più lungo dell’ anno, le ore di luce prevalgono nettamente su quelle di buio. In Italia, considerando le differenze tra le varie latitudini, il Sole splenderà per circa 15 ore di fila. Ritorna la magia del Solstizio, da “Solstat”, in latino “il sole si ferma”. La potenza dell’ “astro infuocato” raggiunge l’apice, connettendo cielo e terra attraverso una straordinaria energia cosmica. Le piante acquisiscono virtù portentose, quelle aromatiche si bruciano nei tipici falò serali. I Druidi solevano raccogliere i ramoscelli di vischio (sempreverde sacro ai Celti) con una piccola falce dorata, simbolizzando l’unione tra la luna (la forma del falcetto) e il sole (lo splendore del metallo); la verbena era foriera di future ricchezze, la felce possedeva una valenza duplice: rivelava tesori occulti tramite i suoi semi e donava l’invisibilità a chiunque si impadronisse del suo fiore (un fiore che in realtà non è mai esistito). L’ artemisia proteggeva dalla negatività, mentre l’ iperico e la calendula racchiudevano l’ energia dei raggi solari. Poste sotto il cuscino, inoltre, le erbe del Solstizio permettevano di divinare il futuro per mezzo dei sogni. Il 21 Giugno, l’ anno arriva alla sua esatta metà. Il Cosmo inaugura un nuovo corso in cui predominano il Fuoco e l’ Acqua, il Sole e la Luna, il Maschile e il Femminile, elementi e principi opposti ma complementari. L’acqua, non a caso, rimane uno degli emblemi della notte di San Giovanni (il 24 Giugno), quando assume proprietà miracolose sotto forma di guazza: propizia la fertilità e conferisce benefici immensi alla pelle e ai capelli delle giovani donne. Il fuoco, la notte del Solstizio, ricorre nella tradizione dei falò: ognuno di essi simboleggia il vigore solare, lo celebra e sostiene a un tempo. Non dimentichiamo, infatti, che il progressivo declino dell’ astro inizia già a partire dal 22 Giugno. Gli antichi popoli europei erano soliti accendere i falò, ma non solo: nel buio risplendevano le fiaccole delle processioni, ruote di legno infuocate venivano fatte rotolare lungo le colline…Il fuoco possedeva anche una valenza purificatrice; teneva lontani i malanni così come gli spiriti maligni, che la notte del Solstizio accedevano liberamente al varco tra mondo visibile e invisibile. Le danze rituali attorno al fuoco e i salti sulle fiamme – se non ci si inceneriva gli abiti, la fortuna era garantita tutto l’ anno – proliferavano. Per sigillare il loro amore, gli amanti intrecciavano le mani su un falò. Il rimando all’ amore non era casuale: durante il Solstizio d’Estate, quando la natura è all’ apice della sua abbondanza, temi quali l’ accoppiamento e la fecondità diventavano pregnanti.

 

 

Per le popolazioni celtiche, il Solstizio era Litha: questo nome, ispirato alla dea sassone del grano, designa anche il sabbat della Ruota dell’ Anno celebrato tra il 19 e il 23 Giugno. Litha era l’equivalente di Demetra, la dea greca del raccolto e delle messi, e della divinità romana Cerere, che presiedeva alla fertilità. Con Litha, l’accento veniva posto sul ciclo perenne di morte e rinascita dei cereali. Una ballata quattrocentesca diffusa in Scozia e in Inghilterra, “John Barleycorn” (“Giovanni Chicco d’Orzo”), racconta proprio la storia dello “spirito dell’ orzo” che muore e poi rinasce come il dio Sole. Tornando ai Celti, un altro nome che diedero al Solstizio è Alban Heruin (“luce della spiaggia” o “della riva”). Collocato a metà dell’ anno, l’arrivo dell’ Estate era equiparato alla “terra di mezzo” generata dall’ incontro tra mare e terraferma: la spiaggia, appunto. E in ambito italiano, quali sono le figure più rappresentative del 21 Giugno? A San Giovanni Battista, la cui festa fu sovrapposta dalla Chiesa Cattolica alle celebrazioni pagane per il Solstizio, potremmo affiancare Giano, il dio Bifronte della tradizione romana. Giano è il simbolo per eccellenza delle Porte Solstiziali; significa “passaggio” il suo nome stesso e regna sui periodi di transizione, sui nuovi inizi esistenziali. I due volti del dio Bifronte sono rivolti uno al passato e uno al futuro. Nell’ antica Roma era veneratissimo, ma si suppone che il suo culto risalga a un’ età arcaica dove veniva inglobato a quello dei cicli naturali. Con il passar del tempo, Giano assunse una valenza sempre più importante: basti pensare che per i romani non aveva nè padre nè madre, era l’origine del tutto.

 

 

In questi tempi incerti, festeggiare il Solstizio d’Estate può rappresentare un punto fermo: un’ occasione per riconnettersi con la natura, per omaggiare il culmine della sua rigogliosità. Potremmo accendere un falò in giardino, o laddove ci è concesso (pare che i falò sulla spiaggia siano vietati in molte zone d’Italia), e arricchirlo di erbe aromatiche, rigorosamente nove, come la lavanda, l’artemisia, il timo, la ruta, il vischio, il finocchio, la verbena, la piantaggine e l’ iperico, la pianta che – secondo la leggenda – concentra in sè l’energia del sole. A proposito di iperico, le sue virtù fitoterapiche non vanno trascurate: rinforza il sistema immunitario, possiede spiccate proprietà antinfiammatorie e antidepressive. Ma se volete rimanere in ambito magico, raccoglietene in abbondanza per attirare la fortuna e per proteggervi dalle entità malvagie. Il giorno del Solstizio d’Estate, anticamente, veniva appeso sui portoni proprio per mantenerle a distanza.

 

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Il luogo

 

La location più suggestiva dell’ autunno? Senza dubbio, un fuoco e i suoi dintorni. Che siano fiamme che ardono in un camino o quelle di un falò, magari acceso in giardino oppure nei boschi. Ottobre è appena iniziato, ma di notte le temperature calano a picco: non c’è niente di meglio che godersi un po’ di tepore accanto alla fonte di calore che, per prima, diede conforto all’ umanità ancestrale. Sebbene oggi tendiamo a trascurarlo, il fuoco ha rivestito una primaria importanza per lo sviluppo della civilizzazione. Non a caso incarna una valenza emblematica ben precisa in moltissime religioni, culture, persino filosofie. Innanzitutto, è uno dei quattro elementi di contatto tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale (gli altri tre elementi sono aria, acqua e terra). Da tempi immemorabili viene associato all’ energia, alla forza, alla passione, al maschile, quattro termini che per gli antichi equivalevano a un tutt’uno. Si contrappone alla frescura, all’ umidità dell’ acqua con il suo potente calore; tra i punti cardinali lo si identifica con il Sud. L’ esoterismo conferisce al fuoco una funzione purificatrice, vivificante, trasformatrice. Riflettendo la luminosità dello Spirito, è in grado di innalzare qualsiasi cosa a livelli di perfezione sublime. Per gli alchimisti rappresentava il numero 1 in quanto emblema dell’ Unità: dal fuoco si erano forgiati i restanti tre elementi e ciò favoriva la sua associazione con il creare, con il fervore inventivo. Anche le emozioni vissute al massimo, senza timori, rimandavano al fuoco. “Ardente” è un aggettivo in tal senso esemplare. Tornando alla vita di tutti i giorni, il fuoco possiede numerose valenze. E’ convivialità, intimità, calore, anche figurativamente parlando. Attorno al fuoco, in autunno, ci si riunisce per chiacchierare, mangiare caldarroste, bere un calice di buon vino. Oppure per danzare, ascoltare musica, celebrare i più disparati eventi. Da tempi remotissimi, fino al momento in cui è comparsa la televisione, nei casolari di campagna vigeva l’usanza di ritrovarsi la sera davanti al focolare. La cena era appena terminata: il momento giusto per lasciar spazio alle conversazioni, ai racconti, alle leggende, alle dicerie che correvano in paese. Il vino rappresentava una sorta di “pozione magica” inebriante che dava sapore a quelle riunioni. Ai bambini venivano narrate le fiabe, ma al tempo stesso aleggiava il gusto di procurarsi brividi a vicenda. Non è un caso che, di frequente, ci si intrattenesse nel tramandare storie e leggende dagli accenti macabri. Era uno dei modi prediletti per provare e per trasmettere emozioni, amplificandole attraverso la cassa di risonanza della paura; un modo che, al pari della convivialità delle chiacchiere e del vino sorseggiato tutti insieme, alimentava il piacere della condivisione. Proprio lì, di notte, come in una sorta di rituale…mentre ardevano le fiamme del focolare.

 

 

 

Equinozio di Autunno

 

” Per questo preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda il cielo. In primavera la terra.”
(Soren Kierkegaard)

Buon Equinozio di Autunno! La nuova stagione farà il suo ingresso ufficiale stasera, alle 21.21. Oggi, il sole si trova allo zenit dell’ equatore: le ore di luce e quelle di buio avranno una durata identica e inizieranno i sei mesi più oscuri dell’ anno. Il secondo raccolto si è ormai concluso, la terra si prepara al suo periodo di riposo. Le foglie si tingono di cromie incredibili prima di staccarsi dai rami e volteggiare al suolo. Se in estate viaggiamo per esplorare il mondo, in autunno inizia l’ affascinante viaggio alla scoperta di noi stessi. Quando il ciclo produttivo della natura si arresta, assopendosi momentaneamente, è tempo di fare bilanci. Di riflettere sulla nostra interiorità, acquisire una nuova consapevolezza. Analizzare il proprio personale “raccolto” è il primo passo verso il raggiungimento di un’ armonia, di un equilibrio che coinvolgono spirito e materia in parti uguali: esattamente come giorno e notte, oggi, si trovano in simmetria perfetta. E se volete omaggiare l’ autunno con qualche gesto speciale, non dimenticate di bruciare incenso a base di mirra, pino o ibisco e di utilizzare le foglie morte per accendere eventuali falò. Ma il miglior rituale rimane una passeggiata nella natura, magari tra i boschi, per godere dei colori mozzafiato e delle avvolgenti atmosfere che questa stagione ci regala…

 

 

 

 

 

Solstizio di Estate (Alban Heruin)

 

” C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. “

(Giovanni Pascoli)

Stamattina, alle 5.31, l’ Estate ha fatto il suo ingresso trionfale. L’ arrivo alle prime ore dell’ alba ha accentuato la suggestività e la valenza emblematica che il Solstizio di Giugno porta con sè da sempre: un nuovo inizio, un nuovo ciclo naturale che ben si associa agli istanti del sorgere del sole. In quel momento, alle 5.31 appunto, l’ astro infuocato era posizionato alla declinazione massima nel suo moto lungo l’ eclittica e al culmine dell’altezza rispetto all’ orizzonte. Nell’ emisfero boreale è il giorno più lungo dell’ anno, ore ed ore di luminosità senza pari. Potremo definire il Solstizio, non a caso, “la festa del Sole”: la potenza che emanano i suoi raggi raggiunge l’ apogeo, cielo e terra si uniscono in una danza cosmica impregnata di energia e di misticismo. I Druidi battezzarono il 21 Giugno “Alban Heruin”, traducibile come “luce della riva” o “della spiaggia”, un rimando alla concezione celtica dell’ universo; la spiaggia, la riva, erano “terre di mezzo” che univano mare e terraferma.  E il Sole, che ad Alban Heruin si trovava proprio all’ intersezione tra le terre, per i Celti situate a nord dell’ equatore celeste, e i mari, situati al suo sud, era una sorta di trait d’union di quelle due superfici. Il significato attribuito all’ accensione dei falò – rituale del Solstizio per eccellenza – ha sempre a che vedere con il Sole, del quale il fuoco simbolizza e rafforza la potenza: le fiamme prolungano l’ energia caratteristica dell’ astro, che dal primo giorno di Estate in poi andrà affievolendosi a poco a poco (portandosi via anche la luce), e  poi purificano, allontanano le entità malefiche e i malanni. Ma se il Sole è il protagonista principale del 21 Giugno, quest’anno dovrà contendersi il primato con le stelle. Perchè? Ve lo spiego qui di seguito…

 

 

Fino al 20 Luglio sarà attiva una vera e propria cascata di stelle cadenti, dette Lambda Sagittaridi in quanto pare che abbiano origine nella costellazione del Sagittario. La loro performance più spettacolare si è svolta nel weekend appena trascorso, tra sabato e domenica notte, ma è previsto che ci regalino molti altri momenti di magia nelle ore buie dei giorni prossimi. La notte del Solstizio, in questo senso, viene data per certa: prepariamoci quindi a dare il benvenuto all’ Estate celebrando il Sole, re della luce e della rinascita, ma ammirando anche il fulgore di uno sciame di stelle. Perchè se il Sole è forza, vigore, luminosità allo stato puro, anche gli astri che brillano nel cielo notturno racchiudono un simbolismo estremamente affascinante. Penso a una celebre frase di Victor Hugo: “Ciò che fa notte dentro di noi, può lasciare stelle”. Sono parole significative, decisamente profonde. Delle autentiche lezioni di vita.

 

 

 

 

Halloween Night

 

Il nostro viaggio verso Halloween giunge al termine. Sul bosco calerà l’ oscurità e in lontananza scorgeremo i falò celebrativi, un richiamo al Fuoco Sacro che a Samhain, l’ antico Capodanno Celtico, i Druidi spegnevano per poi riaccenderlo simboleggiando l’arrivo della stagione buia e l’ anelito del ritorno della luce, dell’ inizio di una nuova vita: un rituale emblematico del ciclo di morte e rinascita, riferito sia ai ritmi naturali che a quelli che scandiscono l’esistenza umana. Stanotte avanzeremo sotto un cielo pieno di stelle, e un turbinio di foglie morte accompagnerà ogni folata di vento. Ma l’aria sarà mite, quasi un assaggio della tradizionale Estate di San Martino. Quando le fiamme del falò danzeranno davanti ai nostri occhi, avremo tutto il tempo per meditare e per connetterci con il vero spirito di Samhain. Riallineandoci, ad esempio, con i ritmi stagionali, con la ciclicità della natura e donando un’ accezione positiva alla metà oscura dell’ anno: così come la terra in questo periodo riposa, preparandosi alla rigenerazione, possiamo prenderci una pausa per esplorare le profondità del nostro io e assecondare i suoi bisogni, le sue aspirazioni più autentiche. Samhain sancisce il tempo del rinnovamento. E’ il momento di far piazza pulita dei pensieri, delle abitudini, dei modi di vivere che ci impediscono di evolvere e rendono la nostra esistenza stagnante, priva di obiettivi. Il “buio” può rappresentare un’ occasione per meditare su tutto ciò e per persuaderci ad abbracciare il nuovo lasciandoci alle spalle il vecchio. La “notte delle streghe”, in fondo, non è poi così nera…e non solo perchè quest’anno sarà illuminata dal chiarore ipnotico della Luna Blu. Felice Halloween a tutti!