Nella nebbia luminosa del mattino
la casa dolcemente indietreggia e s’appanna;
si piegan sullo stelo, nel giardino,
dolci fiori di spuma e di manna.
(tratta da “Il quaderno dei sogni e delle stelle”, 1924)
Il blog di Silvia Ragni
Alla nuova stagione ci stiamo avvicinando a grandi passi. Mancano 15 giorni all’Equinozio, ma trovo interessante proiettarci fin d’ora nel mood autunnale. Oggi, ad esempio, parlaremo dell’ aroma dell’Autunno: perchè l’Autunno, così come ogni stagione, ha i propri odori peculiari e inconfondibili. Come potremmo descriverli esattamente? L’Autunno è una passeggiata nel bosco, aria frizzante da respirare a pieni polmoni. Sa di muschio, foglie morte, terra bagnata, funghi porcini, castagne, nocciole, legni impregnati di pioggia e nebbia. Sono odori intensi, che rilassano e permettono di assaporare appieno il nuovo ciclo naturale; inneggiando a quest’ultimo, ribadiscono il continuo divenire del creato. Anche i fiori prendono parte a questa danza olfattiva. In Autunno, quelli dell’ osmanto sprigionano un profumo potentissimo che alcuni paragonano alla fragranza della gardenia o della magnolia grandiflora. I fiorellini dell’ eleagno, pressochè invisibili, emanano una scia olfattiva che può essere annusata anche a diversi metri di distanza.
E poi c’è la camelia sasanqua, con i suoi fiori coloratissimi e vistosi; la datura, con i suoi petali disposti a campana; il ciclamino boscolino, dalla profumazione molto intensa…Le rose autunnali, vere e proprie meraviglie che rimangono in fiore fino all’inizio dell’Inverno.
Tutti aromi che in città, purtroppo, sono quasi impercettibili poichè si disperdono nell’ambiente. E ogni Autunno che passa li vede sempre meno protagonisti: ormai, tutti i segni distintivi stagionali si manifestano con un netto ritardo. Nel 2022, i ricercatori dell’USA National Phenology Network (la fenologia è una disciplina che studia la correlazione tra i mutamenti biologici di determinati organismi e i fenomeni stagionali) hanno invitato gli statunitensi a passeggiare nei propri luoghi di residenza registrando le caratteristiche e i mutamenti associati alla stagione autunnale. Le annotazioni dovevano essere riportate su un taccuino da consegnare, in seguito, agli stessi ricercatori. In molti hanno segnalato l’assenza dei tipici aromi autunnali, e il responso degli studiosi al riguardo si è rivelato assai interessante.
I membri dell’USA National Phenology Network hanno spiegato il fenomeno associandolo ai cambiamenti climatici: il calore persistente e la siccità avevano causato una caduta prematura delle foglie degli alberi, inoltre il caldo umido trattiene gli odori amalgamandoli in un’unica miscela. Risulta quindi impossibile distinguerli, percepirli nitidamente. All’epoca della ricerca, l’afa ininterrotta aveva ritardato l’arrivo dell’Autunno e la siccità si era rivelata nefasta per la vegetazione. La perdita precoce del fogliame aveva impedito agli alberi di tramutarsi nel polmone intriso dei tipici, oltre che benefici, aromi stagionali. Tutto questo è accaduto nel 2022, ma non risaltano particolari differenze rispetto alla situazione attuale. Se camminate per le vie della vostra città, noterete un gran numero di foglie morte sparse sui sampietrini.
Venendo meno le sue caratteristiche, una stagione si priva anche dei propri odori. E’ un fenomeno preoccupante, poichè odori e ambiente sono un tutt’uno: si integrano e completano a vicenda. L’odore, inoltre, influisce direttamente anche sulla sfera emotiva: si lega alle emozioni, ai ricordi, alle sensazioni…non è un caso che si parli di memoria olfattiva. Far sì che non si perda nei deleteri effetti della crisi climatica è essenziale: preservare la salute del nostro pianeta significa preservare anche la nostra.
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Cosa vi viene in mente quando pensate a Ferragosto? Pranzi all’aperto, picnic fuori porta o in spiaggia, vacanze, gite al mare, barbecue, fuochi d’artificio, gavettoni come se non ci fosse un domani…La scelta è molto ampia. Ma come nascono i festeggiamenti del 15 Agosto? Andiamo subito a scoprirlo insieme. Iniziamo col dire che Ferragosto affonda le sue radici nell’antica Roma: fu l’imperatore Augusto, nel 18 a.C., a istituire il Feriae Augusti (ovvero il “riposo di Augusto”), che cadeva ogni 1 Agosto ed era collegato a tutte le feste che ricorrevano in questo mese. I romani infatti celebravano i Vinalia rustica (un tributo a Giove e Venere), i Nemoralia (che onoravano la dea Diana) e i Consualia, dedicati a Conso che era il dio della fecondità della terra. I Consualia concidevano con il termine delle principali pratiche agricole, e ciò si incastrava alla perfezione con il significato delle celebrazioni agostane: il Feriae Augusti inaugurava una fase di riposo che connetteva le varie ricorrenze, ed era essenziale per il ripristino dell’energia dopo il pesante lavoro nei campi dei mesi precedenti. In questo periodo, i festeggiamenti erano costanti e coinvolgevano l’Impero Romano in toto. Gli asini, i muli e i buoi avevano diritto alla stessa pausa di relax di cui beneficiava l’uomo, e nell’antico Ferragosto non potevano essere utilizzati come animali da tiro; venivano, invece, adornati di ghirlande e fiori. Diversa sorte toccava ai cavalli, utilizzati per le numerose gare organizzate a partire dal Feriae Augusti. Secondo la tradizione, poi, a Ferragosto i padroni dovevano ricevere gli auguri dai propri lavoratori: per ringraziarli, li avrebbero ricompensati con una lauta mancia. Tale usanza andò consolidandosi con il passar del tempo, tant’è che nel Rinascimento divenne inderogabile in tutto il territorio dello Stato Pontificio. Con l’avvento del Cristianesimo, la Chiesa Cattolica posticipò il Feriae Augusti al 15 Agosto; l’intento era quello di sovrapporre la solennità dell’ Assunzione di Maria alle celebrazioni pagane della Roma antica. A tutt’oggi, Ferragosto mantiene felicemente la valenza di festa religiosa e laica al tempo stesso.
Foto: KoolShooters via Pexels
Che anche i fiori parlino, è risaputo. Il noto slogan “Ditelo con i fiori”, a tal proposito, è indicativo: ogni fiore veicola un messaggio, comunica qualcosa. Si associa, cioè, a un determinato significato simbolico. E attraverso la florigrafia, una disciplina diffusissima nell’ Ottocento, può sostituire le parole tramite l’accezione che viene data al suo colore e alla sua specie. I fiori sono stati collegati a specifici concetti sin dall’ epoca dell’antica Roma: esistevano tipologie di fiori con cui onorare le divinità, allontanare la sfortuna e propiziare la buona sorte. Durante il Medioevo e il Rinascimento, quella consuetudine andò evolvendosi e cominciò a identificarsi con nozioni morali da attribuire a ogni pianta. Il linguaggio dei fiori così come lo conosciamo oggi è stato introdotto in Europa da Mary Wortley Montagu, la consorte dell’ ambasciatore britannico a Costantinopoli. In alcune sue lettere date alle stampe nel 1763, Lady Mary Wortley Montagu raccontava di una tradizione turca denominata “selam”: i turchi, infatti, erano soliti associare una valenza emblematica a svariati fiori e frutti e agli arnesi più disparati. Ciò ha suscitato un immediato interesse nei confronti della suddetta usanza, che nell’età vittoriana ha conosciuto un vero e proprio boom.
Il linguaggio dei fiori, detto florigrafia, all’epoca iniziava ad essere legato ai sentimenti. Nell’Ottocento hanno cominciato a propagarsi i “flower books”, libri specificamente dedicati a quella disciplina, la cui grafica era un capolavoro di eleganza: incisioni, illustrazioni e litografie impreziosivano ogni pubblicazione, fornendo una sorta di validità scientifica alle convinzioni popolari che circondavano il mondo delle piante. In Europa era esplosa la passione per la florigrafia, e i libri a tema proliferavano letteralmente. Le opere più conosciute rimangono Abécédaire de flore, ou language des fleurs (1811) e Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (1818), che hanno visto la luce rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il volume che ha però raggiunto una fama straordinaria è Les Language des Fleurs di Charlotte de Latour, dato alle stampe nel 1819. Pare che il nome dell’autrice fosse l’alias di Louise Cortambert, moglie di un noto bibliotecario parigino. Del libro, ricco di litografie botaniche ad opera dell’artista Pancrace Bessa, sono state realizzate molteplici ristampe e il successo che ha riscosso è stato enorme.
Oggi, alla florigrafia non si guarda più con molto interesse. Il linguaggio dei fiori è una disciplina conosciuta solo da pochi esperti. Eppure, soprattutto al momento di regalare un bouquet floreale, parecchi di noi si pongono il quesito del significato di quei fiori: alcuni sono piuttosto noti, altri meno, ma di solito un fioraio è in grado di fugare i nostri dubbi. Le rose, ad esempio, rimangono il fiore più ricco di significati simbolici. In molti sappiamo che la rosa rossa è un emblema di passione, la rosa rosa di amicizia e soavità, la rosa gialla di gelosia e quella bianca di purezza. Del significato di tantissimi altri fiori, invece, purtroppo non tutti sono a conoscenza. Ne cito qualcuno in ordine sparso: la lavanda indica sfiducia, il girasole solarità, il narciso amore non corrisposto, il myosotis (comunemente noto come nontiscordardime) vero amore, il bucaneve speranza, l’orchidea completa dedizione amorosa e il glicine amicizia. Sarebbe bello ricominciare ad appropriarsi delle valenze che si associano a ogni fiore, e iniziare a comunicare attraverso il linguaggio dei fiori tutte le volte che vogliamo: i messaggi sottili e raffinati che la florigrafia veicola risulterebbero, senza dubbio, molto più intriganti di qualsiasi contatto via web.
Illustrazioni via Pixabay
Il bello del giardinaggio: le mani nello sporco, la testa baciata dal sole, il cuore vicino alla natura. Coltivare un giardino non significa nutrire solo il corpo, ma anche l’anima.
(Alfred Austin)
Maggio è il mese ideale per immergersi negli scenari da sogno che offre la natura. Uno di questi è senz’altro il giardino, ma un giardino molto particolare: il Cottage Garden tipicamente inglese. Ricordate l’articolo sulle Cotswolds che ho pubblicato due anni fa per la serie “Il luogo”? (potete rintracciarlo qui) Bene. In quelle zone, situate nel cuore dell’Inghilterra, potete ammirare molteplici esempi di Cottage Garden, il giardino che circonda i tradizionali cottage locali. Ma quali sono le sue caratteristiche? Innanzitutto, quella di affiancare gli ortaggi e gli alberi da frutto alle più disparate specie floreali. Non dimentichiamo che il Cottage Garden è un giardino di campagna, tenuto cioè a soddisfare requisiti in linea con le esigenze agresti. Potremmo quindi definirlo felicemente un “ibrido”, un po’ orto e un po’ giardino: nemmeno un briciolo del suo fascino ne verrà intaccato. Le sue radici affondano nell’800, quando il giardinaggio si tramutò in un’autentica passione per i cittadini d’Oltremanica. Anteriormente a quel periodo le case coloniche erano dotate di un “kitchen garden”, un orto sul retro circondato da alte mura; quel piccolo spazio si tramutò in un giardino in seguito all’ internazionalizzazione del commercio di frutta e verdura. Le piante e i fiori venivano scrupolosamente selezionati dalla padrona di casa, che valutava il loro potenziale ornamentale: la cura del giardino cominciò ad incarnare uno stile di vita che si impose definitivamente durante l’età vittoriana.
La seconda particolarità di un Cottage Garden è che è un giardino “in stile libero”: fiori, arbusti, bulbi, piante rampicanti, perenni e annuali compongono un variopinto mix. Questa varietà è uno dei suoi punti di forza, perchè risulta di straordinario impatto visivo. Ne mette in risalto, inoltre, la meraviglia e l’estro, che combina il verde con i più vivaci colori.
Per creare un Cottage Garden da sogno, andrebbero tenuti presenti questi aggettivi: idilliaco, romantico, campestre. La mescolanza di specie vegetali è il suo tratto distintivo, ma va realizzata in modo armonico. E soprattutto ragionato, tenendo conto dei bisogni delle piante; la corretta esposizione solare per esempio, o l’ideale tipologia di terreno. Il Cottage Garden è delimitato da uno steccato che, volendo, può essere tinteggiato con dei bei colori. La combinazione di piante e fiori dovrebbe essere attentamente ponderata anche dal punto di vista cromatico: alcune tonalità danno il meglio di sè, se abbinate tra loro. Per quanto riguarda i fiori, un valore aggiunto è costituito dal profumo. Tutto ciò che è insolito, stravagante e originale dona una marcia in più al giardino; gli archi di fiori, i pergolati, una fontana laddove non ce l’aspetteremmo catturano e deliziano l’occhio. Non è raro che, nei Cottage Garden più ampi, siano presenti dei corsi d’acqua o degli stagni che esaltano la meraviglia del luogo. Molto importanti sono anche i percorsi, i sentieri che attraversano lo spazio verde: solitamente si presentano sinuosi e si inoltrano con suggestività nella vegetazione. Un must assoluto è la presenza di rose rampicanti che decorano la facciata del cottage. Naturalmente, la cura riposta nella creazione di questa magnifica area deve risultare invisibile. Il Cottage Garden, oltre che alla natura, è un’ode alla naturalezza e alla spontaneità.
Quali piante e fiori scegliere, concretamente, per ornare il giardino di un cottage? Il mood rurale che lo pervade ci impone innanzitutto di includere dei fiori di campo: via libera all’aster, all’echinacea e all’helenium, poichè rievocano la margherita, così come ai papaveri, le campanule, i fiordalisi. Estremamente scenografici risultano il geranio, il garofano, l’achillea, l’alcea rosea; l’apice del fascino viene raggiunto però dalle rose, sia arbustive che rampicanti, insieme alle ortensie e alle peonie. I bulbi non mancano mai, nel Cottage Garden: predominano i muscari, i crocus, i narcisi, i tulipani, e abbondano le dalie e i gladioli.
Oltre che alle rose, nel Cottage Garden troviamo rampicanti splendidi come il glicine, il gelsomino, l’edera, la bignonia. Il girasole, la bocca di leone e l’anemone, il “fiore del vento”, donano un tocco di colore in più. La lavanda rapisce l’olfatto con il suo straordinario profumo. Tra le piante arbustive figurano invece il lillà, l’abelia e il rododendro.
Gli alberi presenti con maggior frequenza sono la magnolia, il pero e il melo, particolarmente sfarzosi quando sono in fiore.
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Un verde splendente, luminoso, che ricorda le sconfinate distese dei prati in Primavera. E a impreziosirlo, un tripudio di fiori rosa pastello. Ma il dettaglio che cattura immediatamente l’occhio, che innamora a prima vista, sono le due grandi applicazioni floreali sullo scollo e sul davanti dell’abito: impalpabili e vaporose, rosa anch’esse, donano al look una marcia un più. Per rappresentare il mese di Maggio ho scelto un long dress ampio, arioso e completamente abbottonato frontalmente; le maniche a sbuffo, che arrivano a metà dell’avambraccio, amplificano ulteriormente i suoi volumi. A firmare l’abito è Lebor Gabala, un nome che è una sorta di trascrizione fonetica di “Leabhar Ghabàla na hEireann”: il titolo in irlandese, cioè, de “Il libro della presa dell’Irlanda”, un volume dell’ XI secolo che narra (sia in prosa che in versi) la storia e la mitologia dell’ Isola di Smeraldo a partire dalle origini fino al Medioevo. Dietro al marchio Lebor Gabala si cela la designer spagnola Maite Muñoz, che l’ha fondato oltre 20 anni orsono. La filosofia del brand è incentrata sull’atemporalità. Lebor Gabala propone capi senza tempo, unici, preziosi, ma immuni dalle concessioni alle mode del momento. Sono pensati apposta per essere indossati e rindossati a proprio piacimento, anche dopo anni, prescindendo dalle tendenze. La qualità e la cura dei dettagli rappresentano due punti di forza della griffe, portabandiera di un’eleganza senza tempo e magnificamente intrisa di accenti accattivanti.
La Primavera è la stagione dei fiori, uno dei supremi emblemi del risveglio. Di quelli che sbocciano in questo periodo conosciamo più o meno ogni cosa: i loro nomi, i loro colori, i loro profumi, le loro caratteristiche…li utilizziamo in cucina, quando è possibile (rileggi qui l’articolo sui fiori edibili). Non tutti sanno, però, che a molti fiori si associano delle magnifiche leggende. Ve ne racconto tre.
Il lillà e la leggenda di Siringa e del dio Pan
La prima leggenda riguarda il Syringa Vulgaris, nome botanico del lillà. Si narra che Pan, il dio dei monti e della vita agreste, un giorno si imbattè in Siringa, una splendida ninfa delle acque dell’Arcadia. Per Pan fu un colpo di fulmine: con l’intento di sedurla, la riempì subito di mille complimenti. L’aspetto del dio, per metà uomo e per metà con sembianze caprine, fece però inorridire Siringa, che fuggì spaventata. Temendo che Pan potesse raggiungerla, Siringa chiese aiuto a suo padre Ladone, il dio dei fiumi. Ladone, quindi, la trasformò in un arbusto di lillà per impedire a Pan di possederla: il dio caprino era noto per il temperamento selvaggio e per i suoi bagordi orgiastici. Pan, in lacrime, non riuscendo più a trovare Siringa si disperò. A questo punto, la leggenda si dirama in due versioni differenti. Secondo la prima, quando Pan passò davanti al cespuglio di lillà udì il melodioso lamento del vento tra le sue fronde; decise dunque di reciderle e con esse costruì un flauto da cui non si separò mai più. La seconda versione, invece, racconta che Siringa si trasformò nella canna di un canneto per sfuggire a Pan. Il dio se ne accorse ed estrasse dal canneto sette canne che accorciò e unì tra loro realizzando uno strumento musicale. Nacque così il suo celebre flauto, che non a caso porta anche il nome di “siringa”. E il lillà? Da allora, venne per sempre chiamato Syringa Vulgaris.
La pratolina e la leggenda di Bellis e del dio della Primavera
La pratolina è una di quelle margheritine che in Primavera invadono i prati. Scientificamente si chiama Bellis Perennis: un nome che, come nel caso della Syringa Vulgaris, ebbe origine da una leggenda molto antica. Bellis era la bellissima figlia di Belus, il dio celtico della luce. La leggenda vuole che, un bel giorno, Bellis iniziasse a danzare su un prato con il suo fidanzato. Il dio della Primavera la notò immediatamente: perse la testa per lei e si fiondò sulla coppia per strapparla dalle braccia dell’amato. Quest’ultimo, infuriato, reagì all’assalto del dio con estrema violenza. Spaventatissima, Bellis decise quindi di fuggire da entrambi; chiuse gli occhi, si estraniò da quel contesto e si trasformò in una leggiadra margherita. La pratolina, anticamente, era un fiore che riscuoteva grande apprezzamento sia presso i reali che la gente comune. Tra i suoi estimatori annoverava Margherita di Valois, prima moglie di Enrico IV di Francia, San Luigi dei Francesi e Margherita D’Angiò, la consorte di Enrico VI di Lancaster. In inglese, il nome della pratolina è intriso di suggestività: “daisy“, infatti, deriva da “day’s eye”, ovvero “occhio del giorno”.
Il giacinto e la leggenda di Giacinto e di Apollo
Veniamo ora alla leggenda che riguarda lo Hyacintus, una pianta bulbosa dalle infiorescenze coloratissime. Il suo nome deriva da Giacinto, un prestante giovane della mitologia greca. Principe di Sparta, Giacinto era amato dal dio Apollo, ma ad essere affascinati da lui erano anche Zefiro (personificazione del vento dell’ ovest), Borea (personificazione del vento del nord) e Tamiri. La gelosia di Zefiro nei confronti di Apollo, purtroppo, fu fatale al bel principe di Sparta. Apollo era innamoratissimo di Giacinto; un giorno, in previsione delle Olimpiadi a cui quest’ultimo avrebbe preso parte, i due amanti iniziarono una gara di lancio del disco. Apollo lanciò il disco, e osservando quella scena Zefiro impazzì di gelosia: soffiò una forte folata di vento sulla coppia, ma la raffica cambiò la traiettoria del disco. Giacinto fu colpito violentemente dall’attrezzo, che si scagliò contro la sua tempia uccidendolo. Apollo, disperato, tentò in tutti i modi di salvare il suo amante; non ci riuscì, però non permise ad Ade, il dio dell’ oltretomba, di portarlo con sè: trasformò il sangue versato da Giacinto in un fiore profumatissimo e dal colore intenso a cui diede il suo stesso nome. Per celebrare Giacinto, a Sparta tra Maggio e Giugno si tenevano le Giacinzie, una tre giorni composta da riti simboleggianti la morte e la rinascita.
Gli Dei creano gli odori, gli uomini fabbricano i profumi
(Jean Giono)
Con la Primavera arriva una folata di odori e aromi all’insegna di una briosa leggerezza. I profumi caldi, molto dolci, sono svaniti insieme all’Inverno; adesso è tempo di freschezza, di un nuovo vigore associato al risveglio. E la bella stagione ci offre un tripudio di note olfattive per calarci appieno nelle sue atmosfere: sono note inebrianti, gioiose, eteree, un vero e proprio iter sensoriale. Ma quali possono essere considerati i profumi tipici della Primavera? Innanzitutto, il profumo dei fiori. In questo periodo le rose, le violette, i gelsomini, le fresie, le gardenie, la magnolia, la lavanda, le peonie e i lillà ci rapiscono con i loro colori e i loro aromi. Ognuno di quei fiori emana una fragranza irresistibile, potentemente raffinata, che è un emblema di rinascita e un’ode all’eleganza a un tempo.
Alcuni, come la lavanda e il gelsomino, hanno la dote di incrementare il buonumore; altri, la rosa per citarne solo uno, possiedono virtù rilassanti e fungono da sedativi naturali.
Un altro odore tipicamente primaverile è quello dell’erba bagnata, della terra umida che segue a un acquazzone. Profumi più intensi provengono dalle piante aromatiche di stagione: la maggiorana, la salvia, la menta, il timo, il rosmarino, l’origano…solitamente le utilizziamo in cucina, ma sono ricche di proprietà salutari di cui possiamo beneficiare anche grazie agli oli essenziali che da esse si estraggono. La salvia, ad esempio, facilita la digestione ed è un efficace balsamo espettorante. Secoli orsono, inoltre, veniva utilizzata per sbiancare i denti e purificare l’alito. Il timo, oltre ad essere un balsamo, svolge un’azione depurativa e favorisce il processo digestivo. Il rosmarino disintossica, purifica, e disinfetta le vie respiratorie. Olfattivamente parlando, le piante aromatiche sprigionano un’intensa freschezza. Più calde e avvolgenti risultano, invece, la vaniglia e la cannella, due spezie evergreen che sarebbe un peccato relegare al Natale.
In Primavera, non mancano i profumi della frutta di stagione: gli agrumi risaltano per le loro note frizzanti, per il mood travolgente, per la luminosità che irradiano. Il bergamotto, l’arancia, il limone e il mandarino ci permettono di sperimentare esperienze sensoriali affini, all’insegna della vitalità e del rinnovamento. Il fico, al contrario, ha un imprinting più “introspettivo”: rievoca aree verdi e segrete, giardini delle meraviglie nascosti dietro alte siepi; ha accenti vagamente legnosi, è un connubio di aria e terra che combina la freschezza con una profonda dolcezza. Risulta inebriante, ma sempre con una punta di mistero.
A proposito di agrumi, il fiore d’arancio è proverbiale per la sua fragranza da secoli utilizzata in profumeria. Si tratta del fiore dell’arancio amaro, una pianta molto diffusa nei paesi del Mediterraneo: il suo aroma è dolce, vagamente agrumato. Nei profumi viene incluso sotto forma di estratto, il Neroli e l’assoluta di fiori d’arancio. Il Neroli è un olio essenziale dai sentori eleganti e freschi, l’assoluta di fiori d’arancio una fragranza più persistente, voluttuosa e sensuale. Una curiosità? Il fiore d’arancio veniva usato sin dai tempi dell’ antico Egitto: era considerato l’optimum per rigenerare il corpo dopo i rigori invernali.
Niente si sa, tutto si immagina.
Circondati di rose, ama, bevi,
e taci. Il resto è niente.
(Fernando Pessoa)
In tema di fiori è anche l’accessorio che ci piace: rose su rose, voluminose, ricercate e scenografiche a formare un copricapo che inneggia alla Primavera. Lo propone Andreas Kronthaler for Vivienne Westwood, che nella collezione Primavera Estate 2024 include anche un altro cappello floreale. Questo, torreggiante e mozzafiato, ostenta i colori più romantici e tipici della rosa: bianco, amaranto, avorio, rosa tenue…I petali, innumerevoli, compongono una corolla ricca. L’ensemble di rose si sviluppa in altezza ed è agghindato di diversi nastri che alternano la tonalità del rosso a quella del beige. Due di essi, annodati sotto il mento, assicurano la buona tenuta del copricapo, mentre i rimanenti scendono sulle spalle a scopo ornamentale.
Abbinato a un abito t-shirt dal gusto vintage-sporty, il rose hat spicca in tutto il suo splendore: ha un fascino che rimanda vagamente alle parrucche Rococò, stravaganti, altissime e preziosamente decorate, ed ammanta il look casual di un’eccentrica sontuosità.
Primavera, la stagione dei fiori. Ma sapevate che i fiori si possono anche mangiare? Credo che ognuno di noi si sia imbattuto, almeno una volta nella vita, nei fiori edibili (o commestibili, il che è lo stesso). Sono dei fiori che diventano parte integrante di cibi e bevande e che è possibile consumare in piena sicurezza. Li si adopera per aromatizzare, ornare, condire, dare un tocco di colore ai piatti, e il loro utilizzo, secoli orsono, era comune in molte civiltà: in Cina, nella Grecia e nella Roma antiche rappresentavano un elemento fondamentale delle pietanze. I gusti che li contraddistinguono sono molteplici, vanno dallo speziato al piccante, dal dolce al profumato. Inoltre, i fiori edibili vantano molte proprietà. Innanzitutto, sono dei potenti antinfiammatori e antiossidanti: contenendo polifenoli in abbondanza, contrastano la deleteria azione dei radicali liberi. Se si decide di includere i fiori edibili nelle proprie ricette, però, bisogna farlo con cognizione di causa. Innanzitutto, è necessario avere la certezza che quei fiori siano effettivamente commestibili. L’ideale è andare sul sicuro, magari acquistandoli al supermercato, nelle aziende bio o in specifici shop on line. Li troverete già pronti: la parte edibile, infatti, è costituita solo dai petali, mentre i gambi e i pistilli sono off-limits.
Attenzione: non comprate fiori destinati a un utilizzo ornamentale per nessun motivo, vengono trattati con pesticidi e prodotti chimici allo scopo di esaltarne l’estetica. Non raccogliete i fiori, neppure quelli edibili, nei prati, nei campi o nei parchi: quasi certamente sono stati sottoposti all’azione di prodotti tossici per l’uomo. Chi è predisposto alle allergie, inoltre, dovrebbe consumare i fiori edibili con cautela o addirittura escluderli dalla propria dieta. Esistono fiori commestibili che è possibile mangiare solo in ridottissime quantità. Qualche esempio? I fiori del melo, le viole del pensiero, la borragine, l’asperula, i fiori di tiglio.
Quali sono, invece, i pasti e le bevande che beneficiano dell’aggiunta dei fiori edibili? Tra gli altri le insalate, alcuni formaggi, le pietanze marinate, piatti o snack sfiziosi di ogni tipo, lo yogurt, ma soprattutto i dolci. Provateli con il gelato: potete aromatizzarlo in modo delizioso con il glicine, i fiori di malva e di acacia. Per quanto riguarda le bevande, li ritroviamo in particolare nei cocktail e in determinati vini, ma anche nelle tisane e nel té.
L’elenco dei fiori edibili è lungo, se ne contano circa 50. Avrete certamente avuto modo di assaggiare i fiori di zucca, i carciofi, i cavolfiori (tutti fiori edibili, ebbene sì), ma ora prenderemo in rassegna alcuni dei più scenografici e impattanti esteticamente. La calendula, ad esempio, sfoggia colori vibranti ed è altamente decorativa. Il suo sapore è piccante, pepato e dolce al tempo stesso. Il gelsomino spicca per il suo profumo e per la sua dolcezza; è inoltre ricco di proprietà salutari, svolge un’azione sedativa e antibatterica. Il fiordaliso, pur essendo un fiore di campo, ha un sapore che ricorda le distese erbose. Fate la massima attenzione ad evitare il gambo, non commestibile ma anche super amaro. La lavanda, con il suo meraviglioso colore viola, senza dubbio fa pensare alla Provenza. E’ un fiore dolce, vagamente speziato, dal profumo inconfondibile: non è un caso che nel sud della Francia si preparino torte, biscotti e crème brûlée da leccarsi i baffi all’aroma di lavanda.
Anche i lillà sono fiori edibili; hanno accenti agrumati che li rendono sopraffini. Il nasturzio esibisce colori vivacissimi e il suo gusto tra il dolciastro e lo speziato si accompagna sia con il salato che con il dolce. La rosa non poteva mancare. I suoi petali, splendidamente ornamentali, sprigionano un profumo senza eguali che esalta soprattutto i dolci, molti tipi di bevande e innumerevoli marmellate. La viola è uno dei fiori commestibili più noti. Ha un aroma simile alla menta, ma in versione più tenue. Decorativa al massimo, è perfetta con svariate pietanze; tuttavia raggiunge l’optimum se abbinata a marmellate, gelati e insalate. Per un elenco più completo (sono riportati 40 fiori edibili su un totale di più o meno 50), vi rimando all’articolo di Slow Food che potrete leggere cliccando qui.
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