La moda come linguaggio: incontro con Sara Schiavo

Sara in un ritratto di Nelum Francesca Caramini

Se creare, come Camus disse, è “vivere due volte”, Sara Schiavo (leggi qui l’ articolo che VALIUM ha dedicato al suo editoriale “Persinette”) si è assicurata esistenze molteplici grazie alla sua inventiva. Il senso artistico nel sangue, geniale e intuitiva, la giovane creativa romana ha messo in gioco il suo talento a 360°: l’ eclettismo è uno dei tratti che più la identifica. Un eclettismo che nel connubio tra idee e ricerca, nel continuo divenire del flusso ispirativo, nella necessità di esprimersi tramite un’ iconografia potente trova la sua linfa principale. Art director, stylist, designer, consulente, Sara, sostanzialmente, “racconta storie”. E lo fa attingendo all’ immensa forza evocativa veicolata dall’ immagine, dall’ impatto visivo.  La moda rappresenta il cardine su cui poggia la sua intera visione creativa,  un fil rouge che si snoda in un viavai di contaminazioni costanti: fotografia, arte, cinema, riferimenti storici, fiabe, personaggi, “fotogrammi” di vita quotidiana, tutto diventa prezioso materiale che alle suggestioni dona forma e concretezza. Ma non pensate ad una “moda” come pura espressione del gusto del momento; per Sara Schiavo la moda è un linguaggio che ingloba passato, futuro e presente, li mette in dialogo e non viene mai meno al suo valore comunicativo. E’ lei stessa a spiegarcelo in una torrida serata estiva, mentre a Roma l’ afa poco a poco sfuma nel rigenerante Ponentino.

La tua carriera ruota attorno al concetto di “moda”. Com’è cominciato, tutto?

Ho fatto studi artistici, ero portata per il disegno e mi è venuto naturale. Dopo il diploma in grafica pubblicitaria e la laurea in Scienze della Moda e del Costume all’ Università della Sapienza, mi sono iscritta all’ Accademia di Costume e Moda. Ho subito capito che quella sarebbe stata la mia strada. Il mio primo photo shoot risale al progetto di scouting “Final Work – Talents 2011” a conclusione dell’Accademia: contestualizzare i 5 oufit da me creati, che mi sono valsi il 3° posto e hanno sfilato ad Altaroma, è stato il cuore del lavoro. Con dei miei amici fotografi (Paula Ling yi Sun, Nelum Francesca.Caramini, Alessandro Cantarini e Martina Scorcucchi, per una volta nelle vesti di modella) abbiamo scattato alle Cave di Marmo di Carrara, perché la lavorazione della pelle degli abiti era tutto un richiamo alle forme delle rocce e alle loro venature. E’ stata una bellissima avventura, il progetto ha ottenuto molta visibilità e hanno cominciato a contattarmi diverse persone interessate a me non solo come designer, ma anche come art director e stylist. Dopo l’Accademia ho lavorato per due anni all’ Ufficio Stile di Valentino e ho collaborato con un magazine indipendente, FAMO, dove mi occupavo di moda. Dopodiché, tra consulenze e campagne pubblicitarie, ho lavorato essenzialmente come freelance. Dall’ anno scorso insegno Senso Estetico all’ Accademia delle Arti e delle Nuove Tecnologie di Roma, da giugno allo IED di Roma Styling per la moda e a tutt’ oggi, tra l’altro, faccio cool hunting per due brand: ricerco tendenze e immagini che siano di spunto per le collezioni. Mi piace molto perché la curiosità è una mia caratteristica.

Dall’ editoriale “Oh, Ophelia!” (published on Sticks and Stones agency) –  Photo by Marco Valerio Nati

Che cosa rappresenta, per te, la moda?

Un veicolo per comunicare sentimenti, per esprimere esperienza, un modo di vedere il mondo. Per me la moda non è soltanto l’abito, la tendenza del momento. E’ il linguaggio attuale, può riguardare qualsiasi contesto e qualsiasi settore: anticipa i linguaggi futuri, rimanda al passato e ti spinge a comunicarlo in modo più attuale…La moda è il mezzo di espressione più potente che esista, e per esprimersi ha infiniti modi: il design ne rappresenta solo uno.

Come hai vissuto il periodo dei tuoi studi all’ Accademia di Costume e Moda, “vivaio” di talenti illustri come – solo per citarne alcuni – Alessandro Michele, Frida Giannini e Tommaso Aquilani?

Dell’ Accademia ho un ricordo bellissimo anche perché è stato bellissimo relazionarmi con gli altri studenti. Da loro ho imparato tanto, la creatività era alle stelle e la voglia di fare altissima rispetto a quello che ci veniva proposto dall’ Accademia stessa. Abbiamo cominciato a creare delle cose tra di noi spontaneamente, per il puro piacere della sperimentazione: i costumi per le feste che organizzavamo in Accademia, gli allestimenti… E’ stato forse uno dei periodi più belli che io ricordi, perché eravamo completamente liberi e “artistoidi”!

Da “Oh, Ophelia!” – Photo by Marco Valerio Nati

Da “Oh, Ophelia!” – Photo by Marco Valerio Nati

Hai esordito come “junior designer” nel team di Valentino: un ottimo inizio, non c’è che dire. Cosa ci racconti al riguardo?

E’ stato molto costruttivo perché l’entrare subito a contatto con un’azienda così strutturata ha sicuramente accelerato la mia crescita professionale. Se oggi sono molto organizzata è perché ho lavorato da Valentino, dove tutto funzionava alla perfezione. Ho una base solida alle spalle. Mi è un po’ mancato l’aspetto della ‘libertà’: in fondo sono una “free spirit” e la vita d’ufficio non fa per me. Ma ne è valsa la pena per capire cosa volevo veramente fare. Pur lavorando tantissimo, io sentivo sempre il bisogno di stare sul set fotografico…

Che valore ha rivestito, per te, quell’ esperienza?

Quando lavoravo da Valentino, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli erano già direttori creativi dal 2008. L’azienda, con loro, è cresciuta moltissimo. Hanno fatto un ottimo lavoro. Era bellissimo anche solo vedere quando gli abiti venivano realizzati, le vendeuse che ricevevano le ospiti nei salon Haute Couture…Ho avuto la fortuna di calarmi nelle atmosfere di una delle Maison più importanti al mondo, con un Dna fortissimo. E’ stata un’esperienza molto intensa, ma il bisogno di sperimentare fa parte di me stessa…Preferisco mettermi in gioco in realtà molteplici.

Da “The Dreamers” (published on Book Moda) – Photo by Ursu

Da “The Dreamers” – Photo by Ursu

Oggi crei nelle vesti di Art Director, Fashion Editor, designer e Fashion stylist. Qual è il ruolo che ti calza più a pennello?

La direzione artistica è il ruolo che più mi compete, perché le mie capacità organizzative mi consentono di gestirlo perfettamente. La ricerca è un’altra cosa che mi appassiona moltissimo, l’arrivare a partorire un’idea. Per me è un modo molto forte di esprimermi. Mi piace condividere e costruire le mie visioni insieme ad altri professionisti, è bellissimo così come lo è individuare i personaggi più adatti a raccontare una storia: il fotografo, la modella, la make up artist, l’hairstylist, la location, lo studio della luce e dell’atmosfera…Il gioco di squadra conduce a risultati sempre nuovi. Ho avuto anche esperienze come regista di fashion film.

A quali ispirazioni attinge la tua visione creativa?

Magari vado in macchina, per strada vedo un posto e immagino una storia. Tutto può essere fonte di ispirazione: a volte è la natura, altre l’arte, altre ancora il cinema oppure un personaggio, che sia esistente o meno. A volte delle specie di visioni che mi diverto a interpretare. Cerco sempre, dopo aver avuto un’idea, di far ricerca, di approfondire, di trovare spunti per descrivere la storia che via via si sviluppa…Per me è essenziale.

PARAKIAN Paris SS 2017 adv campaign – Photo by  Paolo Santambrogio

Esistono leitmotiv che ricorrono nel tuo immaginario artistico?

Il personaggio femminile in generale: fanciulla, donna romantica, madre, figlia. La figura femminile è per me spesso fonte di ispirazione, forse perché riesco ad immedesimarmi maggiormente. In generale, comunque, penso che i miei progetti siano tutti molto diversi tra loro perché mi piace fare cose nuove, collaborare con fotografi con stili completamente dissimili. Anche i miei fotografi preferiti hanno un’estetica personalissima, molto riconoscibile: penso ad Harley Weir, a Michal Pudelka, a Tim Walker

In che direzione evolvono i tuoi progetti futuri?

Per scaramanzia, preferirei non parlarne ancora. Sicuramente non mi fermerò!

Da “Daughters” (published on Mia Le Journal n. 2) – Photo by Sara Mautone

Da “Daughters” – Photo by Sara Mautone

Da “Devozione” (published on Liike Magazine Issue One) – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Devozione” – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Devozione” – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Persinette” (published on Paperonfire) – Photo by Daria Paladino

Da “Somnia Naturae” (published on Switch Magazine October Issue) – Photo by Marco Valerio Nati

Da “Somnia Naturae” – Photo by Marco Valerio Nati

CREDITS

Oh, Ophelia!” published on Sticks and Stones agency
art direction & styling Sara Schiavo
photography Marco Valerio Nati
model Alice Pagani
mua Mariangela Palatini
styling assistant Noemi Clarizio
The Dreamers” published on Book Moda
art direction & styling Sara Schiavo
 photography Ursu
models Cecile @iconmodels, Christina @iconmodels and Vittorio @iconmodels
mua & hair Claudio Ferri using Lancôme, Nars and Artego
styling assistant Giulia Mantovani and Angelo De Luca
photography assistant Franco Sassara
mua & hair assistant David Ciorba and Elena Florentina
special thanks to C.o.h.o. Loft, Rome
PARAKIAN Paris SS17 adv campaign
art direction & styling Sara Schiavo
photography Paolo Santambrogio
model Claire De Regge
mua & hair Luciano Chiarello 
styling assistant Gianluca Francese
with Chiara Giannoni, Luca Parrini and Riccardo Oggionni
special thanks for jewels Bernard Delettrez
Daughters” published on Mia Le Journal N°2
art direction Sara Schiavo
photography Sara Mautone
models Caitlin Marie @iconmodels, Patrycja Gacka & Jennifer Distaso
styling Alexia Mingarelli & Sarah Venturini
mua & hair Guia Bianchi
Devozione” published on Liike Magazine Issue One
art direction & styling Sara Schiavo
photography Cristiano Pedrocco
model Valentina Oteri
mua & hair Eleonora Juglair
styling assistant Angelo De Luca
photography assistant Taieb Ksiksi
Persinette” published on Paperonfire
art direction & styling Sara Schiavo
photography Daria Paladino
model Serena Ihnatiuc
mua Micaela Baruffa
hair Salvino Palmieri
styling assistant Noemi Clarizio
photo retouching Laura Gianetti
special thanks to Gold Fever Hair Extensions, Olga Teksheva and Coup de Théâtre
Somnia Naturae” published on Switch Magazine October Issue
art direction Sara Schiavo
photography Marco Valerio Nati
model Anna Bihas
styling Alexia Mingarelli
mua & hair Eleonora Juglair
styling assistant Gianluca Francese

“Christian Dior, couturier du reve”: la grande mostra che celebra i 70 anni della Maison

Christian Dior, Bar suit, Haute Couture, Spring-Summer 1947, Afternoon suit, Shantung jacket , Pleated corolla skirt in wool crêpe, Musée des Arts Décoratifs, UFAC
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope

Sono trascorsi 70 anni da quando il New Look, nel secondo dopoguerra, rivoluzionò in toto la silhouette femminile. Era il 1947 e la collezione Primavera/Estate di Christian Dior, contrapponendo uno charme elegante alle austerità imperanti durante il conflitto bellico, riscosse un successo tale da far sì che Parigi fosse ribattezzata “capitale della moda internazionale”. Da allora, la Maison Dior ha conosciuto un’ epopea di invariato splendore che in occasione del suo 70mo viene celebrata da una retrospettiva parigina: “Christian Dior, couturier du reve” è appena stata inaugurata presso il Musée des Arts Décoratifs e sarà visitabile fino al 7 Gennaio 2018. La mostra approfondisce ad ampio spettro l’ universo Dior, ripercorrendo il percorso inaugurato da Monsieur Christian fino ad approdare ai suoi illustri successori; il tributo è in grande stile, forse il più maestoso mai dedicato alla Maison. Agli oltre 300 abiti di Haute Couture selezionati viene affiancato, infatti, il fitto patrimonio intangibile costituito dalle emozioni, dalle storie di vita, dalle affinità e dalle ispirazioni, un heritage insostituibile documentato attraverso documenti, tele d’atelier, fotografie, schizzi, illustrazioni e reperti pubblicitari oltre che da accessori come i cappelli, le scarpe, le borse e dagli storici profumi Dior.

Christian Dior, Opéra Bouffe gown, Haute Couture, Fall-Winter 1956, Aiman line Short evening gown in silk faille by Abraham, Paris, Dior Héritage
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A dare il via al percorso espositivo, un approfondimento biografico sul “couturier du reve”: l’ infanzia a Grenville, gli Anni Ruggenti trascorsi in una Parigi effervescente dove inaugurò una galleria d’Arte, gli inizi nella Haute Couture come illustratore vengono evidenziati al pari delle sue passioni. L’ arte fu, senza dubbio, l’ amore principale di Christian Dior. Lo rivela il feeling che instaurò con nomi del calibro di Giacometti, Max Jacob, Dalì, Leonor Fini, Jean Cocteau e moltissimi altri habitué della galleria, ma anche la cospicua serie di dipinti, arredi, sculture, oggetti di antiquariato e d’arte esposti ad avvalorare la sua inclinazione. I curatori Florence Muller e Olivier Gabet hanno organizzato un excursus cronologico e tematico che si estende nei 3000 mq del Museo con dovizia di particolari: “raccontare” la Maison Dior significa anche, naturalmente, non tralasciare il prezioso ruolo che le creazioni fur di Frédéric Castet, i beauty look di Serge Lutens, Thyen e Peter Philips e le fragranze di François Demachy hanno rivestito nel forgiare la sua estetica. Fondamentale è poi lo spazio dedicato ai couturier che, dal 1957 (anno in cui Christian Dior morì improvvisamente) ad oggi, hanno portato avanti il suo heritage. Le creazioni di Yves Saint Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferrè, John Galliano, Raf Simons e Maria Grazia Chiuri vengono omaggiate  in 6 gallerie che evidenziano le loro rispettive riletture di uno stile ormai leggendario.

Maria Grazia Chiuri for Christian Dior, Essence d’herbier cocktail dress, Haute Couture, Spring-Summer 2017, Ecru fringe cocktail dress, floral raffia and thread embroidery adomed with Swarovski crystals, derived from a Christian Dior original
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Quando il New Look trionfò, si impose una moda dai codici del tutto inediti: la linea a corolla, che sottolineava la vita e amplificava le gonne a dismisura, esaltava una nuova femminilità. Le spalle si arrotondavano dolcemente, il busto risaltava grazie a bar jacket aderenti e gli accessori – cappello, borsa, guanti – si tramutavano in parte integrante della mise. Al razionamento dei tessuti tipico della Seconda Guerra Mondiale venivano sostituite stoffe in metratura extra, la donna si riappropriava del gusto di abbigliarsi e di esibire glamour allo stato puro. La passione per l’arte e per l’ antiquariato divenne, per Christian Dior, sommo leitmotiv ispirativo: se ne rinvengono tracce sia nel design che nei pattern decorativi. Dal 1957 ad oggi, i couturier che gli sono succeduti hanno reinterpretato la sua cifra stilistica attingendo ai più svariati spunti. La raffinata audacia di Saint Laurent, lo chic lineare di Marc Bohan, le suggestioni architettoniche di Gianfranco Ferrè, la Punk couture teatrale di John Galliano, il rigoroso minimal di Raf Simons e il femminismo luxury di Maria Grazia Chiuri vengono analizzati, nella mostra, tramite outfit tanto splendidi quanto significativi.

John Galliano for Christian Dior, Shéhérazade ensemble, Haute Couture, Spring-Summer 1998 Evening ensemble , Ballets-Russes-inspired kimono, pyramid line with large silk velvet funnel collar, appliqué décor, embroidery and incrustation of Swarovski crystals, Long double satin sheath dress, Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A concludere l’ esposizione, la navata centrale si tramuta in sala da ballo per accogliere un novero di evening dress spettacolari. Alcuni di essi sono stati indossati da VIP del calibro della Principessa Grace di Monaco, Lady Diana Spencer, Charlize Theron e Jennifer Lawrence, affascinanti figure chiave dell’ iconografia Dior. Altre creazioni, sono per la prima volta visibili a Parigi. Tutti gli abiti contribuiscono, mirabilmente, ad illustrare la storia mitica di una Maison che del glamour ha fatto il suo emblema più sublime.

Gianfranco Ferré for Christian Dior, Palladio dress, Haute Couture, Spring-Summer 1992, In Balmy Summer Breezes line, Long embroidered and pleated white silk georgette sheath dress Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

“CHRISTIAN DIOR, COUTURIER DU REVE”

Una mostra a cura di Florence Muller e Olivier Gabet con lo sponsor di Swarovski

Dal 5 Luglio 2017 al 7 Gennaio 2018

c/o Museé des Arts Décoratifs

107, Rue de Rivoli

Parigi

Per info: www.lesartsdecoratifs.fr

 

Raf Simons for Christian Dior, Haute Couture, Fall-Winter 2012
¾-length yellow duchess satin evening dress with Sterling Ruby SP178 shadow print, Paris, Dior Héritage, © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Yves Saint Laurent for Christian Dior, Bonne Conduite dress, Haute Couture,
Spring-Summer 1958, Trapèze line, Smock dress in speckled wool by Rodier, Paris, Pierre Bergé – Yves Saint Laurent Foundation © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Marc Bohan for Christian Dior, Gamin suit, Haute Couture, Fall-Winter 1961, Charme 62 line,Tweed suit, Short double-breasted jacket, Trapeze skirt and matching scarf Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Photo courtesy of Musée des Arts Décoratifs

Tributo a Giulio Cingoli, Maestro del cartoon italiano

” Guardare un animatore mentre sta movimentando un personaggio è divertente perchè sul suo viso passano tutte le espressioni che sta disegnando. Il suo disegnare è una recita.”

Giulio Cingoli, da “Il gioco del mondo nuovo”

Milano, 1954, Piazza della Scala. Nella foto in bianco e nero Giulio Cingoli è ritratto di profilo, sullo sfondo di una coltre di nebbia.  Accanto a lui, Arnaldo Pomodoro in quel che si scoprirà essere un abile fotomontaggio: i due artisti si erano immortalati a vicenda nella cornice della piazza nebbiosa divenuta quasi onirica, irreale. Un’ immagine che potrebbe essere la metafora della vita di Giulio Cingoli, Maestro dell’ animazione italiana e creativo che ha ripartito il suo genio tra pubblicità, cartoon e regia. Giulio si è spento ieri, a 90 anni, nella Milano che aveva coronato il suo sogno oltre mezzo secolo prima:  nato ad Ancona dove lavorava all’ ufficio del Genio Civile, piantò baracca e burattini inseguendo il desiderio di diventare illustratore. Impresa non facile in un’ era che inneggiava al mito del “posto fisso”, tant’è che a suo padre fece credere, per anni, che nella città meneghina lavorasse come impiegato. E fu proprio tra le brume di Milano che trionfò “il pupazzettaro”, come lo chiamavano ad Ancona. A soli 26 anni divenne il primo “fornitore” RAI di cartoons e nel 1962 fondò lo Studio Orti, società di produzione e punto di riferimento per coloro che ruotavano attorno al cinema di ricerca ed alle nuove arti figurative. Il boom dello Studio Orti lo portò a lavorare con nomi del calibro di Zavattini, di Fellini (per il quale collaborò al Satyricon), a realizzare cartoons, documentari, film sperimentali e spot pubblicitari (ricordate il celebre spray che gli insetti “Li ammazza stecchiti”?). La sua liason con la TV proseguì con il lancio di programmi come Nonsolomoda, Videosera e, nell’ ’87, della RaiTre di Angelo Guglielmi.  Nel 2002 tornò al suo vecchio amore per l’ animazione dirigendo Johan Padan a la descoverta delle Americhe, film ispirato a un monologo di Dario Fo che riscosse grande successo a Venezia. Recentemente, Cingoli aveva trovato persino il tempo di dare alle stampe un libro autobiografico, Il gioco del mondo nuovo, pubblicato per i tipi di Baldini & Castoldi nel 1996. Ma nonostante il successo, nonostante i numerosi riconoscimenti ottenuti – il premio IBTS Immagina (1990 e 91), il premio Asifa alla carriera (1995), l’ Attestato di Civica Benemerenza del Comune di Ancona (2003), l’ inserimento nell’ elenco dei 100 marchigiani illustri del Resto del Carlino (2005), solo per citarne alcuni – il “pupazzettaro” non si tramutò mai in un “homo oeconomicus”: riaffiorano flash della sua aria svagata, delle sue continue divagazioni da artista e, al tempo stesso, della sua saggezza profonda. Quel che segue è un estratto dall’ intervista che mi concesse per Innovazione e tradizione, periodico edito dalla Fondazione Carifac e dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, nel 2005.

Vive a Milano da ormai 53 anni. Quali ricordi, delle Marche, si porta dentro e cosa la colpisce della realtà marchigiana attuale?

Quando ci si separa da persone e territori, tornando si pretende che nulla sia cambiato. Mentre si accetta ogni sorpresa da terre sconosciute, non si accetta il luogo natio modificato. Dove si è nati si ritorna per recuperare cose perdute. Ma è solo una speranza perché il luogo dei ricordi, col tempo, si è tutto trasformato. La vita è un racconto di vita, come ci insegna il nostro poeta di Recanati: il racconto di vita è quello che riusciamo a percepire di noi stessi, sia che giriamo il mondo, sia che restiamo fermi dove siamo… Faccio fatica a non sovrapporre le immagini delle Marche stampate dentro di me, del mio tempo, con quelle viscerali vissute con me da sempre. Quando vengo nelle terre dell’infanzia e della giovinezza, mi guardo attorno per rinverdire i ricordi, ma non penso a una trasformazione. Tutto si riempie di tutto. Una cosa è certa, la nostra terra è accoglientissima e serena. Le rocce sul mare sono figurazioni nostalgiche e le colline raccontano una strana pace. La gente sembra tranquilla, ma da qui a una soddisfazione diffusa non mi misurerei. La felicità non è di moda.

Il manifesto del film “Johan Padan a la descoverta delle Americhe”

“Milano faticherà sempre a produrre cinema, sarà un cinema molto civile e umano (…) Il grande circo carnale si può fare solo dove soffiano venti caldi e stravolgenti.”, scrive ne ‘Il gioco del mondo nuovo’. Hai mai pensato di spingersi tra i venti di scirocco della capitale per avvicinarsi al cinema fatto di attori in carne ed ossa?

No. Fo mi ha fermato per strada e mi ha fatto la proposta per il ‘Johan Padan’, ma di cartoons si trattava. Purtroppo uno dei produttori si è messo in competizione contro me e Fo, nella speranza di poter firmare anche lui, come autore. I conflitti con questo produttore hanno creato molte difficoltà e gravi mutilazioni alle scene. Il cinema ormai è cresciuto su tecnologie sofisticatissime, al punto che un produttore può imporre soluzioni con le sue attrezzature digitali, ignorando le richieste della regia. Il risultato è un conflitto permanente. Io non ho lavorato con grandi attori, ma questo produttore mi ha fatto capire quanto è difficile governare un film.

Come è nata l’idea di adattare cinematograficamente proprio quel determinato testo di Fo?

Ho conosciuto Fo e Franca Rame in RAI, durante la sfortunata serie della ‘Canzonissima’ del ’62, ritenuta dalla RAI troppo politica. Da allora, ci siamo sempre frequentati. Io e Fo abitiamo nello stesso quartiere. Filmavo sempre i suoi spettacoli ed era fatale che prima o poi ci saremmo misurati con un lungometraggio.

La copertina de “Il gioco del mondo nuovo”

A Arnaldo Pomodoro la lega un solido rapporto di amicizia iniziato a Milano, ai tempi del vostro comune impiego al Genio Civile; entrambi, ‘emigrati’ dalle Marche perseguendo sogni e passioni. Cosa è rimasto, in voi, di profondamente marchigiano?

Arnaldo e io siamo stati legati da una preveggenza. Lui era geometra al Genio Civile di Pesaro, io geometra al genio Civile di Ancona. Le nostre vite si sono incrociate più volte, ma non ci siamo mai incontrati. Poi, io ho chiesto il trasferimento al Genio Civile di Milano e lui pure. Qui ci siamo incontrati, quasi come se tutto il resto fosse stata una premonizione: a Milano, abbiamo contemporaneamente lasciato l’ufficio del Genio Civile e abbiamo costruito i nostri studi. Sempre unito l’uno all’altro. Arnaldo ha fatto un percorso straordinario e io l’ammiro molto, siamo legati da tutto…

In che modo pensa che la vostra ‘marchigianità’ vi abbia supportato (o meno) nella ricerca dell’affermazione professionale al di fuori della terra nativa? 

Nei bar di Brera, a Milano, dove si incontravano poeti, scrittori, pittori, scultori, attori, ecc. mi chiamavano ‘il pupazzettaro’, esattamente come ad Ancona. Tutto ci cambia attorno e per noi è una ginnastica infinita quella di modificarci. Mentre, contemporaneamente, tutto resta sempre come siamo.  Il pittore Cazzaniga, caro amico milanese, sceso a Portonovo per appropriarsi di una natura e di un clima estraneo a lui, ha portato a Milano quadri bellissimi di fiori e ambienti, come se fosse nato là. Poi, per nostalgia, la nebbia del nord l’ha risucchiato…La ‘marchigianità è un insieme di dolcezze e di misure. Penso le Marche come un genio dell’equilibrio, saggio (assieme all’Umbria), colto, ancora un po’ contadino, con una civiltà del vivere rara e non esibita. Non so se industrie manufatturiere troppo grandi non ne possano alterare lo stile di vita. Forse la mia distanza me la fa immaginare più dolce di quanto non sia, ma le terre natie si pensano e si sognano così.

Come vorrebbe essere maggiormente ricordato dai posteri? Regista, illustratore, cartoonist, pubblicitario o…?

Ad Ancona mi chiamavano ‘il pupazzettaro’. Spero di restare così.

 

 

Photo courtesy of Giulio Cingoli

Un ringraziamento alla Fondazione Carifac e a Veneto Banca per aver autorizzato la pubblicazione

 

 

 

 

“Obsession for Perfection”: Diego Diaz Marin & Versus Versace per Doubleview

 

Una metropoli italiana, interno notte. La giovane donna che si aggira nel nightclub non passa inosservata: veste Versus Versace da capo a piedi, ha un’ aria vagamente altera, è sola. Tutti gli sguardi le si incollano addosso, ma si ritirano furtivi quando lei li incrocia. Si interrogano sulla sua identità, indagano, sbirciano, poi vengono sopraffatti dalla soggezione. La donna ostenta una cintura fetish al collo e si muove disinvolta, eppure emana distacco. Chiunque, nel locale, riesce a percepire il suo sottile smarrimento. Non le resta che andarsene subito da lì, escogitare un piano: le spesse tende di velluto del guardaroba saranno sue complici, la terranno al riparo dai curiosi. Attenderà paziente l’ orario di chiusura per catapultarsi, decisa, sulle spogliarelliste che istruirà con dovizia di particolari. Mentre la notte lascerà il posto all’ alba sprofonderà il pennarello nella loro pelle candida tracciando linee, rimodellando proporzioni…Addestrandole nell’ esercizio della sua somma ossessione:  conquistare la perfezione fisica. Ma riuscirà a convincerle? Non ci è dato saperlo.  Quel che è certo, è che la storia si conclude su un suo ritratto “in solitaria” mentre ci guarda, da lontano, seduta sui divanetti del locale vuoto. Immersa in un profondo blu, sembra fagocitata dal buio della notte o, piuttosto, della sua nevrosi solipsistica.

Questo racconto per immagini ha il significativo titolo di “Obsession for Perfection” e porta la firma dell’ esplosivo Diego Diaz Marin. Nel suo photoshoot per Doubleview, il visual book che ha fondato una manciata di anni fa a Firenze, Diaz Marin indaga la mania tutta contemporanea per un optimum estetico da raggiungere a qualsiasi costo.  Chirurgia, attenzione smisurata alle proporzioni, venerazione dei canoni di bellezza standard rappresentano i must di chi rincorre l’ ideale di un’ esteriorità senza difetti.  Ma è nel preciso istante in cui questo obiettivo si fa assillo che entrano in scena le “nevrotiche” tanto care al fashion photographer, vedi la protagonista della photostory: “Non aver paura della perfezione. Non la raggiungerai mai” Salvador Dalì docet, un assioma che riassume il contenuto utopico della ricerca del “bello” assoluto.  Ma se la perfezione è pressochè un miraggio, ricca com’è di variabili e di sfaccettature, sono decisamente splendidi gli scatti di questo photoshoot d’effetto. Gli outfit di Versus Versace e lo styling di Ramona Tabita vengono valorizzati da tonalità intense come lo smeraldo, il viola, il fucsia, il blu cobalto, l’ocra. Le pose della protagonista sono plastiche e acrobatiche, forse ad esaltare un cotè da “Superwoman” che indica alle altre donne la via da seguire. Diego Diaz Marin affronta con stile, sofisticata irriverenza e sferzante ironia un tema altrimenti drammatico: l’ ennesima conferma che avvalora il suo linguaggio artistico di alto spessore.

CREDITS @doubleview_official

Photographer : Diego Diaz Marin @diegodiazmarin

Stylist: Ramona Tabita   @ramonatabita

Model: Mara Nica –  MONSTER MGMT @maranica

Hair: Gimmy Arevalo   @gimmyarevalo

Make up : Serena Congiu   @serenacongiu_mua

Produced by Cattura Productions @catturaproduction

Casting Director : Michele Bisceglia @michelebisceglia_

Fashion Assistant: Cristina Fagioli @cristinafagioli

 

Photo courtesy of Diego Diaz Marin/Finger Coast Studios

Quando il design incontra la creatività visionaria: a tu per tu con Valentina Guidi Ottobri

Photo by Matteo Carassale

Festa del Lavoro a parte, il 1° Maggio  coincide per lei con una data speciale: quella del suo compleanno. Classe 1988, fiorentina, Valentina Guidi Ottobri si accinge infatti a spegnere 29 candeline. Questa intervista, oltre a tracciarne un ritratto, vuol essere dunque una dedica ad un giovane e già affermatissimo talento creativo italiano:  travolgente, entusiasta, intuitiva, Valentina è da tre anni la Home buyer di Luisaviaroma, ma il suo ruolo spazia attraverso skills trasversali che mettono in gioco a 360° la sua inventiva.  Negli editoriali che concepisce per il brand, l’ interior design si interseca con la moda e con l’ arte in maniera costante, come ad instaurare un’ inedita dimensione estetica. Suggestioni, reminescenze, una miriade di spunti ispirativi affollano l’ immaginario di questa ventinovenne con un senso dello stile innato e l’ estro nel DNA: figlia di un architetto anticonformista e discendente da una famiglia di collezionisti d’arte, Valentina ha respirato creatività e amore per il bello sin dall’ infanzia. Oggi, con esperienze professionali che approdano al design dal fashion world, mette le sue doti al servizio di progetti innovativi e di un “mecenatismo” che la vede coinvolgere i new talents in iniziative e mostre delle quali è curatrice.  Il “fiuto” non le manca, e insieme all’ empatia rappresenta uno dei suoi principali atout. Non è un caso che, nonostante i traguardi raggiunti, “altezzosità” sia un vocabolo a lei sconosciuto: la fame di conoscenza, lo spirito eclettico, la continua ricerca di stimoli la tengono costantemente connessa all’ universo che la circonda. Un universo che non contempla preconcetti nè barriere di sorta. Prima di dare il via alle domande, non mi resta che concludere con un “Buon Compleanno, Valentina!”

Come è iniziata la tua avventura in LVRHome?

La mia avventura inizia quando il proprietario di Luisaviaroma, Andrea Panconesi, approva il mio progetto dedicato al mondo del design. Il reparto Home di LVR rappresenta una visione “lifestyle” che ci siamo voluti conquistare. Prima che iniziassi il mio progetto, Luisaviaroma vendeva solo moda. Dal punto di vista creativo ho dovuto inventarmi un nuovo story-telling che unisse moda e mondo arredo, fatto, per come lo intendo io, da oggetti iconici. Oggetti che, anche da soli, raccontano una storia. Ne è uscito fuori qualcosa di inconsueto e al tempo stesso molto potente.

Tra queste tre definizioni: “visionaria”, “creativa”, “innovatrice”, qual è quella che più ti si addice?

Con la mia immaginazione sono capace di creare mondi paralleli dove mi piace passeggiare per molte ore del giorno e della notte. Cerco di possedere ogni sogno per far sì che le ispirazioni mi restino stampate nella mente. Le idee sono tutto, mi inebriano con la loro magica atmosfera e mi danno l’energia necessaria per trasformarle in qualcosa di reale che abbia il loro stesso aspetto. Per rispondere alla domanda, visionaria.

Qual è il tuo approccio nei confronti dell’home design? Quali sono gli atout su cui punti e quali gli obiettivi che ti prefiggi?

I punti che caratterizzano il mio progetto sono certamente il rapporto privilegiato con i designers e gli shooting che si distinguono per la loro visione life-style tra moda e design. L’obiettivo più grande adesso sta nel conquistarci il mondo degli architetti e degli interior-designer.

Come nasce, per te, l’ispirazione?

Viviamo in un’era di contaminazioni. Arte, moda e design si contaminano a vicenda attraverso simboli ed espressioni. I miei lavori creativi riflettono la convivenza di percezioni visive derivanti da questi 3 settori. Poi ci sono i film, una delle mie più grandi passioni. I miei registi preferiti sono Woody Allen, per l’ironia con la quale dissacra ogni luogo comune, David Lynch tra  incubi sperimentali e loop ossessivi, Fellini per il suo romanticismo e Herzog con la sua poetica rarefatta.

Il tuo CV include anche un’esperienza a Mumbai, in India, nelle vesti di stylist per Marie Claire. Come hai vissuto quel periodo e cosa ti ha lasciato dentro?

Il periodo in cui vivevo a Mumbai è stato uno dei più estremi e appassionati della mia vita. Abitavo a Juhu e ogni mattina per andare in redazione prendevo un “Tuk-tuk”. Da quel piccolo mezzo così rumoroso e aperto si poteva godere di tutto quello che capitava in strada. Odori, colori, suoni, sbadigli, risate, preghiere, mercanzie, street food, è tutto molto intenso. All’inizio è uno shock vedere bambini storpi che chiedono l’elemosina, corvi che mangiano i cadaveri dei cani, le mucche, le galline, il traffico, lo sporco, la folla, il cibo cucinato per terra. Solo in seguito ti rendi conto che non c’è niente di pericoloso in quel disagio ma che la vita indiana si svolge per la strada. Solo allora inizi ad appassionarti ai dettagli che si stagliano in mezzo al caos: gli occhi neri intensi di donne bellissime , i colori sfavillanti: il verde mela, il fuchsia, il giallo, il rosso, l’arancio, e poi i canti che provengono dai templi, i fiori e i gioielli.  L’India mi ha lasciato tanto, tante emozioni e suggestioni di cui cerco di far tesoro ogni giorno.

Ritratto by Chiara Rigoni

Trend nel design e nel fashion: la “velocità” è un leitmotiv comune?

Il mondo del design è molto più lento rispetto alla moda, vive di un gusto più autentico e canoni estetici più definiti. Ci sono tanti prodotti che una volta comprati durano per sempre.

Da sempre sei impegnata nel sostegno dei talenti. In che direzione sta andando questo tuo percorso?

In Italia abbiamo tanti giovani talentuosi, a cui non viene dato lo spazio che meriterebbero. Non esistono dei veri e propri direttori creativi, come nel mondo della moda, strapagati e in grado di decidere su tutto. Nel design i creativi disegnano prodotti molto diversi tra loro seguendo gli obiettivi delle diverse aziende per cui lavorano e guadagnando, nella maggior parte dei casi, royalties bassissime. E’ da questa carenza che nasce la mia idea di progetto per LVRHome: dare modo ai designer di firmare il proprio catalogo ed uscire con il proprio nome accanto ai brand più celebri come Flos, Kartell, Fornasetti, Vitra. Queste capsule collections sono frutto molto spesso di auto -produzioni o piccole produzioni in collaborazione con vari artigiani che sono loro stessi a trovare. Online si trovano già le collezioni di:

CTRLZAK
Lanzavecchia + Wai
Marcantonio Raimondi Malerba
Matteo Cibic
Maurizio Galante
Vito Nesta
Zanellato e Bortotto

Prossimamente si aggiungeranno anche: Marco Parmeggiani, Federico Pepe, Elena SalmistraroLorenza Bozzoli. Con tutti loro ho dei buonissimi rapporti, li stimo molto e in alcuni casi sono nate delle vere e proprie amicizie. Mi faccio “paladina” dei loro interessi e nel prossimo futuro vedo progetti ancora più grandi fatti in collaborazione con Gallerie e Fondazioni legate all’arte con installazioni a giro per il mondo.

Photo by Matteo Carassale

Il connubio tra arte e design è una costante che si traduce anche nella tua attività di curatrice. Che ci racconti al riguardo?

Il lavoro come curatrice non è troppo lontano da quello che faccio come Creative Director, quando mi chiamano per realizzare una campagna pubblicitaria o per una consulenza. Costruisco un mondo e poi lo descrivo. Quello che più mi appassiona è un concetto espresso in modo totalizzante. E’ la persecuzione di un’ideale estetico e/o culturale che si manifesta con un risultato unico, coerente in ogni dettaglio. A giugno curerò una mostra sulla defezione estetica, il tradimento della forma e la rivalutazione dei contenuti. Si intitolerà DIVINA SPROPORZIONE e tratterà diversi temi: la vecchiaia, la malattia, gli Dei , la mitologia in un parallelismo tra classico e contemporaneo.

Oggi festeggi il tuo 29mo compleanno ed io, oltre a farti un mondo di auguri, ti chiedo: qual è il tuo bilancio? C’ è qualcosa che vorresti aggiungere, variare, eliminare nella tua traiettoria esistenziale (o professionale, a scelta)?

Happy b.day to me! Sono felice di quanto raccolto e imparato fino a qui. C’è ancora tanto da fare e e questa inconscia consapevolezza mi crea molto entusiasmo e voglia di mettermi alla prova.

Photo courtesy of Valentina Guidi Ottobri

Per saperne di più:

www.valentinaguidiottobri.com

www.luisaviaroma.com

“Photography: 4 ICONS” da oggi in mostra a Bologna

Rajasthan, India, 1983 © Steve McCurry

 

Chi ama la fotografia d’Arte, e sottolineo Arte con la A maiuscola, non può lasciarsi sfuggire questo appuntamento imperdibile: a Bologna, negli spazi di ONO Arte Contemporanea in via Santa Margherita 10, è fissato alle 18,30 l’ opening della mostra Photography: 4 ICONS. Steve McCurry, Christian Cravo, Gian Paolo Barbieri, Eolo Perfido.  L’ esposizione, organizzata da ONO Arte in collaborazione con Sudest57, fino al 27 Maggio 2017 metterà a confronto 4 grandi Maestri della fotografia contemporanea evidenziando le concezioni e gli stili tramite cui si approcciano all’ espressione artistica.

Italy; 2012© Steve McCurry

STEVE MCCURRY, uno dei fotografi più autorevoli al mondo, è solito utilizzare forme e cromie quasi di stampo pittorico. Le sue foto raccontano storie: i suoi celebri ritratti, con i protagonisti che puntano immancabilmente lo sguardo verso l’ obiettivo, racchiudono un vero e proprio universo di eventi e di percorsi: spetta a McCurry il compito di indagarlo a fondo. La sintesi è il denominatore comune dei suoi paesaggi e dei suoi scatti di reportage, dove “natura” e “uomo” incarnano una dicotomia costante tra “naturale” versus “artificiale”.

Jodhpur, Rajasthan, India, 2007 © Steve McCurry

 

EOLO PERFIDO è ritrattista, fotografo pubblicitario e street phographer tra i più stimati e celebri. La sua serie Clownville ha come leitmotiv la maschera. Una maschera che più che coprire rivela, convoglia in superficie il lato più oscuro ed intimo dei soggetti immortalati. Il tema, lungi dal rimanere circoscritto all’ “individuale”, diviene “universale”: in quei personaggi potremmo identificarci, la loro perturbante realtà potrebbe essere la nostra. Il realismo sprigionato dagli scatti di Perfido è indiscutibilmente potente.

  Rocker © Eolo Perfido

GIAN PAOLO BARBIERI è il top name della fotografia di moda italiana, internazionalmente celebrato da icone del calibro di Diana Vreeland, Yves Saint-Laurent e Richard Avedon. Eleganti, raffinati, i suoi scatti sono un tripudio di immaginifica e scenografica compostezza formale. Nei ritratti di Barbieri il soggetto è il protagonista assoluto di una narrazione che l’ obiettivo riassume in un incipit, lasciando intravedere uno snodo più complesso.

Rainbow © Gian Paolo Barbieri

CHRISTIAN CRAVO, classe ’74, nato da madre danese e da padre brasiliano, vanta un upbringing nel più effervescente ambiente artistico di Salvador di Bahia. In Danimarca, dai 13 anni in poi, inizia la sua liason con la fotografia e con le sue tecniche. Le immagini di Cravo traducono in un bianco e nero incisivo tutta la possente forza insita nel dato naturale. La sua è una fotografia dalle linee pure, pervasa da un formalismo che traspone la realtà in un reportage dove l’ unicità e l’ eccezionalità dei soggetti emergono  con grande vigore espressivo.

Elephant and Calf, Kenya 2011© Christian Cravo

La mostra, patrocinata dal Comune di Bologna, si compone di 25 fotografie e di una collezione di Art Box che Anders Weinar ha disegnato e personalizzato per ciascun autore: ogni Art Box include 5 stampe fine art ed è prodotta in 7 edizioni.

Per saperne di più:

www.onoarte. com

www.icons57.com

www.sudest57.com

Photo courtesy of ONO Arte Bologna

“”Quando la moda incontra l’arte”: la collezione Emilio Cavallini PE 2017 nei surreali scatti di Diego Diaz Marin

 

Cosa succede quando la moda incontra l’ arte?  Può capitare che abbia inizio un viaggio “a tinte forti”, provocatorio e surreale. Una divagazione onirica che alterna tonalità vibranti a situazioni giocosamente paradossali, ma dove il senso dello stile rimane intatto. Non stupisce, quando ad imbastirla sono due talenti visionari come Pier Fioraso, Direttore Creativo di  Emilio Cavallini, e Diego Diaz Marin: il prorompente Diaz Marin immortala in scatti d’ impatto le proposte più trendy del guardaroba primaverile griffato Cavallini. Il risultato è una sorprendente photostory visionabile nel website del brand e – nella sua versione integrale – in  quello di Doubleview, il visual book concepito e fondato dal dissacrante fotografo andaluso.

VIVI IN FULL COLOR

“Quando non ho più blu, metto del rosso.” (Pablo Picasso)

Gioca, sperimenta, osa: lasciati coinvolgere dalla potenza delle cromie sature, alterna il blu Klein e il rosso brillante in total look audaci.

Che il tuo bicchiere possa sempre essere mezzo pieno…

STESA AL TAPPETO

“L’ arte deve confortare il disturbato e disturbare il comodo.” (Bansky)

Se l’ arte, cos’ come la moda, mette KO è perchè scuote l’ anima.

NATURA MORTA, 2017

Opta per una femminilità vivida di gradazioni, dalle più romantiche ai netti toni minimal.

METTITI IN POSA

Abbraccia con naturalezza l’ informale, sii te stessa anche nei contesti meno usuali.

RITRATTI DI CONTEMPORANEITA’

Pattern iconici, moduli geometrici si modellano sul corpo con armonia scultorea ed immutabile.

VISIONI SURREALI

“Che cosa è l’arte? Ciò per cui le forme diventano stile. ” (André Malraux)

Tra il bodysuit e la silhouette il dialogo è costante, una conversazione che diviene vera e propria performance artistica.

Per la collezione PE 2017 completa di Emilio Cavallini: https://www.emiliocavallini.com/it/

Per la versione integrale della photostory: doublemagazine.com

“Quando la moda incontra l’arte”: un progetto realizzato da Doubleview in collaborazione con Emilio Cavallini.

Created by: Diego Diaz Marin and Pier Fioraso
Photographer: Diego Diaz Marin
Video: Tommaso Cappelletti
Editor: Silvia Ragni
Hair & Make-up: Rosanna Campisi @RockandRose
Models: Francesca and Ting @ Nur Model Mgt

Ritratto del Brasile

Un nuovo progetto editoriale direttamente dal Brasile, curato dal Creative Director Pier Fioraso e scattato dal fotografo Andre Costa, svela in una serie di immagini evocative le proposte più calde tra calzini, boxer e mantyhose della collezione Uomo Cult Edition di Emilio Cavallini. La calza si fa alleato must. Mixando sapientemente gli elementi sporty ai più iconici motivi, si declina in una vera e propria esaltazione della fisicità: il complemento ideale di una daily life che ai ritmi convulsi contrappone istanti di magia inebriante.

I capi Cavallini, i paesaggi mozzafiato brasiliani e la plasticità scultorea dei corpi dei modelli sono gli elementi base di un racconto che crea tra testo e foto una sintonia perfetta: VALIUM lo propone in una “long version” inedita.

L’ ARTE DELLA CAPOEIRA

Flessuosità, leggerezza, potenza: tre elementi che si intersecano al ritmo  dei tamburi di antichi riti tribali. Il corpo è uno strumento nella Capoeira, arte marziale brasiliana le cui origini sprofondano nei secoli. Gesti che sfidano senza perdere la grazia, giocatori che si fronteggiano senza mai sfiorarsi, virtuosismi acrobatici tra cielo e terra…Intrisa di una forza magica, la Capoeira tramuta la lotta in danza e affida i suoi passi a Ogun, il dio Orisha della guerra.

 

I corpi volteggiano, le percussioni impazzano. Atletici ma armoniosi, i “capoeiristas” si lanciano in piroette, improvvisano capriole in aria: un inno alla libertà sullo scenario torrido di un Brasile che alterna spiagge candide e foreste sterminate.

AMICI-RIVALI

L’ agilità si tramuta in dote irrinunciabile, punto di forza di un duello privo di armi che si ispira alle movenze ferine di difesa e attacco. Alla base, un allenamento quotidiano per rassodare i muscoli e una squisita abilità nel padroneggiare la ginga, matrice ed esito di tutti i movimenti.

BRAZILIFICATION DEL CORPO

E’ nelle gambe che si concentra la forza massima. L’ intero corpo si scolpisce per generare energia, ma catapultarsi nella roda (il cerchio umano che circoscrive le esibizioni) richiede una vera e propria attitude artistica. Il capoeirista fa della gestualità poesia, fonde lo spirito al suo involucro esterno in un fluire inarrestabile di evoluzioni.

 

EQUILIBRIUM

L’ equilibrio è una costante: condizione imprescindibile per donare ritmo alla lotta e concrete basi alla coordinazione. Dall’ equilibrio si origina lo swing, un mix perfettamente calibrato di movimento, creatività e tensione. E l’orizzonte della mente si fa sconfinato, mentre l’ intuito si affina con l’ incalzante sottofondo del berimbau.

“Svuota la tua mente. Sii senza forma. Senza limiti…”

Il Brasile, l’ oceano. Le onde che, con il loro andirivieni, cadenzano i giorni e le stagioni. Gli spazi immensi di quel mare che un tempo ha unito la terra carioca e l’ Africa, con i suoi rituali. Proprio come l’ acqua il capoeirista ha movimenti fluidi, privi da ogni vincolo ingombrante. Il suo è innanzitutto uno “state of mind”.

ALLA RICERCA DELLA LIBERTA’

Coreografie acrobatiche e una perfetta sintonia tra corpo e mente: tutto questo è la Capoeira, ode suprema all’ emancipazione umana. Fondali assolati, atmosfere incandescenti, un’indolenza sensuale che sfocia in un tripudio di gioia e di vigore. E’ il mood “do Brasil” nella quintessenza, un’ esplosiva  dichiarazione di esistenza in vita. L’ esplorazione delle infinite potenzialità che il connubio tra le good vibes dell’ Aché, lo spirito e l’ espressione corporea preziosamente racchiude.

Credits:

Photographer: Andre Costa
Creative Director: Pier Fioraso
Editor: Silvia Ragni
Fashion Assistant: Elaine Fioraso
Models: Alex Calado, Gil Tatzu

Location: Boa Viagem, Recife – Brasil

Per la collezione completa e altre proposte: www.emiliocavallini.com

Love Yourself: il San Valentino di Schield

“Amare se stessi è l’ inizio di un idillio che dura tutta la vita.”, disse Oscar Wilde. E a ragione: con chi altri, se non con noi stessi, trascorriamo ogni più piccolo istante della nostra vita? Ma poi arriva San Valentino e puntualmente, in un tripudio di cuori e cene a lume di candela, dissolve questa teoria come neve al sole. Il 14 Febbraio ci ricorda che “coppia è bello”, è l’ inno ad un romanticismo da vivere rigorosamente in due. La festa degli innamorati celebra la condivisione, il sentimento corrisposto, il “two is better than one” per eccellenza. Quale prospettiva, per i single, in quella fatidica data? Ci ha pensato il noto brand di luxury jewels Schield a trovare una soluzione: nella advertising campaign a metà tra il glam e l’ ironico, il sempre irriverente Diego Diaz Marin ci invita a vivere San Valentino a prescindere dal nostro essere – o meno – in coppia. Perchè precludersi regali e coccole solo perchè in quel momento non si ha un partner? Soprattutto, se i regali sono rappresentati da una Valentine collection composta da anelli, collier e bracciali che affiancano elementi sailor e scintillìo Swarovski in un  delizioso mix.

E’ infatti un’ ancora incastonata in un cuore il prezioso leitmotiv della collezione creata da Roberto Ferlito: in pendant con un design dalla raffinatezza essenziale, esalta il total gold della lavorazione in un trionfo heart-shaped di Swarovski ricco di bagliori. Il rosso, l’ azzurro e il bianco sono i colori in cui viene declinata ogni parure. Ad esaltare questa triade sono i cuori, sfavillanti protagonisti di una linea che al mood romantico abbina una giocosità calibrata con armonia perfetta.

Grazie a Schield, San Valentino si tramuta da “festa degli innamorati” in “festa dell’ amore”: un concetto che riconduce, dunque, all’ assioma di Wilde. Perchè amare se stesse e fare un regalo a se stesse sono un tutt’uno, oltre che un meraviglioso tributo all’ autostima.

Photo by Diego Diaz Marin – Courtesy of Schield

Schield presenta Memberschield

Schield, il brand di luxury jewels con base a Firenze, non finisce mai di stupirci. La grande novità del 2017 ha un nome, Memberschield, ed è associata all’ online shop che il duo creativo composto da Roberto Ferlito e Diego Diaz Marin ha appena inaugurato: oltre ad essere un club privato virtuale per i più affezionati clienti, Memberschield è un concetto, una vera e propria rivoluzione nel modo di fare e-shopping.  Chi avrà accesso al Memberschield Club, infatti, riceverà un bracciale con un codice personale che gli garantirà l’ ingresso in un’ area esclusiva dello store. In questa sezione sarà possibile acquistare dei preziosi pezzi unici, capolavori del gioiello creati dall’ estro di Roberto Ferlito. L’ iniziativa si preannuncia sorprendente e davvero ghiotta. Senza contare che tutti gli aficionados del brand potranno già ammirare, nel nuovissimo shop online, la collezione SS 2017 che Diego Diaz Marin ha immortalato in una campagna di forte impatto. Interessate? Cliccate qui: www.schield.it

Nelle foto, alcune immagini tratte dalla ad campaign Schield SS 2017 scattata da Diego Diaz Marin

Photo courtesy of Schield