Il cappello della strega: le origini, la storia e la contemporaneità

 

Il cappello a punta, nero e rigorosamente a falda, rimanda da sempre a una figura ben precisa: quella della strega. Altre creature, come le fate ad esempio, indossano un cappello dalla forma conica, ma privo di falda; lo stesso vale per gli stjärngossar, i “ragazzi stella” che prendono parte alla processione svedese di Santa Lucia. Come nasce, dunque, il tipico cappello della strega? Oggi lo scopriremo insieme.

Le origini

In tempi antichissimi, tra il IX e il I secolo a.C., i ministri del culto indossavano un cappello a punta quando celebravano gli uffici divini. Questo tipo di copricapo, alto e “svettante” verso il cielo, rappresentava senza dubbio un trait-d’union tra l’uomo e le divinità. Reperti archeologici significativi in tal senso sono stati rintracciati sia in Sardegna che nell’area corrispondente all’antica Etruria: si tratta di piccole sculture in bronzo che riproducono religiosi vestiti di tutto punto e con un cappello conico in testa. Ma le preziose decorazioni che ornano i loro abiti sono tutto fuorchè trecce; le statuette rappresentano infatti degli aruspici, i sacerdoti che, nell’antica Roma, praticavano la divinazione tramite le viscere degli animali sacrificati sull’ara. Va da sé che quelle che sembrano trecce sono, in realtà, le interiora che gli aruspici utilizzavano per le preveggenze. Queste sculture, molto simili tra loro, affondano le radici in epoca nuragica ed etrusca; ad accomunarle è un dettaglio importante: il cappello a punta che sfoggiano i sacerdoti. Anche nell’antica Persia i ministri del culto indossavano un cappello a punta, nello specifico il berretto frigio, in uso a partire nientemeno che dal VI secolo a.C. Tutte le testimonianze appena descritte, ci inducono a trarre conclusioni ben precise: il copricapo conico era associato al prestigio, a un profondo senso di reverenzialità.

 

 

Il Medioevo

La situazione cambiò completamente con l’avvento del Cristianesimo. Nel Medioevo, epoca che coincide con la sua massima diffusione, la Chiesa Cattolica dovette prendere atto che, soprattutto nei villaggi e nelle aree più isolate del Sacro Romano Impero, il paganesimo rimaneva il culto a cui aderiva gran parte della popolazione. Cominciò quindi a sostituire feste, tradizioni e rituali pagani con i loro corrispettivi cristiani, ma anche ad avviare una campagna anti-pagana che snaturava e distorceva i più importanti simboli del paganesimo: le corna, ad esempio, antico emblema di forza e fecondità, vennero indissolubilmente associate al demonio. In quest’operazione di ribaltamento generale rientrò anche il cappello a punta, la cui storica autorevolezza fu soppiantata da una valenza di disonore e derisione. Prova ne è il fatto che nel 1215, durante il Concilio Lateranense, Papa Innocenzo III decretò che gli Ebrei dovessero indossare il cappello giudaico, o “pileus cornutus” (l’evoluzione del berretto frigio), per distinguersi dai cristiani. Tale imposizione, lungi dall’essere una semplice regola, cominciò ben presto ad apparire una sorta di discriminazione. Sempre nel Medioevo, tuttavia, il cappello a punta si tramutò in un accessorio di tendenza che, con il nome di hennin, tra il 1300 e il 1400 spopolò tra le dame europee. L’hennin derivava quasi certamente dal tipico copricapo delle donne mongole, che grazie a Marco Polo approdò nel Vecchio Continente. La moda dell’hennin esplose nelle Fiandre; era un cappello a cono alto circa 90 cm ornato di un velo che spesso arrivava a sfiorare il suolo. Avete presente il cappello indossato dalle fate nelle fiabe? Bene, si tratta proprio dell’hennin.

 

L’hennin di Isabella di Francia in un’opera anonima conservata nella Bibliothèque Nationale de France

In Europa veniva sfoggiato dalle donne aristocratiche, benestanti e acculturate. Ma a quei tempi, nel Regno Unito, si impose una nuova tipologia femminile: la alewife. Intorno alla metà del 1300, le vedove e tutte le donne in difficoltà economica avevano la facoltà di produrre e commercializzare birra artigianale. Le birraie gestivano le ale house, locande contraddistinte da una scopa di saggina a mò di insegna, oppure organizzavano banchetti ambulanti. Le alewife, però, non godevano di buona reputazione: a consumare birra erano più che altro gli uomini, inoltre l’alcol veniva considerato un potente afrodisiaco, una bevanda che eliminava i freni inibitori. Nell’immaginario collettivo, di conseguenza, le ale house vennero ben presto percepite come covi di stregoneria e prostituzione. E’ molto importante dire che le alewife vestivano rigorosamente di nero e indossavano un cappello (sempre nero) a punta che serviva a renderle riconoscibili: era una sorta di divisa, insomma. Ma anche il fatto che fossero vedove, ancor peggio nubili, ed economicamente autonome era mal visto: tutti elementi imperdonabili, per l’oscurantismo dell’epoca.

La caccia alle streghe

 

Era il 1484 quando Papa Innocenzo VIII, promulgando la bolla “Summis Desiderantes”, ordinò di inquisire e uccidere, dopo una serie di torture, tutte le streghe d’Europa. La caccia alle streghe raggiunse l’apice nel 1500 e perdurò fino alla metà del Settecento. Naturalmente, le alewife vennero bersagliate fin da subito. Molte di loro erano guaritrici, e utilizzavano le erbe a scopo terapeutico, ma furono accusate di servirsi dell’erboristeria per adulterare, o avvelenare, la birra che loro stesse producevano. Anche l’abbigliamento che caratterizzava le alewife venne assimilato a quello, tipico, delle streghe: gli abiti neri e il copricapo a punta entrarono a far parte dell’iconografia della perfida adoratrice del demonio, consolidandosi in particolar modo nell’età vittoriana, e forgiarono l’immagine della strega rimasta perennemente impressa nell’immaginario collettivo.

 

Francisco Goya, “Il tribunale dell’Inquisizione”, olio su tela (1812-1819 ca)

In un suo dipinto, “Il tribunale dell’Inquisizione”, Francisco Goya riprende il tema del carattere punitivo legato al cappello a punta e lo inserisce in un contesto che raffigura un processo per stregoneria: le presunte streghe, dopo la sentenza, erano tenute ad indossare un copricapo conico che fungesse da “segno di riconoscimento”. Il cappello, sul quale era scritta e disegnata la condanna, doveva renderle identificabili presso il popolo e contribuire alla loro emarginazione. In secoli più recenti, il motivo del cappello a punta come umiliazione e penitenza è riapparso sotto forma di punizione scolastica: gli alunni più svogliati esibivano il cosiddetto “cappello da asino” mentre erano in castigo dietro la lavagna.

Oggi

 

La Pop Culture contemporanea ha sdoganato la figura della strega, rendendola un’icona del nostro tempo. A questo hanno contribuito in gran parte i cartoon, i film (basti pensare a pellicole come “Ho sposato una strega” di René Clair, del 1942), i libri, le serie televisive. La strega non viene più dipinta come una creatura tenebrosa e legata al demonio; mantiene i suoi poteri magici, ma ha perso l’allure oscura. Un esempio? La strega Nocciola, all’anagrafe Nocciola Vildibranda Crapomena, che la Disney lanciò nei suoi fumetti e cartoni animati. Nocciola ha esordito nel cartoon “La notte di Halloween” del 1952; la sua unica malvagità? Prendere di mira Paperino per aiutare Qui, Quo e Qua a impossessarsi dei suoi dolcetti. Il cappello a punta rimane, ma a differenza del passato viene guardato con ironia e giocosità.

 

Foto via Pexels, Unsplash e Wikimedia Commons

 

Un Halloween da paura

 

“Halloween è il giorno in cui ci si ricorda che viviamo in un piccolo angolo di luce circondati dall’oscurità di ciò che non conosciamo. Un piccolo giro al di fuori della percezione abituata a vedere solo un certo percorso, una piccola occhiata verso quell’oscurità.”
(Stephen King)

 

Nel corso degli anni, VALIUM ha più o meno raccontato tutto su Halloween, che in origine era Samhain (in irlandese antico, “fine dell’estate”): le sue radici celtiche, la sua valenza di spartiacque tra il semestre della luce e il semestre oscuro. Per i Celti, l’anno iniziava con quest’ ultimo. A Samhain si festeggiava il Capodanno, un momento cruciale rispetto al ciclo delle stagioni; nel calendario agricolo, sanciva il passaggio dall’ ultimo raccolto alla preparazione alla semina. Ma perchè il 31 Ottobre viene da sempre associato alle tenebre, al funereo, all’ orrore? In realtà si tratta di caratteristiche che hanno enfatizzato, distorcendolo, lo spirito originale della festa. A Samhain, la mezzanotte era un’ ora fondamentale. Contrassegnando il termine di un ciclo e il principio di quello successivo, apparteneva a un livello atemporale: era un tempo che andava al di là del tempo. Il fatto che non avesse una collocazione cronologica ben definita, eliminava ogni barriera tra la realtà tangibile e le altre dimensioni. Lo scoccare della mezzanotte coincideva, quindi, con l’istante magico in cui il mondo dei vivi e il mondo dei morti si incontravano, entravano in comunicazione. L’ oltretomba, tuttavia, non era legata ad alcuna valenza orrorifica. I Celti celebravano la vita nella morte, perchè ogni morte è un nuovo inizio e una rinascita in un’altra dimensione. Il contatto con il soprannaturale si manifestava anche nella pratica della divinazione, che in questo periodo era diffusissima. Samhain veniva festeggiato con banchetti che andavano avanti per giorni: si brindava all’ultimo raccolto dell’anno, si mangiava la carne del bestiame macellato a causa della scarsità di foraggio. Il fuoco era un elemento molto importante. Simboleggiava la scintilla della nuova vita, della risurrezione primaverile. La sera del 30 Ottobre (Samhain, con ogni probabilità, si celebrava in una notte di luna piena della fine del mese) il fuoco doveva essere spento in tutte le case, dopodichè gli abitanti dei villaggi si recavano sulle colline dove attendevano che la stagione della luce lasciasse il posto alla stagione oscura. In quel preciso istante, nel silenzio generale, il buio veniva squarciato dalle fiamme del sacro fuoco che i Druidi avevano acceso.

 

 

I festeggiamenti avevano inizio, la gioia esplodeva e coinvolgeva tutti i partecipanti. Poi, all’ alba, ognuno scendeva dalla collina munito di una torcia che ardeva del sacro fuoco dei Druidi: con quella torcia avrebbe riacceso il focolare nella propria casa. Il fuoco della notte di Samhain rivestiva un ruolo specifico anche per gli spiriti dei defunti. Illuminava la strada alle anime smarrite, le aiutava a raggiungere o a ritrovare la dimora eterna. Parlando di spiriti entrano in scena i rituali, le antiche tradizioni. In Scozia, i giovani celebravano il Capodanno Celtico annerendosi il volto, velandolo o celandolo tramite maschere per impersonare i defunti. La barriera tra il regno dei vivi e quello dei morti crollava generando scompiglio, confusione: i ragazzi si vestivano da ragazze e viceversa, si ordivano scherzi come lo scambio dei cavalli o la sparizione degli aratri. Riemerge costantemente l’ambivalenza tra vita e morte, luce e oscurità. La stessa dea della Terra incarnava una forza oscura, che versa lacrime perchè il suo amante, il dio della Vegetazione, è sparito nell’ oltretomba, ma porta in grembo il seme della vita futura che fiorirà in primavera. Una delle tradizioni più note della notte di Samhain era quella di apparecchiare la tavola anche per i defunti: si lasciava loro del cibo, si sistemavano le sedie davanti al focolare in previsione di una loro visita. Le finestre e le vie venivano illuminate per guidare gli spiriti lungo il percorso, ma a questa funzione adempiva altresì la luna piena.

 

 

I falò che si accendevano su tutte le colline della Britannia e dell’ Irlanda avevano lo scopo di ridar vigore al dio morente, di portare nel nuovo anno la sua luce. L’usanza di indossare una maschera, di dipingersi il volto o vestirsi di nero, invece, era tipica delle streghe ai tempi dell’Inquisizione: quei travestimenti le aiutavano a mimetizzarsi nella notte e a terrorizzare gli inquisitori quando si spostavano da una congrega all’altra. La paura e i cammuffamenti, con il passar del tempo, sono diventati parte integrante della festa di Samhain. E a tutt’oggi rimangono intatti: dopotutto, come dice lo sceriffo Brackett nel film “Halloween – La notte delle streghe” di John Carpenter, “E’ Halloween: tutti hanno diritto a un bello spavento!”