Dal grano al pane: le principali varietà presenti in panetteria

 

Il pane conserva quasi una maestà divina. Mangiarlo nell’ozio è da parassita; guadagnarlo laboriosamente sembra un dovere; rifiutarsi di dividerlo è da crudeli.
(Charles Pierre S. J.)
Giugno è anche il mese del grano e della mietitura. Ne parleremo a brevissimo più approfonditamente; intanto, voglio soffermarmi sul prodotto legato al grano per eccellenza, l’alimento nutrizionale di base di ogni civiltà: il pane. Chi vuole saperne di più sulle sue proprietà e i suoi benefici, può cliccare qui.  Quello che mi interessa oggi, invece, è focalizzarmi sui principali tipi di pane in commercio. Sto parlando di pane genuino, quello che i fornai sfornano quando il cielo è ancora buio. Per chi è abituato a vivere l’alba, non esiste aroma più delizioso: è un dato di fatto accertato anche scientificamente. Uno studio dell’Università della Bretagna del Sud, infatti, ha evidenziato come il profumo del pane appena sfornato infonda benessere, buonumore e una buona disposizione nei confronti del prossimo nelle persone. Quali sono, quindi, varianti regionali a parte, le tipologie di pane disponibili in panetteria? Andiamo subito a scoprirlo.
Il pane comune
E’ il pane nella sua quintessenza: si prepara con farina (raffinata o meno), lievito di birra e sale, ma quest’ultimo ingrediente è facoltativo. Contiene circa 290 calorie in 100 grammi di prodotto.
Il pane integrale
Quello classico, detto anche “pane nero”, viene realizzato utilizzando la farina integrale (ovvero ottenuta dal chicco integro e senza l’aggiunta di crusca). E’ caratterizzato da un impasto denso per la notevole quantità di acqua assorbita dalla farina, che viene affiancata dal sale e dal lievito. Il pane integrale, ricco di fibre e proteine, viene considerato un toccasana per la salute. 100 grammi di prodotto contengono 224 calorie.
Il pane speciale
E’ un pane che viene insaporito con una buona quantità di semi. Possono essere di sesamo, chia, papavero, zucca e lino, ma anche la frutta secca e l’uvetta sono molto utilizzate. Si aggiungono inoltre birra o vino e a volte delle spezie, tipo la curcuma.
Il pane ai cereali
Tra i suoi ingredienti, come dice il nome, risalta un mix di cereali: un ottimo modo per aggiungere ferro alla dieta. Può contenere la segale, il farro, il kamut, ovvero il grano turanicum, che è un tipo di grano altamente proteico. Riguardo al contenuto calorico, il pane di farro riporta i valori più bassi: 211 calorie in grammi di prodotto. Il pane di segale raggiunge un numero di calorie leggermente maggiore, 219 calorie in 100 grammi, mentre 100 grammi di pane kamut contengono quasi 360 calorie.
Il pane soffice
E’ arricchito di ingredienti extra che vanno ad aggiungersi all’acqua dell’impasto: solitamente vengono utilizzati il latte, l’olio, il burro, lo yogurt e lo strutto, che rendono questo tipo di pane estremamente soffice. Si trova spesso sotto forma di panini. Quelli al latte, ad esempio, sono morbidissimi e tondeggianti. Per quanto riguarda le calorie, i panini all’olio e al latte ne contengono, rispettivamente, 299 e 295 in 100 grammi di prodotto.
Il pane azzimo
Gli ingredienti che lo compongono sono l’acqua e la farina di cereali, ma manca il lievito. Questo tipo di pane, inoltre, non passa attraverso il processo di fermentazione. Per quanto riguarda le calorie, nel pane azzimo se ne contano 377 in 100 grammi.
Il pane bianco
Contiene farina di frumento priva di crusca e verme, eliminati precedentemente, che di frequente diventa candida grazie all’aggiunta di diossido di cloro o bromato di potassio. 100 grammi di pane bianco contengono 265 calorie.

L’ idromele: il fascino nordico del “nettare degli dei”

 

Se pensate che la più antica bevanda alcolica sia il vino, forse non conoscete l’idromele. E’ un fermentato dalle origini remotissime e la sua storia è estremamente affascinante: i Celti e i popoli germanici lo consideravano sacro e lo definirono “nettare degli dei”, poichè a loro dire era un dono celeste; ma anche perchè, in effetti, al nettare era direttamente associato. L’ idromele viene ottenuto dalla fermentazione del miele, che combinato con l’acqua e con il lievito dà vita ad una bibita dal discreto tasso alcolico (oscilla tra i 6 e i 18 gradi). Il fatto che derivasse dal polline, che rimandasse alla laboriosità delle api e all’ acqua pura di sorgente lo collegava ai concetti di perenne rinascita e di trasformazione, paragonandolo a una potente linfa vitale. Non è un caso che, proprio presso gli antichi Celti ed i Germani, l’idromele fosse ritenuto la bevanda dell’ immortalità. Prima ancora che l’uomo si dedicasse alla domesticazione della vite, dunque, si diffuse l’ usanza di sorseggiare la raffinata bibita a base di miele. Il suo nome proviene dal greco “hydor”, ovvero “acqua”, e “méli”, “miele”, mentre il termine anglosassone “mead” risale all’ inglese antico “meodu”. Inizialmente, l’idromele si sorbiva soprattutto nelle corti e durante le cerimonie religiose. In particolare, è stato accertato che nel lasso di tempo compreso tra il IX e il I secolo a.C. i Druidi ne facessero uso in occasione delle ricorrenze che sancivano i cicli stagionali: Samhain (il Capodanno celtico), Yule (il Solstizio d’ Inverno), Imbolc (la nostra festa della Candelora), Ostara (l’Equinozio di Primavera), Beltane (la festa del primo maggio), Litha (il Solstizio d’Estate), Lughnasadh (il culmine dell’estate) e Mabon (l’ Equinozio di Autunno). Il consumo di idromele si integrava con i rituali effettuati durante quelle feste, giacchè il suo tasso alcolico favoriva l’alterazione degli stati di coscienza e facilitava il contatto con il divino. Per i Celti, il “nettare degli dei” possedeva un valore simbolico potentissimo. Recipienti con depositi di idromele sono stati rinvenuti nei sepolcri di svariati principi vissuti tra il VI e il IV secolo a.C.: di questa bevanda pregiata, infatti, gli aristocratici facevano scorta per portarla con sè anche nel Sidh, l’ Oltretomba celtico. 

 

 

Gli appassionati di cultura Vichinga e di mitologia norrena sapranno già che l’idromele (chiamato mjöðr nelle lande del Nord) riveste un ruolo molto importante per il mondo scandinavo precristiano. Le leggende lo fanno risalire alla capra Heidrun, che racchiudeva idromele nelle sue mammelle, e raccontano che era la bevanda più amata dal dio Odino e dagli Asi, gli dei nordici che governavano il cielo. Sempre secondo la mitologia norrena, per impossessarsi dell’ idromele Odino si tramutò di volta in volta in serpente e in aquila, mentre Thor, il dio del tuono, riuscì a impadronirsene strappandolo ai giganti. Un’ altra leggenda ancora vede protagonista il vate Kvasir. Costui, durante un viaggio intrapreso per erudire il popolo, una notte pernottò presso l’ alloggio di due fratelli nani, Fjalarr e Galarr. I nani lo uccisero, versarono il suo sangue in delle coppe e aggiunsero del miele per addolcirlo. La fermentazione prodotta da quella miscela diede vita all’ idromele, una magica bevanda che conferiva il dono della saggezza e della poesia a chiunque la assaporasse. Adesso, una piccola curiosità: sapete da cosa deriva la locuzione “luna di miele”? Secondo una tradizione medievale, ai neo-sposi si usava regalare idromele in una quantità sufficiente per un mese lunare; il calendario gregoriano fu infatti introdotto solo nel 1582. Scopo di quel dono era favorire la procreazione: la coppia, nelle prime settimane di nozze, avrebbe beneficiato della prodigiosa energia che l’ idromele infondeva. Da qui “luna”, ovvero “mese lunare”, e “miele”, come l’ ingrediente base della bevanda.

 

In questo pub svedese, a Gamla Uppsala, si può bere idromele in speciali corni potori “Vichingo style”

Le origini dell’ idromele si perdono nella notte dei tempi. Numerose testimonianze ne attestano l’esistenza già nell’ antico Egitto (circa 2000 anni a.C.), presso i Greci e presso i Romani. Persino il culto di Dioniso, antecedente all’ inizio della coltivazione della vite, veniva originariamente associato alla bevanda: il dio greco del vino e della vendemmia intreccia la sua storia mitica con quella dell’ idromele. Non a caso, si usava far fermentare il miele e l’ acqua che lo compongono in un sacco di pelle di toro, animale di sovente identificato con Dioniso. Va precisato che l’ebbrezza donata dall’ idromele era notevole;  bastava aggiungere del miele durante la fermentazione per conferire la massima gradazione alcolica alla bevanda.

 

“Cup of Honey Drink”, 1880 circa. Dipinto conservato nel Donetsk Regional Museum of Art in Ucraina

L’esistenza dell’ idromele nell’ antica Roma è attestata nei libri di Columella (dove un intero volume, il dodicesimo, è dedicato ai vari modi di preparazione del “nettare degli dei”) e di Plinio. Tuttavia, la “bevanda dell’ immortalità” non rivestì mai un’ importanza pari a quella che aveva assunto nell’ Europa del Nord: il miele era molto più costoso rispetto al vino e il cristianesimo decretò il decisivo trionfo di quest’ ultimo, che utilizzava durante la liturgia eucaristica, rispetto al “pagano” idromele. 

 

Foto n. 2 e n. 3 (dall’ alto): n. 3 via Madison Scott-Clary via Flickr, CC BY 2.0, n. 4 by Marieke Kuijjer from Leiden, The Netherlands, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons