Scoprire tutto il fascino della Lapponia in 5+1 spunti

 

Il colore predominante è il bianco, il bianco della neve e del ghiaccio che ammantano l’intero territorio. E poi ci sono il grigio delle gelide nebbie e il caleidoscopio cromatico dell’aurora boreale: la Lapponia, che ho già introdotto in questo post, è una landa onirica intrisa di magia. Non è un caso che, nel 1996, la Lapponia svedese sia stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO, e che la quasi totalità di quella regione sia un’area naturale protetta. Ma le meraviglie lapponi non si esauriscono di certo nell’area suddetta: da Rovaniemi, dove Babbo Natale ha fissato la sua dimora, fino alle aree settentrionali della Russia, della Svezia e della Norvegia, distese nevose e foreste sconfinate si fondono con il Circolo Polare Artico dando origine a un fiabesco regno dei ghiacci. Se prevedete di viaggiare in Lapponia, non avrete che l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda le cose da fare e da vedere. Ecco qualche spunto.

 

1. Visitare Rovaniemi, la città di Babbo Natale

 

Situata a soli sei chilometri dal Circolo Polare Artico, Rovaniemi racchiude l’essenza della “felicità” finlandese (non dimentichiamo, infatti, che la Finlandia è stata eletta Paese più Felice del Mondo per sette volte di seguito): questa città incantata, circondata da una natura selvaggia, brulica di movida e di fermento culturale. E’ rinomata, inoltre, per le sue eccellenze culinarie; i funghi, le renne con erbe selvatiche e il coregone (un pesce appartenente alla famiglia dei salmonoidi) cotto sulla griglia rappresentano solo alcune delle delizie locali. La natura offre spettacoli davvero mozzafiato: l’aurora boreale si verifica 200 notti all’anno, ed ammirarla nelle aree più incontaminate è un must. Basta raggiungerle con una slitta trainata dagli husky per riscaldarsi accanto a un fuoco che arde in mezzo al bosco, o contemplare le straordinarie cromie dell’ aurora boreale. Una visita al villaggio di Babbo Natale non può mancare: l’anziano dalla lunga barba bianca è pronto ad incontrarvi tutto l’anno insieme ai suoi elfi di fiducia.

 

 

2. Rimanere estasiati davanti all’aurora boreale

 

Da Settembre a Marzo è possibile ammirare lo strepitoso gioco di luci dell’aurora boreale, un fenomeno atmosferico che invade il cielo di tonalità multicolori: il verde, il viola, il  rosso, il rosa e il blu si incrociano, si fondono, generano bande luminose che volteggiano nel firmamento…In Lapponia, quando il cielo è limpido, l’aurora boreale è visibile ogni due notti; un’occasione unica per vivere un’esperienza da brividi a tutti gli effetti.

 

 

3. Inebriarsi con l’esperienza della sauna e del tuffo nell’acqua ghiacciata

 

La sauna, per i finlandesi, è un’autentica istituzione: ovunque si trovino, ce n’è sempre una da poter utilizzare. In Lapponia ne esistono moltissime costruite in mezzo alla natura, per coniugare il fascino del paesaggio con la coccola sensoriale del bagno di vapore a 100 gradi di temperatura. Subito dopo, un tuffo nell’acqua ghiacciata di un lago, un fiume o una piscina circondata dalla neve è d’obbligo. Magari, sotto le luci dell’aurora boreale

 

 

4. Esplorare il paesaggio incantato in slitta

 

Non c’è niente di meglio che un’escursione in slitta, per osservare da vicino lo splendore dei paesaggi lapponi. Le slitte possono essere trainate dagli husky, cani nordici che affondano le loro origini in Alaska, oppure dalle renne: gite di questo tipo sono in gran parte organizzate a Rovaniemi. Non è un caso che ad essere trainata dalla renne fosse anche la slitta di Babbo Natale.

 

 

5. Saperne di più sulla cultura e le tradizioni dei Sami

 

La popolazione indigena della Lapponia, i Sami, è costituita da 50.000-100.000 individui stanziati per la maggior parte in Norvegia, e – in ordine decrescente – in Svezia, Finlandia e Russia. I Sami sono un popolo antichissimo che ha una storia, una cultura, una lingua e un modo di vivere del tutto propri. Originiariamente erano dei nomadi che sopravvivevano grazie alla pesca, alla caccia e all’allevamento delle renne; vivevano in capanne smontabili a forma di cono, le kota, che portavano sempre con sè, oppure in tende ricoperte di pelli di renna che chiamavano Iavvo. Intorno alla metà del secolo scorso, il nomadismo del popolo ebbe fine. Il legame dei Sami con la renna, tuttavia, non è mai venuto meno: sono dediti all’allevamento di questo animale, che anticamente rappresentava la loro unica risorsa, fin dal 1600. Dalla renna ricavavano nutrimento, ma non solo; utilizzavano la sua pelliccia e il suo pellame per vestirsi e realizzare le tende che li ospitavano, mentre con le corna e le ossa del quadrupede costruivano utensili vari.

 

 

6. Conoscere la cucina dei Sami

 

Carne di renna declinata in zuppe e stufati, suovas, gurpi…e poi salmone (la cui pesca è regolamentata), trote e salmerini pescati nel ghiaccio. Ma anche pane con cumino e spezie, birra artigianale al sapore di mango, formaggi di capra da sciogliere in una tazza di caffè, dolci alla cannella e mirtilli rossi selvatici: la cucina tradizionale dei Sami è ricca di sapori, colori e ingredienti inconfondibili. Merita a pieno titolo di essere approfondita, e noi lo faremo prestissimo con un articolo a tema.

 

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13 Gennaio, festa di San Canuto: in Svezia, Finlandia e Norvegia la stagione natalizia termina solo in quella data

Natale in Svezia

Esistono paesi dove le festività natalizie non terminano con l’Epifania. Sapevate, ad esempio, che in alcune località scandinave si concludono solo il 13 Gennaio? E’ una data che cade una settimana dopo la festa della Befana e coincide con la solennità di San Canuto: esattamente, cioè, il ventesimo giorno successivo al Natale. San Canuto sancisce la conclusione del periodo natalizio in Svezia, Finlandia e buona parte della Norvegia. Non si tratta di una festa di precetto, nè di un giorno festivo; anticamente, la ricorrenza del 13 Gennaio era intitolata a San Canuto, duca dello Schleswig e figlio del re di Danimarca Eric I, ma molti anni dopo venne dedicata a Canuto IV di Danimarca, martire, santo e re oltre che patrono di questo paese. In Svezia, quindi, la stagione natalizia dura un mese intero: ha inizio con la festa di Santa Lucia, il 13 Dicembre, e termina a San Canuto il 13 Gennaio. Ma come nasce la tradizione di far finire le festività il ventesimo giorno (tjugondag jul per gli svedesi, tyvendedag jul per i norvegesi, nuutinpäivä per i finlandesi) dopo il Natale?Lo scopriremo proprio ora.

 

Natale in Norvegia

La festa di San Canuto in Scandinavia

Tutto ebbe inizio nel XVII secolo, precisamente nel 1680, quando la commemorazione del martirio di San Canuto Lavard, avvenuto il 7 Gennaio del 1131, fu posticipata al 13 Gennaio. San Canuto IV, re di Danimarca, aveva regnato dal 1080 al 1086 donando un costante sostegno alla Chiesa e cercando di rinvigorire il potere reale. Assassinato da un gruppo di aristocratici ribelli, divenne il patrono della Danimarca e nel 1101 la Chiesa Cattolica approvò il decreto sul suo martirio. A fornirci le più antiche testimonianze sulla ricorrenza del 13 Gennaio fu lo scienziato, scrittore e professore svedese Olof Rudbeck il Vecchio, magnifico Rettore dell’Università di Uppsala.

 

Natale in Finlandia

Le tradizioni della “festa di Knut”

Il 13 Gennaio è il giorno in cui in Svezia, Finlandia e Norvegia si dà l’addio al Natale. Le vacanze terminano ufficialmente, gli addobbi e le decorazioni natalizie vengono rimossi. Secondo lo julgransplundring (“saccheggio dell’albero di Natale”), un’usanza svedese che affonda le radici nel XIX secolo, ogni ornamento natalizio va infatti tassativamente tolto. Albero di Natale compreso, com’è ovvio. A tal proposito, prima di smontare l’albero, le famiglie sono solite organizzare una danza attorno allo stesso: sia in Svezia che in Finlandia vengono predisposti giochi, balli e festeggiamenti intorno all’abete per celebrarlo e ringraziarlo dell’atmosfera natalizia che ha contribuito ad esaltare. Un’altra tradizione, più che centenaria, vede protagonista un gruppo di persone travestite da San Canuto: hanno un cappello, una lunga barba grigia, il volto celato da una maschera e si recano di casa in casa. Questa usanza viene detta dei “knutgubbar”, da Knut che significa Canuto in svedese. Il 13 Gennaio, nonostante il periodo natalizio giunga al termine, in Scandinavia si festeggia. I party sono all’ordine del giorno: ci si ritrova con familiari e amici degustando per l’ultima volta i cibi e le bevande natalizie. I bambini sono soliti invitare i compagni di classe a mangiare una torta insieme. Ma attenzione! Le porte delle case vanno chiuse attentamente: agli spiriti e ai folletti del Natale è proibito entrare.

 

 

Il lato eco-sostenibile del 13 Gennaio

Tutti conosciamo la spiccata coscienza ecologica dei popoli scandinavi. Bene: sappiate che neppure in quest’occasione viene meno. Dopo il 13 Gennaio, infatti, gli alberi di Natale vengono “smaltiti” sostenibilmente. In molte città si organizzano addirittura processioni dove persone di ogni età portano con sè il proprio albero per destinarlo al riciclo.

 

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I dolci dell’Avvento: viaggio in Nord Europa

 

Quest’anno, durante l’Avvento, viaggiamo in Europa anche per quanto riguarda le delizie dolciarie. Ma quali sono i più famosi dolci dell’Avvento, nei paesi europei? Per rimanere in linea con gli ultimi articoli apparsi su VALIUM, oggi andremo alla ricerca delle specialità natalizie del Nord Europa. Noteremo che hanno in comune molti ingredienti, ad esempio le spezie e la frutta secca, e che sono rappresentate da prodotti da forno sotto molteplici forme: dalla torta ai biscotti, dalla brioche al pan dolce. Con un’eccezione che potrete scoprire leggendo l’articolo qui di seguito…

 

Germania: i Lebkuchen

Diffusi anche in Austria, Boemia, Polonia, nel Trentino Alto-Adige e nella Svizzera tedesca, sono biscotti a base di spezie non di rado ricoperti di glassa o cioccolato.

 

Danimarca: il risalamande

Servito come dessert, questo dolce danese è un budino che si prepara combinando il riso al latte con ingredienti quali la vaniglia, lo zucchero, la panna e le mandorle tritate. Viene gustato freddo dopo essere stato arricchito di una deliziosa salsa alle ciliegie.

 

Estonia: il Kringel

Si tratta di una brioche intrecciata a base di cannella guarnita con crema al cioccolato, frutta secca (soprattutto noci) e, a volte, mele: ne esistono varie versioni, una più squisita dell’altra.

 

Finlandia: la Joulutorttu

Conosciuti anche in Svezia, sono dolcetti natalizi dalla tradizionale forma di stella. Si preparano con la pasta sfoglia e una marmellata di prugne da leccarsi i baffi.

 

Lussemburgo: il Boxemännercher

Simile ai noti e amatissimi omini al pan di zenzero, il Boxemännercher è un dolce lussemburghese tipico della ricorrenza di San Nicola. Non è un caso, infatti, che sia molto diffuso in tutti i paesi in cui il Santo, la notte tra il 5 e il 6 Dicembre, si reca di casa in casa per portare regali ai bambini. L’omino plasmato su questa golosa brioche rappresenta proprio San Nicola, e solitamente viene guarnito con zucchero al velo, pasta di zucchero o uvette.

 

Paesi Bassi: il Kerststol

Nei Paesi Bassi il Natale si festeggia con un dolce che somiglia parecchio allo Stollen, il soffice pane tedesco ricco di spezie e di canditi. L’impasto è composto, tra gli altri ingredienti, di noce moscata, cardamomo, uva passa, canditi, brandy, mandorle, vaniglia e un tocco di pasta di mandorle che lo rende ancora più invitante.

 

Belgio: il Kerststronk

E’ un tronchetto di Natale preparato con pasta biscotto al cioccolato, farcito di crema e rivestito di crema al burro; in Francia prende il nome di Bûche de Noël. Si ispira alla tradizione millenaria del ceppo di Natale – o ceppo di Yule – di cui VALIUM ha parlato qualche tempo fa (rileggi qui l’articolo).

 

Austria: i Vanillekipferl

Questi squisiti biscotti alla vaniglia hanno la forma di un ferro di cavallo e sono abbondantemente ricoperti di zucchero a velo. Durante l’Avvento, vengono perlopiù degustati in occasioni come i brindisi in compagnia. Piacciono molto anche ai tedeschi e agli ungheresi…non è difficile capire il perchè.

Foto del risalamande di Pille from Tallinn, Estonia, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Il kanelbulle, la deliziosa girella alla cannella che dalla Svezia si è diffusa in Scandinavia e persino in America

 

Il kanelbulle, pur essendo ormai diffuso in tutto il Nord Europa e in Nord America, può essere considerato il dolce-simbolo della Svezia. E’ una girella alla cannella tempestata di granella di zucchero, e tra i dolci che accompagnano il caffè durante la fika regna sovrana. Si prepara farcendo l’impasto con burro e cannella dopo averlo lasciato lievitare; in seguito, dalla miscela si ricavano striscioline che vengono abilmente arrotolate a mò di chiocciola e spennellate con dell’uovo battuto. Il tutto viene cotto in forno per circa un quarto d’ora, fino a doratura. Una volta sfornati, i dolcetti vengono cosparsi di sciroppo di glucosio e guarniti con granella di zucchero. Basta osservarle anche solo in foto, per realizzare che queste girelle sono un’autentica delizia. Dei kanelbullar esistono diverse varianti: molte di esse esaltano il gusto speziato unendo il cardamomo alla cannella, altre prevedono la sostituzione della cannella con la vaniglia (in questo caso si parla di vaniljbullar), altre ancora (dette toscabullar) sono farcite con mandorle e glassa al burro. La squisitezza rimane, com’è ovvio, il denominatore comune di tutte le versioni.

 

 

Ma qual è la storia dei kanelbullar? Di loro non si sa molto. Quel che è certo è che cominciarono a diffondersi massicciamente nella Svezia del 1920 e divennero la pasta più gettonata alla fine della seconda guerra mondiale. Per omaggiare i kanelbullar, gli svedesi hanno addirittura istituito una Giornata Internazionale della Girella alla Cannella: la data è stata fissata al 4 Ottobre. Kaeth Gardestedt, project manager del Hembakningsrådet (Consiglio per la Panificazione Domestica) e fautrice dell’iniziativa, si è prefissata di incrementare la preparazione artigianale dei prodotti da forno; e quale dolce se non il kanelbulle poteva diventare il portabandiera del progetto? Nel 1999, quando il Kanelbullens Dag è stato istituito, cadeva inoltre la Giornata Internazionale dei Bambini, che in Svezia viene festeggiata il primo lunedì di Ottobre; unire i due festeggiamenti parve subito un’ottima idea. Il 4 Ottobre resta a tutt’oggi una ricorrenza celebratissima, tant’è che anche la Finlandia ha adottato il Kanelbullens Dag. Le girelle alla cannella, infatti, sono estremamente popolari in ogni paese della Scandinavia, dove sono presenti con nomi diversi: i norvegesi le chiamano skillingsbøller, i danesi kanesnegle, i finlandesi korvapuusti. Gli americani, come è ben noto, le hanno invece ribattezzate cinnamon rolls.

 

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Proverbi svedesi: alcune perle di saggezza popolare

 

In attesa di passare in rassegna le delizie della fikabröd, rimaniamo in Svezia e ci intratteniamo con alcune perle di saggezza: ecco un elenco dei più noti e significativi proverbi svedesi.

 

 

Piangi di meno, respira di più; parla di meno, dì di più; odia di meno, ama di più e tutte le cose buone saranno tue.

 

 

La coscienza pulita è il cuscino migliore.

 

 

Il pomeriggio sa cose che la mattina non ha mai sospettato.

 

 

Una felicità condivisa è una doppia felicità, un dolore condiviso è mezzo dolore.

Colui che sa tutto non impara mai niente.
Le scorciatoie sono spesso strade più lunghe.

Il Signore a tutti gli uccelli dà un verme, ma non glielo fa trovare nel nido.

 

 

A volte si riesce meglio con la coda della volpe che con l’artiglio del leone.

 

 

Una buona risata allunga la vita.

 

 

Le parole dell’uomo ubriaco sono i pensieri dell’uomo sobrio.

 

 

Le farfalle dimenticano di essere state una volta bruchi.

 

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La fika: alla scoperta della pausa conviviale e rilassante adorata dagli svedesi

 

Cos’è la fika? In Svezia, questo termine indica una pausa conviviale e rilassante che si effettua come minimo due volte nella stessa giornata. Per gli svedesi, la fika è irrinunciabile ed è parte integrante della quotidianità: più che uno stile di vita, è ormai un’istituzione. Durante la fika, che generalmente ha inizio intorno alle dieci del mattino e alle tre del pomeriggio, ci si incontra con gli amici (o con i colleghi di lavoro) e si beve un caffè accompagnandolo ai più tipici, oltre che golosi, dolci svedesi. E poi si chiacchiera, si ride, ci si confronta…la fika è un break rigosamente all’insegna del relax, potremmo definirla un rito sociale. Dove ci si riunisce? A casa, in caffetteria, in un bar…ovunque sia possibile sorseggiare un buon caffè, bevanda-simbolo di questo break. La valenza della fika, tuttavia, va ben oltre l’identificazione con una pausa caffè. E’ il tempo che viene dedicato alla socialità, a se stessi, dimenticando per un attimo le incombenze giornaliere. Nulla vieta di effettuarla anche da soli, all’occorrenza: sono momenti che si assaporano, di solito, tuffandosi tra le pagine di un libro. L’importanza della fika è talmente rilevante che in molti luoghi di lavoro viene considerata un appuntamento fisso e imprescindibile. I dipendenti possono usufruire del break, organizzato sia di mattina che pomeriggio, per poi tornare a svolgere le proprie mansioni con rinnovata energia.

 

 

La storia

Il caffè, nelle origini della fika, riveste un ruolo decisivo. In Svezia, questa bevanda venne proibita più volte: rimane celebre l’editto promulgato dal re Gustavo III, che sancì il divieto di bere caffè dal 1794 al 1820. Il consumo clandestino di caffè, tuttavia, proseguì. Il termine fika deriverebbe da uno slang che si impose nell’Ottocento: colloquialmente, invertire le sillabe dei sostantivi era molto cool. E “kaffi” era precisamente il vocabolo con cui, a quell’epoca, gli svedesi designavano il caffè. Invertendo le sillabe si otteneva fika, un nome che ha attraversato i secoli per giungere fino a noi. All’inizio, al caffè si accompagnavano sette diversi tipi di biscotti preparati artigianalmente; intorno al 1940 venne pubblicato un libro di ricette, “Sju Sorters Kakor”, che in Svezia riscosse un enorme successo; era incentrato proprio sui biscotti destinati alla fika. Anticamente, la bontà dei biscotti era la priorità. Si realizzavano in famiglia e si offrivano agli ospiti, che ne avrebbero apprezzato la delizia. Con il passar del tempo, la fika andò tramutandosi in un rito prettamente associato alla socialità.

 

 

Bevande e dolci della fika

Durante la fika si beve solo caffè? La risposta è no. Oggi esistono molte alternative: le più comuni sono il , il latte o la cioccolata calda. Per quanto riguarda il caffè, in Svezia si prepara versando acqua calda sul caffè macinato e si serve ben caldo dopo averlo filtrato. La fika viene effettuata con calma, seduti comodamente attorno a un tavolo o a un tavolino; non c’è bisogno di dire che la fretta sia bandita, così come il consumo al banco del bar. Il dolce che tradizionalmente si accompagna al caffè, o alla bevanda scelta, è il kanelbulle, una prelibata girella alla cannella le cui origini risalgono a circa un secolo orsono. Ma non ci sono solo i kanelbullar: il termine fikabröd (“pane per la fika”) sta ad indicare tutta la varietà di dolci, siano essi torte, biscotti o dolcetti (su VALIUM troverete un approfondimento a breve), degustati nel corso di questa pausa rigenerante. Tra essi, figurano preparazioni tipicamente svedesi come la kladdkaka, considerato il dessert della fika per antonomasia. La kladdkaka è una torta al cioccolato (che può essere fondente, bianco oppure al latte) soffice e pastosa, solitamente guarnita con frutti di bosco. Accanto ad essa abbiamo altre delizie locali: ad esempio la prinsesstårta, pan di Spagna con crema alla vaniglia ricoperto di marzapane, ma anche il kringel, un dolce al burro simile al brezel, e poi la morotskaka, una torta che combina le carote con le mandorle e le spezie, oppure ancora i chockladbollar, dolcetti sferici a base di cocco e cioccolato. Ce n’è abbastanza, credo, per far scoccare un amore a prima vista tra noi e l’incantevole break svedese che risponde al nome di fika.

 

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La versatilità culinaria della zucca, frutto-emblema della spooky season

 

La zucca è il frutto-emblema della spooky season. E non solo sotto forma di Jack-o’-lantern! La ritroviamo protagonista anche in cucina, declinata in piatti gustosi e saporitissimi. L’anno scorso abbiamo dedicato la nostra attenzione ai dolci (rileggi qui l’articolo), stavolta punteremo i riflettori sulle pietanze salate. Che non sono poche, perchè è un frutto estremamente versatile: può essere gustata al forno, in padella, fritta, ma è possibile anche consumarla cruda o utilizzarla per la preparazione di zuppe, vellutate e puré deliziosi. La zucca, inoltre, è ricca di proprietà benefiche per il nostro organismo: contiene sali minerali, vitamine, favorisce la digestione ed è rinomata per le sue virtù depurative, che la portano ad espellere sia i liquidi che le tossine. In più, il che non guasta, svolge una potente azione antiossidante. In Italia esistono molteplici varietà di zucca, dalle forme e dai sapori più disparati: la zucca Mantovana, Americana (o Zucca Tonda Padana), Berrettina Piacentina, Delica, Trombetta d’Albenga; e poi, ancora, la zucca Lunga di Napoli, di Castellazzo Bormida…La Butternut è una delle varianti più particolari: ha la polpa di un arancio vibrante e una buccia beige sottilissima, liscia e molto facile da pelare. Viene detta anche Violina, perchè tagliata a metà prende la forma di un violino. La sua consistenza soffice fa sì che sia perfetta per le vellutate e i minestroni. La zucca è un vero e proprio passepartout con cui è possibile realizzare antipasti, primi e secondi piatti, contorni; si abbina mirabilmente ai funghi, ai formaggi, alla polenta, al pesce. Per esaltare il suo sapore, l’ideale è unirla alla frutta secca o alle spezie (soprattutto la cannella, lo zenzero e la noce moscata). In rete troverete innumerevoli ricette a base di questo frutto delle Cucurbitaceae: prendete nota per realizzare dei golosissimi piatti autunnali.

 

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Il Vin Santo, l'”oro liquido” della Toscana

 

L’Autunno è, senza dubbio, la stagione del vino. In nessun altro periodo dell’anno il vino si beve più volentieri: davanti al caminetto acceso, insieme agli amici o nell’intimità familiare. Ma anche da soli, la sera, per celebrare la fine di una lunga giornata di lavoro. Il vino novello, non a caso, viene immesso sul mercato dal 30 Ottobre in poi; e le ossa dei morti, i tipici biscotti del giorno della Commemorazione dei Defunti, si servono rigorosamente con il Vin Santo. Ecco, il Vin Santo appunto: oggi approfondiremo la storia, le curiosità e le caratteristiche di questo antichissimo vino toscano. Che sia stato ribattezzato “oro liquido” è tutto fuorchè casuale. Si tratta di un vino pregiato, raffinatissimo, che in tempi remoti veniva offerto agli ospiti – o alle persone – di prestigio compiendo un gesto di stima e di profonda riverenza nei loro confronti. Pare addirittura che il  procedimento per realizzarlo sia una sorta di “ricetta” segreta tramandata di padre in figlio.

 

 

Ma che cos’è, innanzitutto, il Vin Santo? Il Vin Santo è un vino passito, che viene cioè ricavato da uve lasciate appassire dopo essere state raccolte. Sul nome che gli è stato assegnato, così particolare, abbiamo notizie che sconfinano un po’ nella storia e un po’ nella leggenda. Un antico scritto senese attesta che, negli anni in cui la peste nera imperversava in tutto il Vecchio Continente, un frate appartenente all’Ordine Francescano si servisse del vino destinato all’Eucaristia per guarire i contagiati. Era il 1348:  due anni prima la peste bubbonica si era diffusa dall’ Asia in Europa, dove sarebbe rimasta per 500 anni. Dubitiamo che la terapia a base di vino funzionasse, ma molti ne erano fermamente convinti: fu chiamato Vin Santo perchè si riteneva che fosse miracoloso, in grado di curare la peste.

 

 

Sempre nel Medioevo, precisamente nel 1439, pare che fu il cardinale e umanista Giovanni Bessarione a imbattersi nel Vin Santo. Mentre il Concilio di Firenze era in corso, Bessarione assaggiò un vino e credette di riconoscere nella bevanda il “vino di Xantos”, ovvero Santorini. Lo affermò davanti a tutti, ma coloro che sedevano a tavola con lui udirono il termine “santos” al posto di “Xantos”: ciò li portò a credere che quel vino possedesse caratteristiche taumaturgiche. Secondo altre testimonianze, invece, il nome Vin Santo deriverebbe dal fatto che fosse utilizzato nella Santa Messa, durante la liturgia Eucaristica.

 

 

E le particolarità del Vin Santo, quali sono? Essendo un vino passito, come già detto, viene realizzato con uve sottoposte a una lunga fase di appassimento, o disidratazione. Durante il processo, l’acqua e gli acini si separano incrementando la concentrazione di zuccheri in modo esponenziale. Questo procedimento è piuttosto duraturo e, soprattutto, estremamente dispendioso. Il vino che si ottiene è contraddistinto da un’alta gradazione alcolica e un elevato residuo zuccherino. La produzione del Vin Santo si avvale di uve come la Malvasia del Chianti, il San Colombano, il Cenaiolo Bianco e il Trebbiano; quando vengono usate uve di tipo Sangiovese, prende il nome di Vin Santo occhio di pernice. Anche in Umbria, oltre che in Toscana, il Vin Santo è una bevanda tradizionale. Nella sua versione più dolce (ne esiste una dalle note che virano al secco) si abbina ai cantucci, biscotti secchi a base di mandorle che affondano le loro origini nella Toscana del 1500. Montefollonico, una frazione del comune di Torrita di Siena, viene considerato il “borgo del Vin Santo”: questa tipologia di vino è il simbolo del paese. Qui, ogni anno, il 7 e l’8 Dicembre si festeggia la produzione del cosiddetto “oro liquido” con l’evento “Lo gradireste un goccio di Vin Santo?”, dove con “goccio” si fa riferimento alla parsimonia con cui veniva offerto il prezioso vino toscano. Tra le attrazioni della festa sono incluse degustazioni, mercatini artigianali, passeggiate naturalistiche, ma il clou è costituito dal concorso “Il miglior Vin Santo fatto in casa”: viene assegnato un premio a tutti coloro che producono il Vin Santo artigianale più squisito.

 

Photo Credits, dall’alto verso il basso:

Vin santo e cantucci, foto 1: Popo le Chien, CC0, via Wikimedia Commons

Vin Santo e cantucci, foto 2: Popo le Chien, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Uve appassite: Zyance, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons

 

Passeggiata nel bosco autunnale

 

Il bosco risuona e tace: tace quando ascolto, risuona quando mi addormento.

(Pablo Neruda)

 

Il bosco in Autunno, pura meraviglia: un tripudio di colori che spaziano dall’oro al porpora, dal ruggine al vinaccia, dall’arancio al rosso. Se questa Estate siamo andati al mare per sfuggire all’afa e godere di tutti i benefici del salmastro, adesso è tempo di trasferirci in montagna. Solo addentrandoci nei boschi possiamo vivere l’Autunno appieno: la natura, con la sua graduale metamorfosi, suscita emozioni da lasciare senza fiato. Passeggiando tra gli alberi, lungo i sentieri o le radure, assistiamo allo spettacolo del foliage. C’è da rimanere letteralmente estasiati di fronte alle cromie assunte dal fogliame; piante come il tiglio, il castagno, il faggio, il pioppo tremulo, stupiscono con le straordinarie tonalità sfoggiate dalle loro chiome.

 

 

I funghi, grazie alle piogge e all’abbassamento delle temperature, cominciano a proliferare nel sottobosco. I cercatori dell’“oro dei boschi” vanno già alla spasmodica ricerca di gallinacci, porcini e mazze di tamburo; per evitare di incappare nelle specie velenose è imprescindibile una buona conoscenza micologica. Si rivela necessario, inoltre, apprendere la legislazione locale in materia di raccolta dei funghi.

 

 

La fauna selvatica è parte integrante delle bellezze del bosco autunnale. Le volpi, i cinghiali, i cervi, le lepri, i daini, i mufloni, gli scoiattoli, e molti altri animali ancora, adottano gli atteggiamenti tipici di stagione: non si fermano un minuto, vagano senza sosta alla ricerca di provviste per l’Inverno. Per i cervi, poi, tra Settembre e Ottobre ha inizio il periodo degli amori; i maschi emettono frequenti braiti e organizzano combattimenti per conquistare i favori delle femmine. In montagna è possibile alzare gli occhi e vedere grandi stormi di uccelli migratori che sfrecciano nel cielo: la partenza dei volatili per i paesi caldi è un appuntamento imperdibile, e potervi assistere è quasi un privilegio. Per gli appassionati di birdwatching, il bosco d’Autunno si rivela un autentico paradiso. Anche gli uccelli, come il resto della fauna selvatica, vanno a caccia di cibo da immagazzinare prima dell’arrivo del gelo. In questo periodo, sui monti risalta la presenza dei rapaci, che colpiscono per la loro maestosità: il falco pellegrino, l’astore, la possente aquila reale.

 

 

In quanto a doni della terra, invece, che cosa ci regala il bosco oltre ai funghi? Castagne a volontà, naturalmente, ma non solo: anche le mele la fanno da padrone. Raccoglierle è un vero e proprio divertimento; non è un caso che molte aziende agricole includano la raccolta delle mele tra le attività destinate ai loro visitatori. Sui sapori del periodo tra Estate e Inverno, VALIUM si è soffermato già. E dato che il mese di Ottobre domani farà la sua entrata trionfale, vi invito a organizzare una passeggiata nel bosco per addentrarvi nel cuore della nuova stagione. E’ un’esperienza irrinunciabile che vi permetterà di conoscere da vicino le meraviglie naturali dell’Autunno e di innamorarvene profondamente, proprio come merita.

 

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L’Autunno a tavola

 

Uva, castagne, funghi, fichi, zucche, mele, lenticchie, broccoli, frutta secca, cereali integrali, mais, cavoli, melograno…La tavola, in Autunno, si riempie di una miriade di cibi, di sapori e di colori. Sono cibi salutari, che ci aiutano ad affrontare al meglio il cambio di stagione: contengono dosi massicce di vitamine, nutrienti, sali minerali, proteine, antiossidanti, omega 3; rinforzano il sistema immunitario aiutandoci a prevenire i malanni da raffreddamento e donano una sferzata di energia all’organismo. I benefici che apportano sono innumerevoli, impossibile elencarli tutti. Possibilissimo, invece, è includere questi cibi nella nostra dieta per avvalerci di un mirabile connubio di salute e gusto che ci accompagni nella nuova stagione.

 

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