I viaggi, i luoghi e le emozioni

 

” Non è dimostrabile, però io ci credo: nel mondo ci sono luoghi in cui l’arrivarci o il ripartire viene misteriosamente amplificato dalle emozioni di quanti in passato da lì sono partiti o lì sono giunti. Chiunque abbia un’anima abbastanza leggera avverte una lieve resistenza nell’aria attorno allo Schreierstoren di Amsterdam – la Torre del pianto – che promana dal cumulo di dolore di coloro che lì si dissero addio, un dolore che oggi non conosciamo più. Ormai i viaggi non durano anni, sappiamo esattamente dove siamo diretti, e le probabilità di fare ritorno sono molto più alte. Sotto il portico d’ingresso della cattedrale di Santiago de Compostela si erge una colonna di marmo che reca l’impronta di profondi solchi; una sorta di “zampata” espressionistica di grande impatto emotivo prodotta da milioni di mani, tra cui la mia. Ma se dico “tra cui la mia” è già una forzatura, perchè io non ho certo mai afferrato quella colonna con tanta emozione dopo un viaggio a piedi durato più di un anno. Non ero un uomo del Medioevo, non ero un credente, e ci arrivavo in automobile. Ma anche a prescindere dalla mia mano, anche se non ci fossi mai stato, il solco resta, scavato nel duro marmo dalle dita di tutti quei morti. Eppure anch’io, appoggiando la mia mano su quel negativo di mano, sono entrato misteriosamente a far parte  di un’opera d’arte collettiva. Il pensiero diventa visibile nella materia: questo è sempre prodigioso. La forza di un’idea spinse re, contadini e monaci ad appoggiare la mano proprio in quel punto della colonna, e ogni singola mano ha consumato una parte infinitesima del marmo durissimo, e in questo modo, proprio nell’assenza del marmo, risultò visibile una mano. Penso a queste cose un giorno di luglio; è mattina presto e sto per imbarcarmi per Barcellona. Lì noleggerò un’automobile e per vie traverse, o forse addirittura dopo avere percorso tutta la Spagna, per la terza volta nella mia vita andrò a Santiago de Compostela. Non in pellegrinaggio, come gli altri, ma sulle orme di un io remoto che ormai è quasi un fantasma, riallacciandomi a un viaggio del passato. In cerca di che cosa? Una delle poche costanti della mia vita è l’amore – perchè sarebbe riduttivo definirlo diversamente – per la Spagna. “

Cees Nooteboom, da “Verso Santiago. Disgressioni sulle strade di Spagna”

 

 

Adèle H.

 

” Come potrei spiegare cosa accade in me da qualche tempo? Talvolta ho delle violente aspirazioni verso il grande ideale, una morte pura e grandiosa, altre volte verso una vita dolcemente fastosa, dove ho solamente Auguste. Talvolta sono una vita bruciata, ardente, violenta, viva, nella quale via via Clésinger, Delacroix, Arnould si susseguono, come amanti, nella quale mi vedono come la figlia di Victor Hugo, giovane, bella, radiosa, alla moda, supremamente intelligente, supremamente bella, radiosa, supremamente civetta, che schiaccia con tutto il suo splendore le sue rivali, passate, presenti e future; intellettuale, grande musicista, applicando e facendo applicare i miei paradossi, vivendo tutte le vite, la vita dell’ amore, la vita del mondo. Ma ahimè altre volte rimpiango anche il passato, la mia purezza, la bellezza della mia anima, il mio primo amore, le mie prime emozioni, l’organo, Place-Royale, Villequier, il suo bel giardino al chiaro di luna nel 1846 (già sei anni fa), Auguste e l’estasi dei nostri primi baci, quando amante e grandiosa sacrificavo la mia serenità alla sua felicità. (…) L’ amore è Spirito e Materia. Non do il mio corpo senza la mia anima, né la mia anima senza il mio corpo. L’ uno è imprescindibile dall’ altra. “

 

Adèle Hugo

da “Pazza d’Amore”, a cura di Manuela Maddamma

     

Nella foto: Isabelle Adjani nel film “L’ Histoire d’Adèle H.” (1975) di François Truffaut. Immagine via deepskyobject from Flickr, CC BY-SA 2.0