Gennaio

 

È profondo gennaio. Il cielo è duro. Gli steli sono saldamente radicati nel ghiaccio.
(Wallace Stevens)

 

Diamo il benvenuto a Gennaio, primo mese dell’anno e cuore dell’Inverno. Gennaio conta 31 giorni e il suo nome deriva dal latino Ianuarius, derivante a sua volta da Ianus ovvero Giano: il dio bifronte che regnava sulle porte e i ponti poichè simboleggiava i periodi di passaggio e di trasformazione (ianua in latino significa porta). Nel calendario romano, originariamente, Gennaio non esisteva. Per gli antichi romani, infatti, l’Inverno era una stagione non suddivisa in mesi. Ad introdurlo fu Numa Pompilio, che nel 713 a.C. lo inserì insieme a Febbraio decretandoli, rispettivamente, il primo e il secondo mese dell’anno. Fu solo nel II secolo a.C., tuttavia, che Gennaio divenne ufficialmente il primo tra i dodici mesi: il calendario romano continuò ad iniziare a Marzo fino al 153 a.C., dato che Marzo coincideva con importanti eventi militari ed istituzionali. Solo molti anni dopo, quando l’elezione dei consoli fu fissata a Gennaio, questo mese passò ad aprire le porte del nuovo anno. Nonostante ciò, nel Medioevo il Capodanno variava ancora da regione a regione; fu Papa Gregorio XIII, con la riforma del calendario gregoriano nel 1582, a far coincidere l’inizio dell’anno con il 1 Gennaio in tutto il mondo cristiano. Gennaio, in quanto mese di un nuovo inizio, è il periodo dei nuovi progetti e dei buoni propositi. Le temperature sono gelide, il ghiaccio e la neve imperano e la natura è nel pieno del suo assopimento. Tutto questo dota Gennaio di un fascino “nordico” il cui culmine coincide con gli ultimi tre giorni del mese, i cosiddetti “giorni della merla”. Tra le ricorrenze più importanti troviamo il Capodanno e l’Epifania, Giorno dei Re Magi per il cristianesimo e della Befana per il folklore. I segni zodiacali compresi in questo mese sono il Capricorno e l’Acquario, il colore associato al periodo è il grigio (come la cenere del camino, un elemento che si ricollega alla celebre leggenda della merla) mentre la pietra è il granato, così chiamata perchè ricorda i semi rossissimi della melagrana.

 

 

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5 leggende di Pasqua

 

Nessuno sa dire a quando risalgano queste leggende pasquali: probabilmente a tempi molto antichi. Sono arrivate fino a noi perchè tramandate nel corso dei secoli, e tuttora risultano estremamente toccanti. Somigliano a favole brevi intrise di pietas, ispirano coinvolgimento e commozione. Il loro denominatore comune è la semplicità: raccontano con toni delicati storie che si intrecciano alla Passione di Gesù, instaurando un legame profondo tra la sofferenza di Cristo e i tre regni della Natura (in particolare, quello animale e quello vegetale). Quasi certamente, le leggende che riporto sono sorte per favorire la comprensione del Mistero della Pasqua anche presso i ceti più umili. Eppure, risultano altamente suggestive proprio nella loro poetica genuinità.

Il coniglio e il sepolcro di Gesù

Un coniglio si nascose fortuitamente nel sepolcro dov’era seppellito Gesù. Osservava, non visto, il viavai di tutti coloro che piangevano la sua morte e rimase molto colpito dalla vicenda. Si chiese chi fosse quell’ uomo, ripromettendosi di scoprirlo al più presto. Ma quando all’ alba della domenica lo vide alzarsi e uscire dal sepolcro dopo che un angelo aveva rimosso la pietra tombale, realizzò che era il figlio di Dio. Pieno di gioia, il coniglio avrebbe voluto annunciare a tutti l’ incredibile notizia. Avrebbe voluto gridare che Gesù era risorto, rendere partecipe il mondo intero della sua contentezza. Purtroppo, però, i conigli non hanno il dono della favella. Così, pensò di recarsi di casa in casa e di portare a chiunque un uovo colorato che simboleggiava la vita e la felicità per la resurrezione di Cristo. Ancora oggi, a Pasqua, il coniglio regala uova colorate a tutte le famiglie del mondo in ricordo del giorno in cui Gesù sconfisse la morte.

 

 

Gesù e il salice

Gesù, con la croce in spalla, avanzava a fatica verso il monte Calvario. A un certo punto, stremato, cadde di fronte a un salice. Tentò di rialzarsi afferrando il suo tronco, ma era talmente esausto che non ci riuscì. Il salice, allora, addolorato per la grande sofferenza di Gesù, piegò i rami fino a terra di modo che potesse aggrapparsi a loro. Il salice rimase nella stessa posizione anche quando il Signore proseguì il cammino. L’ albero, con le fronde che sfioravano il suolo, sembrava che piangesse (e certamente lo faceva). Da quel momento in poi, fu chiamato “salice piangente”.

 

 

Il pettirosso e il sangue di Cristo

Un uccellino che volava nei pressi del monte Calvario notò, un giorno, una scena raccapricciante: tre uomini stavano morendo sulla croce. Uno di essi era Gesù, talmente sofferente e sanguinante che mosse a compassione il volatile. Aveva il corpo ricoperto di ferite e una corona di spine che gli lacerava il capo. L’uccellino rimase impressionato: l’uomo, agonizzante, non riusciva quasi più neanche a respirare. Allora tentò di confortarlo e poi, servendosi del suo becco, iniziò ad estrarre le spine che gli si erano conficcate nella fronte. Mentre svolgeva questa operazione, il sangue versato da Cristo gli macchiò il collo e il petto. L’ uomo sembrava provare sollievo grazie all’ aiuto dell’uccellino, ma poco dopo esalò l’ultimo respiro. Le macchie di sangue, da allora, rimasero indelebili sul corpo dell’animale: in particolare quelle sul petto, le più vicine al cuore. La storia commovente che lo aveva visto protagonista insieme a Gesù valse all’uccellino il nome di “pettirosso”.

 

 

Gli apostoli e la melagrana

Lungo il cammino verso il Calvario, Gesù subiva il tormento della corona di spine e delle numerose ferite che gli dilaniavano il corpo. Uno degli apostoli, mentre lo seguiva a distanza senza farsi notare, raccoglieva i sassi dove cadevano le gocce del suo sangue e li racchiudeva in un sacchetto. Ma quando la sera volle mostrare ai compagni quel plasma benedetto, si accorse che al posto dei sassi c’era uno strano frutto: era polposo, pieno di chicchi dello stesso colore del sangue di Cristo. A quel frutto venne dato il nome di “melagrana”.

 

 

La Passione e la passiflora

Quando Gesù fu deposto dalla croce, una sua lacrima e alcune gocce del suo sangue caddero su una pianta non ancora sbocciata. In quell’ istante, i petali si dischiusero improvvisamente: le corolle dei fiori erano singolarissime, sembravano riprodurre i simboli della Passione. Potevano distinguersi forme e colori simili ai chiodi, al martello, alla corona di spine, alcuni degli strumenti utilizzati durante la crocifissione di Gesù. Il nome con cui fu battezzato quel fiore non è casuale. Si chiama “passiflora”, vale a dire “fiore della Passione”.

 

 

 

La colazione di oggi: la melagrana, un frutto magico e portafortuna

 

La melagrana (e non il melograno, che è il nome della pianta) è un tipico frutto autunnale; matura a Ottobre ed ha un aspetto molto particolare. Il suo nome, composto dai termini latini “melum” (ovvero “mela”) e “granatum” (“con semi”), è indicativo: a vedersi sembra una mela, alla quale lo accomunano la forma sferica e il rosso intenso della buccia, ma in realtà è una bacca – chiamata Balausta – dalla texture dura e massiccia. Sul lato opposto a quello del picciolo presenta una protuberanza circolare molto solida che altri non è che una rimanenza del suo calice floreale. All’ interno, la melagrana è suddivisa in sezioni che straripano di semi (gli arilli); la membrana che separa gli scomparti porta il nome di cica. Il melograno, l’albero dal quale la melagrana matura, in botanica è denominato Punica Granatum, appartiene alla famiglia delle Punicaceae e al genere Punica. La pianta è originaria della Persia e attualmente viene coltivata in Iran, nell’ India settentrionale, nel Caucaso e nel Mediterraneo. Per le sue proprietà e per i benefici che apportano, la melagrana è considerata un frutto miracoloso, addirittura magico: possiede potenti virtù antiossidanti e c’è chi la ritiene efficacissima persino contro il cancro.

 

 

Ma quali sono i componenti che la rendono così salutare? Innanzitutto le vitamine, in particolare la vitamina e pro-vitamina A e la vitamina C: quest’ ultima svolge un’azione rafforzante sul sistema immunitario e protegge le cellule dai nefasti effetti dello stress ossidativo; impedendo la sintesi delle sostanze cancerogene, poi, pare che contrasti l’ insorgere dei tumori, soprattutto di quello allo stomaco. Gli arilli abbondano di acqua, zuccheri, fibre, proteine, lipidi e grassi insaturi, che riducono i livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”) a favore del colesterolo HDL (il “colesterolo buono”). La melagrana è inoltre ricca di minerali come il potassio, il sodio, il fosforo, il ferro e il magnesio. Le calorie sono piuttosto contenute, tra le 52 e le 60 per ogni 100 grammi. Di conseguenza, se non soffrite di patologie come il diabete o l’obesità, gustare il frutto non ha controindicazioni di sorta. La presenza di fibre lo rende ottimo contro la stipsi, il potassio modula la pressione sanguigna, l’acqua combatte la disidratazione e reintegra i liquidi persi, ad esempio, con un’ intensa attività sportiva.  Altri benefici della melagrana possono essere riassunti in questo elenco: ha proprietà antidiarroiche, vermifughe, gastroprotettive, diuretiche, antitrombotiche e vasoprotettrici grazie a  una massiccia presenza di flavonoidi. La spremuta e il liquore di melagrana sono bevande ideali per usufruire al meglio delle sue doti salutari, ma esistono pietanze a miriadi che prevedono l’ utilizzo del frutto.

 

 

Con la Balausta, tra l’altro, si prepara una deliziosa marmellata: è decisamente perfetta per la prima colazione. La melagrana può essere mangiata al naturale oppure usata per guarnire i dolci, le torte, le crostate e la macedonia. Innumerevoli sono anche le ricette destinate ai pasti principali (il risotto, l’insalata e l’anatra alla melagrana, tanto per citarne qualcuna), ma in linea con il tema di questa rubrica daremo spazio agli alimenti del mattino. Appena alzati potete arricchire di arilli lo yogurt, le meringhe, la panna cotta, il budino, il semifreddo, il pancake, i cupcakes… Versate del succo di melagrana nel sorbetto per renderlo ancora più dolce, oppure assaporate le golose gelatine e confetture ottenute con l’ eclettico frutto. Spalmatele sul pane, utilizzatele per farcire le crostate: la bontà è assicurata.

 

 

Sapevate che la melagrana è un frutto portafortuna? Svariate culture la associano all’ abbondanza, al benessere, alla ricchezza, sin dalla notte dei tempi. Ciò è in gran parte dovuto ai suoi numerosissimi chicchi, gli arilli, incredibilmente succosi. E rossi come il sangue, che simbolizza il vigore e l’energia. Il melograno, inoltre, cresce e matura con ogni tipo di clima senza disdegnare i terreni brulli: non necessita di una quantità d’acqua particolare e resiste alle intemperie stoicamente. Queste caratteristiche lo hanno reso quasi magico presso gli antichi popoli asiatici. Nella Bibbia, il melograno viene citato spesso. Rappresenta un emblema di fertilità, è un dono di Dio molto importante; persino artisti del calibro del Botticelli e di Leonardo Da Vinci lo inserirono frequentemente nelle loro opere. L’ ebraismo sostiene che i semi della melagrana e i comandamenti della Torah siano entrambi 613. In Turchia è usanza che le spose lancino a terra una melagrana di fronte alla casa coniugale: se i semi fuoriusciti sono parecchi, sarà di buon auspicio per le finanze della famiglia e per la futura prole. Sempre in Oriente, il frutto – grazie alla gran quantità di semi racchiusi nella membrana interna – è un emblema di fratellanza e solidarietà tra i popoli. Tornando in Occidente, notiamo che la valenza beneaugurale della melagrana si è imposta anche in Italia. Qui si è soliti gustarla a Capodanno perchè, al pari delle lenticchie, i suoi arilli simboleggiano il denaro e attirano la ricchezza. Regalare questo frutto, di conseguenza, è un gesto dalla potente valenza propiziatoria.