L’odore del mare: un’alchimia che coniuga la chimica con le emozioni

 

Qual è l’odore del mare? Potremmo definirlo odore di salsedine, ma è talmente inconfondibile che descriverlo risulta quasi arduo. Risalta un mix olfattivo che rimanda alle alghe, all’acqua salata, alla brezza che veicola i loro effluvi; lo scroscio delle onde sembra renderli frizzanti, vagamente pungenti. La scienza è in grado di spiegare molto bene l’odore del mare, illustrando le molecole di cui si compone. I Bromofenoli sono responsabili del sentore di iodio, estremamente caratteristico: vengono generati dalle alghe e da particolari organismi che vivono nelle profondità del mare. I Dictiopereni, feromoni che alcune tipologie di alghe producono in vista dell’accoppiamento, emanano un forte odore di alga essiccata. Il Solfuro Dimetile è invece originato dai batteri che si cibano di fitoplancton: può essere identificato con quella scia olfattiva pungente che sa di alghe e di salsedine che percepiamo in riva al mare. Sostanzialmente, il tipico profumo del mare viene determinato in buona parte dagli organismi marini.

 

 

Quel che è certo, come ho sottolineato più volte in molti articoli, è che l’odore del mare ci trasmette un profondo senso di benessere. E tutto ciò ha sia una motivazione chimica che emozionale. L’aria salmastra è un composto delle molecole di cui abbiamo parlato e dei minerali di cui il mare è ricco, come il magnesio, il potassio, il sodio e il cloururo di sodio, il solfato e il calcio: per la salute, dei veri toccasana. Quando respiriamo quell’aria, i benefici che ne traiamo sono innumerevoli. Uno su tutti? La regolazione dei livelli di serotonina, detto l’“ormone della felicità”. Lo stress si dilegua, l’ansia si riduce ai minimi termini.

 

 

Veniamo ora all’aspetto emozionale. Come tutti gli odori, quello del mare stimola la corteccia cerebrale prefrontale: la zona del cervello interconnessa, tra l’altro, con la memoria e con le emozioni. Il sentore di salsedine è strettamente collegato alle nostre emozioni, poichè ci riporta in mente i ricordi inebrianti associati al mare. E’ un odore, quindi, evocativo di sensazioni di benessere: i periodi di vacanza, gli orizzonti sconfinati, i flirt, le esperienze vissute in acqua e in spiaggia…Olfatto, emozioni e memoria rappresentano una triade legata a doppio filo in cui ogni elemento interdipende dall’altro. L’odore del mare è emozione, il sentore di ricordi ammantati di immensa gioia e di un senso indescrivibile di libertà.

Foto via Pexels e Unsplash

 

La Chunga

 

“E’ una donna snella e senza età, dall’ espressione dura, la pelle liscia e tesa, ossa robuste e modi energici, che guarda la gente dritto negli occhi. Ha i capelli sciolti e scuri, tenuti a posto da un nastro; una bocca fredda, dalle labbra sottili, che parla poco e sorride raramente. (…) A volte è scalza e a volte porta sandali senza tacco. E’ una donna efficiente; amministra il locale con pugno di ferro e sa farsi rispettare. Il suo fisico, la sua severità, la sua laconicità mettono soggezione; è raro che gli ubriachi cerchino di passare la misura con lei. Non accetta confidenze nè galanterie; non le si conoscono fidanzati, amanti, nè amicizie. (…) Nella memoria dei piurani che frequentano il posto, lei sta, sempre seria e immobile, dietro il bancone. Va, qualche volta, al Variedades o al Municipal a vedere un film? Qualche sera di riposo, passeggia per la Plaza de Armas? Va al Malecòn Eguiguren o al Viejo Puente a bagnarsi nelle acque del fiume – se ha piovuto sulla Cordillera – all’inizio di ogni estate? Assiste alla sfilata militare, nelle Fiestas Patrias, fra la moltitudine assiepata ai piedi del monumento a Grau? Non è donna a cui si possa strappare una conversazione; risponde a monosillabi o con cenni del capo e se la domanda è una spiritosaggine la sua risposta è di solito sgarbata o tira subito in ballo la madre dell’ incauto interlocutore. “La Chunguita, – dicono i piurani, – non si fa mettere i piedi sulla testa da nessuno”. Gli inconquistabili – giocano a dadi, brindano e scherzano al tavolo che sta, esattamente, sotto la lampada al cherosene appesa a una trave e intorno alla quale svolazzano gli insetti – lo sanno molto bene. Sono vecchi clienti, dall’epoca in cui il bar era di un certo Doroteo, con cui la Chunga, prima, si associò e che, poi, buttò fuori (i pettegolezzi locali dicono che lo fece a bottigliate). Ma, nonostante che vengano qui due o tre volte alla settimana, neppure gli inconquistabili potrebbero dirsi amici della Chunga. Conoscenti e clienti, niente più. Chi, a Piura, potrebbe vantarsi di conoscere la sua intimità? (…) La Chunga non ha amici. E’ un essere selvatico e solitario, come uno di quei cactus dell’arenile piurano.”

Mario Vargas Llosa, da “La Chunga” (traduzione di Ernesto Franco, Giulio Einaudi editore)

 

Macondo

 

“Nelle notti d’inverno, mentre faceva cuocere la minestra nel camino, soffriva la nostalgia del caldo del suo retrobottega, il ronzio del sole nei mandorli polverosi, il fischio del treno nel sopore della siesta, proprio come a Macondo soffriva la nostalgia della minestra invernale nel camino, del richiamo del venditore di caffè e delle lodole fugaci della primavera. Stordito da due nostalgie opposte come due specchi, perse il suo meraviglioso senso della irrealtà, e alla fine raccomandò a tutti che se ne andassero da Macondo, che dimenticassero tutto quello che lui gli aveva insegnato del mondo e del cuore umano, che se ne fottessero di Orazio, e che in qualsiasi luogo si fossero trovati si ricordassero sempre che il passato era menzogna, che la memoria non aveva vie di ritorno, che qualsiasi primavera antica è irrecuperabile, e che l’amore più sfrenato e tenace era in ogni modo una verità effimera.”

Gabriel Garcìa Màrquez, da “Cent’anni di solitudine” (Mondadori, 2021)

 

Es Vedrà (Ibiza)

 

Immobile la piccola barca resta

indelebile tra la riva e la roccia arcana

nel mare solido della memoria

porta il mio cuore estatico

in perpetuo ritorno…

 

(Contessa Pinina Garavaglia,

da “Per Sempre Giovani”)

 

 

I nomi e i luoghi

 

” Frate Lino da Padova tirò fuori bottiglie di grappa alle erbe. Lampone, mirtillo, asperula, asparago selvatico, genziana. Assaggiare il ginepro, un liquido marrone dal forte sapore catramato, fu come sfregare la lampada di Aladino. Mille odori uccisi dalla modernità igienista sbucarono dal nulla e ne chiamarono altri all’ appello. Rividi una sequenza olfattiva folgorante: il profumo di cembro di una vecchia camera da letto della Val di Zoldo, con mio padre che richiudeva le imposte spalancate dalla bufera; la sciolina da neve bagnata messa a scaldare accanto a sci finlandesi di legno privi di lamine, marca Jarvinen; mia nonna che apriva d’inverno la marmellata di albicocche messa a bollire l’estate; formaggi appesi ad affumicare sotto il camino di una malga; l’odore dei materassi di paglia in una locanda carnica anni cinquanta, a Comeglians, con un catino e una brocca come lavabo. Ritorno al Giau, non voglio che la luce mi sorprenda. Ormai le stelle accelerano, cadono quasi in verticale oltre il Col di Lana. Fu importante quella notte con Lino il Priore. Parlammo dello zoccolo di rosso porfido che fa da basamento e scantinato alle dolomie più recenti, un fondale marino antichissimo che affiora ogni tanto in superficie con fossili di fantastiche piante tropicali. Parlammo anche della memoria. “Non c’è via d’uscita”, brontolò il frate. “Persino nella savana o nei monasteri del Tibet entra la globalizzazione. Niente si salva dalla TV, niente. Temo che resterà solo il deserto.” (…) Quando dopo molte grappe uscii e Lino chiuse il pesante uscio del convento, pensai di ripetere i nomi di quelle montagne, come un esorcismo contro la desertificazione. Cercai le magiche scogliere e le invocai, nella foresta. Sciliar, Vaèl, Renon, Vaiolett. Nel bosco passai accanto a una croce coperta di neve. Sotto, una montagna di pietre portate dai pellegrini come voto dalla Val d’Adige. Finchè ci saranno i nomi, pensai, ci saranno i luoghi. “

Paolo Rumiz, da “La leggenda dei monti naviganti” 

 

 

 

Il viaggio

 

” Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. “

José Saramago, da “Viaggio in Portogallo”