Spunti a tema horror per il make up: ed è subito Halloween party

 

Anche se siete fedeli a Samhain, l’Halloween delle origini, e per voi la vigilia di Ognissanti è tutto fuorchè una mascherata, prendere parte agli horror party del 31 Ottobre rimane un modo divertente di celebrare questa festa, di condividerne le atmosfere e lo spirito. Un make up all’insegna del brivido è tassativo: lascia libero sfogo alla fantasia e contribuisce alla “metamorfosi” halloweeniana ancor più di un abito. Le ispirazioni sono molteplici, la creatività galoppa a briglia sciolta. In questa gallery trovate diversi spunti: macabri pagliacci, raccapriccianti streghe, Joker inquietanti, dame esoteriche e spose cadavere si alternano a misteriose figure in maschera e ad entità dal volto tinto di nerofumo. Senza dimenticare la potente connessione di Halloween con la natura, rappresentata da make up di stampo eco-tribale. Ce n’è per tutti i gusti: scegliete il trucco che sentite più vostro e sentitevi liberi di…spaventare.

 

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Il makeup d’Ottobre: spunti incantati per il mese più stregato dell’anno

 

Tira aria di magia, in Autunno. La spooky season, così gli americani chiamano la stagione di Halloween, assume innumerevoli declinazioni. La percepiamo con tutti e cinque i sensi, nessuno escluso. Prendiamo ad esempio la vista: Ottobre sancisce uno straordinario periodo di trasformazione, un mutamento estetico sia nel modo di vestire che nel makeup. L’Estate è ormai lontana, c’è voglia di voltar pagina. Sul sentiero che conduce a Halloween aleggia un alone di mistero costante. La metamorfosi della natura ci contagia, spronandoci a cambiare aspetto a nostra volta. Ecco allora che adottiamo un makeup suggestivo, intenso, ricco di accenti incantati e surreali a un tempo. E’ un primo passo verso il trucco mirabolante ed orrorifico che sfoggeremo la notte del 31 Ottobre, quando la nostra metamorfosi raggiungerà  il suo apice: in attesa delle dritte di VALIUM sull’argomento, che arriveranno a tempo debito, godetevi questi spunti per il makeup del mese più stregato dell’anno.

 

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Tendenza trecce, un hairstyle perfetto per la transizione stagionale

Antonio Marras

Le svolte di fine estate riguardano anche il look. Quando decidiamo di cambiare, non a caso, corriamo a “darci un taglio”: se spira aria di metamorfosi, l’hairstyle è il primo ad essere chiamato in causa. Niente di meglio, quindi, che dare un’occhiata alle tendenze capelli dell’Autunno Inverno 2024/25. Per prendere qualche spunto, ma anche per focalizzarci su determinati trend. Come quello delle trecce, ad esempio, che può ispirarci fin da subito: è perfetto per quest’ultima tranche di estate, adattissimo alla transizione stagionale. E molti designer lo hanno mandato in passerella rivisitandolo in modo estroso. Antonio Marras, per citarne uno, ha proposto un hairlook firmato da Eugene Souleiman dove due trecce laterali si incrociano sul collo e infine sulla nuca, mentre una treccina adorna la scriminatura centrale. Lascio la parola alle immagini, ma non è finita qui: nelle prossime settimane, su VALIUM troverete una vera e propria panoramica dei vari hair trend autunnali.

 

Sara Wong

Anteprima

Antonio Marras

Etro

Emporio Armani

Odette Alvarez

Sagaboi

Thom Browne

Simon Cracker

 

Le metamorfosi carnevalesche

 

“Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa.”
(Luigi Pirandello)

 

Giovedì Grasso, il Carnevale raggiunge il suo culmine: ogni travestimento è possibile. Senza necessariamente mettersi in maschera, ma per sperimentare nuove identità. Gli aspetti più reconditi di noi stessi. I lati imprevedibili della nostra personalità, quelli celati dal conformismo quotidiano. Che magari scopriamo proprio grazie a un trucco sopra le righe, a una metamorfosi giocosa del look. Trasformarsi per conoscersi, osare per rivelare: “Semel in anno licet insanire” (“una volta all’anno è lecito far pazzie, uscire da se stessi”), dicevano i latini. Approfittiamo del gioco delle identità tipico del periodo Carnevalesco per acquisire una nuova consapevolezza.

 

 

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La cornucopia: storia, leggende e miti legati al “corno dell’abbondanza”

Carel Van Savoyen, “Un’ allegoria dell’abbondanza” (1651)

Che cos’è la cornucopia? Considerata un emblema dell’iconografia autunnale, oggi è perlopiù associata al Giorno del Ringraziamento che si celebra in America. Le sue origini, in realtà, sono antichissime ed affondano le radici nel Vecchio Continente. “Cornucopia” è un nome che deriva dall’ unione dei termini latini “cornu”, “corno”, e “copia”, “abbondanza”: questo corno dell’abbondanza, non a caso, viene raffigurato come un grande cono che strabocca di frutta, fiori, verdura o monete d’oro. La simbologia, evidente, rimanda alla fertilità della terra, ai doni del raccolto, e al tempo stesso alla fortuna. Perchè la fortuna è la “condicio sine qua non” per ottenere un ricco raccolto. E se la nascita della cornucopia viene generalmente fatta risalire alla mitologia greca, non sono pochi gli studiosi che la ricollegano ad un periodo antecedente alla civiltà ellenica: una dea italica, la dea Abundantia, aveva infatti come simbolo una cornucopia che la accompagna in tutte le sue rappresentazioni. Abundantia era la dea che dava vita e nutrimento ad ogni creatura vivente, ma anche la dea della fortuna e della prosperità. Il suo aspetto era quello di una giovane donna con una corona di fiori sul capo e un mantello verde impreziosito da decori floreali color oro. Regge nella mano destra una cornucopia ricolma di frutta e nella sinistra un mazzo di spighe. L’enorme corno dell’abbondanza rimanda al corno degli animali dai quali si ricava il latte: i bovini e i caprini, all’epoca, fornivano un prezioso mezzo di sostentamento.

 

Jan Bruegel, “Allegoria dell’ abbondanza” (XVII sec.)

Ma Abundantia era anche una dea lunare, il cui corno simboleggiava il corno della Luna, e in quanto tale era dotata di un ricco patrimonio interiore; regnava sul mondo dei vivi e su quello dei morti, ecco perchè in molte opere viene ritratta con una cornucopia vuota. Capace di dare la vita così come la morte, la dea proteggeva gli antenati delle famiglie romane. Gli spiriti protettori degli antenati, infatti, i cosiddetti Lari, sono raffigurati con una cornucopia in mano proprio come la dea Abundantia. La dea, inoltre, propiziava il benessere economico familiare e la conclusione di affari redditizi e vantaggiosi, da qui la miriade di monete che straripano dal suo corno. Con il passar degli anni, la figura di Abundantia venne assorbita da svariate dee del Pantheon romano, su tutte la dea Fortuna (divinità del Caso e del Destino). La dea Fortuna e i Lari erano figure veneratissime nell’ antica Roma:  vegliavano sulla gens e favorivano la sua prosperità. Agli spiriti protettori degli antenati si dedicava addirittura un larario, una sorta di sacrario domestico. Tuttavia, va detto che la cornucopia non era un’esclusiva della dea Abundantia o della dea Fortuna. Anche Cerere (divinità delle messi e dei raccolti), Tellus (divinità della Terra) e Proserpina (dea dell’ agricoltura e dell’ oltretomba) venivano associate al corno dell’ abbondanza: ciò costutuiva l’emblema della loro natura trina, che inglobava cioè cielo, terra e inferi. La madre di tutti gli dei e delle creature viventi, come abbiamo già visto, aveva il potere di dare la vita ma anche di toglierla.

 

Noel Coypel, “L’abbondanza” (1700 ca.)

Passiamo ora alla mitologia greca, dove le origini della cornucopia si intrecciano a due suggestive leggende. La prima vede protagonista Zeus, ovvero Giove, re e padre di tutti gli dei dell’ Olimpo. Zeus nacque dall’unione dei Titani Crono e Rea. Crono, suo padre, un giorno ebbe una premonizione: in futuro, uno dei suoi figli l’avrebbe spodestato. Così, decise di divorare la sua prole per impedire che si verificasse l’evento che tanto temeva. Rea, però, scoprì il piano di Crono e riuscì a nascondere Zeus in una grotta dell’ isola di Creta. Lì lo lasciò con Amaltheia, una capra che lo crebbe e lo nutrì con il suo latte. Esistono versioni della leggenda secondo cui Amaltheia sarebbe invece stata la ninfa proprietaria della capretta che allattò Giove. Figlia del Titano Oceano, la ninfa utilizzava uno dei corni dell’animale per nutrire Zeus: lo riempiva di frutta, miele, latte e tutto ciò che serviva per sostentare il piccolo figlio di Crono. La leggenda vuole che quando Giove crebbe, e divenne il re degli Olimpi, volle dimostrare la propria gratitudine alla capra innalzandola nel cielo con il suo corno e dando origine alla costellazione del Capricorno (da “caprum”, capra, e “cornu”, corno). L’altra versione del racconto narra invece che Zeus, una volta cresciuto, staccò un corno della capretta e lo dotò di poteri straordinari: bastava esprimere un desiderio e si sarebbe riempito di tutto ciò che veniva anelato. Ecco quindi come nacque la cornucopia, il corno dell’ abbondanza, per la mitologia greca. Ma esiste una seconda leggenda sulla sua genesi.

 

Frans Snyders, “Cerere e Pan” (1615-1620 ca.)

Acheloo, divinità fluviale greca, aspirava a sposare Deianira, la bellissima figlia di Eneo, il re degli Etoli. Ma anche Eracle, nato da Zeus e Alcmena, aveva chiesto la sua mano. Tra i due pretendenti scoppiò una lotta senza esclusione di colpi; Eneo annunciò quindi avrebbe dato Deianira in sposa al vincitore dello scontro. Acheloo e Eracle combatterono furiosamente: Acheloo, essendo un dio, approfittò delle sue doti trasformandosi dapprima in un serpente, poi in un drago, infine in un uomo con la testa di bue. Ma fu proprio grazie a quest’ultima metamorfosi che Eracle ebbe la meglio. Quando Acheloo si scagliò contro di lui per trafiggerlo con le sue corna, Eracle le afferrò e gliene strappò una. Acheloo cadde a terra stremato, la lotta era stata vinta dal figlio di Zeus. Vedendo il corno a terra, le Naiadi (ninfe delle acque) corsero a raccoglierlo e lo riempirono di frutta, fiori e ogni ben di Dio. Da quel momento in poi, il corno divenne sacro e fu considerato un simbolo di abbondanza: era nata la cornucopia.

 

Jan Bruegel Il Vecchio, “Le ninfe riempiono la cornucopia” (1615)

Gki emblemi a cui è legata la cornucopia, vale a dire la fertilità, la prosperità e l’abbondanza, rimangono più o meno gli stessi in tutte le civiltà che l’hanno adottata. Gli antichi Celti la scolpirono su una statuetta che raffigurava Epona, dea dei muli e dei cavalli, ma anche tra le mani di Olloudious, un dio che i Romani equipararono a Marte. Pare che per le popolazioni celtiche la cornucopia si associasse anche alla guarigione, mentre i persiani la collegavano alle offerte sacrificali con le quali i re omaggiavano dei. Ovidio nomina la cornucopia nelle “Metamorfosi”, il suo capolavoro, citando la leggenda di Eracle (ribattezzato Ercole dai Romani) e Acheloo. A Roma, intorno al II secolo d.C., la cornucopia rimandava prevalentemente alla dea Fortuna e ai Lari. Nel Medioevo, invece, il corno dell’ abbondanza si arricchì di un’ ulteriore valenza: l’onore. Ovvero l’abbondanza combinata con il prestigio e con il valore. In una miniatura dell’ Evangelario di Ottone III risalente all’anno 1000, quattro personificazioni delle province imperiali omaggiano Ottone III, Imperatore del Sacro Romano Impero, con preziosi doni. Inutile dire che tra essi spicca una cornucopia.

 

Evangelario di Ottone III, miniatura della scuola di Reichenau (1000 ca.)

Durante il Medioevo, dunque, l’accezione di abbondanza a cui rimanda la cornucopia si amplia, fondendosi a doppio filo con il lustro delle persone e dei luoghi. Non sono rare, infatti, le personificazioni di città, aree geografiche ed elementi naturali ritratte accanto ad una cornucopia; da allora, il corno dell’abbondanza appare di frequente nella simbologia araldica e lo ritroviamo persino sulle bandiere di determinati stati, uno dei quali è il Perù. Oggi la cornucopia viene associata soprattutto al Thanksgiving Day degli USA e del Canada. Il perchè è evidente: questa festa celebra l’abbondanza del raccolto dell’anno precedente e le sue benedizioni. La cornucopia, di conseguenza, quel giorno fa bella mostra di sè accanto al tacchino, alle patate dolci, alla salsa di mirtilli e alla torta di zucca. Naturalmente, è colma di frutta e verdura di stagione: zucche, uva, fichi, mele, noci, pere, granturco, cavolfiori…Cosa simboleggia, ormai lo sapete a memoria. E voi, quando inserirete la cornucopia tra le vostre decorazioni autunnali?

 

La cornucopia, imprescindibile sulla tavola del Thanksgiving

Pietro Paolo Rubens, “Cerere e due ninfe” (1624)

Dettaglio del Salone dell’Abbondanza alla Reggia di Versailles

Maarten de Vos, “Abbondanza” (1584)

Luca Giordano, “Maria Anna di Neuberg, regina di Spagna, a cavallo” (1693-94)

Jan Bruegel Il Giovane, “Allegoria dell’ Abbondanza” (1625)

Jan van Kessel Il Vecchio, “I quattro continenti: Europa” (XVII sec.)

Pietro Paolo Rubens, “L’unione di Terra e Acqua” (1618 ca.)

Una cornucopia contemporanea

Agnolo Bronzino, “Allegoria della Felicità” (1564)

 

Immagini dei dipinti (Public Domain) via Wikimedia Commons

 

Fate

 

“Le fate tengono i loro grandiosi balli all’aria aperta, in quelli che vengono chiamati Cerchi delle Fate. Dopo, per settimane, è possibile vedere i cerchi impressi sull’erba.”
(James Matthew Barrie)

 

Manca poco più di un mese a Yule, il Solstizio d’Inverno, e qualcosa di fatato aleggia nell’ aria. Il freddo è pungente, il cielo si fa maestoso: tingendosi di nuance che alternano il grigio perla, il grigio piombo e il rosso del tramonto, instaura una perfetta armonia con la solennità dell’universo. Il fuoco crepita nel camino, il fumo svolazza dai comignoli sospinto da folate di vento. Nel bosco, dove l’odore della terra umida si mescola a quello della resina e degli aghi delle conifere, vagano presenze affascinanti e misteriose. Sono le Fate, creature del “Piccolo Popolo” (“Sidhe” in lingua gaelica) che include anche i Folletti, gli Elfi, gli Gnomi e i Goblin. Il termine latino “fatae”, in italiano antico “dame fatate”, designava coloro che dirigono il Fato; da esso derivarono il francese “faie” e l’ inglese “fairy”, che alcuni fanno però risalire a “faierie”, vale a dire “incantamento”. Le Fate usano i propri poteri a scopo benefico, si dice che proteggano i bambini. Sono magnanime, ma al tempo stesso vanitose ed egocentriche. La permalosità che le contraddistingue può spingerle a gesti inconsulti e a tramutare le benedizioni che elargiscono in terribili maledizioni. Fisicamente hanno sembianze femminili e lineamenti delicati, pressochè perfetti. Tuttavia, sono in grado di trasformarsi e di assumere qualsiasi aspetto. La leggenda vuole che dimorino in splendidi palazzi sotterranei e che qui permangano persino dopo la loro morte, sebbene vantino una vita secolare. Sono proprio le Fate ad accompagnarci lungo il percorso verso Yule, un tragitto costellato di potenti vibrazioni cosmiche e di ammalianti incantesimi: seguitele in questa nuova photostory (da notare il motivo ricorrente del fuoco, emblema di rigenerazione, purificazione e metamorfosi).

 

 

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Preludio di Primavera (A Cottagecore Tale)

 

” L’inverno è nella mia testa ma una eterna primavera è nel mio cuore. “
(Victor Hugo)

 

Una donna, alcune donne, immortalate durante l’affascinante transizione tra Inverno e Primavera. La location? Nel cuore della natura, che esalta con la dovuta meraviglia la metamorfosi stagionale: dal candore della neve al verde dell’erba tenera, dalle distese di ghiaccio ai colori sorprendenti dei primi fiori. Sullo sfondo, un tipico cottage inglese. E’ l’ emblema dello stile “Cottagecore” (leggi questo post per saperne di più), che fa da fil rouge all’ intero racconto. Perchè di racconto si tratta, sebbene sia un racconto per immagini: una photostory suggestiva e coinvolgente. Ammirate ogni singolo scatto, godetevela dal primo fino all’ ultimo, e sappiate che ritroverete questa formula sempre più spesso su VALIUM: rappresenta una novità, una rubrica che ho deciso di inaugurare con il nuovo anno. Un anno che conferisce alle immagini un’ importanza cruciale e che concepisce il lifestyle come un perno attorno al quale ruota la quasi totalità dei settori. Buona visione!

 

Photo credits: Svetlana, Jasmin Chew, Yaroslav Shuraev, Anastasia Shuraeva, Nida, Gary Barnes, Saliha, via Pexels

Ella de Kross via Unsplash

Yule

Amo la neve, la neve e tutte le forme di gelo radioso.
(Percy Bysshe Shelley)

 

Oggi, 21 Dicembre, diamo il benvenuto all’ Inverno. Il Solstizio si verificherà alle 16.58 in punto, esattamente 17 minuti dopo il calar del sole. Sarà la giornata più corta dell’ anno: in Italia avremo una media di 8-9 ore di luce contro le rimanenti di buio pesto. Durante il Solstizio d’Inverno la potenza dell’ armonia cosmica è nettamente percepibile, così come le vibrazioni che emana. Lo spazio e il tempo sembrano cristallizzarsi, sospendersi in attesa di una metamorfosi. L’ oscurità prende il sopravvento, occultando sotto il suo manto la luminosità solare. Una frase dello scrittore statunitense John Updike descrive questo fenomeno alla perfezione: “Le giornate sono brevi. Il sole una scintilla sospesa tra buio e buio.” Siamo a Yule: così veniva chiamato il Solstizio d’Inverno dai popoli germanici dell’ era precristiana. La magia aleggia nell’ aria, rievocando la suggestività di una ricorrenza celebratissima nelle lande del Nord Europa. Si pensa che il nome Yule derivi da un termine norreno, Hjòl, ovvero ruota, poichè il Solstizio d’Inverno coincideva con il punto più basso in cui si trovava la ruota dell’ anno prima di iniziare la sua risalita. Ma Jul è anche una radice scandinava che ha il significato di “festa, banchetto”, mentre la mitologia norrena chiama “joln” gli dei e Jolnir (il Signore degli dei) è uno dei molteplici nomi di Odino. La rilevanza di Yule risiedeva nel fatto che il Sole, quel giorno, cominciava a rinascere a poco a poco. Gli antichi popoli festeggiavano tramite rituali e tradizioni la sua rigenerazione: falò, candele e fuochi ricorrevano in riti finalizzati a incoraggiare l’ ascesa del Sole. A Yule il Vecchio Sole moriva, e dalle viscere della Madre Terra nasceva il Sole Bambino. L’ importanza conferita al concetto di “ciclicità” è palese, dato che all’ epoca vigeva un rapporto di stretta dipendenza tra l’ esistenza umana e i cicli naturali.  Morte, metamorfosi e rinascita diventavano un tutt’uno, il giorno del Solstizio. Non è un caso che la pianta simbolo di Yule fosse il vischio: il sempreverde sacro dei Druidi rimandava alla vita grazie alle sue bacche bianche, lucenti, simili allo sperma. Narrava una leggenda che fosse scaturito da un fulmine, di conseguenza veniva ricondotto al divino. Il vischio quercino possedeva una valenza emblematica ancora più potente, giacchè all’ immortalità dell’ albero secolare si coniugava l’ immediatezza, l’ “hic et nunc” della rigenerazione.

 

Ma anche l’agrifoglio ricopriva un ruolo fondamentale, rispetto ai miti di Yule. La lotta tra due poli opposti (Buio e Luce, Inverno e Estate, Vita e Morte) costituiva il perno della mitologia e delle leggende antiche. L’ agrifoglio, in questo senso, simboleggiava la parte più buia e più gelida dell’ anno, la fase calante dell’ Hjòl. All’ agrifoglio era associato il “vecchio”: il Re Agrifoglio, che lo impersonificava, veniva raffigurato come un anziano dalla barba bianca e dal sorriso perenne. Il Re Quercia, emblema della fase crescente della ruota dell’ anno, quella in cui le giornate si allungano e il Sole torna a splendere, era invece collegato al “nuovo”. Si diceva che i due Re si affrontasero in occasione dei Solstizi, e che l’ uno avesse la meglio sull’ altro a fasi alterne. Il Solstizio d’ Inverno vedeva il trionfo del Re Quercia sul Re Agrifoglio, favorendo quindi la rinascita graduale della luce; durante il Solstizio d’Estate era il Re Agrifoglio a vincere la lotta: ciò determinava la ricomparsa dell’ oscurità e l’ assopimento della Natura. E’ essenziale sottolineare come le due figure fossero strettamente interconnesse, l’ una non avrebbe mai potuto esistere senza l’altra. Le forze del Re Agrifoglio e del Re Quercia si fronteggiavano in un equilibrio perfetto, così come perfettamente armonico era il trionfo del primo sul secondo e viceversa. La lotta tra i due era fondamentale al fine di garantire la metamorfosi, la ciclicità, la trasformazione: punti cardine dei Solstizi e soprattutto di Yule, a cui si associa il fascino del progressivo risveglio.

Non mi resta che augurarvi un felice Yule. Che possiate custodire la magia dell’ Inverno dentro di voi…Nonostante l’ infinita pandemia e le nuove incombenti restrizioni.

La colazione di oggi: la cannella, spezia dei Re e dolce aroma del grande freddo

 

Il suo aroma è inconfondibile, piccante ma dolcissimo al tempo stesso, e viene considerato tipicamente invernale. La cannella, infatti, è una delle spezie più utilizzate con l’arrivo della stagione fredda. Per assaporarne il profumo basta bruciare l’ incenso che lo emana, ma se si punta al palato…beh, non c’è che l’ imbarazzo della scelta! La cannella rende più ricco il sapore dei dolci, dei pietanze, delle bibite, persino del caffè. Da dove proviene, questa spezia dal colore tra il marrone e il giallo? La specie più pregiata, denominata Cinnamomum Zeylanicum, è originaria dello Sri Lanka. Si ricava dalla corteccia e dai ramoscelli del suo albero (appartenente alla famiglia delle Lauraceae), che vengono prelevati e privati del sughero esterno. Dopo essere stato suddiviso in parti molteplici, arrotolate su se stesse come piccole pergamene, il materiale è pronto per l’essiccatura. Il Cinnamomum Zeylanicum vanta caratteristiche che lo differenziano da tutte le altre tipologie di cannella: il suo colore ha sfumature più chiare e il suo sapore è molto più dolce. Altri segni particolari di questa varietà sono i cannelli (ovvero i rotoli cilindrici in cui viene plasmata), che raggiungono una lunghezza di 20-80 cm e un diametro di circa 10 cm, e il fatto che venga raccolta due volte l’ anno (Autunno e Primavera). La celebre spezia Srilankese possiede, poi, virtù terapeutiche da non trascurare: battericida e antisettica, si rivela ottima per combattere i malanni stagionali, le patologie delle vie respiratorie e dell’ apparato intestinale; la sua funzione disinfettante la rende efficace anche per la cicatrizzazione delle ferite. Inoltre, il consumo di cannella mantiene sotto controllo gli sbalzi glicemici con effetti benefici per tutti coloro che sono affetti dal diabete di tipo 2.

 

 

Ma l’ elenco delle proprietà non finisce qui. Innanzitutto, la cannella è un eccellente energizzante: 100 g di prodotto contengono 247 calorie, 1, 24 g di grassi, 55 g di carboidrati (circa 2 g di zuccheri inclusi), proteine e una dose di fibre quantificata in ben 53 g. Sotto l’ aspetto nutrizionale, questa spezia si avvale di un buon numero di vitamine del gruppo B,C,E e K. Può contare, in più, su un significativo apporto di sali minerali quali il potassio, il ferro, il magnesio, il calcio, il fosforo, lo zinco e il selenio. In cucina è possibile utilizzarla in polvere o declinata nelle classiche stecche. Vi accorgerete che il suo aroma si sposa alla perfezione con, per fare solo un paio di esempi, il miele e il cioccolato: è facile intuire l’ alto tasso di golosità di simili abbinamenti. Durante la prima colazione, specialmente in prossimità del Solstizio d’Inverno, è frequente assaporarla in qualità di aromatizzante di torte, crostate, creme, dolci e dolcetti tradizionali, ma anche di prelibati biscotti natalizi…Un esempio? I ghiottissimi Zimstern, stelle di cannella provenienti dalla Svizzera Tedesca. Nei mercatini di Natale nordeuropei, soprattutto in Germania e in Austria, sono un must. Anche perchè il sapore delizioso e dolciastro della cannella viene arricchito da quello di una glassa di zucchero squisita…La cannella dà vita, inoltre, a gustosi connubi con le tisane, i frullati e molti tipi di bevande, una su tutte il vin brulé. Una curiosità: sapevate che nel caffè, in Portogallo, non manca mai il classico bastoncino di cannella? E’ così che ve lo servono, nei bar. L’ utilizzo del Cinnamomum Zeylanicum, dunque, è vastissimo.

 

Gli Zimstern

A proposito di Nord Europa e di periodo natalizio: il Grog, la tipica bevanda svedese a base di rum, vino rosso e zucchero, viene immancabilmente impreziosito da 3-4 bastoncini di cannella oltre che da svariate spezie (come l’anice, i chiodi di garofano e il cardamomo).

 

 

A livello di tradizioni e di leggende, senza dubbio, la cannella ne vanta un numero pari ai suoi utilizzi. E’ una spezia dalle origini remotissime: la Bibbia la menziona nel Libro dell’ Esodo, e gli antichi Egizi, gli Arabi (che la chiamavano Kin Anomon), i Greci e i Romani ne facevano ampio uso. Nel Medioevo, le sue virtù aromatizzanti e terapeutiche erano talmente apprezzate che cominciò ad essere importata dall’ Oriente tramite un flusso ininterrotto di carovane. I sovrani occidentali la adoravano letteralmente, tant’è che venne soprannominata “la spezia dei re”. All’ inizio del XVII secolo, visto il gradimento che riscuoteva in Europa, gli olandesi implementarono una solida attività di importazione tra i Paesi Bassi e lo Sri Lanka, diffondendo la cannella in modo massiccio nel Vecchio Continente. Questa spezia fu introdotta anche in paesi come il Madagascar, la Malesia, le Antille, mentre la cannella cinese (Cinnamomum Aromaticum) ha una storia a parte: le testimonianze che ne attestano l’ uso prevalentemente terapeutico in Cina risalgono, addirittura, al 2700 a.C.  Ben presto, intorno alla cannella cominciarono a forgiarsi molte leggende. Una di queste era incentrata sulla sua sacralità: si narrava che il Cinnamomum Zeylanicum fosse una delle sostanze depositate nel nido dell’ Araba Fenice, e che da tale condizione attingesse i suoi poteri curativi.

 

 

Anche Ovidio, nelle “Metamorfosi”, cita la cannella in relazione al nido della Fenice, mentre fu nel Medioevo che si iniziò a definirla “spezia regale”. Nelle corti, di cannella si faceva un uso smisurato. Durante i banchetti era onnipresente e la si utilizzava proporzionalmente al potere degli invitati: più erano autorevoli, maggiore era la quantità che veniva loro offerta. La “spezia d’Oriente” per eccellenza divenne un vero e proprio emblema delle teste coronate, che erano soliti riceverla in dono. Il porto di Venezia, crocevia tra Oriente e Occidente, accrebbe progressivamente il suo prestigio grazie alla massiccia importazione di cannella. Tra il 1400 e il 1500, con l’ apertura della “rotta delle spezie”, da Lisbona partivano regolarmente navi che giungevano in Indonesia per procurarsi chiodi di garofano, cannella, pepe e noce moscata. In Europa avevano un valore enorme, giacchè all’ uso culinario di queste spezie veniva affiancato quello terapeutico. La rotta, nel 1600, passò sotto il controllo dell’ Olanda che divenne il principale importatore di spezie. Per concludere, una curiosità. Pare che Nostradamus, nel Rinascimento, esaltasse il cruciale ruolo della cannella nel prodigioso filtro d’amore che aveva creato: a suo dire, bastava berne un sorso per far capitolare la persona concupita!