Virginia Frances Sterrett: il talento di un’illustratrice da mille e una notte

Da “Arabian Nights” (1928)

Non conoscevo ancora la sua arte, ma proprio ieri, mentre cercavo un’immagine da abbinare all’estratto da “Le Mille e una Notte”, mi sono imbattuta in una delle sue illustrazioni: è stato amore a prima vista. Virginia Frances Sterrett, nata a Chicago nel 1900, si è imposta come una delle più grandi illustratrici del suo tempo. Eppure ha avuto una vita breve, è morta a soli 31 anni a causa della tubercolosi, e il destino l’ha messa alla prova duramente sin dall’infanzia. Dopo aver perso il padre, si trasferì in Missouri insieme alla famiglia. Ma non si trattò di un trasferimento di lunga durata: nel 1915 era di nuovo a Chicago, dove frequentò il liceo e potè iscriversi subito dopo alla School of the Art Institute grazie a una borsa di studio. Frequentava la Scuola da circa un anno quando sua madre si ammalò gravemente e fu costretta ad abbandonare gli studi. Cercò lavoro per sostentare la famiglia e lo trovò in un’agenzia pubblicitaria, ma ottenne anche un importante incarico: la Penn Publishing Company le commissionò una serie di illustrazioni per il volume “Old French Fairy Tales”, la raccolta di fiabe della Contessa di Ségur. Era il 1920, e Virginia Frances Sterrett si affermò immediatamente come uno dei talenti più abbaglianti dell’arte dell’illustrazione. La tubercolosi, all’epoca, le era stata già diagnosticata. L’anno successivo, la stessa casa editrice le chiese di illustrare “Tanglewood Tales”, un libro in cui l’autore statunitense Nathaniel Hawthorne rielaborava noti miti greci ad uso e consumo dei bambini. Nel 1923 fu la volta di “Arabian Nights” (“Le Mille e una Notte”), l’affascinante antologia di racconti risalenti all’età dell’oro islamica: questo lavoro, che Virginia realizzò mentre la tisi le stava minando la salute completamente, la rese celebre. Le illustrazioni che creò per il volume stupirono il pubblico e gli addetti ai lavori con il loro immenso fascino. I paesaggi, i luoghi e i personaggi sono impregnati di magia, di uno straordinario esotismo. Virginia Frances Sterrett non aveva mai avuto l’opportunità di visitare quelle terre lontane; paesi quali l’ Egitto, la Mesopotamia, la Persia, l’India, la Cina, rivivono nella sua fantasia come evocati da un sogno. “Arabian Nights” fu pubblicato nel 1928 e le tavole a colori dell’ illustratrice di Chicago vennero giudicate un vero e proprio cavolavoro. Tra il 1929 e il 1930, approfittando di un lieve miglioramento delle sue condizioni di salute, Virginia Frances Sterrett si trasferì in California, dove partecipò a svariati concorsi artistici e iniziò ad illustrare la raccolta “Myths and Legends”, un libro che non vide mai la luce: l’8 Giugno del 1931 Virginia morì, stroncata dalla tubercolosi.

 

Illustrazioni tratte da “Old French Fairy Tales” (1920)

 

Illustrazioni tratte da “Tanglewood Tales” (1921)

 

Illustrazioni tratte da “Arabian Nights” (1928)

 

Tutte le immagini by Virginia Frances Sterrett, Public Domain, via Wikimedia Commons

 

Orione

 

“Tre astri luminosi, vicinissimi tra loro, brillano poco sopra l’orizzonte boreale: sono “la cintura di Orione”, uno dei giganti del cielo. Nel Medioevo li chiamavano “i tre re Magi”. Orione proviene dall’astronomia mesopotamica, da dove deriva il suo nome: era URU-ANNA, e raffigurava l’eroe Gilgamesh in lotta contro il toro celeste, GUD-ANNA. Orione era noto ai Greci dalle epoche più antiche; quando Omero parla di Ulisse che naviga nella notte sulla sua zattera solo, diretto verso Itaca, sopra il capo gli fa splendere Orione mentre un’altra bestia celeste, l’Orsa, lo spia temendo che persino in cielo il gigante continui la sua vita di selvaggio cacciatore. Orione infatti era il grande cacciatore dei Greci; la sua del resto non è una semplice costellazione, ma un complesso di personaggi che gli stanno attorno e animano la sfera celeste come un mosaico: ai suoi piedi corre il Cane che lo accompagna nella caccia, e in cui avvampa una delle stelle più importanti del firmamento, Sirio; il Cane insegue la Lepre. Dall’altra parte del cielo lo Scorpione, che un giorno lo uccise (come vedremo), lo minaccia, mentre accanto a lui sta il Toro contro cui appunto anche Gilgamesh combatteva e che Orione sembra voler affrontare brandendo una clava o una spada. Lo si immaginava infatti con una spada in una mano, o sul fianco, e la pelle di un leone nell’altra, e gli antichi avevano una considerazione speciale per questa figura astrale (…) E’ nella costellazione di Orione che splende Betelgeuse, una grande stella pulsante, una delle stelle storicamente più studiate in astronomia: è lei (dice il suo nome in arabo) “il braccio del gigante”, ma la stella più vivida della costellazione sta più in basso, Rigel, “luce del cielo”, sul suo piede. Orione, diceva il mito più antico, era figlio di Poseidone e di Euriale, figlia di Minosse. Quando nacque, il suo genitore divino gli fece il dono di poter correre sopra il mare come se fosse terraferma, scavalcando la spuma delle onde.”

Giulio Guidorizzi, da “I miti delle stelle” (Raffaello Cortina Editore, 2023)

 

L’agrifoglio: simbologia e miti di uno degli emblemi del Natale

 

In Inverno, le sue bacche rosse fuoco punteggiano il candore della neve. L’agrifoglio è inconfondibile. A Natale, fa bella mostra di sé in ricche ghirlande e scenografiche decorazioni ornamentali: non a caso, è uno dei più noti emblemi delle feste natalizie. Partiamo con una premessa. L’agrifoglio, innanzitutto, non ha niente a che vedere con il pungitopo; il primo, l’Ilex Aquifolium, è una pianta appartenente alla famiglia delle Aquifoliaceae, mentre il secondo, il Ruscus Aculeatus, proviene dalla famiglia delle Asparegaceae. Entrambi erano utilizzati per allontanare i topi dalle provviste alimentari, ma presentano notevoli differenze. L’agrifoglio, infatti, ha delle foglie pungenti, dalla forma seghettata e color verde scuro. A confonderlo con il pungitopo è stato il nome di pungitopo maggiore che gli è stato affibbiato. Le due piante, inoltre, in Inverno maturano le loro bacche e fanno immancabilmente parte delle decorazioni natalizie. Ma torniamo all’agrifoglio, e scopriamo perchè viene considerato un simbolo del Natale. Anticamente, con l’arrivo del Solstizio d’Inverno, l’Ilex Aquifolium aveva una funzione di buon auspicio. Maturando proprio in quel periodo, rientrava tra i preparati erboristici di cui gli agricoltori si avvalevano per combattere gli acciacchi stagionali: bastava lasciare a mollo le foglie nel vino novello e poi bere il portentoso infuso.

 

 

All’agrifoglio, tuttavia, venivano attribuiti poteri magici anche in tempi più remoti: era il 100 a.C. quando Plinio Il Vecchio esortava i romani a coltivarlo nei pressi delle loro case, poichè le sue foglie spinose avrebbero creato una barriera contro la negatività e gli spiriti maligni. Gli antichi romani solevano adornarsi di agrifoglio durante i Saturnali, le feste in onore di Saturno (dio della semina e dell’agricoltura) che si tenevano ogni anno dal 17 al 23 Dicembre: i rametti di agrifoglio li avrebbero preservati dalla malasorte. Questa pianta, dunque, veniva considerata un amuleto che teneva a debita distanza i malefici. Sempre nell’antica Roma, per propiziare la fortuna, si usava regalare un rametto di agrifoglio alle coppie di giovani sposi. Per i Celti, la pianta dell’agrifoglio era addirittura sacra. Con il suo legno costruivano armi e scudi, in più la utilizzavano a mò di talismano durante i rituali. Il fatto che l’agrifoglio resistesse ai fulmini determinò la sua associazione con Thor e Taranis, divinità del tuono della mitologia norrena: non di rado, l’agrifoglio veniva usato come parafulmine nei paraggi delle abitazioni. I Druidi ritenevano che l’Ilex Aquifolium proteggesse dalle forze del male; in quanto pianta sacra, poi, era assolutamente proibito tagliare il suo tronco sebbene il divieto non riguardasse i rami. La funzione protettiva attribuita all’agrifoglio, senza dubbio, fu ispirata dalle foglie pungenti che la pianta usa a scopo difensivo.

 

 

La pianta sacra degli antichi Celti rientra anche tra i miti di Yule, il Solstizio d’Inverno: simboleggiando la metà più buia e gelida dell’anno si associava al Re Agrifoglio, raffigurato come un anziano perennemente sorridente dalla lunga barba bianca. Il Re Agrifoglio, a ogni Solstizio, lottava contro il Re Quercia, impersonificazione dei mesi in cui il Sole torna a splendere, e l’uno aveva la meglio sull’altro a fasi alterne. Il Solstizio d’Inverno sanciva il trionfo del Re Quercia sul Re Agrifoglio, favorendo il ritorno progressivo della luce; durante il Solstizio d’Estate, invece, era il Re Agrifoglio a vincere il combattimento: ciò determinava la graduale ricomparsa dell’oscurità e l’assopimento della natura. Le figure del Re Quercia e del Re Agrifoglio erano strettamente connesse, l’una non avrebbe mai potuto esistere senza l’altra. I due Re si fronteggiavano in un equilibrio perfetto, così come perfettamente armonico era il trionfo del primo sul secondo e viceversa. Con l’avvento del Cristianesimo, l’agrifoglio divenne il principale ornamento natalizio. Questa usanza prese piede in Irlanda; chiunque, persino i più poveri, avrebbe potuto procurarsi dei rametti di agrifoglio per decorare la propria casa. In quel periodo, per via delle foglie, la pianta cominciò a simbolizzare la corona di spine di Cristo, le bacche rosse vennero associate al suo sangue e i fiori bianchi alla purezza della Vergine Maria. All’ Ilex Aquifolium è legata una splendida leggenda che ha per protagonisti un orfanello e Gesù Bambino. L’orfanello, quando ebbe notizia della nascita di Gesù, corse a Betlemme per regalargli una corona di alloro. Ma poi, considerando il suo dono troppo modesto, esplose in un pianto irrefrenabile. Gesù Bambino, per consolarlo, tramutò quindi in bacche rosse le sue lacrime e la corona di alloro in una corona di agrifoglio, che sarebbe stata per lui di buon auspicio e lo avrebbe protetto dal male.

 

 

Foto via Pixabay e Unsplash

 

Aurora Borealis

 

“E nella notte giovinetto insonne
vidi la luce postuma, lo spettro
dell’alba: tremole colonne
d’opale, ondanti archi d’elettro.”

(Giovanni Pascoli, da “L’ Aurora Boreale”)

 

E’ meraviglia, stupore, magia pura: colori che danzano e si intrecciano nel cielo notturno, bagliori variopinti che prendono vita dove il suolo, le case e le foreste sono perennemente ricoperti di neve. L’aurora boreale non è che un fenomeno ottico, eppure affascina e ispira l’ uomo sin da tempi remotissimi. Il cielo buio che all’ improvviso si addensa di multiformi scie viola, rosse, gialle e rosa è uno spettacolo straordinario e incomparabile. A prevalere, comunque, sono le tonalità del verde e dell’azzurro: si librano splendenti nell’ oscurità e la squarciano con le loro cromie mozzafiato. Se visitate il Grande Nord, l’aurora boreale è un evento da non perdere per niente al mondo. Gli antichi popoli la consideravano un fenomeno magico, originato dagli spiriti, e su di essa hanno imbastito innumerevoli leggende. Oggi, sappiamo che i cosiddetti “archi aurorali” (le scie fosforescenti che invadono la notte) vengono generati dall’ incontro tra i protoni e gli elettroni del vento solare con la ionosfera terrestre. Quando cessa la stimolazione a cui sono sottoposti, gli atomi atmosferici sprigionano fasci di luce che coinvolgono svariate lunghezze d’onda. Si definisce aurora boreale il fenomeno che si verifica nell’ emisfero Nord, per quanto riguarda quello Sud si parla di aurora astrale.

 

 

Ma dove è visibile l’aurora boreale, esattamente? Senza dubbio in Scandinavia, in particolare nella Lapponia svedese, norvegese e finlandese. Ma anche in Canada, Groenlandia, Islanda, Alaska, negli arcipelagi scozzesi delle Shetland e delle Orcadi, nella Russia del nord. Questa specifica area del mondo, non a caso, è stata ribattezzata “ovale aurorale”. Tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo, le “northern lights” (come le chiamano gli anglosassoni) sono numerosissime. Il periodo migliore per ammirarle è proprio adesso, anche perchè le interminabili notti polari permettono alle luci e ai colori di rifulgere più intensamente. Gli orari preferibili per restare estasiati davanti a questo spettacolo vanno dalle 18 all’ 1. Nell’arco dell’ anno, il fenomeno in genere è visibile da Settembre a fine Marzo.

 

 

Fa eccezione l’Islanda, dove l’aurora boreale appare 12 mesi su 12. In Estate, tuttavia, è scarsamente visibile a causa del chiarore del cielo. Se volete ammirarla è più facile che possiate farlo da Settembre a circa metà Aprile: le luci risplendono in modo tale da renderla distinguibile anche a Reykjavik, la capitale del paese. A pochi chilometri da lì, in mezzo alla natura incontaminata, sorge un osservatorio d’eccezione, l’ Aurora Basecamp. Al suo interno è possibile godere di una visuale del fenomeno in tutto comfort, in un ambiente riscaldato e sorseggiando una cioccolata calda. L’alternativa all’ Aurora Lounge (questo il nome dello spazio) è rappresentata dal Dark Park, una cupola avveniristica collocata all’esterno dove viene simulato, tramite uno sbalorditivo gioco di luci e di effetti speciali, lo spettacolo dell’aurora boreale.

 

 

Per prevedere quando si verificherà il fenomeno reale, invece, basta affidarsi alle notti limpide (quando le luci sono maggiormente visibili) o a siti come il finlandese Auroras Now. C’è un altro aspetto che accresce l’enorme fascino dell’aurora boreale, ovvero le leggende che nei secoli sono sorte attorno ad essa. Non riuscendo a spiegarsi  il perchè di questo evento, gli antichi popoli nordici l’hanno associato di volta in volta a miti, rituali e avvenimenti misteriosi. Secondo una leggenda finlandese, ad esempio, l’aurora boreale fu originata da una volpe: non è un caso che nella terra dei Finni sia chiamata “revontulet”, cioè “fuochi della volpe”. La leggenda racconta che una volpe fatata, dirigendosi al festival d’inverno come ogni anno, si accorse di essere incredibilmente in ritardo. Allungò il passo e prese a correre, ma non riuscì più a mantenere la coda alzata. La coda cominciò così a cozzare sulla neve che ammantava il tragitto. Da ogni urto scaturivano scintille che, raggiungendo la volta celeste, esplodevano in un’aurora boreale.

 

 

Sempre in Finlandia, mentre le luci boreali volteggiavano nel cielo erano severamente proibiti gli applausi o qualsiasi altra manifestazione di giubilo: in caso contrario, gli spiriti sarebbero calati sulla terra per rapire i violatori della norma. A proposito di spiriti, in moltissime tribù eschimesi si credeva che durante l’aurora boreale giocassero a calcio nel firmamento utilizzando un teschio di tricheco. Non di rado, inoltre, le “northern lights” venivano identificate con dei presagi di buona o di cattiva sorte:  si pensava che concepire un bambino nel corso del fenomeno gli avrebbe portato fortuna per tutta la vita. Alle aurore nei toni del rosso, invece, si associavano premonizioni decisamente inquietanti. Nel ‘700, in Scozia e in Inghilterra il fenomeno si presentò tramite luci rosso fuoco; qualche settimana dopo, a Parigi scoppiò la Rivoluzione Francese. Le aurore fiammeggianti divennero quindi un presagio di guerra e di sangue, terrificando il popolo pur essendo eventi molto rari.

 

 

 

Yule

Amo la neve, la neve e tutte le forme di gelo radioso.
(Percy Bysshe Shelley)

 

Oggi, 21 Dicembre, diamo il benvenuto all’ Inverno. Il Solstizio si verificherà alle 16.58 in punto, esattamente 17 minuti dopo il calar del sole. Sarà la giornata più corta dell’ anno: in Italia avremo una media di 8-9 ore di luce contro le rimanenti di buio pesto. Durante il Solstizio d’Inverno la potenza dell’ armonia cosmica è nettamente percepibile, così come le vibrazioni che emana. Lo spazio e il tempo sembrano cristallizzarsi, sospendersi in attesa di una metamorfosi. L’ oscurità prende il sopravvento, occultando sotto il suo manto la luminosità solare. Una frase dello scrittore statunitense John Updike descrive questo fenomeno alla perfezione: “Le giornate sono brevi. Il sole una scintilla sospesa tra buio e buio.” Siamo a Yule: così veniva chiamato il Solstizio d’Inverno dai popoli germanici dell’ era precristiana. La magia aleggia nell’ aria, rievocando la suggestività di una ricorrenza celebratissima nelle lande del Nord Europa. Si pensa che il nome Yule derivi da un termine norreno, Hjòl, ovvero ruota, poichè il Solstizio d’Inverno coincideva con il punto più basso in cui si trovava la ruota dell’ anno prima di iniziare la sua risalita. Ma Jul è anche una radice scandinava che ha il significato di “festa, banchetto”, mentre la mitologia norrena chiama “joln” gli dei e Jolnir (il Signore degli dei) è uno dei molteplici nomi di Odino. La rilevanza di Yule risiedeva nel fatto che il Sole, quel giorno, cominciava a rinascere a poco a poco. Gli antichi popoli festeggiavano tramite rituali e tradizioni la sua rigenerazione: falò, candele e fuochi ricorrevano in riti finalizzati a incoraggiare l’ ascesa del Sole. A Yule il Vecchio Sole moriva, e dalle viscere della Madre Terra nasceva il Sole Bambino. L’ importanza conferita al concetto di “ciclicità” è palese, dato che all’ epoca vigeva un rapporto di stretta dipendenza tra l’ esistenza umana e i cicli naturali.  Morte, metamorfosi e rinascita diventavano un tutt’uno, il giorno del Solstizio. Non è un caso che la pianta simbolo di Yule fosse il vischio: il sempreverde sacro dei Druidi rimandava alla vita grazie alle sue bacche bianche, lucenti, simili allo sperma. Narrava una leggenda che fosse scaturito da un fulmine, di conseguenza veniva ricondotto al divino. Il vischio quercino possedeva una valenza emblematica ancora più potente, giacchè all’ immortalità dell’ albero secolare si coniugava l’ immediatezza, l’ “hic et nunc” della rigenerazione.

 

Ma anche l’agrifoglio ricopriva un ruolo fondamentale, rispetto ai miti di Yule. La lotta tra due poli opposti (Buio e Luce, Inverno e Estate, Vita e Morte) costituiva il perno della mitologia e delle leggende antiche. L’ agrifoglio, in questo senso, simboleggiava la parte più buia e più gelida dell’ anno, la fase calante dell’ Hjòl. All’ agrifoglio era associato il “vecchio”: il Re Agrifoglio, che lo impersonificava, veniva raffigurato come un anziano dalla barba bianca e dal sorriso perenne. Il Re Quercia, emblema della fase crescente della ruota dell’ anno, quella in cui le giornate si allungano e il Sole torna a splendere, era invece collegato al “nuovo”. Si diceva che i due Re si affrontasero in occasione dei Solstizi, e che l’ uno avesse la meglio sull’ altro a fasi alterne. Il Solstizio d’ Inverno vedeva il trionfo del Re Quercia sul Re Agrifoglio, favorendo quindi la rinascita graduale della luce; durante il Solstizio d’Estate era il Re Agrifoglio a vincere la lotta: ciò determinava la ricomparsa dell’ oscurità e l’ assopimento della Natura. E’ essenziale sottolineare come le due figure fossero strettamente interconnesse, l’ una non avrebbe mai potuto esistere senza l’altra. Le forze del Re Agrifoglio e del Re Quercia si fronteggiavano in un equilibrio perfetto, così come perfettamente armonico era il trionfo del primo sul secondo e viceversa. La lotta tra i due era fondamentale al fine di garantire la metamorfosi, la ciclicità, la trasformazione: punti cardine dei Solstizi e soprattutto di Yule, a cui si associa il fascino del progressivo risveglio.

Non mi resta che augurarvi un felice Yule. Che possiate custodire la magia dell’ Inverno dentro di voi…Nonostante l’ infinita pandemia e le nuove incombenti restrizioni.

Equinozio di Primavera

 

Buon Equinozio di Primavera! Oggi, la Primavera fa il suo ingresso ufficiale. Giorno e notte avranno una durata identica – Equinozio deriva dal latino “aequus nox”, ovvero “notte uguale” – e il Sole, giunto allo Zenit dell’ Equatore, irradierà i suoi raggi perpendicolarmente rispetto all’ asse di rotazione terrestre. In sintesi, l’Equinozio rappresenta il preciso istante in cui il movimento della Terra attorno al Sole coincide con il posizionamento di quest’ ultimo allo Zenit. Ma l’ Equinozio non è solo astronomia: l’ arrivo della bella stagione è associato a miti, rituali e leggende che risalgono alla notte dei tempi. Non è difficile immaginare, infatti, che il trionfo della luce sul buio e il risveglio della natura abbiano assunto delle forti connotazioni simboliche presso le civiltà più antiche. In Mesopotamia, secoli e secoli orsono, l’ Equinozio di Primavera e il Capodanno combaciavano: rappresentavano entrambi un nuovo inizio. Nel mondo occidentale, dove un numero incalcolabile di popoli celebrava  i cicli della Natura con feste e rituali, il mito della Dea Persefone riveste un’ importanza fondamentale. Racconta la leggenda che Persefone, figlia di Demetra (la Dea della Madre Terra), venne rapita da Ade, il signore dell’ Oltretomba, che la portò con sè negli Inferi. Demetra ne fu così addolorata che minacciò di condannare la Terra alla distruzione, se sua figlia non avesse fatto ritorno.  Zeus ordinò quindi che fosse liberata. Ma quando Persefone riabbracciò sua madre, Demetra si accorse che era ormai una donna, non più la sua bambina. Allora, Zeus stabilì che Persefone avrebbe trascorso metà dell’ anno nel Regno dei Vivi, con Demetra, e l’ altra metà con Ade nelle profonde viscere della terra. Fu così che la natura divenne ciclica e che ebbero inizio le quattro stagioni. La Primavera celebrava, al tempo stesso, la natura che rifiorisce e il ritorno di Persefone, che riportava la vita e ripristinava il rinnovamento. In onore di Demetra e di sua figlia, nella Grecia antica si istituirono i Misteri Eleusini: si svolgevano da metà Febbraio a metà Marzo ed erano riti misterici di tipo iniziatico che accompagnavano gli adepti alla scoperta della Conoscenza, della Verità e dell’ Immortalità. Le due Dee, emblemi di fertilità e rinascita, si identificarono per sempre con la bella stagione. L’ Equinozio era una data cruciale anche per gli antichi romani, che proprio a Marzo (il mese dedicato al dio Marte, padre di Romolo e Remo) facevano iniziare l’ anno,  mentre i nordici Celti preferivano festeggiare la rinascita a Beltane, il 1 Maggio.

 

 

Al di là dei resoconti storici, comunque, ciò che conta è la valenza simbolica dell’ Equinozio di Primavera, chiamato Ostara dai popoli germanici (dal nome di Eostar, Dea della fertilità) e Alban Eiler, “Luce della Terra”, in lingua gallese. Alle connotazioni di rinascita e ritorno della luce si affianca quella di un’ unione cosmica tra divinità maschile e femminile: il Dio Sole e la Dea Terra si accoppiano, la loro fusione è sinonimo di vita. Un’ antica tradizione equinoziale prevedeva che si accendesserò dei falò in collina, la cui durata sarebbe stata direttamente proporzionale alla fecondità del terreno. L’ Equinozio rappresenta anche una svolta che ci riguarda personalmente, che coinvolge la nostra esistenza e la nostra interiorità. A Alban Eiler rinasciamo a nuova vita: è il momento di fare progetti, di concretizzare i sogni, di andare incontro ai sentimenti senza remore. Dovremmo sentirci un tutt’ uno con la natura che germoglia, sbocciare a nostra volta per seguire questo flusso rigoglioso e inarrestabile. L’ Universo è in armonia perfetta. Le ore diurne e notturne si equivalgono, il sole torna a splendere e la terra a rinverdirsi.

 

 

Ostara, inoltre, è il nome da cui deriva il termine Pasqua nelle lingue germaniche: in tedesco Ostern, in inglese Easter. Ciò rimanda all’ opera di sostituzione e di “riassorbimento” adottata dalla chiesa cristiana nei confronti delle ricorrenze pagane. Nel 325 d.C., il Concilio di Nicea stabilì di contrapporre le celebrazioni per la risurrezione di Cristo ai rituali in onore del riveglio della natura; la Pasqua, di conseguenza, fu fissata alla domenica successiva al primo plenilunio dopo l’ Equinozio di Primavera. A Ostara i popoli germanici inneggiavano alla Dea della fertilità con l’ accensione di un cero, emblema della fiamma dell’ esistenza, che veniva fatto ardere nei templi fino all’ alba. A proposito di Ostara, sapete quali sono i suoi colori? Tonalità pastello come il rosa, il celeste, il giallo, il verde. Suoi caratteristici simboli sono invece le uova, i nidi delle lepri, la luna nuova e le farfalle. Non vi ricordano un po’ le cromie e l’ iconografia tipicamente pasquali? Per concludere, alcuni elementi collegati al significato spirituale dell’ Equinozio: un’ audacia, un entusiasmo, una gioia di vivere rinnovati che portano al desiderio di abbracciare nuove svolte e nuovi progetti. La positività, l’ apertura nei confronti degli altri, l’ evoluzione, l’ incremento della consapevolezza di sè. Vi auguro di far vostri questi input, e che possiate trascorrere un Equinozio di Primavera assolutamente speciale.

 

John William Waterhouse, “Gather ye rosebuds while we may”, 1909

John William Waterhouse, “A song of Springtime”

John William Waterhouse, “Spring spreads one green lap of flowers”, 1910

John William Waterhouse, “Persephone”, 1912

 

 

 

Foto: quinta immagine dall’ alto via Sofi, “Ida Rentoul Outhwaite, “Spring””, from Flickr, CC BY-NC 2.0

Felice Yule

 

Fin da piccolo pensavo che la brina fosse polvere magica che il vento regalava all’inverno per renderlo più bello, dolce e meraviglioso. Quando quella polvere magica copre ogni cosa, so che la natura non lascia nulla al caso.
(Stephen Littleword)

Felice Solstizio d’Inverno, felice Yule. Chi segue VALIUM sa che mi riferisco al Solstizio prendendo in prestito il nome che aveva nell’ antica tradizione germanica e celtica dell’era pre-cristiana: un nome che – derivante dal norreno “Hjòl” (ovvero “ruota”) – indicava il punto più basso in cui, in questo periodo, si trova la Ruota dell’ Anno. Oggi, il sole raggiunge la declinazione minima nel suo apparente percorso sull’ Eclittica. Il giorno è brevissimo, la notte interminabile, ma le ore di luce torneranno ad allungarsi (seppure impercettibilmente) già da domani. L’ immenso fascino di Yule risiede nella sua valenza simbolica, nel suo incarnare il passaggio tra Autunno e Inverno, tra buio e luce. Miti, tradizioni e rituali associati a Yule risalgono a tempi remotissimi (rileggete qui il post che VALIUM ha dedicato un anno fa all’ argomento). Risaltano i temi incentrati sulla morte, sulla trasformazione, sulla rinascita, perchè il Solstizio d’ Inverno è tutto questo all’ unisono: vita nella morte, luce che si rigenera nell’ oscurità. Non è un caso che presso gli antichi Celti vigesse un rito in cui le donne, immerse nel buio più totale, attendevano che gli uomini rincasassero portando loro una candela per accendere il fuoco; subito dopo, avrebbero celebrato tutti insieme il ritorno della luce, la luminosità emanata dalle fiamme del focolare. Perchè se Yule è neve, cielo color grigio perla, aria pungente, gelo e brina,  è anche – e prima di ogni altra cosa – una promessa di luce. A corredare questo post non troverete foto, ma solo illustrazioni: per esaltare le atmosfere magiche. senza tempo e di pura meraviglia che il Solstizio d’ Inverno porta con sè.

 

 

 

 

Yule, Solstizio d’ Inverno

 

Oggi, l’ Inverno fa il suo ingresso ufficiale. La notte raggiunge la sua massima durata e il giorno è un barlume fugace, pronto a svanire dopo poche ore. I fiocchi di neve, prima di imbiancare il suolo, sembrano cristallizzarsi nell’aria gelida: freddo e oscurità predominano. L’ atmosfera è impregnata di un sentore magico, il tempo si arresta come per immortalare istanti di solennità. E’ il Solstizio d’Inverno, e già da domani la luce, seppur impercettibilmente, farà poco a poco il suo grande ritorno. Non è un caso che l’ inglese “Yule” paia derivare dal norreno “Hjòl”, “ruota”, perchè con il Solstizio la ruota dell’ anno si trova nel suo punto più basso prima di ricominciare a salire. Da Hjòl potrebbero aver avuto origine il tedesco, il danese e lo svedese Jul così come l’islandese e il norvegese Jol, che stanno entrambi ad indicare sia il Solstizio d’Inverno che il Natale. I popoli germanici precristiani erano soliti associare innumerevoli leggende e simbolici rituali a questa data di transizione tra il buio e la luce. Ecco allora il Vecchio Sole che muore e il Sole Bambino che viene al mondo, il Re Agrifoglio (il re dell’ anno vecchio) che lascia il posto al Re Quercia (il re dell’ anno nuovo) ma, soprattutto, i falò: supremi emblemi di luce, inneggiavano alla rinascita del sole. Gli antichi Celti li tramutarono nel perno delle loro celebrazioni, danzando e festeggiando fino all’ alba intorno ai fuochi propiziatori. A Yule morte e rinascita sono mediate dalla trasformazione, poiche tutto ciò che perisce si trasforma per originare una nuova vita; è all’eterno ciclo della natura, infatti, che si rifanno i miti del Solstizio. E in questo primo giorno d’ Inverno, voglio augurarvi un Felice Yule con una spettacolare serie di abiti di Haute Couture: bianchi e fiabeschi come quelli di una Regina delle Nevi.

 

Ralph & Russo

Guo Pei

 

Givenchy

 

Ashi Studio

Georges Hobeika

Jean-Paul Gaultier

 

Yanina Couture

Dolce & Gabbana

 

Stephan Rolland

Elie Saab

 

Illustrazione “La Regina delle Nevi” by Elena Ringo http://www.elena-ringo.com [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]