Il lato oscuro del Natale: gli aiutanti di San Nicola e altre figure orrorifiche

 

“Molte sono le tradizioni popolari sorte attorno al periodo natalizio: i mesi più oscuri dell’anno, che vanno dal tardo autunno fino a inverno inoltrato, e in particolare le Dodici Notti, tra Natale e l’Epifania, sono teatro di leggende e apparizioni numinose che hanno impressionato i popoli europei, tanto da dare luogo a usanze probabilmente di origine antichissima, risalenti al periodo pre-cristiano. Non possiamo parlare tuttavia di una continuità che attraversi così tanti secoli, quanto piuttosto di un continuo scomparire e riapparire di motivi che si ripropongono sempre concettualmente simili, e che hanno dato luogo ad espressioni riconoscibili nel corso delle varie epoche storiche.”

(Alberto Paganini, da “Yule. Riti, tradizioni e spiriti del Natale”, a cura di Davide Marré, di Alessandro Azzoni et al., Phanes Publishing)

 

Il Natale ha anche un lato oscuro? La risposta è sì. Ed è facilmente comprensibile: nel giorno del Solstizio d’Inverno, buio e luce coesistono immancabilmente. Il buio, che coincide con la “morte” temporanea della natura, il gelo e il riposo stagionale, torna a lasciar spazio alla luce, quindi alla fertilità e alla rinascita, a poco a poco. Ma il predominio delle tenebre, sebbene sia in procinto di cedere innanzi al ritorno della luce, persiste ancora, e nel corso dei secoli si è incarnato in figure cupe e altamente simboliche la cui origine affonda nella notte dei tempi. Molti di questi personaggi sono legati a San Nicola, il Santo che ispirò il mito di Babbo Natale (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), rappresentando una sorta di dualismo tra il bene e il male. Se San Nicola era un protettore dei fanciulli, e nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre si prodigava a distribuire doni ai bimbi buoni, i suoi aiutanti impersonavano la sua controparte oscura: si incaricavano di castigare i bambini che non si erano comportati bene e lo facevano in modo cruento, servendosi di punizioni corporali e fustigazioni. Lo stesso aspetto di questi aiutanti era assai inquietante. Le leggende li descrivono come demoni spaventosi, flagellatori incappucciati, briganti infidi e malvagi. Tali personaggi prendono vita prevalentemente nella tradizione germanica, scandinava e mitteleuropea, passando per la Francia orientale e i paesi dell’area alpina. Oggi andremo a conoscerne qualcuno, ma scopriremo anche figure che non hanno nulla a che vedere con San Nicola.

 

Krampus

 

In Trentino Alto-Adige, Austria e nel sud della Germania, lo conoscono molto bene: in quelle zone, la notte tra il 5 e il 6 Dicembre, si organizza ancora oggi la corsa dei Krampus (Krampuslauf), durante la quale un branco di questi terrificanti personaggi sfila tra il pubblico minacciandolo e reagendo aggressivamente alle provocazioni. Il Krampus ha l’aspetto orripilante di un demone; è munito di lunghe corna, zampe caprine e ricoperto di un vello abbondante. Il suo volto è spaventoso, contratto in un eterno ghigno, gli abiti laceri che indossa sono assemblaggi di pelli animali. C’è un’antica leggenda che lo riguarda. Si narra che, secoli orsono, dei giovani avessero escogitato un metodo per combattere la carestia che affliggeva l’area alpina: organizzavano scorribande di gruppo cammuffati da demoni. Pellicce, corna, piume e quant’altro servivano a renderli irriconoscibili durante le loro incursioni nelle case dei villaggi, che saccheggiavano per nutrirsi. Il diavolo in persona, anche lui alla ricerca di cibo, cominciò a unirsi alle scorribande, ma un bel giorno il suo stratagemma fu scoperto. I giovani si accorsero degli zoccoli caprini che esibiva e chiamarono in soccorso San Nicola. Il Santo, dopo aver sconfitto il Diavolo, decise di relegarlo al ruolo di suo aiutante: l’avrebbe accompagnato nella consegna dei doni ai bambini buoni. Krampus approfittò subito dell’occasione per punire i bimbi cattivi fustigandoli con dei fasci di rami di betulla. La leggenda di Krampus, come abbiamo già visto, ha attraversato indenne i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni.

 

Krampus e San Nicola in un’illustrazione austriaca del 1896

 

Knecht Ruprecht

Ruprecht in un’illustrazione tedesca risalente al 1863

L’immagine che vedete qui sopra, evidentemente, è una libera interpretazione del personaggio: in realtà Knecht Ruprecht (“servo Ruprecht” tradotto dal tedesco), un altro aiutante di San Nicola, viene raffigurato come un monaco incappucciato che sfoggia un lungo mantello e una barba interminabile. Non è raro che cammini zoppicando; inoltre, non dimentica mai di portare con sè una frusta con cui castiga i bambini che si sono comportati male. Esistono diverse credenze sull’impietoso Knecht Ruprecht, una figura ricorrente nel folklore di Natale della Germania centro-nord: a volte, pare che chieda ai bambini di recitare preghiere per espiare i loro peccati. Se acconsentono, li premia con doni a base di dolci e frutti succosi; se rifiutano, li fustiga o scaglia loro addosso il suo sacco ricolmo di cenere.

 

Père Fouettard

Lo abbiamo già incontrato, ricordate? E’ il macellaio citato nell’articolo che ho dedicato a San Nicola. Père Fouettard proviene dalla Lorena, una regione della Francia orientale che confina con il Belgio, il Lussemburgo e la Germania. Fisicamente è alto e sottile, ha il viso cupo e una barba incolta. Indossa un lungo abito nero corredato di cappuccio, e agita continuamente le catene e i campanelli con cui sottolinea le sue minacce. Secondo la leggenda, Père Fouettard (dal francese “fouet”, frusta, e “fouetter”, frustare) è il macellaio che, nel 1150, attirò nella sua casa tre bambini di una vicina scuola e li fece a pezzi prima di metterli sotto sale: si proponeva di vendere la loro carne ai clienti della sua macelleria. Ma quando San Nicola venne a conoscenza di questa atrocità, resuscitò i bambini e costrinse Père Fouettard a diventare il suo aiutante. Da allora, l’ex macellaio lo segue eternamente ed è una sorta di suo alter ego oscuro. Punisce i bambini cattivi fustigandoli, ma si vocifera anche che lanci contro di loro una raffica di arance.

 

Frau Perchta

La rappresentazione di un perchtenlauf tirolese del 1892, una caccia agli spiriti maligni dell’inverno

Perchta, ovvero “La Splendente”, è una delle divinità da cui ha origine il mito della Befana (rileggi qui il mio articolo). La sua figura è ricorrente nelle tradizioni della regione alpina, dove viene rappresentata con un duplice aspetto: può essere una donna giovane, avvenente e luminosa come la neve, ma anche una terrificante strega con molti anni sulle spalle. Perchta, così come la dea germanica Holda, è detta “la Signora delle Bestie” poichè svolge una funzione protettrice sul mondo animale. Fa la sua apparizione nelle dodici notti, il periodo compreso tra il 25 Dicembre e il 6 Gennaio. Dicono che bussi di porta in porta per accertarsi che le famiglie si riuniscano come vuole la tradizione, ma è tassativo che le abitazioni risultino perfettamente in ordine: in tal caso, Perchta dona monete d’argento ai servitori. In caso contrario, invece, squarcia il loro ventre con un coltello molto affilato e al posto delle viscere inserisce una buona quantità di paglia, cavoli, pietre o spazzatura. La stessa sorte tocca ai membri della famiglia che non si sono comportati bene. In più, Perchta non è mai sola: un folto gruppo di demoni la accompagna nelle sue incursioni. A costoro spetta il compito di torturare le persone cattive, mentre la dea si incarica di salvaguardare dagli stessi le persone buone. A queste ultime, così come ai bambini diligenti, lascia sonanti monete d’argento nelle calzature. Per propiziarsi i favori di Perchta, le famiglie sono solite offrirle il porridge che hanno preparato in occasione della sua visita.

 

 

Belsnickel

Quella di Belsnickel è una figura medievale diffusasi nella Germania sud-occidentale (e successivamente in Pennsylvania, dove si è verificata una massiccia immigrazione tedesca). Belsnickel comincia ad apparire circa dieci giorni prima di Natale, e chi lo ha visto non potrà mai dimenticarlo: indossa abiti consunti, composti da toppe di pelliccia a cui sono cuciti innumerevoli campanellini, e ha il volto celato da una maschera. Porta con sè un sacco pieno zeppo di giocattoli e dolcetti per i bambini buoni e una frusta per castigare quelli cattivi. Il suo arrivo è tutto fuorchè silenzioso: Belsnickel viene preannunciato dai campanelli che tintinnano a ogni passo, poi bussa rumorosamente alle finestre e ai portoni per non passare inosservato. La leggenda vuole che imponga ai bambini di recitare alcuni versi, risolvere problemi matematici o citare determinati passi biblici. Se lo fanno correttamente, versa i dolci e i giocattoli sul pavimento, ma esiste una regola anche per raccoglierli: i bambini non devono dimostrarsi troppo bramosi di impossessarsene, o verranno puniti con la sua frusta.

Grýla

 

Appartiene al folklore natalizio islandese ed è una mostruosa donna troll: ha tredici code e zampe bestiali che sostituiscono le gambe. Tra i personaggi oscuri del Natale, è senza dubbio il più agghiacciante. Si dice che il 25 Dicembre esca dalla sua caverna alla ricerca di bambini che non si sono comportati bene durante l’anno; dopo averli attirati nelle sue grinfie, li utilizza per preparare lo stufato di carne. La dimora di Grýla, chiamata Fortezza Oscura perchè composta da una serie di grotte laviche, è situata nel nord dell’Islanda. Lì la gigantessa vive con tredici figli simili a gnomi dispettosi: ciascuno di loro è contraddistinto da una peculiarità ben precisa. A partire dal 12 Dicembre fino al 6 Gennaio, i figli di Grýla, uno dopo l’altro, raggiungono i villaggi dei dintorni per portare il caos. E’ anche possibile che vadano a trovare dei bambini; in questo caso, premieranno quelli buoni con un regalino mentre ai cattivi destineranno una patata andata a male. La famiglia di Grýla possiede un gatto, ma non pensate a qualche similitudine con i nostri dolcissimi amici felini: il ciclopico Jólakötturinn, questo il suo nome, nel periodo natalizio vaga per strada in cerca di umani da divorare.In Islanda, la gigantessa Grýla è talmente famosa da essere stata inclusa persino nell’“Edda”, i due importanti volumi di mitologia norrena che Snorri Sturluson scrisse nel XIII secolo.

Immagini: Public Domain via Pixels, Unsplash e Wikimedia Commons.

Père Fouettard via Etienne Mahler from Flickr, CC0 1.0 Universal

Grýla: illustrazione dell’artista islandese Tryggvi Magnússon pubblicata da Thorsteinn1996, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Ricordi di un’ estate che fu

 

Molti, in questa stagione segnata dal Covid, adorano ricordare gli episodi felici delle estati che furono. Rifugiarsi nel passato, in effetti, conforta e rigenera, seppure per pochi istanti…Anche se penso che la vita vada vissuta nel presente, oggi mi unisco al coro di chi ama ritornare con la mente ai “bei tempi andati”. E lo farò rievocando un luogo. Troppo scontato parlare del mare, delle spiagge tropicali, dei viaggi all’estero, dei locali bazzicati durante le vacanze. Voglio ricordare una location dell’ estate in città, così, semplicemente: una location associata a tanti anni fa, ma altrettanto suggestiva dei posti e delle situazioni che ho citato qualche riga addietro. Per me è stato e rimarrà sempre un luogo da sogno, emblema di bellezza e convivialità. Immaginate un monte a ridosso delle storiche Cartiere (chi segue VALIUM sa che abito a Fabriano, la “città della carta”), dove anticamente sorgeva un borgo romano. Civita, questo il nome  dell’ abitato,  nel tempo è diventata un’ area cosparsa di ville e case di campagna ombreggiate dalla fitta vegetazione. Tuttora rimane una traccia di quel remoto insediamento, la chiesa di Santa Maria di Civita: tra il XII e il XIII secolo ospitò Francesco di Assisi quando si recava in visita al suo confessore, il pievano Beato Ranieri. Nel corso dei secoli, il colle ha perso l’aura mistica ma non l’atmosfera idilliaca, e resta il luogo ideale in cui vivere per chi ama la privacy e il contatto con la natura.

 

 

Avrò avuto 15 o 16 anni quando un amico di mio padre ha iniziato ad invitarci a cena sulla splendida terrazza della sua casa di Civita. Era una grande terrazza, all’ ombra di una quercia e affacciata sulla valle dove si adagia Fabriano: per raggiungerla bisognava farsi strada tra stanze in stile bohémien dove spiccavano i quadri dipinti dal nostro anfitrione. Eh già, perchè l’ amico di mio padre era un pittore, reduce degli anni della Swingin’ London e molto sul genere “bello e dannato”. Anzi, dovrei dire bellissimo: fisicamente ricordava il Warren Beatty di “Shampoo”, le donne andavano pazze per lui. Originario della Mitteleuropa, poliglotta, arrivava al metro e 90 e i capelli gli sfioravano le spalle. In quella casa immersa nel verde viveva con la sua compagna ungherese e un cane enorme, tutto nero, che aveva chiamato Golia. Le cene d’estate con loro e la mia famiglia – nonostante fosse diversissima in quanto a “imprinting”, c’era una notevole sintonia reciproca – erano una meraviglia. Tra chiacchiere in libertà, calici di vino e il panorama delle mille luci della città di fronte, la terrazza diventava uno scenario mozzafiato con il canto dei grilli in sottofondo. Nel cielo brillavano miriadi di stelle, l’afa si stemperava con l’altura, di tanto in tanto le nostre voci venivano inframezzate dal motore delle macchine che si inerpicavano lungo i tornanti di Civita…e poi, l’autentico spettacolo della Fabriano tutta illuminata, maestosa e antica, distesa ai piedi del colle. Non so se per la compagnia, per la location o per la sensazione di dominare il paesaggio dall’ alto, ma respiravo un’ aria di pura libertà. Quelle serate estive sono rimaste impresse nella mia memoria, indelebili anche dopo svariati anni. Tantevvero che poco tempo fa, incontrando il proprietario della casa con terrazza dove viveva il nostro amico pittore, gli ho chiesto se per caso era in affitto o in vendita…