(Henry David Thoreau)
Il blog di Silvia Ragni
L’Africa ti cambia per sempre, come nessun altro posto sulla terra. Una volta che sei stato lì, non sarai più lo stesso. Ma come descrivere la sua magia a qualcuno che non l’ha mai provata? Come spiegare il fascino di questo continente vasto e polveroso, le cui strade più antiche non sono altro che i sentieri degli elefanti? Potrebbe essere perché l’Africa è il luogo di tutti i nostri inizi, la culla dell’umanità, dove la nostra specie si è messa a camminare in posizione verticale per la prima volta nelle savane molto tempo fa?
(Brian Jackmann)
Viaggio in Africa, il luogo da cui proviene l’anticiclone Caronte. Colori, suoni, profumi indescrivibili, una natura sconvolgente che si staglia contro un cielo sterminato: il terzo continente al mondo in quanto a vastità ci travolge in un vortice di emozioni. Tant’è che è stata coniata un’espressione, “mal d’Africa”, per descrivere la nostalgia che si impossessa di chi l’ha visitato e ne è rimasto catturato a tal punto da volerci a tutti i costi ritornare. In questo viaggio nei molteplici paesaggi africani – dal deserto alla savana, dalle montagne alla foresta pluviale – ci accompagnerà una serie di giovani ritratti nella loro realtà tribale: per immergerci nel mondo affascinante del folklore, della cultura, dei costumi e delle tradizioni di un continente complesso, ma ricco di un fascino che elargisce a piene mani.
Foto via Pexels
Solstizio. Il tempo sembra fare una sosta e guardarsi intorno in una sospensione di luce.
(Fabrizio Caramagna)
L’estate arriva oggi, un giorno prima rispetto al 21 Giugno, esattamente alle 22.51. E pare che dal lontano 1796 il Solstizio non fosse mai caduto così in anticipo: stiamo parlando di ben 228 anni fa! Nell’emisfero boreale inizia l’estate astronomica, i raggi del sole sono posizionati perpendicolarmente al Tropico del Cancro e l’astro infuocato risplende alla massima altitudine. E’ il giorno più lungo dell’ anno: in Italia avremo dalle 14 e mezzo alle 16 ore di luce consecutive. Il Solstizio d’Estate rappresenta, fin da tempi remotissimi, una delle date più importanti e festeggiate dell’anno. Non è difficile immaginare il perchè: la potenza solare è al suo apice, emana un’energia che ha a che fare con la vita stessa. La natura esplode rigogliosa, è tempo di raccolto, che per gli antichi popoli costituiva il sostentamento quotidiano. Ho parlato con dovizia di particolari, negli anni scorsi, del Solstizio d’Estate e delle sue caratteristiche: per rileggere l’articolo del 2023, cliccate qui. Oggi, invece, andremo alla scoperta di come Litha (così i pagani chiamavano il sabbat che celebravano il 21 Giugno) viene celebrato in alcuni paesi del mondo.
In tutte le culture, il Solstizio d’Estate è una data fortemente connessa con il Sole, la vita e la natura (che sono infatti un tutt’uno). I festeggiamenti più comuni riguardano l’accensione dei falò, simboli solari che esaltano il vigore dell’astro e hanno una funzione beneaugurante e purificatoria. L’energia del Sole, per gli antichi popoli, si concentrava nelle “ley lines”, le linee temporanee che congiungono luoghi ed elementi dall’importante valenza mistica. Ciò valeva anche per i dolmen, i mehir e i cerchi di pietre, monumenti in cui rientrano i megaliti di Stonehenge: il giorno del Solstizio i cristalli di caricano di energia solare, e le pietre di Stonehenge, ricche di quarzo, sono direttamente coinvolte in questo fenomeno. Ecco perchè miriadi di moderni druidi e persone comuni si ritrovano ogni anno nel sito neolitico dello Weltshire, in Inghilterra, per ammirare l’alba del Solstizio.
Il Sole sorge sempre sulla Heel Stone, il megalito più massiccio che dista circa 75 metri dal complesso di pietre, e in inverno tramonta nello stesso punto. Nei paesi del Nord Europa si celebra la Mezza Estate (Midsommar), e i festeggiamenti vanno dal 21 al 25 Giugno: un periodo che include sia il Solstizio d’Estate che la ricorrenza di San Giovanni Battista. In Svezia, nelle zone rurali, le celebrazioni raggiungono l’apice tra tavolate all’aperto, bevande e cibo a volontà; tra le pietanze tradizionali troviamo le aringhe, le uova sode, le patate novelle bollite, il knäckebröd (un tipico pane croccante) spalmato di formaggio e fragole in abbondanza come dessert. Il clou della festa sono però i balli intorno al palo adornato di ghirlande floreali, il Midsommarstång , un rito antichissimo (pare che risalga al 1500) finalizzato a propiziare la fertilità della terra.
Un altro rituale immancabile nei paesi scandinavi è rappresentato dagli enormi falò che vengono accesi alla vigilia dei festeggiamenti. Come in molte altre località, i fuochi tengono a debita distanza le entità malvagie e sono di buon auspicio per il raccolto. La particolarità dei falò scandinavi è quella di ardere in prossimità dei laghi, dei fiumi o del mare, creando un effetto di immensa suggestività. In Finlandia, la Mezza Estate è la festa nazionale di maggior rilevanza. Viene considerata la “notte bianca” per eccellenza e si celebra in campagna: il sole di mezzanotte la dota di un scenario straordinario. Un tempo era comune sposarsi in queste date o compiere incantesimi inneggianti all’amore e alla fecondità. Molto importante era anche (e lo è tuttora) bere e gozzovigliare, poichè si pensava che il rumore spaventasse gli spiriti maligni e aprisse le porte alla fortuna. Oggi, all’ antico rito dei falò si alternano la sauna, le danze, le grigliate all’aria aperta e le gite in barca.
In Spagna le celebrazioni del Solstizio coincidono con la festa di San Giovanni Battista, e come in Italia le tradizioni della vigilia sono numerosissime: la principale riguarda l’accensione dei falò, che hanno una funzione purificatoria per l’esteriorità e l’interiorità di ognuno. Saltare sopra le fiamme è altamente beneaugurante. Più volte si salta, meglio è; farlo tre volte di seguito garantisce buona sorte fino alla fine dell’anno. Un altro rituale vede invece protagonista l’acqua, nello specifico quella dell’oceano: l’usanza del bagno di mezzanotte mira a scacciare le entità malvagie “annegandole” tra le onde.
A proposito di oceano, un’interessante cerimonia tradizionale si tiene al di là dell’Atlantico, precisamente in Bolivia: sulla Isla del Sol, collocata nel lago Titicaca, il popolo Quechua organizza festeggiamenti a base di danze e musiche tradizionali. Risuonano i tamburi, si espande l’ipnotica melodia del siku (un tipico strumento a fiato andino simile al “flauto di Pan”), si eseguono riti che omaggiano la Pachamama – in quecha “Madre Terra”, venerata da tutti gli indigeni delle Ande – e inneggiano alla sua fertilità.
Ritorniamo dall’altra parte dell’oceano, dove in paesi dell’Est come la Polonia, la Bielorussia, la Russia, la Lituania e l’Ucraina il Solstizio si celebra la notte di Ivan Kupala, San Giovanni Battista, ovvero tra il 23 e il 24 Giugno per chi segue il calendario gregoriano. E’una festa molto sentita che include diversi rituali: tutte le donne indossano una corona di fiori, si accendono falò e ci si approvvigiona di erbe magiche, proprio come da noi. Anche in questo caso, il fuoco e l’acqua rivestono dei ruoli fondamentali. Il primo ha soprattutto una funzione divinatoria: secondo la tradizione, le coppie di fidanzati devono saltare sulle fiamme tenendosi per mano; se dopo il salto le loro mani rimangono unite, sono fatti l’uno per l’altra. Nell’acqua, invece, si gettano le corone di fiori delle donne, che a conclusione della festa vengono lasciate galleggiare lungo il fiume. Ma la notte di Ivan Kupala l’acqua la fa davvero da padrone: molti giovani la utilizzano per fare scherzi o bagnare le persone che passano per strada.
“Shahrazàd iniziò a raccontare un’altra storia al calare della sera: Mio buon sire, mi hanno narrato che, nella città di Toledo, c’era un lussuoso castello sempre chiuso. E, ogni volta che un re spariva dal palcoscenico della vita, ne veniva incoronato un altro che ordinava di chiudere la maestosa porta della fortezza con un catenaccio di ferro battuto. Con il passare degli anni sulla porta si accumularono ventiquattro catenacci. Alla morte del ventiquattresimo re, salì al potere un uomo che non era di sangue reale. Il nuovo sovrano decise di aprire i catenacci a ogni costo e di scoprire le meraviglie del castello fatato. Invano i dignitari e i notabili cercarono di evitare che compisse tale atto, offrendogli oro, gioielli e munizioni. Ma quegli non desistette dal suo proposito; così i paggi e i fabbri furono costretti ad aprire i catenacci e a spalancare la maestosa porta. Quando il re solcò la soglia del castello, la sua attenzione fu attratta dai dipinti raffiguranti alcuni Arabi che indossavano lunghe tuniche e turbanti colorati e cavalcavano i cammelli. I guerrieri portavano lunghe lance in mano, mentre le spade erano poste nei foderi. D’un tratto gli occhi del re caddero su un grande libro; lo prese e lesse le prime righe: “Se la porta del castello verrà aperta, gli spietati Arabi conquisteranno questo regno. Guardatevi dal dischiudere i battenti di questa porta. ” Quel castello si trovava in Andalusia; venne conquistato nell’VIII secolo dal nobile Tarik ben Ziyad, ai tempi del califfo al-Walid ben Abd al-Malik. (…) Quando entrarono nel castello, Tarik ben Ziyad e i suoi uomini trovarono centosettanta corone tempestate di zaffiri e di diamanti. (…) Tarik ben Ziyad in un salone rinvenne alcuni elisir che trasformavano ogni dirham d’argento in mille dirham d’oro puro e un meraviglioso specchio rotondo tempestato di rubini costituito da un insieme di metalli pregiati e realizzato per il profeta Salomone. Chiunque vi guardasse dentro, vedeva rispecchiate dettagliatamente le sette regioni del mondo. Tarik ben Ziyad portò tutte quelle meraviglie in dono al grande califfo di Allah al-Walid ben Abd al-Malik. Subito dopo, però, gli Arabi espugnarono l’Andalusia, il regno più ricco e meraviglioso del mondo.”
Da “Le mille e una notte”, a cura di Hafez Haidar. Traduzione dall’arabo di Hafez Haidar (Oscar Classici Mondadori)
Illustrazione: “Arabian Nights” di Virginia Frances Sterrett
Per tutti quelli che, proprio come me, “la giornata inizia solo dopo un buon caffè“, sarà interessante saperne di più su questa incomparabile bevanda. VALIUM le ha dedicato già due articoli, il primo nella rubrica “La colazione di oggi” e il secondo teso ad approfondire il modo di berla in diversi paesi. Il focus di oggi riguarderà, invece, le varietà di caffè presenti nel mondo. Ne esistono quattro, che differiscono per luogo di provenienza, sapore, clima delle aree di coltivazione, lavorazione e tostatura dei chicchi. I loro nomi? Arabica, Robusta, Liberica e Excelsa. Le varietà Arabica e Robusta sono le più utilizzate, anche perchè vengono considerate le più pregiate. Andiamo a scoprire, ora, le principali caratteristiche delle quattro specie.
Coffea Arabica
Viene coltivata in zone dal clima mite, con temperature massime di 20 gradi. Originaria dell’ Etiopia, si è estesa a svariate zone dell’Africa e dell’America centro-meridionale: in Colombia, Brasile e nel Centro America si trovano le piantagioni più vaste. Il gusto dell’Arabica è aromatico, ma piacevolmente delicato; lo arricchiscono note acidule determinate dal luogo in cui si collocano le coltivazioni, che possono raggiungere i 2400 metri di altezza. A seconda dell’area di provenienza, comunque, il sapore dell’Arabica varia profondamente; denominatori comuni di tutte le specie rimangono il colore, un marrone molto intenso, e il gusto che, a tratti, ricorda la cioccolata. La varietà Arabica, decantata per la sua pregiatezza, viene considerata la migliore.
Coffea Robusta
La varietà Robusta si distingue dall’Arabica per i chicchi di dimensioni minori e per la percentuale di caffeina in essi contenuta; questi elementi fanno sì che il sapore della Robusta risulti più intenso, più amarognolo rispetto a quello dell’Arabica. Diversa è anche la struttura dei chicchi: di forma tondeggiante con taglio centrale per la Robusta, allungata con taglio irregolare per l’Arabica. A livello aromatico, poi, la varietà Arabica si rivela molto più eterogenea, mentre la Robusta possiede un minor numero di cromosomi; ciò esalta e intensifica il suo sapore amaro. Rispetto alle caratteristiche in comune, invece, il frutto delle due specie è di un bel rosso vivo per entrambe. Potremmo definire la Robusta “robusta di nome e di fatto”: adattandosi a molteplici climi, viene coltivata in svariati paesi. Le piantagioni più numerose si trovano in Africa, in Brasile e nell’Asia Sud Orientale, ma il suo paese di provenienza è la Repubblica Democratica del Congo. Le temperature ottimali per la Robusta sono comprese tra i 24 e i 29 gradi. Cresce molto velocemente, perciò la raccolta è frequente; essendo coltivata a un’altitudine massima di 800 metri, inoltre, la Robusta è priva degli accenti aciduli dell’Arabica. Ma allora, perchè quest’ultima viene considerata la varietà migliore? In realtà, pare che tra le due non esistano sostanziali differenze. Tantevvero che, in Italia, dalla miscela di Arabica e Robusta si ottiene il caffè espresso. Potremmo dire che l’Arabica eccelle nell’aroma, mentre la Robusta è l’optimum per conferire cremosità al caffè; le caratteristiche di ogni variante, come ho già detto, vengono condizionate anche dal processo di lavorazione dei chicchi e dalla loro tostatura.
Coffea Liberica
Proviene dalle foreste della Liberia, nell’Africa Occidentale, dove viene ampiamente coltivata. Le esigenze di questa varietà, che richiede acqua in abbondanza e temperature elevate, riducono però il numero delle sue piantagioni. Tra le caratteristiche della Coffea Liberica risalta un sapore fortemente intenso e aromatico. I giapponesi adorano i suoi fiori, con cui preparano dei deliziosi infusi. La coltivazione della specie si è estesa a paesi come le Filippine, l’Indonesia, le Seychelles, la Malesia, la Polinesia Francese, il Venezuela, la Colombia, il Brasile e diversi stati dell’America Centrale.
Coffea Excelsa
E’ una varietà molto coltivata in Africa, in Indonesia e nel Vietnam. In confronto con quella dell’Arabica, la sua pianta vanta una “tempra” più forte; tuttavia, le esigenze della specie Excelsa sono molteplici e ne pregiudicano notevolmente la diffusione: basti pensare che la raccolta prevede che ogni chicco venga colto singolarmente. Ciò rende la procedura fin troppo laboriosa e richiede dei cospiscui investimenti in termini di tempo e di denaro.
“Nelle notti d’inverno, mentre faceva cuocere la minestra nel camino, soffriva la nostalgia del caldo del suo retrobottega, il ronzio del sole nei mandorli polverosi, il fischio del treno nel sopore della siesta, proprio come a Macondo soffriva la nostalgia della minestra invernale nel camino, del richiamo del venditore di caffè e delle lodole fugaci della primavera. Stordito da due nostalgie opposte come due specchi, perse il suo meraviglioso senso della irrealtà, e alla fine raccomandò a tutti che se ne andassero da Macondo, che dimenticassero tutto quello che lui gli aveva insegnato del mondo e del cuore umano, che se ne fottessero di Orazio, e che in qualsiasi luogo si fossero trovati si ricordassero sempre che il passato era menzogna, che la memoria non aveva vie di ritorno, che qualsiasi primavera antica è irrecuperabile, e che l’amore più sfrenato e tenace era in ogni modo una verità effimera.”
Gabriel Garcìa Màrquez, da “Cent’anni di solitudine” (Mondadori, 2021)
“Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.”
(Gabriele D’Annunzio)
La Primavera è entrata ufficialmente alle 4.06, un’ora a metà tra notte e alba: il cielo è ancora buio, ma il silenzio viene invaso dal cinguettio degli uccellini che annunciano l’imminente nascita di un nuovo giorno. Oggi inizia la stagione del risveglio, la natura si desta dal lungo torpore invernale. I fiori sbocciano, il paesaggio si tinge un tripudio di colori. La terra inaugura il suo periodo di fertilità, l’aria si impregna di frizzante leggerezza. C’è voglia di ricominciare a vivere, di godere appieno delle giornate sempre più lunghe, di trascorrere più tempo all’aperto. La Primavera irrompe come una folata di energia, porta con sè la gioia della rinascita. Ci si riapre al mondo, ai desideri del cuore, alla magia del nuovo inizio. E i fiori diventano l’emblema di questo stato d’animo, di questa atmosfera inebriante: i loro profumi e le loro tonalità ci invitano ad addentrarci nei sentieri della bella stagione e a riscoprirla in tutta la sua meraviglia.
La torta di mele è un dolce senza tempo, una delizia consumata principalmente nei mesi freddi. Non ha bisogno di presentazioni. In Italia la prepariamo includendo dei pezzi di mela a un impasto contenente uova, lievito, burro, olio d’oliva, farina, latte, una buccia grattugiata di limone e un po’ di sale; a volte aggiungiamo delle noci, la cannella e qualche uvetta. Nel caso in cui le mele rappresentino solo una guarnizione, la torta viene definita “crostata” senza nulla da invidiarle in quanto a golosità. Ma come si prepara la torta di mele negli altri paesi del mondo e soprattutto, dove nasce questa intramontabile ricetta? Lo scopriremo subito.
In Inghilterra
E’ qui che è stata rinvenuta la ricetta di torta di mele più antica del mondo: risale nientemeno che al 1381, quando Geoffrey Chaucer (il padre della letteratura inglese) era ancora vivo e vegeto. L’ “apple pie” inglese era ricoperta di pasta e includeva ingredienti, oltre alle mele, come le pere, i fichi, il ricino, le spezie e lo zafferano per la colorazione del dolce. Oggi, nel Regno Unito è in auge una versione doppiamente golosa della torta: è possibile servirla con il gelato, la panna montata e la crema pasticcera. Generalmente assume la forma di una ciambella spruzzata di zucchero a velo con il buco ripieno di mele a cubetti, oppure somiglia a una crostata.
In Francia
Ideata dalle sorelle Stéphanie e Caroline Tatin nella seconda metà dell’800, la tarte Tatin è una torta di mele tipicamente francese. Pare che una delle sorelle Tatin, che gestivano un ristorante a Lamotte-Beuvron (nei Paesi della Loira), fece caramellare le mele in burro e zucchero per errore e così le ricoprì con l’impasto prima di capovolgere la torta in un piatto. Il risultato fu un dolce “capovolto” tuttora molto in voga: il suo carattere distintivo sono, appunto, le mele caramellate a parte precedentemente alla cottura.
In Olanda
La torta di mele nasce nel Medioevo. Le ricette più antiche evidenziano l’utilizzo di numerose spezie: le principali erano costituite dal cardamomo, la noce moscata, i chiodi di garofano, la cannella, lo zenzero. Solitamente, la torta presentava un foro centrale dove venivano inserite le mele. Ai nostri giorni, in Olanda esistono due varianti di torte di mele: una decisamente soffice, l’altra più simile alla crostata. La cannella, il succo di limone, lo zucchero e la pasta di mandorle sono gli ingredienti maggiormente usati per insaporire il dolce, che viene servito con del gelato alla vaniglia; la torta di mele olandese, infatti, può essere degustata calda ma anche fredda.
Negli Stati Uniti
La torta di mele, oggi un emblema dell’ americanità, tra il 1600 e il 1700 era il dolce “d’importazione” più comune: gli immigrati svedesi, inglesi e olandesi lo preparavano abitualmente nelle rispettive colonie. All’inizio, essendo la varietà di mele diffusa in America eccessivamente aspra, questo frutto veniva utilizzato sotto forma di sidro. Tempo dopo, tra innesti e meli d’importazione, le varietà cominciarono a moltiplicarsi permettendo la creazione di svariate versioni del famoso dolce. Nel 1700, non a caso, le ricette delle torte di mele “made in USA” erano già numerosissime. Il primo paese in cui la torta divenne celebre fu il Delaware; la possibilità di poter consumare il dessert in ogni stagione dell’ anno costituiva il suo principale punto di forza. Un secolo dopo, a partire dal 1800 e per tutto il 1900, la torta di mele si tramutò in una vera e propria icona, l’incarnazione del benessere a stelle e strisce. Veniva arricchita, e viene tuttora, di ingredienti quali il succo di limone, la noce moscata, la cannella, e servita con il gelato o il cheddar, un tipico formaggio anglosassone dalla consistenza dura e dal colore che spazia dal giallo all’arancio: nel New England, la torta di mele con il cheddar è diventata una specialità nazionale.
In Svezia
La ricetta si discosta molto da quella della torta di mele classica: nell’ impasto sono inclusi ingredienti come l’avena o pane grattugiato in abbondanza. Il sapore viene esaltato dalla cannella e per servirla si utilizzano il gelato o la crema pasticcera. Esiste poi una variante, la äppelkaka, dalla pasta estremamente soffice che somiglia al pan di Spagna. Insaporita con pasta di mandorle, noci, limone, vaniglia, cardamomo, cannella e pane grattugiato, si accompagna alla panna montata o alla crema alla vaniglia: può essere considerata una versione nordica (ma non meno golosa) dello storico dolce.
Foto via Unsplash
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.