Giugno

Zara

Il mese di giugno si distese all’improvviso nel tempo, come un campo di papaveri.
(Pablo Neruda)

Dopo una Primavera pressochè inesistente, ecco che arriva il “Mese del Sole”. E speriamo che lo sia, nonostante le previsioni meteo di questi giorni! Nell’ emisfero boreale, a Giugno l’ Estate fa il suo ingresso trionfale. Per il calendario giuliano e gregoriano, è il sesto mese dell’anno. Giugno (che dura solo 30 giorni) deve il suo nome a Giunone, moglie di Giove e regina di tutti gli dei. Giunone era la protettrice della fecondità, del parto, della forza vitale associata alla natura. Non è un caso che i frutti, così come il grano, maturino proprio nel mese di Giugno. E’ il tempo del primo raccolto, della mietitura. Il Sole splende in tutta la sua potenza e trionfa definitivamente sul buio il 21 Giugno, con il Solstizio d’Estate. Gli antichi popoli celebravano questa “festa della luce” tramite fuochi e falò che inneggiavano al vigore solare; i rituali proseguivano anche la notte del 24 Giugno, data in cui ricorre la festività di San Giovanni Battista. I cosiddetti “fuochi di San Giovanni”, infatti, sono un retaggio di remotissimi riti pagani. Ma la notte di San Giovanni merita un articolo a parte, ricca com’è di elementi simbolici che coniugano religione, esoterismo e magia. Il mese di Giugno, di primaria importanza per l’agricoltura, sancisce anche l’inizio della spensieratezza estiva: le scuole chiudono, il buio arriva sempre più tardi, i primi caldi invitano a uscire e a trascorrere il maggior tempo possibile all’aria aperta. Le ferie si avvicinano, così come un gran numero di eventi, festival, concerti, rassegne, rievocazioni storiche a cui poter assistere liberamente (un esempio su tutti? Il 50mo anniversario di Umbria Jazz, imperdibile, in programma a Perugia dal 7 al 16 Luglio). Astrologicamente, Giugno è dominato dal segno dei Gemelli e del Cancro; le pietre associate al sesto mese dell’anno sono la Perla, l’Alessandrite e la Pietra di Luna. Il colore che identifica questo periodo è il verde (una scelta che non mi trova d’accordo!). Le date più importanti, invece, sono rappresentate dal 2 Giugno (festa della Repubblica), il 21 Giugno (Solstizio d’Estate) e il 24 Giugno (festa di San Giovanni Battista, patrono di svariati Comuni italiani).

Il look del mese

Giugno viene anche chiamato “Mese della Libertà”: ho scelto quindi un abito dal sapore boho firmato Zara (vedi foto di copertina). E’ in maglia, svasato ma piuttosto aderente al corpo. Ha uno scollo tondeggiante, corte maniche a sbuffo e viene vivacizzato da miriadi di righe colorate. Comodo, pratico e confortevole, si rivela perfetto per affrontare il primo mese dell’ Estate.

L’accessorio del mese

 

Jacquemus

Ricordate l’iconicissmo Bomba hat di Jacquemus, il cappello in rafia dalla falda smisurata? Bene: sta per fare un grande ritorno. Jacquemus, infatti, lo ha incluso nella capsule Eté 2023, e sarà disponibile a breve nello shop on line. Prendete nota: donerà una allure da diva a qualsiasi look voi indossiate.

 

 

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Tina

 

“Sono convinta che ciascuno di noi sia nato con una missione unica, uno scopo che solo noi possiamo realizzare. Siamo tutti legati da una responsabilità comune: aiutare la famiglia umana a diventare più gentile e più felice. Le prime lezioni sul funzionamento dell’ Universo le ho ricavate dalla mia esperienza quotidiana durante l’infanzia a Nutbush, un paese rurale del Tennessee. Mi piaceva passare il tempo all’ aperto, correre nei campi, alzare lo sguardo verso i corpi celesti nel cielo, stare con gli animali – domestici e selvatici – e ascoltare i suoni della natura. Già a quei tempi percepivo una forza universale invisibile quando camminavo in mezzo ai pascoli sconfinati, giorno dopo giorno. Essere in comunione con la natura mi ha aiutato a credere nel mio intuito, che sembrava conoscere sempre la strada di casa quando mi smarrivo, il ramo migliore a cui appendermi e dondolare, il punto in cui un ruscello celava un sasso pericoloso. Ho imparato ad ascoltare il mio cuore, ed esso mi ha insegnato che io e te siamo connessi, non solo tra noi, ma con ogni altra cosa sul pianeta. Siamo collegati dalla misteriosa natura della vita stessa, dall’ energia creativa fondamentale dell’ Universo. In questo nostro mondo complicato in cui le contraddizioni abbondano, si scopre una bellezza mozzafiato nei luoghi meno probabili. L’arcobaleno più luminoso appare dopo il più violento dei temporali. Magnifiche farfalle emergono da bozzoli scialbi. E i più splendidi fiori di loto nascono dal fango denso e profondo. Secondo te perchè la vita agisce così? Forse quegli arcobaleni, quelle farfalle e quei fiori di loto sono lì per ricordarci che il nostro mondo è un’opera d’arte mistica, una tela universale che tutti noi dipingiamo con le nostre storie, giorno dopo giorno, con le pennellate dei nostri pensieri, delle nostre parole e azioni. “

Tina Turner, da “Diventare felicità. Diario spirituale per una vita migliore.”

 

Fai buon viaggio, Tina. Non ti dico “riposa in pace”, perchè vulcanica come sei tu non riposerai mai. E non ti dico neanche “addio”, perchè la morte è solamente un nuovo inizio. Con questo post voglio omaggiarti, esprimere la stima che ho sempre avuto per te. Hai saputo superare le avversità dell’esistenza semplicemente guardandoti dentro, riannodando il contatto con la tua anima e la tua vita spirituale, e questo ti rende un modello per tutti noi. Quando ti ho conosciuta artisticamente, ero solo una bambina: “A fool in love” è stato uno dei primi album che hanno comprato i miei genitori. Allora eri in coppia con Ike, e mi hanno subito colpito la tua voce potente, la tua grinta inesauribile, il tuo saperti connettere con l’istinto. Continua a brillare, Regina. Sei immortale, un’icona destinata a rimanere perennemente impressa nell’ immaginario collettivo.

(Foto: Jay Bernstein Public Relation Los Angeles via Wikimedia Commons)

 

Bournville e il cioccolato nell’ aria

 

” L’aria non profumava di cioccolato, ma il cioccolato era nell’aria. Nessuno sentiva il bisogno di dare un nome alla fabbrica che sorgeva nel cuore del villaggio. Tutti la chiamavano semplicemente lo “Stabilimento”. E dentro quella fabbrica si produceva il cioccolato. Lo si produceva da più di sessant’anni. Da quando John Cadbury aveva aperto il suo primo negozio nel centro di Birmingham,nel 1824, vendendo semi di cacao macinati per la cioccolata calda. Quacchero devoto, come i suoi fratelli, considerava la bevanda non solo come una componente nutrizionale della prima colazione, ma anche come un sostituto sano dell’alcol nelle ore più tarde della giornata. L’attività era cresciuta costantemente, la forza lavoro si era ampliata, erano stati acquistati locali più grandi finchè, nel 1879, i figli avevano deciso di spostare la produzione fuori Birmingham. All’epoca l’area prescelta consisteva essenzialmente di grandi prati digradanti. La loro idea era quella di una coesistenza armonica tra industria e natura, legate da un rapporto quasi simbiotico di reciproca dipendenza. (…) Al centro erano situati i giardini pubblici e vicino c’era la scuola media con la torre dell’orologio che ospitava il famoso carillon. Attorno alla scuola c’erano Woodbrooke Road, Thorn Road e Linden Road, strade che anche in seguito, nonostante il traffico, mantennero sempre un senso di calma, un ricordo pastorale di ombra e di fronde, incorporato nei loro stessi nomi. Come chiamare questo luogo speciale? (…) Il piccolo corso d’acqua che serpeggiava fin nel suo centro si chiamava Bourn e molti si aspettavano che Bournbrook sarebbe stato il nome prescelto. Ma il villaggio era fondato su un’impresa, e l’impresa era quella di vendere cioccolato, e persino nel cuore dei Cadbury, pionieri della produzione britannica di questo alimento, si annidava ancora la sensazione che il loro prodotto fosse inferiore ai suoi rivali continentali. Perché, inutile negarlo, il miglior cioccolato aveva in sé qualcosa di intrinsecamente europeo. I chicchi erano sempre arrivati dagli angoli più remoti dell’Impero – non c’era nulla di non britannico in questo – , ma i procedimenti per trasformarli in cioccolato commestibile erano stati inventati da un olandese ed era una verità universalmente riconosciuta, anche se non sempre apertamente dichiarata, che erano stati i francesi, i belgi e gli svizzeri a portare la produzione del cioccolato a un livello vicino alla perfezione. Se il cioccolato Cadbury avesse mai dovuto competere con loro, avrebbe dovuto essere etichettato in modo da incarnare almeno una una sfumatura di raffinatezza europea, di sofisticazione continentale. Decisero quindi che Bournbrook non avrebbe funzionato e, come variante, scelsero Bournville. Il nome di un villaggio non solo fondato sul cioccolato e a esso dedicato, ma l’espressione di un sogno che il cioccolato aveva reso possibile. “

Jonathan Coe, da “Bournville”

 

 

Buona Pasqua

 

“Pasqua era giunta, la festa della luce e della liberazione per tutta la natura! L’inverno aveva dato il suo addio, ravvolto in un fosco velo di nebbie, e sopra le turgide nuvole in corsa s’avvicinava ora la primavera. Aveva spedito innanzi i suoi messaggeri di tempesta per destare la terra dal lungo sonno, ed essi fremevano su boschi e piani, battevan le ali sulle cime possenti dell’alpe e sconvolgevano il mare dal profondo. Era nell’aria come un lottare e un muggire selvaggio, e ne usciva tuttavia quasi un grido di vittoria: ché tra le burrasche di primavera, frementi di vita, s’annunciava la resurrezione.”

Elisabeth Bürstenbinder

 

 

 

5 leggende di Pasqua

 

Nessuno sa dire a quando risalgano queste leggende pasquali: probabilmente a tempi molto antichi. Sono arrivate fino a noi perchè tramandate nel corso dei secoli, e tuttora risultano estremamente toccanti. Somigliano a favole brevi intrise di pietas, ispirano coinvolgimento e commozione. Il loro denominatore comune è la semplicità: raccontano con toni delicati storie che si intrecciano alla Passione di Gesù, instaurando un legame profondo tra la sofferenza di Cristo e i tre regni della Natura (in particolare, quello animale e quello vegetale). Quasi certamente, le leggende che riporto sono sorte per favorire la comprensione del Mistero della Pasqua anche presso i ceti più umili. Eppure, risultano altamente suggestive proprio nella loro poetica genuinità.

Il coniglio e il sepolcro di Gesù

Un coniglio si nascose fortuitamente nel sepolcro dov’era seppellito Gesù. Osservava, non visto, il viavai di tutti coloro che piangevano la sua morte e rimase molto colpito dalla vicenda. Si chiese chi fosse quell’ uomo, ripromettendosi di scoprirlo al più presto. Ma quando all’ alba della domenica lo vide alzarsi e uscire dal sepolcro dopo che un angelo aveva rimosso la pietra tombale, realizzò che era il figlio di Dio. Pieno di gioia, il coniglio avrebbe voluto annunciare a tutti l’ incredibile notizia. Avrebbe voluto gridare che Gesù era risorto, rendere partecipe il mondo intero della sua contentezza. Purtroppo, però, i conigli non hanno il dono della favella. Così, pensò di recarsi di casa in casa e di portare a chiunque un uovo colorato che simboleggiava la vita e la felicità per la resurrezione di Cristo. Ancora oggi, a Pasqua, il coniglio regala uova colorate a tutte le famiglie del mondo in ricordo del giorno in cui Gesù sconfisse la morte.

 

 

Gesù e il salice

Gesù, con la croce in spalla, avanzava a fatica verso il monte Calvario. A un certo punto, stremato, cadde di fronte a un salice. Tentò di rialzarsi afferrando il suo tronco, ma era talmente esausto che non ci riuscì. Il salice, allora, addolorato per la grande sofferenza di Gesù, piegò i rami fino a terra di modo che potesse aggrapparsi a loro. Il salice rimase nella stessa posizione anche quando il Signore proseguì il cammino. L’ albero, con le fronde che sfioravano il suolo, sembrava che piangesse (e certamente lo faceva). Da quel momento in poi, fu chiamato “salice piangente”.

 

 

Il pettirosso e il sangue di Cristo

Un uccellino che volava nei pressi del monte Calvario notò, un giorno, una scena raccapricciante: tre uomini stavano morendo sulla croce. Uno di essi era Gesù, talmente sofferente e sanguinante che mosse a compassione il volatile. Aveva il corpo ricoperto di ferite e una corona di spine che gli lacerava il capo. L’uccellino rimase impressionato: l’uomo, agonizzante, non riusciva quasi più neanche a respirare. Allora tentò di confortarlo e poi, servendosi del suo becco, iniziò ad estrarre le spine che gli si erano conficcate nella fronte. Mentre svolgeva questa operazione, il sangue versato da Cristo gli macchiò il collo e il petto. L’ uomo sembrava provare sollievo grazie all’ aiuto dell’uccellino, ma poco dopo esalò l’ultimo respiro. Le macchie di sangue, da allora, rimasero indelebili sul corpo dell’animale: in particolare quelle sul petto, le più vicine al cuore. La storia commovente che lo aveva visto protagonista insieme a Gesù valse all’uccellino il nome di “pettirosso”.

 

 

Gli apostoli e la melagrana

Lungo il cammino verso il Calvario, Gesù subiva il tormento della corona di spine e delle numerose ferite che gli dilaniavano il corpo. Uno degli apostoli, mentre lo seguiva a distanza senza farsi notare, raccoglieva i sassi dove cadevano le gocce del suo sangue e li racchiudeva in un sacchetto. Ma quando la sera volle mostrare ai compagni quel plasma benedetto, si accorse che al posto dei sassi c’era uno strano frutto: era polposo, pieno di chicchi dello stesso colore del sangue di Cristo. A quel frutto venne dato il nome di “melagrana”.

 

 

La Passione e la passiflora

Quando Gesù fu deposto dalla croce, una sua lacrima e alcune gocce del suo sangue caddero su una pianta non ancora sbocciata. In quell’ istante, i petali si dischiusero improvvisamente: le corolle dei fiori erano singolarissime, sembravano riprodurre i simboli della Passione. Potevano distinguersi forme e colori simili ai chiodi, al martello, alla corona di spine, alcuni degli strumenti utilizzati durante la crocifissione di Gesù. Il nome con cui fu battezzato quel fiore non è casuale. Si chiama “passiflora”, vale a dire “fiore della Passione”.

 

 

 

Bucolico

 

Viene definito “bucolico” tutto ciò che è idillico, pastorale, che rimanda alla serenità della vita agreste. E in Primavera, con il risveglio della natura, questo aggettivo assume un significato ancora più pregnante: la campagna diventa un’oasi, un paese delle meraviglie dove la natura stupisce e mozza il fiato giorno dopo giorno. I campi e i boschi tornano a vivere, ravvivati dal canto dei volatili. Le giornate si allungano e lasciano il posto alla notte con splendidi tramonti. I fiori celebrano la rinascita in un tripudio di colori. Iniziano i primi picnic, che ci permettono di fare delle lunghe pause a stretto contatto con la natura. La nuova photostory di VALIUM intende omaggiare queste atmosfere e questi scenari, invitandoci a riscoprire un mondo troppo spesso dimenticato.

 

 

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Le Frasi

 

“Vuoi vedere cosa non vista da occhi umani?
Guarda la luna.
Vuoi udire cosa non udita da orecchio?
Ascolta il grido dell’uccello.
Vuoi toccare cosa non toccata da mano?
Tocca la terra.
In verità io dico che Dio deve ancora creare il mondo.”

(Jorge Luis Borges)

 

 

Equinozio di Primavera

 

“Ascolta: riesci a sentirla? La dolce cantata della primavera. I ciuffi d’erba che spingono attraverso la neve. Il canto delle gemme che erompono dal ramo. Il tenero timpano del cuore di un giovane pettirosso. Primavera.”
(Diane Frolow)

Stasera, alle 22.24, la Primavera entrerà ufficialmente. Oggi si festeggia l’Equinozio, dal latino aequinoctium (che fonde i termini “aequus”,”uguale”, e “nox”, “notte”): il Sole è posizionato allo Zenit, i suoi raggi sono perfettamente perpendicolari all’ Equatore e all’asse terrestre. Le ore di luce e quelle di buio hanno un’identica durata; poi, progressivamente, il giorno inizierà a prevalere e “sorpasserà” la notte in prossimità del Solstizio d’Estate. E’ la stagione della rinascita. Il clima a poco a poco diventa più mite, la natura si risveglia, i fiori sbocciano e animali come il ghiro, la marmotta, il riccio, l’orso, la formica, i rettili e gli anfibi escono dal letargo. Luce e buio, Sole e Luna, Maschile e Femminile, con l’Equinozio raggiungono un’armonia perfetta. Comicia un nuovo ciclo vitale, la terra ritorna fertile, i colori prorompono rigogliosi insieme alla natura. Tradizionalmente, non a caso, la Primavera è la stagione associata alla giovinezza: nella mitologia greca era rappresentata da Persefone, la dea dell’ Oltretomba, che trascorreva sei mesi dell’ anno negli Inferi e gli altri sei (quelli primaverili ed estivi) sulla Terra, accanto alla madre Demetra. Per i romani Persefone era Proserpina, ma incarnava la stessa valenza. Al suo passaggio, quando usciva dall’ Ade, le piante fiorivano ed emanavano inebrianti profumi. La giovane dea veniva venerata parallelamente a Pan, il dio fanciullo. Nell’ antica Grecia aveva l’aspetto di un satiro ed era la divinità dei pascoli e della vita agreste (la mitologia romana lo faceva corrispondere al dio Silvano). La sua raffigurazione è inconfondibile: Pan esibisce le zampe e le corna di una capra, ma è un umano dalla cintola in su. Ha le orecchie a punta, la barba a pizzetto e un’ espressione alquanto arcigna che si accompagna, per contrasto, a un’indole bonaria. Vaga per i boschi danzando e suonando il flauto (il noto Flauto di Pan). All’arrivo dell’ Equinozio di Primavera, si imbatte nella giovane dea e inizia a danzare con lei.

 

 

Il loro incontro simboleggia la quintessenza della Primavera: la natura si risveglia così come la nostra anima, con le passioni e le emozioni. Siamo pervasi da una potente euforia, ci apriamo al mondo e al prossimo con rinnovata spontaneità. La Primavera è la stagione dell’ innamoramento, dell’ebbrezza associata alla rinascita naturale. I fiori e la nostra interiorità sbocciano all’ unisono, in perfetta sintonia. Ci apriamo alla vita e all’ amore dopo il torpore invernale.

 

 

I Celti chiamavano l’Equinozio di Primavera Alban Eiler, i popoli nordici lo battezzarono Ostara  (dal nome di Eostre, la dea germanica della fertilità). La valenza di rinnovamento che si lega a questa data la equipara a una sorta di Capodanno: non è un caso che l’anno iniziasse a Marzo, nell’ antica Roma. Tuttavia, i Celti solevano festeggiare la rinascita della natura qualche mese dopo, a Beltane, intorno al 1 Maggio. Gli Equinozi e le loro celebrazioni, infatti, sono tipici dell’area mediterranea. Esistono spiccate differenze climatiche tra i paesi del nord e quelli del sud Europa; in questi ultimi, la Primavera esplode in modo molto più eclatante, mentre a Marzo è appena percettibile nelle lande nordiche. La data odierna coincide, in ogni caso, con una svolta decisiva: andiamo incontro al Sole, al calore dei suoi raggi, il verde spadroneggia restituendo alla terra la fecondità. L’equivalenza tra notte e giorno ci invita a celebrare l’armonia cosmica, le forze vitali della Primavera ci infondono una gioia profonda destinata a rafforzarsi nei prossimi mesi. E’ il momento giusto per ripromettersi di realizzare nuovi progetti, per ribaltare la propria esistenza. L’ entusiasmo che si accompagna alla bella stagione è contagioso e rinvigorente. Lo Zodiaco collega la Primavera ai segni dell’ Ariete, del Toro e dei Gemelli. I quattro elementi la fanno corrispondere all’Aria, i momenti della giornata la vedono equiparata al mattino. La Grande Opera alchemica la accomuna all’albedo, il cui simbolo è un cigno bianco. Tra le sue ricorrenze principali rientra la Pasqua, ma ne parleremo in un post successivo a questo. Nel frattempo, vi auguro un buon Equinozio di Primavera!

 

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Marzo e i suoi fiori

 

A Marzo, i fiori sono in boccio. Personalmente amo l’ Inverno, la neve e l’incanto dei paesaggi innevati, però non posso negare che il risveglio primaverile abbia il suo fascino. Intorno al 20 Marzo, con l’Equinozio, lo spettacolo della fioritura raggiunge l’apice. Prati, campi, alberi e giardini si riempiono di un tripudio di corolle colorate. Passeggiare lungo i sentieri di campagna gratifica la vista e l’olfatto, i lunghi tramonti profondono magia nell’atmosfera. Udire il ronzio delle api è rilassante, ma anche un privilegio, dato che sono insetti a rischio di estinzione. Impegnamoci a fondo affinchè questo non succeda. Piantiamo fiori, coltiviamo alberi per garantire loro il nutrimento e per far sì che si dedichino attivamente all’impollinazione: è fondamentale ai fini di assicurare l’ equilibrio degli ecosistemi e la sopravvivenza della specie umana. Quali sono, dunque, i fiori che sono soliti sbocciare a Marzo? Continuate a leggere e ne scoprirete alcuni.

Il Narciso

E’ diffuso in Europa e Asia, appartiene alla famiglia delle Amarillydaceae. Il suo colore è il giallo oppure il bianco, con una paracorolla che spazia invece dal giallo al rosso. Molte specie emanano un profumo inebriante ed hanno ispirato il termine greco nakào, “stordisco”, da cui deriva il nome del fiore.

Il Glicine

Il suo nome scientifico è Wisteria Nutt, appartiene alla famiglia delle Fabacee ed è una pianta rampicante che può raggiungere i 10 metri di altezza. Nell’ antica Cina era chiamato “Vite Blu”, un appellativo affascinante a cui i tedeschi si sono rifatti battezzandolo Blauregen, ovvero “Pioggia Blu”. Il suo punto di forza sono le ricche cascate di grappoli che spaziano tra colori come il lilla, il rosa, il bianco, il violetto e l’azzurrognolo. Ma la nuance che sfoggia più comunemente è diventata essa stessa un colore: il glicine, appunto, un mix di viola e di bianco.

La Magnolia

La sua famiglia è quella delle Magnoliacee, il suo nome un tributo a Pierre Magnol, botanico e medico di Montpellier. Ha origini negli Stati Uniti, nel Sud America, nel Sud-Est Asiatico, ma cresce benissimo anche in Italia poichè ama il clima Mediterraneo. Ne esistono oltre 80 specie, spazia dagli arbusti ad alberi che sfiorano i 30 metri. Profumatissima, esplode in una nuvola di fiori. Tra i suoi colori predominano il rosa, il bianco, il porpora e il viola.

La Mimosa

L’ 8 Marzo è anche la sua festa: il fiore ufficiale della Giornata Internazionale della Donna vanta un’infiorescenza a grappoli composti da fiori sferici e super soffici di colore giallo. Il suo nome scientifico è Acacia dealbata ed appartiene alla famiglia delle Mimosaceae. In Italia, precisamente a Rieti, negli anni ’50 è stata creata una torta che si ispira ai suoi fiori: sono realizzati in pan di Spagna per riprodurne la soavità e il giallo, naturalmente, è la loro tonalità.

Il Nontiscordardimè

Il Myosotis, appartenente alla famiglia delle Borraginaceae, è diffuso pressochè in tutto il mondo. Si presenta in gruppi di piccoli fiori azzurri che non oltrepassano i 25 cm di altezza. Se il nome “Myosotis” deriva dalla fusione di due termini greci, “mys” e “otos”( rispettivamente “topo” e “orecchie”), molto più affascinante è la leggenda legata al Nontiscordardime: nasce in Austria e narra di due innamorati che, mentre passeggiavano lungo la riva del Danubio, si incantarono davanti a quei fiorellini azzurri e si fermarono a raccoglierli. Il ragazzo, purtroppo, scivolò nel fiume proprio mentre ne stava cogliendo uno, e prima che le acque lo travolgessero gridò “Non ti scordar di me!” alla sua fidanzata.

La Margherita

E’ il fiore più caratteristico della Primavera: quando le aiuole si riempiono di margherite, ci rendiamo conto che è arrivata ufficialmente. Il suo nome scientifico è Leucanthemum vulgare, la sua famiglia le Asteraceae. Si trova un po’ ovunque in giro per il globo, continente africano a parte. Anche in questo caso, la denominazione del fiore ha origini greche: deriva da “leukos” (bianco) e “anthemon” (fiore). La corolla, di colore bianco, ruota attorno al “capolino”, il bottone giallo oro al centro, che a sua volta è composto da fiori minuscoli detti flosculi.

Il fiore di Ciliegio

Il ciliegio sboccia in un tripudio di fiori bianchi o nei toni del rosa. Botanicamente appartiene al genere Prunus e alla famiglia delle Rosacee.In Giappone, i fiori del Prunus Serrulata (il ciliegio nipponico) vengono chiamati Sakura e sono un autentico oggetto di culto: all’ apice della loro fioritura si ammirano tramite un rito, l’Hanami, che consiste nel contemplarli. Per saperne di più sull’ Hanami e sulla simbologia associata al Sakura, clicca qui.

La Primula

E’ un altro fiore-emblema della Primavera. Il suo nome deriva da “Primus”, un termine latino che simbolizza lo sbocciare della Primula non appena la neve si scioglie. Appartiene alla famiglia delle Primulaceae ed è ampiamente diffusa in America, Europa e Asia, ma solo laddove il clima temperato lo permette.

Il fiore di Mandorlo

Quando fiorisce, dà origine a una magnifica nuvola di fiori bianchi. Non è difficile capire perchè al Mandorlo (il cui nome scientifico è Prunus Amygdalus) siano state dedicate innumerevoli leggende: come quella, di origine greca, di Fillide e Acamante. Ma i fiori di Mandorlo appaiono persino nella Bibbia, dove sono identificati come un simbolo di rinascita dal profeta Geremia.

L’Anemone

L’ Anemone, appartenente al genere Euanemona e alla famiglia delle Ranunculaceae, include oltre 100 specie che hanno caratteristiche tutte proprie. Vanta tepali coloratissimi (rosso, rosa, azzurro, bianco, giallo sono le cromie più diffuse) e la sua pianta può raggiungere persino 1 metro di altezza. A idearne  il nome fu il filosofo e botanico greco Eufrasto: lo chiamò “fiore del vento” perchè le sue corolle impalpabili sembravano poter librarsi nell’aria da un momento all’altro.

La Camelia

Ha origine nell’ Asia Tropicale e prende il nome dal botanico e missionario Georg Joseph Carmel: fu il primo ad importarla in Europa dal Giappone. Le sue due specie più note sono la Camelia Sinensis, dalle cui foglie si ricava il tè, e la Camelia Japonica, una pianta ornamentale che decora giardini pubblici e privati. I colori spaziano dal bianco al rosso passando per il rosa, la corolla somiglia vagamente a quella della “regina dei fiori”.

Il Giacinto

Il suo nome ha origini nella mitologia greca: si ispira a Giacinto, Principe di Sparta, di cui il dio Apollo si innamorò. Il loro amore fu spezzato però da Zefiro che, geloso, uccise Giacinto. Questo fiore, nome scientifico Hyacinthus e famiglia di appartenenza Asparagacee, proviene dal Medio Oriente e dall’ Africa Tropicale. Le sue specie sono innumerevoli, tutte bulbose. Ogni infiorescenza comprende circa 15 fiori profumatissimi e coloratissimi: le tonalità più comuni sono l’azzurro, il blu, il rosa, il giallo e il bianco.

La Viola Mammola

Appartenente alla famiglia delle Violaceae, è uno dei primi fiori a sbocciare  a fine Inverno. Cresce prevalentemente in Europa, America, Asia, Australia e Nuova Zelanda. Non supera i 15 cm di altezza e i suoi petali sono tinti di un profondo viola.

La Rosa

La “regina dei fiori” appartiene alla famiglia delle Rosacee e conta a tutt’oggi circa 3000 specie. Tra quelle spontanee, in Italia prevalgono la Rosa Canina, la Rosa Gallica, la Rosa Glauca e la Rosa Alpina. E’ diffusa in quasi tutto il mondo. Il suo nome ha origini latine, la sua bellezza viene celebrata da poeti e scrittori sin da tempi remotissimi (William Shakespeare la citò in “Romeo e Giulietta”). La corolla, ricca e preziosa, sprigiona un profumo irresistibile ed è tinta di innumerevoli colori: predominano il rosa, il rosso, il bianco, il giallo e l’arancio.

 

 

Imbolc, la festività celtica del 1 Febbraio

 

Il freddo è polare, la neve spadroneggia in diverse regioni. Ma lo spiraglio di luce che ha iniziato a manifestarsi dal 21 Dicembre, ormai è evidente: le giornate si sono allungate, il sole comincia a fare capolino e i bucaneve fioriscono, generando un’ illusione di Primavera in mezzo al gelo. A livello temporale ed astronomico ci troviamo nel punto intermedio tra il Solstizio d’Inverno e l’Equinozio di Primavera. Non è un caso che il 1 Febbraio gli antichi Celti festeggiassero Imbolc, una ricorrenza che sanciva il culmine dell’ Inverno o, in paesi come l’Irlanda, il principio della Primavera. Il nome della festa ha molteplici varianti e significati: “Imbolc”, letteralmente “grande pioggia”, sta ad indicare il periodo di transizione stagionale, ma in senso figurato designa la purificazione dalle “scorie” invernali. “Oimelc”, un’altra denominazione della festa, è sinonimo di “lattazione degli ovini”. “Imbolg”, che testualmente si traduce con “nel sacco”, ha l’accezione di “in grembo”. La Natura, infatti, si prepara a rinascere nel grembo di Madre Terra, e con essa gli agnelli che vedono la luce all’ inizio della bella stagione. Il latte di pecora rappresentava all’ epoca un’ importante fonte nutrizionale: era (ed è) la materia prima per la produzione del burro, del siero di latte e di svariati formaggi, ma conteneva anche una grande quantità di calcio, proteine e vitamine. Dei dettagli di rilievo, ai tempi in cui il sostentamento costituiva la linea di confine che separava la vita dalla morte.

 

 

Un’ altra caratteristica di Imbolc è la sua valenza di “festa della Luce”. Era d’uso accendere lanterne, falò e candele per simboleggiare l’ allungamento delle giornate e propiziare un rapido arrivo della bella stagione. I Celti onoravano Brigid, dea della fertilità, della Primavera ma anche del triplice Fuoco che risplende sui poeti, sui fabbri e sui guaritori, categorie di cui la dea è la protettrice: esiste un fil rouge costante che connette il sacro fuoco dell’ ispirazione, la fucina del fabbro e l’ energia che purifica e guarisce. Il motivo della purificazione è legato al fuoco a doppio filo; per Brigid, il primo dei quattro elementi si associa inoltre alla propulsione vitale, una forza che dalle più profonde viscere della Terra si irradia alle entità naturali e interrompe il loro lungo sonno invernale. Brigid è la giovane dea, nell’ Irlanda celtica veniva considerata anche la patrona dei pozzi e delle sorgenti. La leggenda vuole che sia nata all’ alba di Imbolc (l’alba, collocata a metà tra notte e giorno, era uno dei “luoghi di mezzo” venerati dai Celti); una fiamma arde sulla sua fronte, il cigno è il suo animale totem poichè simboleggia il candore, la regalità e il mutamento. Quando arrivava Imbolc, all’aurora, i Celti accendevano falò in onore di Brigid, ed è sempre la dea del triplice Fuoco che invocavano le partorienti. Le celebrazioni del 1 Febbraio iniziavano immancabilmente al tramonto del giorno prima, perchè per il calendario celtico ogni giornata cominciava al calar del sole.

 

 

Con l’ avvento del Cristianesimo, la festività pagana di Imbolc venne sostituita dalla Candelora, che celebra la presentazione di Gesù Bambino al Tempio di Gerusalemme; durante la messa, la tradizionale benedizione delle candele omaggia la luce di Cristo. La ricorrenza di Santa Brigida, invece, prese il posto dell’adorazione della dea Brigid: la santa, una badessa irlandese, insieme a San Patrizio fu attivissima nell’ evangelizzazione del suo paese.

 

Brigid in un dipinto di John Duncan, “The coming of bride”, del 1917