L’Hygge: una filosofia di vita che viene dalla Danimarca

 

“Hygge”: un termine che racchiude tutta una filosofia di vita. Lo conoscete? E’ un sostantivo danese (la cui pronuncia è esattamente “ugga”) che in italiano potrebbe essere tradotto con “intimità”, “accoglienza”, “calore”, “comfort”. Tirare in ballo le parole, tuttavia, non rende l’idea: dire “hygge” è definire un concetto, un’atmosfera. Diverse lingue germaniche includono un vocabolo molto simile; per i tedeschi è Gemütlichkeit, per gli svedesi Mys, per gli olandesi Gezelligheid. In Norvegia, anticamente, “Hygge” aveva lo stesso significato che ha tuttora. Quando questo termine apparve in Danimarca all’inizio dell’Ottocento, conquistò subito i danesi, che lo adottarono senza se e senza ma. L’Hygge è direttamente associato alla vita quotidiana, ai piccoli piaceri che l’esistenza offre giorno dopo giorno. La casa, accogliente e confortevole,  è il suo regno. Attività molto Hygge sono, ad esempio, trascorrere dei magici momenti con gli amici, con gli affetti più cari; sorseggiare un buon gløgg  (il vin brulé scandinavo), un caffé, una cioccolata calda, davanti al focolare; preparare dolci, biscotti, piatti tradizionali; godersi il tepore familiare in tutto relax; combinare la perlacea luce nordica con il bagliore soffuso delle candele. Ne esistono molte altre ancora, naturalmente, che potrebbero essere riassunte in una frase: “cercare la gioia nelle piccole cose”. D’altronde, non è un caso che la Danimarca abbia occupato per oltre 40 anni il primo posto nella classifica dei paesi più felici del mondo.

 

 

L’ HYGGE IN PILLOLE

La casa

E’ un rifugio, un’oasi accogliente in cui assaporare momenti di pura felicità. I colori delle pareti sono chiari, luminosi, per riflettere il più possibile la luce del giorno. L’arredamento è composto da un mobilio in materiali rigorosamente naturali, come ad esempio il legno. L’oggettistica e le decorazioni ricoprono un ruolo chiave, poichè personalizzano l’ambiente rendendolo ancora più ospitale. Divani e cuscini, emblemi di comodità, abbondano. Le stanze principali sono la camera, all’insegna del massimo relax, ma soprattutto la cucina: è il luogo dove si prepara il cibo e in cui ci si riunisce la sera, condividendo pasti, chiacchiere e piacevoli racconti. L’illuminazione della casa è molto importante; le lampade vengono preferite ai lampadari giacchè diffondono una luce più intima; il camino (imprescindibile) e le candele a profusione rappresentano i must dello stile Hygge. Le candele, in particolare, vengono utilizzate ampiamente da tutti i danesi. Osservare il baluginio della loro fiamma è come compiere una meditazione che induce un profondo rilassamento.

 

 

Il cibo

E’ alla base della convivialità Hygge. Cucinare insieme agli amici e ai familiari è condividere momenti di totale intimità. Vengono privilegiati piatti tipicamente danesi come le polpette in salsa al curry, lo Snobrød (un pane il cui impasto viene avvolto attorno ad un bastone e cotto sul fuoco), e lo Skipperlabskovs, petto di manzo condito con patate, pepe nero, cipolle e foglie di alloro. Tra i dolci Hygge rientra il rote Grütze, realizzato con gelatina alla frutta e fecola di patate, e il Gammeldags æblekage, un dolce a tre strati a base di mele. Sul podio delle bevande troviamo il gløgg, seguito dalla cioccolata calda, dal caffè e dallo sciroppo di sambuco.

 

 

La convivialità

Trascorrere del tempo di qualità con gli amici è un altro cardine dell’ Hygge. Le parole d’ordine, ancora una volta, sono “convivialità”, “condivisione”, “armonia”. Il piacere di stare insieme prevale su tutto; l’atmosfera è rilassata, ognuno deve sentirsi a proprio agio. Lo spirito di gruppo predomina sull’ego dei singoli componenti: essere sè stessi è un imperativo, corroborato dall’amenità dei racconti e dei ricordi evocati. Ritrovarsi è un rituale che coincide con una pausa rigenerante, assaporando del buon cibo e staccando completamente la spina dal mondo virtuale. Fondamentale è cogliere l’attimo, la gioia del qui e ora.

 

 

Il Natale

Le feste natalizie, in Danimarca, rappresentano il periodo Hygge per eccellenza: il buio dell’Inverno viene contrastato da miriadi di candele, ma anche per strada e nei luoghi tipicamente turistici sfavilla un tripudio di luci. Basti pensare ai Giardini Tivoli di Copenaghen, classe 1843, il parco di divertimenti più antico al mondo. Durante l’Avvento, attività Hygge come lo stare insieme, il condividere i pasti e il preparare piatti tipici si susseguono a spron battuto. Anche addobbare la casa è molto Hygge. Le decorazioni sono realizzate a mano, il presepe trionfa accanto all’albero di Natale e gli ornamenti più elaborati vengono tramandati alle nuove generazioni. Elfi in miniatura proliferano sui portoni delle case o alle finestre; in cima all’abete troneggia una stella d’oro o argento, mentre i suoi rami sono impreziositi da noci, biscotti, piccole bandiere danesi e meravigliosi oggetti. Le candele, un basic dello stile Hygge, abbondano anche sull’albero e nelle composizioni che abbelliscono la tavola del Natale. Una nota tradizione danese, inoltre, prevede l’accensione di una candela dell’ Avvento tutti i giorni nel periodo compreso tra l’ 1 e il 31 Dicembre (clicca qui se vuoi saperne di più sul Natale a Copenaghen).

 

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Il luogo: Bergen, la città delle sette montagne, tra cultura, pan di zenzero e fiordi norvegesi

 

Ricordate quando nell’articolo dedicato alla casetta al pan di zenzero ho citato la “gingerbread town” più grande del mondo? Bene: Pepperkakebyen (questo il suo nome) è una delle principali attrattive natalizie di Bergen, la seconda città più popolosa della Norvegia, e oggi voleremo proprio lì. Bergen è un centro abitato ricco di fascino a partire dall’area in cui sorge: situata sulla penisola che porta il suo stesso nome, a nord si affaccia sul fiordo di Byfjorden e le montagne circondano il resto della città (soprannominata, in virtù di ciò, “città delle sette montagne”). Molti quartieri sono situati sulle isole circostanti, il che accresce la particolarità del territorio bergense. Ma perchè andare a Bergen, dato che Pepperkakebyen ha chiuso i battenti lo scorso 31 Dicembre? La risposta è semplice: è una città vivace, culturalmente stimolante. Non è un caso che nel 2000 sia stata eletta Capitale Europea della Cultura, nè che la presenza di numerosissimi studenti, molti approdati a Bergen grazie al progetto Erasmus, la renda estremamente frizzante. L’Università di Bergen, infatti, è circondata da un’aura di prestigio e la Norges Handelshøyskole, Scuola Norvegese di Economia, è una delle più rinomate della Norvegia. Il quartiere di Bryggen, inoltre, nel 1979 è stato decretato Patrimonio dell’ Umanità UNESCO. Si tratta, tanto per intenderci, dell’area che include le iconiche e coloratissime casette di legno situate sul lungomare. Ma l’appeal di Bergen non si esaurisce qui: è dal porto cittadino che si possono raggiungere i fiordi di Hardangerfjord  e Sognefjord, due meraviglie norvegesi, collocati a poca distanza. La suggestività di quest’antica città anseatica fondata dal re Olaf Kyrre nel 1070 è del tutto unica. Capitale della Norvegia fino al 1300, quando Oslo prese il suo posto sotto il regno di Haakon V, verso la metà del XIV  secolo divenne la sede di uno dei fondachi della Lega Anseatica ed entrò ufficialmente a farne parte. Da allora, Bergen si tramutò nel centro commerciale più rilevante del paese e tuttora lo rimane.

 

 

Naturalmente, un viaggio a Bergen non può prescindere da una visita al quartiere di Bryggen. Affacciato sulla baia di Vågen, Bryggen è contraddistinto da una serie di casette di legno dai colori vivaci e disposte a schiera che l’hanno reso inconfondibile. Nel 1360, quando Bergen entrò a far parte della Lega Anseatica, Bryggen divenne il quartier generale dei mercanti tedeschi in città: dal porto si esportavano grandi quantità di stoccafisso e si importavano i cereali che provenivano dal centro Europa. In passato Bryggen fu devastato da ben due incendi, ma dopo ogni ricostruzione le casette apparivano più belle di prima. Lì i mercanti collocavano i loro uffici e magazzini, talvolta delle mense, non di rado vi alloggiavano. Oggi, nel quartiere – Patrimonio dell’Umanità UNESCO – proliferano bar, caffetterie, ristoranti, boutique, e le sue viuzze medievali sono disseminate di gallerie e studi d’arte. A proposito di arte: tra i molti musei presenti a Bergen vi segnalo il Bergen Kunsthall, dove potrete ammirare opere di artisti contemporanei nazionali e internazionali, l’Hanseatiske Museum, ricco di reperti e testimonianze risalenti all’epoca in cui Bergen faceva parte della Lega Anseatica, e il Bryggens Museum, situato proprio a Bryggen: qui, nell’antica area portuale cittadina, vengono conservati i più importanti cimeli della Bergen medievale. Assolutamente imperdibile, poi, è il KODE Art Museums and Composer Homes, composto da sette edifici dislocati nel cuore della città. E’ maestoso e focalizzato sull’arte, la musica, l’artigianato e il design scandinavi. Include quattro musei, KODE 1, 2, 3 e 4, e le dimore di tre celeberrimi compositori norvegesi: Ole Bull, Harald Sæverud e Edvard Grieg. Tra i fiori all’ occhiello del KODE risalta la collezione permanente di Edvard Munch; le collezioni Rasmus Meyer e Silver Treasure sono da visitare tassativamente, così come le incredibili mostre di arte contemporanea e design organizzate dal museo.

 

 

A pochi passi da Bryggen troverete la fortezza di Bergenhus, che comprende il Castello Reale, la Håkonshallen e la Torre di Rosenkrantz. Sono tre edifici risalenti all’epoca medievale che vennero edificati su richiesta dei sovrani di Norvegia: nel Castello i re avevano stabilito la loro dimora, mentre la Håkonshallen, un monumentale salone di pietra con travi di legno sottostanti al soffitto a volta, era destinata agli eventi più importanti; qui furono celebrati, tra l’altro, diversi matrimoni reali. La Torre di Rosenkrantz, duecentesca, veniva utilizzata sia a scopo difensivo che residenziale.

 

 

Dato che Bergen ha basato sul commercio del pesce quasi tutta la sua storia, soprattutto durante l’ appartenenza alla Lega Anseatica, visitare il mercato del pesce della Torget è d’obbligo. Al mercato potrete ammirare innumerevoli varietà di pescato, proveniente rigorosamente dal Mare del Nord e mantenuto fresco grazie agli innovativi banconi in legno dotati di un flusso d’acqua continuo. E’possibile anche pranzare: un’occasione unica per gustare “dal vivo” le prelibatezze marine di Bergen.

 

 

Si dice che nel fiordo di Byfjorden si rifletta una luce speciale, impossibile da vedere altrove. Niente di meglio, dunque, che ammirarla dall’ alto in tutto il suo splendore. Fatelo raggiungendo la cima della collina Fløyen in funicolare: lì, a 320 metri sopra il livello del mare, potrete godere di un panorama mozzafiato della città di Bergen e del suo mare. Vale decisamente la pena, anche perchè la funicolare impiega solo cinque minuti per inerpicarsi sull’altura.

 

 

Se invece preferite visitare i fiordi e perdervi nella meraviglia selvaggia della loro natura, sappiate che dal porto di Bergen partono traghetti che li raggiungono quotidianamente. Il Sognefjord è una meta must: vanta una lunghezza di ben 203 chilometri che lo piazza al secondo posto a livello mondiale, mentre è il più profondo in assoluto di tutta la Norvegia. Lo costeggiano montagne imponenti, dalle pareti scoscese, che svettano sul mare ad oltre 1000 metri di altezza, ma proseguendo nel tragitto il paesaggio si fa più a misura d’uomo e rivela una vegetazione rigogliosa, villaggi inaspettati ed aree coltivate con cura.

 

 

Gamle Bergen è un museo open air a 4 chilometri da Bergen dove potrete addentrarvi nelle viuzze acciottolate della città vecchia, minuziosamente riprodotta in cinquanta case di legno corredate di negozi e di antiche botteghe. Alle abitazioni si accede solo tramite un tour guidato, mentre l’accesso alla Gamle Bergen è assolutamente gratuito. All’interno delle case vengono fedelmente replicati l’arredamento e lo stile di vita norvegesi a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.

 

 

E veniamo alla Pepperkakebyen, la città di pan di zenzero più grande del mondo. Pepperkakebyen, composta da casette ed edifici rigorosamente al pan di zenzero, è una miniatura di Bergen splendidamente illuminata: si possono ammirare le vie, le piazzette, le case, i palazzi storici, l’antico porto, le navi, le auto, persino le ruote panoramiche e le giostre di Natale, ma non solo…sono incluse le persone, gli animali, e un trenino percorre un itinerario ininterrotto. L’intera città, golosissima, è ricoperta di glassa, caramelle e canditi. Un vero e proprio incanto, insomma, alla cui realizzazione contribuiscono ogni anno anche i bambini delle scuole elementari e degli asili cittadini.  Purtroppo è troppo tardi per vederla ora, la Pepperkakebyen è un’attrazione tipicamente natalizia; potreste però decidere di visitarla il prossimo Dicembre. Pare che la città al pan di zenzero tornerà attiva dal 23 Novembre fino al 31 Dicembre 2024, ma le date sono ancora da confermare. Consultatele nel sito https://en.visitbergen.com/

 

 

Foto del Sognefjord di Zairon, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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La colazione di oggi: la casetta di pan di zenzero, tra tradizione, arte e gusto

 

Tradizione natalizia tipica della Germania e dell’ Europa del Nord, la casetta di pan di zenzero è diffusissima anche negli Stati Uniti. In tedesco si chiama  Lebkuchenhaus o Pfefferkuchenhaus  e viene considerato il dolce più goloso e conosciuto preparato con il famoso impasto speziato (“pepparkakor” il suo nome in svedese). Ho già parlato di questa pasta biscotto a base di miele, melassa e zucchero di barbabietola aromatizzati con zenzero, cannella e chiodi di garofano (rileggi l’articolo qui), stavolta voglio soffermarmi sulla casetta e sulla sua storia. Prepararla non è molto difficile, sono le decorazioni a renderla un’opera d’arte: la pasta dev’essere compatta, dopodichè si taglia in modo da formare le parti di una casa. I pannelli, una volta cotti, si assemblano delineando la struttura di un’abitazione. Per unirli vengono usati la glassa o lo zucchero fuso; la glassa, ricoperta di zucchero a velo, serve anche a creare l’effetto neve o dettagli specifici del dolce, come le tegole. Confetti, zuccherini colorati e caramelle completano l’opera, dando un aspetto oltremodo invitante alla casetta. Lo zenzero, che ha una lunga durata di conservazione, contribuisce a mantenerla integra per molto tempo.

 

 

La preparazione dell’ impasto si avvale, oltre che del pan di zenzero, di farina, uova, burro, noce moscata e cacao; al fine di rendere la pasta sufficientemente compatta, la si lascia indurire per alcune ore. Con il pan di zenzero si possono realizzare dolcetti dalle forme più disparate: alberi di Natale, stelle, cuori (basti pensare a quelli, tipici, dei mercatini natalizi tedeschi), renne, fiocchi di neve, animali, cavalieri, santi protettori sono ed erano le più diffuse. Questi dolci cominciarono ad essere prodotti in Germania sotto forma di biscotti (i Lebkuchen) tra il XIII e il XIV secolo. Norimberga, in particolare, considerata la “capitale mondiale del pan di zenzero”, divenne celebre per i capolavori artistici che i fornai realizzavano con il pan di zenzero nel 1600. Nel resto d’Europa, la golosissima pasta biscotto arrivò nel XIII secolo. In Svezia il “pepparkakor” venne diffuso dagli immigrati tedeschi, mentre pare che gli omini al pan di zenzero fossero abitualmente preparati alla corte di Elisabetta I Tudor a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

 

 

Nel XVII secolo, produrre dolci al pan di zenzero si tramutò in una professione che rientrava in una corporazione specifica. Le creazioni erano elaboratissime, impreziosite da elementi ornamentali, e coniugavano il gusto con la pura bellezza; a Natale, venivano vendute soprattutto nei mercatini e nelle bancarelle poste in prossimità delle chiese. La produzione “artistica” di pan di zenzero, in Europa, divenne una realtà consolidata nelle città di Norimberga, Lione, Praga, Pest, Torùn e in molti altri centri sparsi tra la Germania, la Polonia e la Repubblica Ceca. Con la massiccia emigrazione tedesca negli Stati Uniti, successivamente, la tradizione invase paesi a stelle e strisce come il Maryland e la Pennsylvania. Ma come nacque l’usanza delle casette al pan di zenzero?

 

 

La loro origine viene fissata a Norimberga, dove tra il 1500 e il 1700 i mercanti erano soliti importare enormi quantità di spezie quali appunto lo zenzero, la cannella, il pepe e le mandorle, mentre l’apicoltura a cui era consacrata la foresta reale garantiva una produzione di miele continua. Secondo una leggenda, la creazione delle prime casette risalirebbe proprio a quell’epoca: un fornaio che viveva nella città tedesca cominciò a prepararle sostituendo la farina con le mandorle per destinarle a sua figlia, affetta da una patologia rara. Secondo gli studiosi, invece, la casette al pan di zenzero vennero prodotte a partire dal 1800: in seguito alla pubblicazione della fiaba “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm, nel 1812, un gran numero di fornai pensò di riprodurre la casa di leccornie con cui la strega attira i due protagonisti. Inutile dire che fu il pan di zenzero a plasmare quelle casette, che prontamente andarono a ruba. Questo dolce si impose durante le festività natalizie, e a tutt’oggi nulla è cambiato.

 

 

Nel 1800, le casette “raggiunsero” anche il Regno Unito: Thomas Hardy le cita in “Jude l’oscuro”, che apparve sotto forma di romanzo nel 1895, mentre nel ricettario “Dinner With Dickens: Recipes Inspired by the Life and Work of Charles Dickens”, uscito non molti anni orsono, la casetta di pan di zenzero è inclusa tra i dolci associati alla vita e all’opera di Dickens.

 

 

Oggi, a Norimberga vengono prodotte annualmente più di 70 milioni di casette. La città tedesca può essere considerata la città simbolo di questo dolce natalizio, che ha ottenuto peraltro il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Tuttavia, la gingerbread house rientra a pieno titolo anche tra le tradizioni natalizie del Nord Europa: il pan di zenzero, ricco di calorie, è un valido aiuto per contrastare le temperature polari della penisola scandinava. Nei paesi in cui la casetta è diffusa, inoltre, la tipicità gioca un ruolo molto importante. In famiglia, nei giorni che precedono il Natale, ci si riunisce tutti insieme per preparare il dolce; in Germania è possibile trovarlo in ogni mercatino nel periodo delle festività. In Svezia, la ricorrenza di Santa Lucia coincide con l’inizio della preparazione delle casette. In determinati luoghi vengono creati dei maestosi villaggi al pan di zenzero: il più grande a livello mondiale è Pepperkakebyen, costruito in Norvegia dagli abitanti di Bergen; notevoli e molto conosciuti sono anche Gingertown, la città di pan di zenzero realizzata a Washington, e il villaggio dell’ Hotel Marriott Marquis di New York, che contiene persino un treno.

 

 

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Tomte e Nisse: i folletti del Natale scandinavo

 

Nell’articolo sul Natale a Copenaghen, che ho pubblicato lunedì scorso (rileggilo qui), ho parlato di una figura onnipresente nelle festività scandinave: il folletto. Questo personaggio, insieme ai suoi simili, prolifera ovunque. Tant’è che, come vi dicevo, è raro visitare un mercatino natalizio senza incontrarne almeno uno. Oggi scopriremo qualcosa in più su di lui, una creatura ricorrente nel folklore del Grande Nord. Il suo nome varia a seconda del paese di provenienza: in Danimarca e Norvegia il folletto è stato battezzato Nisse, in Svezia viene chiamato Tomte. Le origini del Nisse e del Tomte affondano nella cultura agreste, il tardo Medioevo è l’epoca in cui compaiono le prime illustrazioni e testimonianze che li riguardano. In quel periodo, il folletto è un’entità che ha la funzione di proteggere la tenuta agricola. Il nome svedese che lo designa è indicativo: “tomt” significa “terreno”, per cui viene considerato una sorta di “guardiano della fattoria” che ha il compito di aiutare l’agricoltore nelle incombenze giornaliere e nella gestione del bestiame. Il folletto ama gli animali e se ne prende cura; ha un debole per i cavalli, tantevvero che di notte è solito riempire la loro criniera di treccine talismaniche. Vive nascosto, generalmente nei camini e nelle soffitte. Ma che aspetto ha un Nisse o un Tomte che dir si voglia? Innanzittutto, è alto all’incirca due spanne. Fisicamente è simile a uno gnomo, sul volto da anziano spicca una lunga barba candida; indossa un cappuccio rosso a punta e i tipici abiti dei contadini scandinavi del 1600. In Danimarca e Norvegia svolge le medesime funzioni del Tomte svedese, anche se Nisse deriva dal nome proprio Niels, diminutivo di Nikolas. C’è da dire che il carattere del folletto non è esattamente accomodante. Nonostante sia laborioso, discreto (lavora durante la notte, in gran segreto, mentre gli abitanti della fattoria dormono placidamente), preciso e attento, se nota qualche negligenza o ritiene di essere trattato male va su tutte le furie: rompe, disfa, fa dispetti…minaccia di andarsene per sempre. Per evitare di scatenare la sua ira, e a mò di ringraziamento, l’agricoltore deve lasciare un pasto per lui ogni sera. La ciotola che rimane vuota dopo qualche ora è la prova della sua esistenza. A Natale, poi, il folletto ha diritto a un alimento speciale di cui è golosissimo: il tomtegröt, un tipico budino di riso svedese. Lo pretende con zucchero, burro e cannella abbondanti, altrimenti esplode in sonore arrabbiature.

 

 

Anticamente, la figura del folletto era molto controversa. C’era chi ringraziava il cielo per averne uno che badava alla fattoria e chi riduceva quest’atteggiamento positivo nei suoi confronti a una sorta di idolatria. Accudire un folletto, per alcuni, era come adorare il diavolo; non è un caso che il Tomte e il Nisse fossero spesso tirati in ballo durante i processi per stregoneria. I cristiani consideravano i folletti creature pagane e guardavano a loro con diffidenza. In più erano collerici, vendicativi, si diceva che rubassero persino…Solo intorno alla fine dell’800 l’immagine del Tomte e del Nisse venne riabilitata. Gli artisti e i letterati cominciarono a ricondurli alla figura di San Nicola, ma l’autentica svolta si ebbe quando l’illustratrice svedese Jenny Nyström li raffigurò come folletti bonari a corredo del componimento “Tomten” dello scrittore e filosofo Viktor Rydberg. Questo testo descrive un Tomte che trascorre la gelida notte di Natale completamente immerso in meditazioni filosofiche. Il folletto non è più l’entità dispettosa e irascibile del folkore: diventa un essere pensante, mansueto, che ama gli animali e ha a cuore il bene della fattoria. Ma cosa c’entrano il Tomte e il Nisse con il Natale?

 

 

Il legame tra il folletto e il Natale si instaurò nientemeno che in Italia, precisamente nel 1836. In quel periodo erano molti gli artisti e gli intellettuali scandinavi che si trasferivano nel nostro paese. A far conoscere il Nisse nella tiepida e assolata Roma fu il pittore danese Constantin Hansen, un esponente della corrente del Romanticismo. In molti notarono l’addobbo natalizio raffigurante un Nisse durante una festa che Hansen diede nella sua abitazione: da allora, il folletto scandinavo venne considerato una creatura del Natale e si moltiplicarono le sue rappresentazioni a tema. Anche l’artista Johan Thomas Lundbye (danese come Hansen) incluse un Nisse intento a mangiare il budino di riso in una sua illustrazione natalizia del 1845.

 

 

Non molto tempo dopo, l’apparizione della versione femminile del folletto gli diede addirittura la possibilità di metter su famiglia. Attualmente, la figura del Tomte e del Nisse ha raggiunto un giusto equilibrio tra l’irriverenza e la permalosità delle origini e la bonarietà rassicurante e pacifica che acquisì nel XIX secolo: d’altronde, un folletto che non sia dispettoso non si è mai visto! E il Tomte e il Nisse, appartenenti al mondo delle innumerevoli creature che animano i boschi, i monti, i mari e le tenute agricole delle innevate lande del Grande Nord, hanno fatto della loro “dispettosità” un tratto distintivo e inconfondibile. Concludo con un particolare che non può essere tralasciato: in Svezia, Babbo Natale si chiama Jultomte. Ma in comune con Santa Claus ha solo il cappello rosso, perchè lo Jultomte non è altro che il folletto “delle fattorie”. Lo Jultomte porta i doni ai bimbi e in questo ruolo ha preso il posto dello Julbock, ovvero la celebre capra di Natale del folklore scandinavo.

 

Tutte le illustrazioni sono di Jenny Nyström (Public Domain)

 

10 +1 dolci natalizi della tradizione europea

 

La magia del Natale, e di Dicembre in generale, coinvolge anche il palato: non esiste un mese più ricco di tipicità dolciarie. E i dolci natalizi rappresentano una tradizione diffusa in tutto il mondo. Ogni paese in cui vige il Cristianesimo ha il proprio dessert, la propria delizia pasticcera. E’ bellissimo scoprire le caratteristiche di queste golosità internazionali: ci permette di ampliare le nostre conoscenze, ma anche di saperne di più sul legame che intercorre tra un luogo e i suoi dolci tradizionali. Oggi scopriremo 10 + 1 leccornie europee tipicamente natalizie.

 

Italia: il Panettone

Proveniente da Milano, è il dolce-simbolo del Natale italiano. Ha una forma cilindrica che prende le sembianze di una cupola  (definita “a cappello da cuoco”) nella parte superiore. Internamente, la pasta del panettone è molto soffice e viene costellata da canditi e uvette che decorano anche il suo “cappello”. Del dolce esistono svariate versioni: al cioccolato, alla vaniglia, al limone, al pistacchio siciliano, ai frutti di bosco…ma diventa ancora più squisito quando viene ricoperto da un invitante strato di glassa.

 

Germania: lo Stollen

Questo dolce antichissimo, ideato a Dresda, vanta origini che risalgono al XIV secolo. Ha l’aspetto di un pane e la dolcezza è il suo plus: l’impasto, ricco di burro, contiene un tripudio di canditi, mandorle e uvette. Lo zucchero a velo che lo ricopre interamente non fa che accrescere la sua delizia.

 

Francia: la Bûche de Noël

E’ l’equivalente del nostro Tronchetto di Natale: esternamente riproduce un tronco d’albero completamente ricoperto di cioccolato, mentre al suo interno contiene del soffice pan di spagna farcito al cioccolato o alla marmellata. Si ispira alla tradizione del “ceppo di Yule” (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), ed è un’autentica golosità diffusa in tutta la Francia e nei paesi francofoni.

 

Gran Bretagna: il Christmas Pudding

E’ un dolce della tradizione natalizia britannica, ma anche irlandese e statunitense. Si presenta come un budino di frutta secca e viene servito durante la cena della vigilia. Sfoggia una forma arrotondata, più precisamente semi-ovale; la parte superiore è sormontata da un agrifoglio o altri ornamenti. Tra gli ingredienti che compongono la sua ricetta troviamo le uova, lo zucchero, le mandorle, la melassa, i canditi, le spezie e il rum. Nacque ispirandosi ad alcuni cibi medievali e nel XVI secolo spopolava già in tutta l’Inghilterra.

 

Ungheria: il Bejgli

Questo dolce tradizionale ungherese viene consumato sia a Natale che a Pasqua. Può essere descritto come un rotolo a base di noci o semi di papavero; entrambe le versioni contengono uva passa e rum, mentre le noci e i semi di papavero sono rispettivamente tritate e macinati. Non è raro che il Bejgli venga farcito con marmellata di albicocche: una delizia per il palato e per gli occhi.

 

Polonia: il Piernik

Il Piernik, un pan dolce speziato rivestito di glassa al cioccolato, affonda le sue radici nelle steppe tra la Russia e la Polonia. “Piernik”, in polacco, significa letteramente “pan di zenzero”: ed  è proprio il pan di zenzero il suo ingrediente principale. Oltre al profumo dello zenzero risaltano quelli del cacao, della cannella e della noce moscata. Il punto di forza del dolce, però, è la farcitura di  marmellata di prugne; lasciata fermentare per un buon lasso di tempo, la confettura dona al Piernik un sapore ineguagliabile.

 

Austria: i Vanillekipferl

Sono biscotti alla vaniglia dalla caratteristica forma a mezzaluna. In Austria vengono preparati già dai primi giorni di Dicembre, ma per gustarli si attende rigorosamente la vigilia di Natale. Di solito li si accompagna a una buona tazza di cioccolata calda: la loro golosità viene così duplicata. I Vanillekipferl hanno un’origine curiosa. Pare infatti che vennero inventati a Vienna nel 1600, in seguito alla vittoria degli austro-ungarici sull’esercito ottomano; per celebrare l’evento, i pasticceri cittadini si ispirarono alla bandiera turca e prepararono questi biscotti a mezzaluna.

 

Spagna: il Roscòn de Reyes

E’ un dolce del periodo natalizio: fino a poco tempo fa si preparava esclusivamente il 6 Gennaio, in occasione dell’Epifania, per celebrare l’arrivo dei Re Magi. E’ in quella data che i bambini spagnoli ricevono i regali, portati di casa in casa direttamente da Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. La cosiddetta “ciambella dei Re Magi” vanta un impasto morbidissimo a base di uova, burro e acqua di fiori d’arancio; all’esterno risalta invece un tripudio di frutta candita multicolore, granella di zucchero e mandorle.

 

Svezia: i Lussekatter

I “gatti di Santa Lucia” svedesi sono brioches composte da uvetta e zafferano preparate a partire dal 13 Dicembre. Dolci tradizionali di Santa Lucia, caratterizzano tutto il periodo natalizio e sono molto conosciuti anche oltre i confini della penisola scandinava. Hanno una forma ad S, una consistenza morbidissima; nati in Svezia nel XVII secolo, vennero aromatizzati allo zafferano affinchè acquisissero una profonda luminosità. Le origini delle brioches, infatti, si intrecciano con una leggenda che vede protagonisti il diavolo e Gesù Bambino: quest’ultimo donò i Lussekatter a dei bambini che venivano infastiditi dal maligno sotto le sembianze di un gatto. Il giallo intenso dei dolcetti, simbolo di luce, lo avrebbe costretto alla fuga.

 

Danimarca e Norvegia: il Kransekake

La sua forma conica ricorda un albero di Natale. La struttura del Krasenkake consta di molteplici anelli posti l’uno sopra l’altro: tra i loro ingredienti spiccano le mandorle, lo zucchero e gli albumi d’uovo. Le guarnizioni della torta sono essenzialmente a base di abbondante glassa bianca. Il dolce, consumato anche a Capodanno e in occasione dei matrimoni, viene gustato dopo aver separato ad uno ad uno tutti gli anelli che lo compongono.

 

Danimarca: le æbleskiver

Sono bignè fritti, dalla forma sferica e abbondantemente cosparsi di zucchero a velo. Leggere e morbidissime, le æbleskiver si avvalgono di un impasto semplice a base di latte, uova e zucchero, ma vengono in genere aromatizzate con il cardamomo e la scorza di limone. Il ripieno di marmellata al loro interno le rende ancora più golose: predomina quella di ribes, more, fragole e lamponi.

 

Foto della Buche de Noel diJebulon, CC0, da Wikimedia Commons

Foto del Krasenkake di Lorie Shaull, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, da Wikimedia Commons

 

Sole di Mezzanotte: nel Grande Nord, in estate, il giorno non finisce mai

 

Pensate a un Sole che non tramonta mai: una visione affascinante, ma tutto fuorchè un miraggio. Il Sole di Mezzanotte è un fenomeno astronomico che si verifica d’estate nelle zone a nord del Circolo Polare Artico e a sud del Circolo Polare Antartico. Più ci si avvicina al Polo, più il Sole rimane fisso sopra l’orizzonte. Ciò è determinato dall’ inclinazione dell’asse terrestre a latitudini superiori o equivalenti a 66°33′49.5“: in tali aree, il Sole “galleggia” sull’orizzonte per una serie di giorni o per mesi interi. La durata del fenomeno dipende dalla latitudine. Ad esempio, il Circolo Polare Artico (collocato sul parallelo 66°33′ 49″ di latitudine nord), rappresenta l’area più meridionale in cui il Sole di Mezzanotte appaia. In questa zona, il fenomeno coincide con il Solstizio d’Estate e non oltrepassa le 24 ore. I paesi in cui è possibile assistere allo spettacolo del Sole di Mezzanotte sono le regioni settentrionali del Canada, dell’ Alaska, della Russia, della Groenlandia, e poi ancora l’Islanda (dove è visibile per rifrazione) e la Lapponia norvegese, svedese e finlandese. Come vi ho già accennato, più ci si sposta a nord del Circolo Polare Artico, più la notte è destinata a indietreggiare: basti pensare che nelle Isole Svalbard, situate all’estremo nord della Norvegia, il Sole di Mezzanotte splende ininterrottamente dal 20 Aprile al 22 Agosto.

 

 

Al Polo Nord, invece, dura addirittura da fine Marzo a fine Settembre. Ma cosa rappresenta il Sole di Mezzanotte, al di là delle latitudini e dei paralleli? Innanzitutto, ore di luce ininterrotta in un cielo che si tinge di volta in volta dei colori dell’alba, del giorno o del tramonto. Ciò comporta un totale stravolgimento nelle regole che scandiscono il tempo: la notte non esiste, i ritmi si ribaltano a nostro piacimento. A fare da denominatore comune è la prorompente euforia che travolge le persone. L’energia straordinaria, la gioia di vivere irrefrenabile che si impossessa dei popoli del Grande Nord. E’ come se la luce del Sole irradiasse potenza e spazzasse via ogni traccia di sonno e di stanchezza. Si vive a contatto con la natura, si fanno gite in bici, si pagaia tra i fiordi, si va a pesca, si organizzano safari di Whale Watching, si fanno bagni di mezzanotte…I musei, le attività e le attrazioni turistiche sono sempre aperti. Molti piantano una tenda nel bel mezzo di paesaggi incantevoli per godersi l’aria pura e la luce dai colori incredibili di queste giornate senza fine.

 

 

Alle isole Svalbard, nel Mare Glaciale Artico, si esplorano i ghiacciai e si fanno escursioni in slitta per ammirare la sorprendente natura delle zone polari. L’iperattività è il leitmotiv di ogni giornata, il cui principio e la cui fine sono regolati soltanto dagli orari di lavoro: i momenti dedicati al tempo libero risultano perfettamente personalizzabili.

 

 

Il popolo dei Sami, altrimenti detti lapponi, chiamava “Beaivi” sia il Sole che la dea del Sole. I Sami erano soliti sacrificare una renna bianca ad ogni Solstizio d’Inverno per favorire il ritorno di Beaivi dopo i lunghi mesi freddi e privi di luce. Quando il Sole cominciava a fare capolino, la tradizione voleva che i Sami appendessero panetti di burro sulle porte affinchè Beaivi salisse sempre più in alto senza difficoltà. Durante il Solstizio d’Estate, si intrecciavano collane di foglie e fiori in omaggio a Beaivi. Sempre in Estate, inoltre, i Sami dedicavano preghiere a chi soffriva di depressione, una patologia a loro dire provocata dalla mancanza di luce patita durante l’Inverno. In Scandinavia, non a caso, la Festa di Mezza Estate (Midsommar, cade il venerdì tra il 19 e il 25 Giugno) viene celebrata con grande entusiasmo. I festeggiamenti e i rituali ricordano molto quelli tipici di San Giovanni Battista. Un esempio? L’ aspetto della divinazione: se una giovane donna, la notte di Midsommar, dorme con sette fiori sotto il cuscino, le apparira’ in sogno il suo futuro sposo. Quando arrivava il Sole di Mezzanotte, in Groenlandia, ai bambini si raccomandava di non girovagare troppo: avrebbe potuto rapirli il qivittoq, un esiliato che il clima gelido del paese aveva tramutato in un’anima errante.

 

 

Se avete in programma un viaggio per ammirare il Sole di Mezzanotte, questo è il periodo ideale. Nella maggior parte dei paesi a nord del Circolo Polare Artico, infatti, appare in un periodo compreso tra la fine della Primavera e l’Estate inoltrata. Nella Lapponia finlandese il fenomeno è visibile dal 26 Giugno al 7 Agosto, nelle Isole Lofoten (Norvegia Settentrionale)  dal 20 Maggio al 22 Luglio: un lasso di tempo che più o meno coincide con quello dell’ Isola di Grimsey, in Islanda. In Norvegia, nella mitica Capo Nord, il sole non tramonta dal 14 Maggio al 29 Luglio. Nella suggestiva Kiruna, la città più a nord di tutta la Svezia, il Sole di Mezzanotte è visibile da fine Maggio a metà Luglio, mentre a Helsinki il sole tramonta, ma solo per un paio d’ore al giorno: un evento che dona un fascino incommensurabile alla capitale della Finlandia.

 

 

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