Caronte: perchè si chiama così e chi era il terribile traghettatore degli Inferi

 

Caronte: ma chi ha dato, e perchè, questo nome all’anticiclone africano più torrido di sempre? La tradizione di affibbiare determinati nomi ai fenomeni atmosferici, in Europa, ha avuto inizio negli anni Cinquanta all’Istituto di Metereologia dell’Università di Berlino. Nel 1954 fu compilata una lista di dieci nomi di persona da assegnare ai principali eventi meteo; curiosamente, le aree di alta pressione atmosferica (associate al bel tempo) vennero denominate con nomi maschili, mentre quelle di bassa pressione (associate al cattivo tempo) con nomi femminili. Ciò provocò malcontento, in particolare tra le femministe, pochè una simile prassi fu considerata discriminatoria in base al genere. Negli anni Novanta si stabilì quindi che, annualmente, si sarebbero alternati nomi maschili e femminili in ordine alfabetico a prescindere dal fenomeno atmosferico. In conclusione, a battezzare gli eventi metereologici nel Vecchio Continente è l’Istituto berlinese da 70 anni a questa parte. Vale ora la pena di ricordare chi fosse Caronte.

 

Caronte in un’incisione di Gustave Doré, che illustrò la “Divina Commedia” (1861-1868)

Caronte è una figura che ritroviamo sia nella mitologia greca che romana: si occupava di traghettare le anime dal mondo dei vivi all’Ade, il regno dei Morti, attraverso il fiume Stige (come riporta Virgilio nell’Eneide) o Acheronte (come riporta Dante nella Divina Commedia). Caronte, però, svolgeva le proprie mansioni solo a beneficio di chi era stato seppellito con una cerimonia funebre oppure era in grado di pagargli un obolo per il viaggio. Tutti coloro che erano privi di questi requisiti venivano condannati a errare nel Limbo, un bosco spettrale ammantato di nebbia, per l’eternità. Se le anime in questione, invece, potevano permettersi di salire sull’imbarcazione di Caronte, venivano traghettate da una sponda all’altra del fiume Acheronte. Il traghettatore infernale viene descritto da Dante come un uomo spaventoso: un vecchio con barba e capelli lunghi e candidi accompagnati da occhi cerchiati di fuoco. Non a caso Caronte è il figlio di Erebo, la personificazione dell’oscurità degli Inferi, e di Notte, la personificazione della notte della Terra. L’obolo, il pedaggio da pagare per la traghettatura, è un dettaglio molto importante. Sia nell’antica Grecia che nell’antica Roma, infatti, vigeva l’usanza di seppellire i cadaveri con una moneta sotto la lingua o due monete sugli occhi: per evitare che i defunti vagassero nell’Ade come anime in pena, i loro familiari li dotavano dell’obolo da versare a Caronte. In Grecia, questa tradizione è stata abolita solo in tempi recenti. Il demoniaco traghettatore dell’Ade, tuttavia, non ha trasportato sull’altra sponda del fiume soltanto morti; tra i vivi saliti sulla sua barca figurano personaggi mitologici del calibro di Enea, Persefone, Teseo, Ercole, Orfeo, Psyche. L’elenco si allunga, in seguito, con San Paolo e Dante Alighieri.

 

Caronte in un dipinto di Joachim Patinir (1520-1524 circa) conservato nel Museo del Prado

Caronte appare in due pietre miliari della letteratura quali l’Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante Alighieri, dove entra in scena nel Canto III dell’Inferno. Anche il commediografo greco Aristofane, intorno al V secolo a.C., lo incluse nella sua pièce Le Rane, facendogli fare una breve comparsa. Se Caronte è una figura mitologica, i Caronti sono realmente esistiti.  Ma chi erano, esattamente? Nell’antica Roma, veniva chiamato Caronte colui che dava il colpo di grazia al gladiatore in fin di vita che aveva perso il combattimento. Il Caronte aveva un aspetto inquietante: celava il volto con una maschera che raffigurava il suo omonimo mitologico, e per portare a termine il suo compito si serviva di una mazza. Dopo essersi accertato che il gladiatore avesse esalato l’ultimo respiro, il Caronte caricava il suo corpo su un carro e lo trasportava nel cosiddetto “spoliarum”. In questa macabra stanza dell’anfiteatro, il gladiatore veniva spogliato  e i Caronti procedevano a impossessarsi del suo sangue. Costoro, infatti, avevano una sorta di seconda attività: vendevano il sangue dei gladiatori, reputato un potente amuleto e un antidoto a mali come l’astenia e la mancanza di virilità. Nella vita quotidiana, per rendere ancora più lugubre la loro figura, i Caronti usavano tingersi la pelle di verdognolo per rievocare la caratteristica tonalità della decomposizione cadaverica. Ma non voglio concludere questo articolo con racconti così funerei. Passiamo allora al motivo per cui l’anticiclone africano è stato battezzato con il nome del terribile nocchiero degli Inferi. La ragione è molto semplice: al Caronte sub-tropicale spetta il compito di “traghettarci” nelle infuocate estati del cambiamento climatico.

Immagini di Caronte: Public Domain via Wikimedia Commons