La colazione di oggi: la feta, il formaggio epico che compare nell’Odissea di Omero

 

La feta, un tradizionale formaggio greco dalla tipica forma a blocchi rettangolari, è ormai diffusissima anche in tutti i supermercati e i negozi italiani. La sua pasta è morbida ma non troppo, compatta, la crosta è completamente assente. Sulla superficie, il formaggio è costellato di piccoli fori. Generalmente, dato che la feta viene fatta maturare in salamoia, il suo sapore risulta parecchio salato; tuttavia, si presenta più o meno piccante a seconda che venga suddivisa nella varietà “soft” o “firm”. La variante soft, dal gusto delicato, è talmente morbida da poter essere spalmata come una crema: non è un caso che si utilizzi anche per la preparazione dei dolci. La variante firm vanta invece un aroma salato e vagamente acido (ma non privo di un tocco di dolcezza) che viene descritto come un incrocio tra il burro, lo yogurt e il latte di pecora – anche se, in realtà, la feta contiene latte di capra che può raggiungere una percentuale del 30%. Ad intensificare il suo sapore sono accenti speziati simili al pepe e allo zenzero. Il nome “feta”, che affonda le radici nel XVII secolo, in greco significa “fetta”; ciò potrebbe riferirsi alla rottura della cagliata una volta che il latte si è coagulato oppure alla forma del formaggio. Una curiosità: la feta era già presente ai tempi di Omero e viene inclusa persino nell’Odissea, il leggendario poema epico che il poeta greco scrisse tra l’VIII e il VI secolo a.C.

 

 

Nella Grecia antica, i formaggi erano un cardine della gastronomia. La feta veniva prodotta soprattutto a Creta e in Tessaglia; verso la fine del 1400 l’italiano Pietro Casola rimase talmente colpito da questo saporito formaggio da descriverne dettagliatamente la lavorazione e il “riposo” in salamoia per almeno 65 giorni. E’ molto importante dire che, dal 2022, la feta ha ricevuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP): ciò significa che l’utilizzo del suo nome spetta solo alla Grecia e al di fuori di questo paese è proibito assegnarlo a prodotti che presentino caratteristiche simili.

 

 

La feta è un formaggio piuttosto denso di lipidi; contiene anche proteine in quantità e una buona dose di carboidrati.  Abbonda di acqua mentre è poco ricca di lattosio, una bella notizia per gli intolleranti. Chi è affetto da ipercolesterolemia, invece, dovrebbe consumarla con cautela: la feta si ricava dal latte intero e presenta una notevole concentrazione di colesterolo. Le vitamine maggiormente incluse in questo formaggio greco sono la vitamina A e la vitamina B, mentre tra i sali minerali prevalgono il calcio, il sodio e il fosforo.

 

 

Tipicamente inclusa tra gli stuzzichini dell’aperitivo, la feta viene utilizzata come ingrediente base dell’insalata greca e nelle ricette dei dolci. Con la feta, inoltre, i greci farciscono i panini, insaporiscono le frittate e preparano gustosi antipasti. Ma questo formaggio può essere consumato anche durante la prima colazione: ad esempio abbinandolo alle fragole, uno dei più golosi frutti di stagione. Oppure, rendendolo il must di un pasto nutriente ed altamente proteico. Potete accompagnare la feta con il pane ai cereali, con l’avocado, con delle fette o dei cubetti di pomodoro. Il connubio con la frutta, tuttavia, risulta sempre vincente: insieme all’arancia tagliata a fette la feta è una vera e propria delizia, così come con i cubetti di anguria. Esistono mille modi, insomma, di gustare la feta…e vi consiglio vivamente di provarli tutti.

 

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Calypso Fountain e Citrus Affair di NOVELLISTA: due nuove fragranze, due nuove storie per l’estate

 

Immaginate un profumo che è anche una storia. Un racconto, un luogo, un’atmosfera, tutti estrapolati da libri iconici e rimasti fortemente impressi nell’immaginario collettivo. Ad essi si ispira NOVELLISTA per la sua collezione di fragranze, una collezione paragonabile a un’ intrigante libreria olfattiva. Ogni profumo corrisponde ad un volume: ne cattura lo spirito per poi tradurlo in un aroma caratteristico ed evocativo. Questo spunto ha dato origine a una collezione di sedici Eau de Parfum elaborate da celebri maestri profumieri di Parigi e Grasse. Gli ingredienti, una serie di resine, assolute, oli essenziali ed estratti rari e pregiatissimi, derivano da tutti gli angoli del globo e vengono assemblati sapientemente. Il processo artigianale che dà vita ad un profumo somiglia quasi a un’operazione artistica, al making of creativo della scrittura di un libro. Non è un caso che dietro il marchio NOVELLISTA si celi un team indipendente del quale fanno parte artisti, esperti del profumo e di letteratura, appassionati del bello. Ognuno di noi può scegliere la sua fragranza negli scaffali della “collezione/libreria”: per vivere un’esperienza sensoriale del tutto unica e salpare verso un viaggio olfattivo che arricchirà l’avventura della propria esistenza. In occasione dell’estate, NOVELLISTA ha lanciato due nuovi profumi: Calypso Fountain e Citrus Affair.

 

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CALYPSO FOUNTAIN

Questa Eau de Parfum da donna (creata dalla profumiera Caroline Sabas) fa riferimento all’ Odissea di Omero e al ritorno di Ulisse ad Itaca dopo la guerra di Troia. Il suo viaggio durerà dieci anni, e non sarà certo privo di peripezie. Prima di tornare dall’ amata moglie Penelope, infatti, Ulisse naufraga sull’ isola di Ogigia: è qui che ha inizio la storia a cui si ispira Calypso Fountain. Il nome della fragranza è indicativo. Calipso è la splendida ninfa che, non appena vede Ulisse, si innamora di lui all’istante. Riesce a trattenerlo a Ogigia per ben sette anni, promettendogli l’immortalità se rimarrà per sempre. Ma Ulisse rifiuta senza se nè ma: vuole a tutti i costi ritornare a Itaca e riabbracciare Penelope. Calypso Fountain racchiude gli aromi di quell’ isola sperduta nel Mediterraneo. Rievoca i sentori del suo mare, della sua brezza. E’ una fragranza che parla di amore: l’amore tormentato di Calipso per Ulisse, l’amore eterno di Ulisse per Penelope; due sfaccettature della passione molto diverse, ma intrise di fascino in parti uguali. L’aria inebriante di Ogigia si respira sin dalle note di testa del profumo: accenti agrumati di bergamotto si uniscono al chinotto in un connubio frizzante, all’ insegna della freschezza, dove l’ananas si insinua con la sua invitante dolcezza. Il cuore è un bouquet floreale che sfoggia accordi di fiori di loto, rosa e petali di gelsomino, originando un mix di luminosità, suggestioni esotiche e raffinatezza. Il fondo, caldo e sensuale, combina il sandalo con il legno di palma, l’ambra dorata e il muschio, creando un imprinting sfolgorante ed impalpabile al tempo stesso.

 

 

CITRUS AFFAIR

 

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Unisex come la maggior parte delle fragranze di NOVELLISTA, Citrus Affair (creato dalla profumiera Marie Huguenot) si ispira alla poesia “Mignon” contenuta nel romanzo “L’apprendistato di Wilhelm Meister” di Johann Wolfgang von Goethe. In quei versi Mignon, giovane donna italiana che vive con una troupe di giocolieri, esprime la sua nostalgia per la patria natia, i suoi luoghi e i suoi profumi. A fare da sfondo a Citrus Affair è lo scenario della Costiera Amalfitana. La fragranza esordisce con note di testa travolgenti a base di zenzero, limone e pompelmo: un inno scintillante alla gioia e alla giocosità. Il cuore, floreale/agrumato, combina i fiori degli agrumi con il mandarino, il gelsomino e la rosa. Il fondo decanta lo splendore della Costiera Amalfitana tramite accordi sensuali e armonici di muschio, legno di sandalo biondo e infusione di ambra. Il risultato? L’eleganza e l’intensità del jus si amalgamano in un connubio ad alto tasso di seduttività.

 

 

Calypso Fountain e Citrus Affair, custoditi negli inconfondibili flaconi minimali delle fragranze NOVELLISTA, sono disponibili in versione Eau de Parfum nel formato da 75 ml.

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Le Idriadi, Ninfe delle Acque

 

“Udite, selve, mie dolce parole, |poi che la ninfa mia udir non vuole. | Ben si cura l’armento del pastore: | la ninfa non si cura dell’amante, | la bella ninfa che di sasso ha ‘l core, | anzi di ferro, anzi l’ha di diamante. | Ella fugge da me sempre davante | com’agnella dal lupo fuggir suole.“ —

(Angelo Poliziano)

 

Gli antichi Greci le consideravano divinità della natura: le ninfe (da “nymphē”, “fanciulla”, in greco antico) regnavano su tutti gli elementi naturali e sugli elementi antropici, come le città o determinate aree geografiche. Della natura erano parte integrante; ne rappresentavano la straordinaria potenza, i cicli, la meraviglia da osservare con eterno stupore. Il termine “eterno” non è un caso, poichè le ninfe erano immortali. Venivano descritte come giovani donne di bell’ aspetto, perennemente insidiate dai satiri e corteggiate da eroi e personaggi leggendari. L’immagine che meglio spiega la loro essenza le vede intente in incantevoli danze e canti sulle note dell’ ammaliante flauto di Pan: una melodia che si insinuava nel silenzio della natura primigenia. Legate ad Artemide, la dea della foresta e della caccia, ma anche della luna, del pudore e della purezza femminile, le ninfe si suddividevano in gruppi a seconda degli elementi naturali a cui erano associate. Le Ninfe della Terra erano dette Epigee, ripartite a loro volta in numerosi sottogruppi. Tra esse spiccano le Oreadi (ninfe delle montagne e delle alture), le Napee (ninfe delle valli e dei prati rigogliosi), le Alseidi (ninfe dei boschi e appartenenti al corteo silvestre di Artemide), le Agrostine (ninfe dei campi, indispensabili per il sostentamento degli uomini), e poi ancora le Amadriadi (ninfe degli alberi che risiedevano nella loro corteccia), le Epimelidi (ninfe protettrici delle greggi), le Driadi (ninfe immortali che abitavano all’interno delle querce) e moltissime altre ancora.

 

 

Le Ninfe delle Acque, dette Idriadi, comprendevano i sottogruppi delle Oceanine (ninfe dei fiumi e degli abissi marini), delle Nereidi (ninfe del mare), delle Naiadi (ninfe delle sorgenti), delle Potamidi (ninfe dei fiumi) e delle Eleadi (ninfe delle paludi), solo per citarne alcune. Tra le Ninfe Celesti, le Ninfe dell’Aria, figuravano le Pleiadi (figlie di Atlante e Peione), le Iadi (ninfe associate alle stelle, ai boschi, alla pioggia e alle paludi), le Esperidi (ninfe custodi del Giardino delle Esperidi, collocato in un misterioso luogo all’ estremo ovest del pianeta), le Nefele (ninfe delle nubi). Le Ninfe del Fuoco, dette Eliadi, si presentavano sotto forma di pioppi pervasi da gocce di ambra dorata, un emblema delle lacrime che versarono per la morte del loro fratello Fetonte. Esistevano poi molte altre tipologie di ninfe, impossibile menzionarle tutte. In onore di queste divinità della natura si effettuavano sacrifici animali, ma più frequentemente si offrivano ad esse prodotti genuini e frutti del raccolto. La mitologia greca attribuisce alla figura della ninfa una connotazione altamente positiva: è bellissima, indossa vesti fluttuanti e impalpabili, ha la chioma tempestata di fiori. Protegge la natura e coloro che la amano, propizia la fecondità della terra. Il suo canto melodioso riecheggia ovunque, creando un’ atmosfera idillica. La ninfa mantiene un rapporto inscindibile con le acque a prescindere dal proprio gruppo di appartenenza. Anche per questo ho deciso di concentrarmi sulle Idriadi, di cui faceva parte la celebre ninfa Calipso che Omero cita nell’ Odissea.

 

 

Ninfe delle Acque, le Idriadi abitano i mari, i laghi, i fiumi, le fonti, gli stagni e le sorgenti. Le Oceanine (ninfe delle acque correnti) vantano l’origine più antica: sono nate da due Titani, Oceano e Teti, emblemi delle acque universali, e da esse ha avuto origine ogni fiume che solca il globo terrestre. Stige è la primogenita; presiede al rio infernale che garantisce l’ immortalità. Lì viene immerso Achille, anche se il tallone dal quale lo sorreggono non può bagnarsi e diverrà il suo punto debole. Stige è una ninfa autorevole e veneratissima, gli dei giurano in suo nome e chi non la rispetta va incontro a terribili sciagure. Calipso, che nell’ Odissea di Omero vive in una grotta sull’ isola di Ogigia, si innamora perdutamente di Ulisse e lo trattiene per sette anni a Ogigia contro la sua volontà. Perseide vanta una discendenza di figure mitologiche femminili come la maga Circe, Pasifae (madre del Minotauro) e Medea. Doride, un’altra figlia di Oceano e Teti, si accompagna a Nereo (il dio del mare calmo) e dà alla luce cinquanta Nereidi, le ninfe del mare, che hanno il compito – tra l’altro – di proteggere i marinai. Tra queste ricordiamo Galatea, della quale si innamora il gigante Polifemo, e Anfitrite, che si unisce in matrimonio con il dio del mare Poseidone.

 

 

Nell’ Andromaca, Euripide colloca le Nereidi nelle mitiche “Isole dei Beati”, un luogo fatato che i sapienti, nel corso dei secoli, hanno identificato con l’arcipelago delle Canarie. Le Naiadi, ninfe delle sorgenti di acqua dolce, sono state generate da Zeus e dimorano in svariati luoghi. Le Pegee, ad esempio, abitano le sorgenti sgorgate nei meandri del sottosuolo, mentre le Potamidi risiedono nei fiumi. Le Limniadi, invece, sono rintracciabili negli angusti e misteriosi stagni. Una leggenda molto suggestiva riguarda le Sirene: nate Ninfe di Terra, quando Persefone viene rapita dal re degli Inferi decidono di cercarla anche nelle acque. Assumono quindi un aspetto completamente diverso; sulle loro spalle spuntano le ali e si tramutano per sempre in creature marine. Il canto ammaliante delle Sirene incanta i marinai, ma non riesce a sedurre nè OrfeoUlisse. Ila, l’amante guerriero di Eracle, non ha la stessa fortuna dei due eroi mitologici: durante lo straordinario viaggio con gli Argonauti, mentre va a rifornirsi d’acqua su un’isola, individua una fonte dove si stanno bagnando tre ninfe (Eunica, Malide e Nicea). Le ninfe si innamorano immediatamente di lui, lo rapiscono e lo costringono a vivere con loro nelle profondità delle acque. Eracle va in cerca di Ila, ma inutilmente: non lo ritroverà mai più.

 

 

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Il luogo: Zante, viaggio nell’ isola che diede i natali a Foscolo

 

” Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso…”

(Ugo Foscolo, da “A Zacinto”)

 

Il suo nome è Zante, ma anche Zacinto, o meglio Zakynthos come la chiamano gli autoctoni. Appartiene all’ arcipelago greco delle Isole Ionie (che include anche Corfù, Cefalonia, Itaca, Leucade, Cerigo, Passo) ed ha una superficie di 405 km 2 su cui sono distribuiti 40.000 abitanti. Se amate la natura selvaggia ma non disdegnate la nightlife e il divertimento, Zante fa al caso vostro: è un’ isola singolarissima, ricca di sfaccettature. Secondo la mitologia greca, a Zante nacque Venere; non soprende, dunque, che sia una sorta di paradiso terrestre lambito dal mare più azzurro che ci sia. Leggende a parte, Zakynthos diede i natali al poeta Ugo Foscolo. Non va dimenticato, infatti, che per ben sei secoli – a partire dal 1194 e fino al 1797 – l’isola fu soggetta al dominio della Repubblica di Venezia. Ma quali sono le origini di Zante e perchè le venne attribuito quel nome? Omero fu il primo a citarla in un testo, lo fece sia nell’ Iliade che nell’ Odissea. Si narra che, in tempi antichissimi, la Dea della Caccia Artemide vagasse di continuo nei rigogliosi boschi di Zante, e che suo fratello Apollo solesse decantare la bellezza di quei luoghi accompagnandosi con la lira. In onore dei due Dei venivano organizzati eventi, gare e svariati spettacoli, finchè, tra il 1500 e il 1600 a.C., sull’ isola approdò Zakynthos (il figlio di Dardano, Re di Troia) e la colonizzò. Zakynthos era partito dalla città di Psofida, in Arcadia; a Zante fondò un’ acropoli a cui diede lo stesso nome. Considerato colui che scoprì e popolò l’isola, Zakynthos divenne la sua icona. Appariva sulle monete e si tramutò in una sorta di emblema: era raffigurato mentre reggeva tra le mani un serpente, perchè – come asserivano le leggende – al suo arrivo fece piazza pulita dei serpenti che si addensavano nel territorio. A tutt’ oggi, Zakyhthos (in italiano Zacinto) viene considerato l’ eroe supremo dell’ isola che nel 2011 prese il nome di Zante.

 

 

Omero la ribattezzò “Fiore di Levante”, Foscolo le dedicò un sonetto, “A Zacinto”: le meraviglie naturali di Zante sono state celebrate sin dalla notte dei tempi. Il verde pervade l’ intera isola, le spiagge sono molteplici e collocate in spettacolari insenature, le pareti rocciose cadono a strapiombo sul mare. Il paesaggio è straordinario, caratteristico. Abbondano gli ulivi, i vigneti, le piantagioni di cedri, che fanno dell’ agricoltura una delle ricchezze principali dell’ isola. Tipico di Zante è il corinzio nero senza semi, detto ribes: la coltivazione di questa varietà d’ uva risale a epoche antichissime; secoli orsono, il ribes veniva esportato nel Mediterraneo attraverso il porto di Corinto. Altre risorse sono rappresentate dall’ allevamento degli ovini, da due giacimenti minerari situati a ovest dell’ isola, dall’ artigianato e, naturalmente, dal turismo. Anche perchè Zante è una meta per tutti i gusti. Chi ama il relax e i panorami incontaminati la adorerà, chi è in cerca di mondanità potrà trovare “movida” in abbondanza lungo la costa meridionale. A ovest si concentrano scogliere altissime, nelle zone interne sono presenti luoghi in cui la civiltà sembra non essere ancora arrivata: vecchie mulattiere attraversano un territorio straripante di piante selvatiche e costellato da mulini d’ altri tempi. Il clima, senza dubbio, favorisce questo tipo di paesaggio; a Zante le primavere sono piovose e le estati caldissime, ma secche. E se le temperature raggiungono normalmente i 40-45 gradi, risultano sopportabili grazie all’ assenza dell’ afa.

 

 

Se dovessimo scegliere uno scorcio specifico per identificare l’ isola, punteremmo di sicuro sulla spiaggia del Relitto o del Navagio (in italiano, naufragio). Si trova sulla costa nord-occidentale ed è collocata tra due promontori rocciosi: appare come un’ insenatura di spiaggia bianchissima dove dal 1980 giace il relitto della motonave Panagiotis, che quell’ anno naufragò dopo essere rimasta incagliata in una secca. La vecchia nave arrugginita risalta sul candore della cala, che alterna sabbia e ciottoli: non è un caso che questa location sia una delle più fotografate di Zante. Per ammirarla dall’ alto, e godere al tempo stesso del blu intenso del mar Ionio, basta percorrere un sentiero panoramico laterale alla spiaggia. Navagio Beach, da notare, è raggiungibile soltanto via mare.

 

 

Dato che parliamo di spiagge, eccone qualcun’ altra da non lasciarsi sfuggire. Se amate praticare lo snorkeling, puntate su Makris Gialos: è una spiaggia composta di sabbia e ciottoli situata nei paraggi di stupefacenti grotte subacquee. A pochi passi dal villaggio di Alykes troverete invece la spiaggia di Xigia: su questa cala incassata tra due scogliere rocciose vi sentirete in un vero e proprio angolo di Eden. Il fondo è sabbioso (l’ optimum per chi detesta camminare sui ciottoli), e nelle immediate vicinanze si apre una grotta dove scorre una sorgente naturale di acqua sulfurea. Grazie all’alta concentrazione di zolfo, il mare su cui si affaccia la spiaggia sfoggia una nuance di turchese mozzafiato. Il fondale sabbioso – ricoperto però da numerosi ciottoli –  contraddistingue anche la spiaggia di Limni Keri, un paesino posizionato di fronte all’ isola di Marathonissi. Circondata da un gran numero di pini marittimi e di taverne, questa piccola baia, al tramonto, è impregnata di un’ atmosfera incredibilmente suggestiva. La collocazione alle pendici di Capo Marathia, un maestoso promontorio, fa sì che la spiaggia sia un perfetto punto di partenza per le escursioni nel Parco Marino Nazionale, nell’ isola di Marathonissi e nelle grotte e calette di Capo Marathia. Kaminia Beach si trova nel cuore del golfo delle Tartarughe: il suo fondo di sassi candidi è raggiungibile solo tramite una scaletta assai ripida. Non è il massimo della comodità, ma se adorate le spiagge nascoste vale la pena di farci un salto! Porto Roxa, completamente attorniata dalle rocce, abbina il relax al divertimento sfrenato. Le taverne abbondano e il calar del sole è tutto da ammirare. Non è raro, inoltre, ottenere ombrelloni e sdraio gratuiti in cambio di una consumazione nei suoi brulicanti locali.

 

 

Una visita al Parco Nazionale Marino è imprescindibile. E’ sorto nel 1999 a tutela delle tartarughe acquatiche Caretta caretta, una specie tipica del mar Mediterraneo che è solita nidificare sulla costa sud-occidentale di Zante (si contano circa 1300 nidi l’anno). L’ area del Parco include quattro isolotti situati a sud dell’ isola: Marathonissi, Pelouso e le due isole Strofadi. Le tartarughe, ad alto rischio di estinzione, raggiungono le spiagge ogni mese di Giugno per sotterrare le loro uova nella sabbia. Dopo circa 55 giorni queste si schiudono e i cuccioli si dirigono autonomamente verso il mare.

 

 

Le Grotte di Keri rappresentano un’ ennesima meraviglia locale. Sono posizionate a sud-ovest di Zante, nei pressi del promontorio di Capo Marathia, e si raggiungono solamente via mare tramite barche private o turistiche. Queste grotte si sviluppano lungo la costa a strapiombo, che favorisce una notevole profondità dei fondali: le imbarcazioni, in genere, possono accedervi senza problemi. Nelle grotte con un ingresso molto stretto si può invece entrare a nuoto. In questa zona è consigliabile soffermarsi ad ammirare i Mizitres, due faraglioni uniti da una sottilissima lingua di sabbia alle pareti rocciose del litorale. La spaccatura che squarcia un faraglione rende possibile esplorare quest’area a nuoto osservando le innumerevoli stelle marine che la popolano. Anche sulla costa nord-occidentale dell’ isola è presente una serie di grotte incantevoli. Si tratta delle celebri Grotte Blu, formazioni geologiche che partono da Agios Nikolaos ed arrivano fino a Capo Skinari: una zona ideale per praticare lo snorkeling. Il nome delle grotte si ispira ai particolarissimi riflessi azzurri che l’acqua marina proietta al loro interno. Come avviene per le Grotte di Keri, alcune Grotte Blu sono visitabili con una piccola imbarcazione oppure a nuoto (un metodo riservato ai più esperti).

 

 

Un tour ideale dell’ isola di Zante comprende i luoghi, i paesaggi e gli edifici più disparati: antichi mulini, strade panoramiche, monasteri secolari come, ad esempio, San Giorgio delle Rocce, situato nel paese di Anafonitria. Il complesso architettonico si staglia su un promontorio e vanta una magnifica vista mare. Consta di una torre a base circolare, una serie di alloggi e una chiesetta che i pirati distrussero nel 1553. Successivamente, venne ricostruita in tipico stile veneziano. Un altro monastero molto caratteristico è quello di Eleftherotria, il monastero della Madonna Liberatrice. Si trova nei pressi di Macherado e somiglia ad un castello ricco di torri, archi e merlature. Il tour prosegue a Zante, capoluogo dell’ isola e suo porto principale. Un terribile terremoto rase al suolo la città nel 1953, annientando ogni traccia dell’ antico dominio veneziano. I portici, i palazzi e i luoghi di culto che si rifacevano strutturalmente alla Serenissima vennero riedificati in stile moderno. Le uniche testimonianze risalenti ai tempi che furono sono rappresentate dalla chiesa di San Dioniso (dove vengono conservate le reliquie del santo), la chiesa di San Nicola del Molo, l’ edificio della Banca Nazionale e la piazza di San Marco, un nome scelto non a caso. Imperdibile una passeggiata nei tortuosi vicoli, costeggiati da case con cortili adornati di fiori, e il panorama che abbraccia la baia di Zante. Proprio dietro la città, nel punto più alto della collina Strani, spicca poi un delizioso borgo che circonda i resti di un castello veneziano: merita di essere visitato senza esitazione. E la vita notturna, le discoteche, i pub? Oltre che a Zante, si concentrano a Argassi e Laganas. Quest’ ultima località, situata nel sud dell’ isola, viene soprannominata “la piccola Las Vegas” ed è tutto dire. Nightclub, negozi, hotel e ristoranti si susseguono in un’ esplosione di insegne al neon che accendono la notte di mille colori. I supermercati, i locali e gli esercizi commerciali rimangono aperti pressochè h24 e anche la spiaggia, che si snoda per chilometri e chilometri, è frequentatissima a ogni ora del giorno e, ça va sans dire…della notte! Zante, insomma, è l’isola perfetta per qualsiasi esigenza e qualsiasi stile di vita. E voi, quale aspetto di Zakynthos preferite?

 

Sirene

 

” Le sirene esistono? O forse non sono altro che il sogno di inchiostro di un polpo geniale che si diverte a disegnarle nell’acqua e a farle apparire ai marinai inconsapevoli? Questo polpo ha il talento di un pittore e nessuno lo sa.”
(Fabrizio Caramagna)

Quella delle Sirene è una storia antica: affonda le radici nella mitologia greca, che le raffigurava come donne dal viso umano su un corpo piumato di uccello. La loro voce, però, era talmente affascinante che riusciva ad ammaliare chiunque. Nel Medioevo, la rappresentazione di queste incantate creature mutò completamente e cominciarono ad assumere l’aspetto di giovani donne con una coda di pesce invece delle gambe. Intorno all’ VIII secolo d.C., ibridi metà donna e metà pesce erano già stati catalogati in un volume, il Liber Monstrorum de Diversis Generibus, una sorta di inventario di tutti gli esseri viventi “portentosi” – non conformi, cioè, agli standard fisici dell’ epoca. L’ italiano “sirena” deriva dal greco “siren”. Ricorderete bene il ruolo delle Sirene nell’ “Odissea” di Omero: anche allora (tra il 700 e l’800 a.C.) venivano descritte come delle incantatrici, abitanti di un’ isola che alcuni studiosi collocarono a sud della penisola di Sorrento, altri tra Scilla e Cariddi, avvezze ad attirare i marinai con il loro canto per poi divorarli ed ammassarne le ossa sulla scogliera. Omero narra che tentarono Ulisse senza riuscire, però, ad ingannarlo. Grazie all’ aiuto della maga Circe, infatti, il suo equipaggio superò l’ insidiosa isola con dei tappi di cera nelle orecchie; Ulisse, non smentendo il proprio spirito avventuroso, fece a meno dei tappi ma chiese di essere incatenato all’ albero della nave. Udì il seducente canto delle sirene, tuttavia resistette e non cadde in trappola. Le doti ammalianti delle Sirene, a differenza del loro aspetto che variò nel tempo, rimasero una costante. Nel Medioevo le “donne-pesce” erano considerate il simbolo della vanità e della lussuria, non a caso appaiono di frequente nei bestiari che adornano le chiese romaniche. Scolpite sui capitelli o sulle facciate, le Sirene, con il busto voluttuoso e il magnetismo nello sguardo, incarnavano la quintessenza del peccato: l’ ambiguità della seduzione che prima attira a sè e poi sopprime, la parvenza maliarda che nasconde l’ inganno. Non c’è bisogno di dire, quindi, che la loro presenza nella chiese era un monito a tenersi alla larga dalle tentazioni. In quasi tutte le culture antiche, le Sirene venivano dipinte come creature infidamente seduttive. Fu probabilmente Hans Christian Andersen, nel 1837, a ribaltare quel canone: ne “La Sirenetta”, la protagonista della fiaba si dà la morte affranta dall’ impossibilità di coronare il suo amore per il Principe. Ma le Sirene sono sempre e solo state figure mitologiche tout court?

 

 

Era il 1493 quando nientemeno che Cristoforo Colombo dichiarò di averne viste tre mentre emergevano dalle profondità del mare. Anche alcuni uomini dell’ equipaggio di Henry Hudson, nel 1608, sostennero di aver scorto una sirena dai lunghi capelli neri durante un viaggio di esplorazione nell’ Oceano Artico. Altri avvistamenti risalgono alla seconda metà dell’ Ottocento e al 1967: entrambi riguardano la costa pacifica del Canada. In questi giorni che molti di noi si apprestano a vivere in vacanza, magari al mare, che ne dite?, imbattersi in una mitologica creatura acquatica potrebbe essere un’ eventualità possibile?

 

 

 

 

 

Il fascino simbolico del mandorlo in fiore

 

Una leggenda della mitologia ellenica narra che Acamante, il figlio di Teseo, lungo il tragitto verso Troia (dove era diretto per prendere parte al conflitto narrato da Omero ne l’Iliade e l’Odissea) fece sosta in una piccola regione della penisola balcanica, la Tracia. Qui si sarebbe approvvigionato di viveri prima di ripartire, ma accadde qualcosa che rischiò di sconvolgere i suoi piani: incontrò la bellissima principessa Fillide e tra i due fu amore a prima vista. Nonostante tutto, però, Acamante decise di proseguire il viaggio, e si reimbarcò per Troia insieme agli Achei. Fillide gli promise che lo avrebbe atteso fiduciosa. Non prevedeva, certo, che la guerra sarebbe durata dieci anni: un lunghissimo periodo in cui non seppe più nulla di Acamante. Arrivò persino a crederlo morto, struggendosi per la disperazione al punto tale da perdere la vita. La sua triste sorte colpì molto la dea Atena, che volle tramutare il corpo di Fillide in un mandorlo per mantenerne la bellezza intatta nel tempo. Al suo ritorno, Acamante apprese tutta la vicenda. Cercò Fillide ovunque, ma quando si imbattè in un maestoso albero sentì di averla ritrovata. Lo abbracciò piangendo a dirotto, ne abbracciò i rami, e all’ improvviso si accorse che sulle fronde era sbocciata una folta nuvola di fiori bianchi: l’ amore della donna che lo aveva aspettato tanto si era trasformato in meraviglia pura.

 

 

L’ allegoria è chiarissima: dalla sofferenza scaturiscono la speranza, il cambiamento, il germoglio della rigenerazione.  Da allora, il mandorlo – che i Fenici introdussero in Sicilia prima che si estendesse nei paesi del Mediterraneo – viene considerato un preludio di Primavera, la stagione del risveglio per antonomasia. Pittori, naturalisti e scrittori ne hanno decantato lo splendore sin dai tempi più remoti, ma non va tralasciato che anche la mandorla (dal V al XVI secolo circa) assunse un importante valore emblematico. Iconograficamente, infatti, era associata alla rappresentazione della dimensione divina. Per celebrare il lunedì dell’ Angelo ho scelto proprio il mandorlo. Perdiamoci insieme nella sua chioma vaporosa e candida, incantiamoci davanti al binomio cromatico che instaura con il cielo di Aprile. E non smettiamo mai di credere che una rinascita, dopo questo periodo buio, sia possibile: la simbologia legata al primo albero che fiorisce in Primavera ne è una dimostrazione.