Elisabetta I Tudor, l’incoronazione

 

“I preparativi per l’antico e complesso rito dell’incoronazione assorbivano gran parte del tempo di Elisabetta. Occorreva trovare un ecclesiastico disposto a officiare e, con il cardinale Pole defunto (era sopravvissuto a Maria solo per poche ore) e Heath, l’arcivescovo di York, diffidente nei riguardi dell’ intimo credo della nuova regina, la ricerca non si prospettava facile. Alla fine la scelta cadde su un oscuro suffraganeo di Heath, Owen Oglethorpe di Carlisle. Poi vi furono da appianare le controversie relative alla cerimonia, con i nobili che gareggiavano per ottenere la posizione di maggiore spicco durante le celebrazioni, i paramenti e gli arredi da ordinare, ecc. Nel giro di una notte, fu allestita una vera e propria impresa per fornire gli abiti, gli ornamenti e gli orpelli per la più sfarzosa delle occasioni regali: sarti e cucitrici per impuntire le vesti preziose e ricamatori, merciai e piumai per decorarle, pellai per reperire le pellicce e commercianti di tessuti per i ricchi velluti e le sete. I tappezzieri furono incaricati di rivestire la nuova portantina della sovrana con una stoffa intessuta d’oro e il seggio dell’ incoronazione nell’abbazia con un drappo argentato. Sellai e ferraioli prepararono sontuosi finimenti per i cavalli, mentre i coltellinai si occuparono delle spade cerimoniali e delle altre armi tradizionalmente indossate nel giorno dell’incoronazione. Il sarto della regina supervisionò l’ abbigliamento dell’ intera corte, non solo degli ufficiali e delle dame della sovrana, ma anche delle diverse centinaia di araldi, tirapiedi, musicisti e guardie che avrebbero seguito Elisabetta in processione. Nessuno fu dimenticato, nemmeno i fornitori di cibarie per le cucine del palazzo nè le lavandaie della regina, che ebbero una nuova veste rossa, e neppure i buffoni di corte, che avrebbero indossato sgargianti abiti in velluto arancione con inserti viola. “

 

Carolly Erickson, da “Elisabetta I – La vergine regina”

 

Foto: “Elizabeth I of England (1533-1603) in Coronation Robes”, dipinto di autore anonimo risalente al 1600 circa.

 

Calendimaggio, un’ode a Flora e a Dioniso

Sir Lawrence Alma-Tadema, “Spring” (1894), particolare

Il 1 Maggio, oltre che Festa del Lavoro, è anche Calendimaggio. Ne parlo con due giorni di ritardo, ma non importa: l’ incanto che circonda questa ricorrenza rimane intatto. Con il Calendimaggio, gli antichi popoli festeggiavano la Primavera ormai giunta al suo apice. Il nome deriva da “calende”, ossia il primo giorno del mese (calcolato in base alla luna nuova) del calendario romano. Durante le “calende” di Maggio si celebrava Flora, la dea della fioritura, e venivano compiuti numerosi rituali. Uno di questi vedeva protagonisti gli alberi, emblemi della natura e della sua fertilità ritrovata, associati alla prosperità immancabilmente: la tradizione voleva che i giovani uomini, la notte del 30 Aprile, si inoltrassero nei boschi per procurarsi rami fioriti o interi arbusti.

John William Waterhouse, “Flora and the Zephyrs” (1897), particolare

Li avrebbero posti davanti alle finestre o ai portoni delle fanciulle a mò di rito di corteggiamento. Ma gli alberi venivano trapiantati nei luoghi più disparati, come le piazze, i cortili, addirittura accanto alle abitazioni delle personalità del villaggio. Probabilmente questi riti si ricollegavano all’ “albero cosmico” su cui per nove giorni e nove notti si rifugiò Odino, la massima divinità della mitologia norrena, prima che apprendesse la potente simbologia delle rune celtiche. Tra le usanze più famose e amate, tuttora diffusa in molte zone d’ Italia, c’è poi quella dei Canti del Maggio: il primo giorno del mese (o la notte precedente), i “maggianti”, anche detti “maggerini”, si recano di casa in casa – o percorrono le vie dei borghi, soprattutto in tempi di Covid – cantando versi gioiosi e pieni di brio intrisi di termini dialettali. Si tratta perlopiù di stornelli, accompagnati da chitarre, tamburelli e violini, che inneggiano al risveglio della natura e al ritorno di Dioniso (originariamente, il dio della vegetazione). In onore all’ allegria che sprigionano questi canti, i maggianti ricevono omaggi enogastronomici: un bicchiere di buon vino, una fetta di dolce, delle uova, uno spuntino…Simili soste consentono di osservare da vicino gli ornamenti a base di rose, viole, foglie di ontano e maggiociondolo sfoggiati dai maggerini, tutti fiori e piante tipici del mese appena iniziato e ricorrenti nel Cantamaggio. Che questa tradizione sia connotata da una forte valenza propiziatoria è ovvio, e anche qui risiede il suo fascino; non è un caso che affondi le radici presso popoli che attribuivano valori ben precisi alla ciclicità della natura: in particolare i Celti, affiancati dagli abitanti dell’ antica Etruria e dai Liguri.

Charles Daniel Ward, “The Progress of Spring” (1905), particolare

Per concludere, cari lettori di VALIUM: è Maggio, uno dei mesi più belli dell’ anno. La Primavera è esplosa in pieno e l’ Estate, con la sua afa, è ancora lontana. Mi piace pensare ai 28 giorni che ci aspettano immaginando di avventurarmi, rigorosamente al tramonto, lungo un sentiero fiancheggiato da cespugli di rose…